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Discussione: L'Angolo Culturale

  1. #191
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Menichetti: Maccio Capatonda, lo Zalone dei radical chic?


    Questa settimana esce il primo film di Maccio Capatonda. Ecco cosa ne pensa Alberto Menichetti.




    Tre film in uscita questa settimana a Prato.

    Partiamo da quello che incasserà di più.
    Maccio Capotonda rischia di diventare suo malgrado il Checco Zalone dei radical chic.
    Come Zalone è cattivo, sopra le righe e “nuovo” nelle forme paratelevisive, parodistiche e frammentarie. Ma è meno sputtanante, meno Canale 5 e maggiormente sdoganabile dai trentenni della critica 2.0 e quindi, se per Zalone si osavano paragoni con Sordi, per ITALIANO MEDIO in quanto “film” si osano paragoni con i brutti, sporchi e cattivi della commedia all’italiana al suo ultimo stadio di Monicelli e Scola, quella più sulfurea, acida, grottesca, come l’avevamo lasciata alla fine degli anni ’70. Manco fossimo nel primo, ispiratissimo film di Ciprì.
    Cerchiamo di fare chiarezza – se date un minimo credito a queste pagine ovvio e non partite prevenuti che Maccio è Dio, altrimenti cercate “capolavoro” e “maccio capotonda” su google e troverete quello che fa per voi.
    Italiano Medio è certo un bel po’ brutto, sporco, grottesco. Ed è un pregio in sé nell’epoca di Papa Bergoglio e di Siani, del “carino”.
    E’ intelligente, più riuscito di molte delle uscite mediatiche di Maccio.
    Anche se purtroppo ci sono un numero esagerato di abusatissimi giochi di parole ed Andrea Scanzi che fa una comparsata.
    Però in generale risponde affermativamente alla domanda che ci ponevamo all’epoca dell’uscita di Sole a Catinelle: fa ridere? Sì, fa ridere.
    Però come Zalone non è cinema, è qualcosa a metà tra Mtv e una consapevole sciatteria tutta anni 80 da sottoAbatantuono. E’ roba che puoi vedere su internet, sui siti di streaming illegali, in dvd o su Italia1 con gli amici tra una cannetta e una birra, senza sentirti in colpa per aver disertato le sale mentre Hungry Hearts floppa e l’ultima, strepitosa commedia di Bogdanovich arriverà forse tra qualche mese.
    Eppure nonostante questo o forse proprio per questo – e ci sarà da interrogarsi di nuovo sulle nuove forme di visuale nell’epoca dell’effimero e delle instant web-series – sarà un successo.

    TURNER è uno dei migliori biopic degli ultimi tempi – e sono tempi pieni di film biografici. Perché Turner era un pittore pre-cinematografico, perché Mike Leigh è un regista adatto a portarlo sullo schermo con misura (dopo dieci anni di lavoro), perché Timoty Spall è strepitoso.

    E perché l’alternativa tra i film veri e propri è davvero inaffrontabile: UNBROKEN, l’esordio dietro la macchina da presa di Angelina Jolie. Il contentino dato da Hollywood alla viziatissima diva. Tutto il peggio della retorica in un unico film. Meglio Maccio? Sì, meglio Maccio via.

    https://www.pratosfera.com/2015/01/3...-radical-chic/
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  2. #192
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Adrian è un flop: Celentano si scusa in diretta e peggiora la situazione

    Adrian ha fatto rabbrividire i vertici Mediaset per la pochezza degli ascolti. La serie animata di Celentano è un flop, e andrà anche incontro a una querela

    Tiziano Angelo - gennaio 24, 2019



    Adrian La Serie è un flop. La serie tv di Adriano Celentano si è dimostrata tragicamente non all’altezza. Lo dice lo share: nel corso della serata di ieri, fra un episodio animato e un altro, ben 1,5 milioni di spettatori hanno abbandonato la visione dello show.

    I dati Auditel dimostrano che le visioni – dopo il 21% della prima serata – sono calate addirittura al 13,3% nel corso della seconda serata. In pratica, si è passati da 3,9 milioni di spettatori da 2,8. Stavolta neanche Canale5 si è esposto in difesa di Celentano – come era successo la prima sera – ma, anzi, fra i vertici Mediaset sembra esserci molta perplessità. Neanche loro si aspettavano un fallimento simile.


    Adriano Celentano, poi, si è presentato come ospite in Rai da Nino Frassica. Ha tenuto uno strano e ironico (?) discorso di scuse, ma non per il fallimento di Adrian. “Padre – ha detto rivolto a Nino Frassica – ho lasciato illudere Canale 5 che avrei partecipato fisicamente allo spettacolo, ma io non potevo, perché dovevo seguire ‘Adrian’, che è la mia anima”. Dopo un lungo silenzio, ha fatto qualche passo e ha aggiunto: “Io gli ho detto che potevo esserci o non esserci, che poi è quello che sta succedendo adesso”. Frassica, nei panni del Padre, non poteva assolverlo: “Sono un prete Rai, ci vuole un prete Mediaset”.

    Adrian doveva essere la serie evento sul mercato televisivo italiano. In questi giorni, soprattutto sui social, è diventato più che altro oggetto di scherno e prese in giro. Diciamo che l’evento è quello. Quasi come fenomeno da baraccone. Anche in tv è continuata così. Dopo una pausa, è intervenuto anche Giovanni Storti, di Aldo, Giovanni e Giacomo, a rincarare la dose ironicamente. “Ma è ancora qua?”, si è chiesto.

    Non finisce qui la storia. L’associazione Noiconsumatori, tramite gli avvocati Angelo e Sergio Pisani, presenterà querela contro la trasmissione di Canale 5 per la rappresentazione di Napoli quale capitale di “Mafia International”. Si sfocia anche in discriminazioni, insomma. Qualcuno sostiene che la carriera artistica di Celentano sia decisamente finita.

    Adrian è un flop: Celentano si scusa in diretta e peggiora la situazione
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  3. #193
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Fare il cazzone a 80 anni suonati, non porta a nulla di buono. Solo sbadigli.
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  4. #194
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Bohemian Rhapsody: una occasione sprecata per raccontare davvero Freddie Mercury e i Queen


    Nicola Corsaro 06/12/2018



    Quando qualcuno mi chiede qual è la prima cassetta che ho comprato, la risposta è semplice: Queen, “Greatest Hits II”, lo ricordo benissimo, appena uscito, con Freddie ancora vivo (ancora per pochissimo, in verità). Altrettanto semplice è la risposta quando mi chiedono del mio primo CD, ancora una volta Queen, “Greatest Hits”, comprato con i soldi dei regali di Natale, una tradizione che continuerà finché non avrò completato la discografia. E il primo amore musicale vero, trasformatosi da semplice gradimento ad amore puro con uno speciale su Italia 1, “Freddie Mercury: L’ultimo Immortale”, trasmesso in occasione della pubblicazione dell’osceno “Remixes”, nel lontano 1993, un amore mai affievolito, mai abbandonato in nessuna fase della mia odissea musicale.

    Come immagino sia accaduto per tantissimi altri ragazzini e ragazzine al mondo, i Queen mi hanno cresciuto musicalmente, e il Dio Mercurio è stato il catalizzatore di questo amore e di questa crescita, quindi era necessario andare a vedere questo Bohemian Rhapsody, nonostante tutto. Dico “nonostante tutto” perché, come accade spesso quando si parla di Queen, ne ho seguito attentamente le sorti.

    Un film sui Queen, Cristo santo, da ragazzino sarei stato emozionatissimo, avrei trascinato i miei genitori, ne avrei parlato, scassando i coglioni a tutti, per mesi e mesi e ancora mesi; beh, del resto lo feci per un documentario scrauso dell’allora Fininvest, figurarsi per un blockbuster hollywoodiano da 50 milioni di dollari. Ma non sono più un ragazzino. E la notizia del licenziamento di Sacha Baron Cohen (Borat, sono sicuro che molti di voi avranno pensato leggendo quel nome) non poteva di certo essere una buona nuova. Sacha, attore eccezionale e molto intelligente, assai sottovalutato come accade molto spesso ai comici, “non condivideva la visione” di Brian e Roger per il film. Che tendenzialmente vuol dire “non voleva un polpettone per famiglie, ma un film vero”. Vero? Con Bryan Singer, da anni Mr. X-Men? “Oh, che palle Nicola, sempre a criticare, Singer ha fatto anche I Soliti Sospetti, e poi hai visto i trailer? Rami Malek è uguale, fantastico, eccezionale, eccellente”.

    Eh, ma Brian May e Roger Taylor sono anni che umiliano la memoria dei Queen con baracconate di regime portandosi in giro il Marco Mengoni americano nel ruolo di Freddie, tanto che il buon Deacy non ne vuole più sapere nulla da anni. “Oh, ma che palle Nicola, non va mai bene nessuno, Adam Lambert è straordinario, stupefacente, bravissimo”. Ma almeno il titolo per Dio, si poteva scegliere ‘na cosa meno banale di “Bohemian Rhapsody”? Non è che è per forza sempre necessario ridurre tutto al minimo comune multiplo, santo cielo.

    Per un fan dei Queen, e quando dico “fan” intendo “fanatico”, i pruriti incominciano con le imprecisioni e libertà narrative. No, Freddie non ha saputo dell’HIV prima del Live Aid (addirittura dopo il Live Aid aveva fatto un test risultato negativo) e no, i suoi album solisti non hanno causato la temporanea rottura della band, che era uscita da un anno con “The Works” quando il Live Aid gli fu proposto (peraltro sia Roger che Brian avevano già pubblicato i propri, di album solisti, e nel secondo album di Roger, uscito un anno prima del Live Aid, gli altri tre Queen contribuiscono), e ancora no, Freddie non conobbe né Mary, né Roger, né Brian a un concerto degli Smile – aveva la sua band e viveva con i due futuri Queen, con Roger aveva addirittura una piccola bancarella di vestiti a Kensington, e ancora no, no, no…



    Beh, irritante, vero, ma non inconsueto; accade, per esigenze narrative, in quasi tutte le biografie sul grande schermo. Il problema è che qui le inconsistenze vanno a detrimento della narrazione, soprattutto nella prima parte del film rendono la storia assai meno interessante, assai meno fluida, assai più banale: invece che i Queen, una band totalmente unica, eccentrica, irripetibile, sembrano la mediocre band di “Almost Famous”, ma raccontata senza il talento narrativo e l’ironia di Cameron Crowe. Ancora, i cambi e salti cronologici rendono le motivazioni dei personaggi assai diverse dalla realtà: l’esibizione al Live Aid era una rivincita per le pesantissime critiche ricevute negli anni trascorsi e per i fallimenti commerciali (e per le polemiche, rappresentate nel film, per il video en travestì di I Want To Break Free), come band e come solisti, da “Hot Space” in poi – i Queen erano considerati ormai finiti, spazzati via dagli anni ’80, decennio del quale invece, grazie alle forti motivazioni dei quattro, diventarono ancora una volta dominatori. La malattia di Freddie non c’entra una mazza e arriverà anni dopo, come già detto, quando peraltro era troppo tardi per tornare a suonare dal vivo.

    Ed è questo il maledetto guaio di continuare ad abbassare l’asticella, di continuare a considerare gli spettatori troppo stupidi per capire: si finisce con lo scambiare la semplicità con la banalità, quando la vita, con i suoi intrecci, offre storie bellissime, emozionanti, profonde, ricche, con milioni di sfumature assai più divertenti del buono che diventa cattivo ma poi capisce che ha sbagliato e tornano tutti amici. Un’occasione sprecata, come è sprecata l’occasione per fare conoscere a un pubblico amplissimo (che ha premiato la banalità con camionate di milioni di dollari) tantissimi lati musicali dei Queen qui ancora una volta ignorati per sottolineare solamente i soliti noti brani che chiunque, fan o meno, conosce: persino “Baby Driver”, banale thrillerone dello scorso anno ha fatto qualcosa in più in questo senso, usando in maniera eccellente Brighton Rock.

    Rami Malek a volte pecca di mancanza di naturalezza e della scioltezza con la quale Mercury faceva sembrare semplice tutto, ma nel complesso è uno dei punti di forza del film: offre un Freddie fragile, perfetto nei movimenti (e nella voce, che purtroppo si perde nel doppiaggio) e bello da vedere. Gli manca il magnetismo animale di Mercury, ma fare un Freddie Mercury credibile è impresa non da poco e qui l’impresa è certamente riuscita. Così come sono bravi Aidan Gillen (Ditocorto, per i fan di “Game Of Thrones”) nel ruolo di John Reid e uno straordinariamente somigliante Gwilym Lee nel ruolo (assai edulcorato) di Brian May. Bravo pure Mike Meyers, nel ruolo inventato del dirigente cattivo della EMI (altra licenza narrativa) e una deliziosa Lucy Boynton nel ruolo di Mary Austin.

    Per salvare il film dall’oblio delle biografie fallite i produttori si giocano una buona carta: una lunga e dettagliata ricostruzione del Live Aid (ovviamente con l’audio pressoché originale, con qualche ritocco) che conclude il film senza fare uscire dalla sala i fan bestemmiando in Parsi; una quindicina di minuti di gloria, girati in maniera eccellente, che in un buon cinema valgono il prezzo del film.

    Alla fine della fiera, non è un pessimo film: è quella versione edulcorata e banalizzata che non resterà nella storia del cinema, né nella storia della vita di alcuno degli spettatori, ma certamente nella storia dei portafogli di chi lo ha prodotto – un prodotto d’intrattenimento dignitoso e mai rischioso che fa passare una serata a chi lo andrà a guardare, che non scende a fondo nell’analizzare né Mercury, né Bulsara, né la musica, né la band, né tutto ciò che c’era attorno. A noi, a quelli cresciuti coi Queen e dai Queen, a quelli andati al cinema con aspettative basse, non ci restano che quegli ultimi quindici minuti e un pensiero in testa: “Peccato”.

    Bohemian Rhapsody: una occasione sprecata per raccontare davvero Freddie Mercury e i Queen
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  5. #195
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Fare il cazzone a 80 anni suonati, non porta a nulla di buono. Solo sbadigli.
    E in tema di ottantenni suonati speriamo faccia flop anche il Berluska, visto che insiste...
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  6. #196
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Biglietto per l'Inferno

    I ribelli del prog italiano

    di Valerio D'Onofrio

    I Biglietto per l'Inferno sono stati la band italiana più vicina all'hard-prog dei Rush. La violenza dei testi autobiografici della "voce del diavolo" Claudio Canali e le loro sonorità aggressive testimoniano la ricchezza della scena prog italiana degli anni 70



    Non posso salvarti dal fuoco eterno. Hai solo un biglietto, per l’inferno

    Non posso salvarti dal fuoco eterno. Hai solo un biglietto, per l’inferno
    I Biglietto per l’Inferno sono stati una delle band più vicine alla scena hard-prog della prolifica stagione italiana degli anni 70, accostandosi più che al sinfonismo tipico del progressive britannico, al versante “duro” dei canadesi Rush.
    Formatisi a Lecco nel 1972 dalla fusione dei Mako Sharks (Marco Mainetti, Giuseppe Cossa, Fausto Branchini) e dei Gee (Claudio Canali, Baffo Banfi, Mauro Gnecchi), cominciano a farsi notare in numerosi live grazie a un suono tagliente, testi molto diretti e provocatori, e all'inusuale presenza di due tastiere (uno delle quali suonata dallo stesso Banfi, pioniere della musica cosmica italiana).

    Esordiscono nel 1974 col primo Lp omonimo ma la loro carriera è fulminea, tanto immediata la notorietà quanto rapida la scomparsa. Propongono sonorità che superano in violenza quelli dei gruppi italiani coevi e - pur essendo meno dotati di giganti del prog tricolore come Banco o Pfm - colpiscono anche grazie alla complessità delle loro composizioni. I testi - mediamente più diretti e dissacranti (tanto che Canali è chiamato all'epoca "La voce del diavolo") - manifestano un certo disagio giovanile, con sentimenti di ribellione verso la morale comune imposta da una società che giudica senza mai capire davvero la rabbia delle nuove generazioni. Sono ragionamenti fondamentalmente anomali nella scena progressiva, sia essa britannica o italiana, dedita più a fughe in mondi fiabeschi, al disimpegno e al distacco dalla realtà (con le nobili eccezioni di Area e Banco in Italia e di Robert Wyatt e Henry Cow in Inghilterra).

    La sensazione di una rabbia interiore, di un malessere che non trova né motivazione razionale né soluzione, li avvicina al mondo hippie del manifesto generazionale “Quinto: uccidi il padre e la madre” di Jerry Rubin, con la differenza che la rabbia della band di Lecco è istintiva e irrazionale, non legata ad alcun movimento contro-culturale; un messaggio da punk ante litteram più che da hippie.
    Traspare chiaramente l’idea dell’incomunicabilità tra diverse generazioni, con padri e madri ciechi di fronte alle esigenze dei figli. L’ovvia conseguenza è che solo la gioventù - non ancora corrotta dalle regole stantie della società e dalla venerazione del Dio denaro - possa aspirare a creare una società nuova e libera.
    Da questa base di idee (“Erano anni belli e tremendi allo stesso tempo”, ricorda Canali) non potevano che nascere elementi di depressione e disperazione che verranno poi chiamati dark; nel caso dei Biglietto per l’Inferno è uno spleen che prende forma attorno alla figura giovane non inserito, del diverso non ascoltato dagli adulti e tagliato fuori dai suoi coetanei, a cui non resta altro che il suicidio (“L’amico suicida” del primo Lp). Tutti elementi che rendono la band di Canali sicuramente più rilevante dal punto di vista storico rispetto al destino di ultra-nicchia al quale le cronache musicali l'hanno relegata.

    Nel 1974 viene pubblicato l'omonimo Biglietto per l’Inferno, Lp che fa dell’impatto immediato, dell’asprezza dei suoni la sua forza principale; riescono a partecipare ad alcuni dei principali festival dell’epoca, da Villa Pamphili a Roma, al Parco Lambro a Milano. Suonano anche come gruppo di supporto a Kevin Ayers, a Lugano nel 1975.

    In qualche modo quella del disco è la mia storia, quella di un uomo in cerca di Dio


    Il disco è una sorta di seduta di psicoanalisi. I testi mostrano tutti i risvolti del conflitto interiore e delle contraddizioni di Canali, che terminerà queste sue tribolazioni decidendo di abbandonare la carriera di musicista per diventare monaco.

    Le sonorità, in bilico tra prog e hard-rock, assecondano così le idee controverse di un giovane con educazione cattolica (probabilmente autoritaria, a giudicare dai testi di "Canzone del padre"), che attraversa una fase di contestazione e delusione e non si abbandona a sogni artificiali o lisergici, ma cerca di percorrere - a qualunque costo - una nuova strada. Il concetto appare chiarissimo nel primo brano “Ansia”, che racchiude già tutti i tormenti psicologici di Canali. Una intro tipicamente prog accompagna testi rabbiosi, in cui il senso di colpa (cattolico) predomina. La “vita triste e infame, passata a uccidere e rubare” del protagonista ha come sola via di fuga la religione, la vista di un prete (“un amico ha parlato di preti; mai visti! Chi sono? Che fanno? Ciarlatani mercanti o profeti, ma tolgono questo mio affanno”). Si giunge naturalmente alla “Confessione”, brano energico che contiene, ben dosati, elementi di rabbia e ironia. Riff semplice ma di grande impatto e tastiere prog sono ancora una volta gli elementi tipici e distintivi della band. Canali continua il suo viaggio introspettivo e interpreta a fasi alterne il confessato e il confessore. Il suo alter ego confessa orribili peccati, commessi tuttavia per un bene superiore. Memorabili i testi, specie nel passaggio in cui il prete dice: “Non posso salvarti dal fuoco eterno, hai solo un biglietto per l’inferno”. La fuga strumentale che ne segue - quattro minuti di accelerazioni, decelerazioni e cori - pur penalizzata da una qualità di registrazione non ottimale, rappresenta probabilmente il vertice assoluto della band.



    “Una strana regina” continua sulla falsariga dei testi precedenti, ma la musica cambia registro, facendosi più pacata e riflessiva. Il tema centrale è sempre quello dell'inadeguatezza giovanile, in cerca di un adulto “guida” che possa indirizzare verso strade sane da percorrere (“so solo ammazzare io, so solo rubare io, altro non so fare io, insegnami tu”). Il tema rimane quello dei dualismi colpa-perdono, rabbia-catarsi, bene-male (“caro amico che uccidi e rubi sei come me, e forse, senza sapere, in questa vita l’hai vinta tu, e spera che il nostro Dio dall’aldilà veda e perdoni la nostra empietà”).
    “Il nevare” è più convenzionale, un semplice brano dai riff hard-rock, che ha però un certo fascino. Si torna ad alti livelli con la lunga (tredici minuti) e sperimentale, “L’amico suicida”, un momento in cui - probabilmente in modo inconsapevole - col suo fascino per la morte, l’oscurità e la decadenza, Canali scrive un brano gotico ante litteram. Questo aspetto dark, cupo e deprimente è sicuramente un caso unico nella discografia del prog italiano. Il branno descrive il vero suicidio di un amico di Canali durante il militare, con liriche tristi e commoventi sposate ad atmosfere funeree. L’amico suicida è un ragazzo sfortunato non compreso dalla società. Ancora una volta il protagonista è un disagiato, un “diverso” incompreso; ma non solo la società non lo ha mai aiutato, ora addirittura lo condanna per il suo gesto e - facendo ciò - lo uccide per la seconda volta. Il finale è un nuovo viaggio strumentale ricco di idee prog e cambi di tempo.

    I buoni riscontri del primo Lp fanno immaginare un prosieguo di carriera roseo, ma tutto si interrompe rapidamente. Nel 1975 Eugenio Finardi si propone di produrre il loro secondo album, che è già in gran parte scritto; purtroppo la Trident Records fallisce, il progetto salta e i Biglietto per l’Inferno si dissolvono, nonostante l’album sia già stato registrato interamente. Questo scioglimento prematuro dà comunque buoni frutti, aprendo la strada alla lodevole carriera solista del tastierista Baffo Banfi, fervido sperimentatore della musica cosmica italiana (Galaxy My Dear del 1978 e Ma, dolce vita del 1979), mentre Canali fa parte prima di un gruppo Hare Krishna, poi - come detto - diventa monaco , nel 1994.



    Il tempo della semina sarebbe dovuto uscire nel 1975, ma viene accantonato per poi essere ripubblicato ben diciassette anni dopo, nel 1992, dalla meritoria Mellow Records, etichetta specializzata nel recupero e nella riscoperta del prog italiano. L’album è un prodotto tipico degli anni 70, con alcuni ottimi brani ma che ha perso buona parte della carica dell’esordio. La posizione di Canali qui si fa più marginale, i brani sono scritti insieme da tutti i musicisti e questo porta a un maggiore accostamento al prog italiano (o britannico) più tipico. Esempio calzante è l’ottima title track, dieci minuti altalenanti tra cambi di tempo, giri di basso, virtuosismi delle doppie tastiere, flauti e accelerazioni che rispettano tutti i canoni del progressive rock. “Mente sola - mente” tenta la carta della sperimentazione, ma si ferma a mero capriccio giovanile. “Viva lotta pensa” si allinea alla canzone politica anni 70 ma con ben definite sonorità prog; un brano breve e tra più semplici della loro carriera, che lancia un messaggio alternativo alla cultura politica di quegli anni, quello del "non allineamento" a idee precostituite e di “vivere, lottare e pensare” in modo autonomo.
    “Solo ma vivo” è invece una leggera ballata tra prog e pop, con finale pomposo di mellotron. A chiudere, un brano che si ricollega ai dialoghi autobiografici del primo album: “La canzone del padre” racconta coraggiosamente la travagliata infanzia di Canali, tra difficoltà scolastiche (“Quei banchi di scuola che per anni ho scaldato, come si vive non me l'hanno insegnato”), ricordi di un padre violento (“Mi picchiava e gridava ubriaco ‘vorrei che tu non fossi mai nato’, questa sua frase ce l'ho ancora dentro”) e di una madre incapace di trasmettere fiducia (“Mi ritrovai solo con la mia rabbia a voler dimostrare che non ero un coniglio”). Tutti eventi che generano un senso di rabbia e di rancore, sia nei suoni, sia nei testi, sempre più duri (“Ti ho odiato padre perché non capivi che la mia vita non è un tuo programma, certo gli incassi son magri ed è colpa mia, avrei dovuto dare retta anche a voi e cantare come un cane ammaestrato”). Neanche il successo del figlio potrà contribuire a ripristinare un dialogo tra due generazioni divise da un muro insormontabile (“Oggi invece mi fai tanta pena però almeno tu hai una vita serena, e quando mi vedi godi a far lo spaccone, vedete mio figlio canta in televisione”).
    Si conclude così la lunga seduta psicoanalitica in musica di Canali, con una riflessione che è al tempo stesso il canto del cigno per una delle formazioni più originali e aggressive del prog italiano. Oggi Canali vive come monaco eremita presso il convento di Minucciano, in provincia di Lucca.



    Nel 2005 - in epoca di riscoperta dei tesori perduti del prog italiano - sarà pubblicato Live 1974, raccolta di alcune introvabili registrazioni live dell'epoca. Dopo anni di oblio, nel 2009, i Biglietto per l'Inferno riemergeranno, con formazione totalmente nuova e un progetto che è al tempo stesso revival e reinterpretazione originale dei vecchi brani della band.
    Con un nome rinnovato - Biglietto Per L'Inferno.Folk - viene pubblicato Tra l'assurdo e la ragione (2009) che ripropone gran parte dei brani del primo Lp. L’aggiunta al nome della parola folk non deve però ingannare; più che altro il vero cambiamento sta nell’affiancare ai classici strumenti elettronici una serie di strumenti tradizionali, come flauti (già presenti agli esordi), cornamuse, fisarmoniche, violini, mandolini, organetti diatonici, pifferi e ocarine. Una vera e propria orchestra, che supera il prog classico per sconfinare nella musica popolare e tradizionale. La voce di Canali è sostituita da quella calda e potente di Mariolina Sala, mentre la continuità con la vecchia band è garantita dalla tastiera di Giuseppe Cossa e dalla batteria di Mauro Gnecchi (lo stesso Canali, comunque, darà la sua benedizione al progetto, partecipando occasionalmente a qualche registrazione).

    Nel 2015, abbandonato il suffisso "Folk", la band dà alle stampe Vivi, lotta, pensa che chiude il cerchio con gran parte dei brani del secondo album. I momenti migliori sono la lunga versione de "L'amico suicida", dove non si disperdono il pathos e l'angoscia dell'originale, e la title track - perfetto esempio di musica tradizionale che concilia il prog-rock. E’ anche presente un inedito - “Narciso e Boccadoro” - scritto da Canali nel 1977 e non pubblicato nei due primi album.

    Biglietto per l'Inferno - biografia, recensioni, streaming, discografia, foto :: OndaRock
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  7. #197
    Il Re del Nord
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Citazione Originariamente Scritto da Kavalerists Visualizza Messaggio
    E in tema di ottantenni suonati speriamo faccia flop anche il Berluska, visto che insiste...
    Io sto seriamente pensando di votarlo
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  8. #198
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Biglietto per l'Inferno
    Madò, li ho scoperti a 16 anni, che ricordi!
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  9. #199
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    La Cina produce un anime su Karl Marx
    Di Redazione - 21 Dicembre 2018

    The Leader è una serie animata incentrata sulla vita di Karl Marx, il filosofo le cui ideologie stano alla base del socialismo e del comunismo, autore de Il capitale. La storia racconterà vari momenti fondamentali della vita di Marx, passando per l’incontro con la moglie Jenny von Westphalen e l’amicizia col collega Friedrich Engels.

    La serie ha una curiosa origine, è infatti una produzione cinese realizzata con il supporto del governo e la diretta sponsorizzazione del Project to Study and Develop the Marxist Theory, una iniziativa lanciata dal Partito Comunista Cinese nel 2004. L’anime è inoltre promosso dal gruppo di ricerca The Chinese Academy of Social Sciences, dal gruppo di ricerca Weiming Culture Media e dal quotidiano governativo People’s Daily.

    The Leader celebra i 200 anni dalla nascita di Marx e secondo gli annunci del canale streaming che la ospiterà – Bilibili – debutterà presto, ma non è specificato quando esattamente, come non è noto ancora di quanti episodi sarà composta la serie.

    Di seguito, il primo trailer di The Leader, diffuso da Global Times, giornale in lingua inglese dedicato alla Cina.
    Primo episodio
    https://www.youtube.com/watch?v=0T0a...TLvZMCbF4aGap4

  10. #200
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Citazione Originariamente Scritto da Spirdu Visualizza Messaggio
    Ottimi disegni. Esiste già una versione in lingua italiana (ma mi accontenterei anche di una in lingua inglese)?
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

 

 
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