Un articolo importante sulla tradizione musicale popolare italiana.
Durante: “Chi fa musica folk è un professionista”
Cosa distingue la musica folk dagli altri generi? Non ci sono in realtà ragioni tecniche, ma semplicemente storiche: da una parte si è infatti sviluppata una tradizione colta, ufficiale perché scritta, frutto di ricerche accademiche e di conservatorio e dall’altra una tradizione orale, popolare perché patrimonio del popolo, tramandata di generazione in generazione. Per questo motivo la musica folk è definita anche musica tradizionale, legata alla pre-cultura, utilizzata per rivivere i suoni, le usanze, le lingue nella loro forma più ancestrale. Oggi la musica folk è parte integrante del patrimonio storico di un popolo, espressione del suo spirito più puro e delle origini più antiche. Proprio perché libera da ogni condizionamento ufficiale è anche musica indipendente dall’influenza mediatica e dall’industria musicale, intrisa di argomento politico e mezzo di denuncia sociale, un vero e proprio canto del popolo, come del resto indica il termine tedesco da cui la parola folk trae origine, Volkslied. Il rai algerino, la musica tuareg, i ritmi devishi, l’hausa e la yoruba nigeriana, la balanta creola, il bamileke camerunense, il turku e il destan turchi, il khorasan persiano, il bhavageete e il bhangra indiano, la musica celtica irlandese, bretone e scozzese, il sami norvegese, il flamenco spagnolo, la tarantella napoletana, la musica gitana dei Balcani, la musica andina del Sud America, il tango argentino, la samba brasiliana, il bolero, la salsa, il son, la rumba e l’habanera cubana, il merengue domenicano, il reggaeton jamaicano sono solo alcuni dei generi propriamente folk che vengono da tutto il mondo. Si tratta di suoni semplici, selvatici, che coinvolgono facilmente e riescono a trasmettere molto più direttamente la cultura di un popolo rispetto a tanti libri o manuali di storia. Qualcuno potrebbe dire si tratti comunque di musica da stregoni e contadini e relegare il folk in un ambito inferiore rispetto al genere autoriale. In realtà il genere folk ha conosciuto una evoluzione senza eguali, una rivalutazione dal punto di vista storico e una costante opera di ricerca dal punto di vista tecnico, che vede oggi un grande numero di artisti, spesso non solo professionisti in quanto musicisti folk ma anche studiosi e ricercatori della tradizione culturale e storica da cui provengono. Espressione del rinnovato interesse verso la musica folk e la tradizione in Italia sono i numerosi festival folkloristici che ogni anno coinvolgono migliaia di persone,tra turisti e locali, in particolare nel Sud del nostro paese. Un vero è proprio fenomeno, non solo dal punto di vista culturale ma anche economico.
Abbiamo intervistato Daniele Durante, direttore artistico di uno dei maggiori festival di musica popolare in Europa, La Notte della Taranta, un tributo alla pizzica salentina che attira ogni anno turisti da tutto il mondo e che si concluderà con il Concertone di Sabato 27 Agosto a Melpignano, trasmesso in diretta da Rai 5. Durante è uno tra i massimi esperti di musica popolare in Italia, musicista, docente di etnomusicologia e fondatore nel 1975 del Canzoniere Grecanico Salentino, il più importante gruppo di musica popolare salentina. Ecco qualche domanda per scoprire di più sulla musica folk e sulla sua diffusione.
I festival di musica folk attirano ogni anno sempre più pubblico, anche “lontano” sia geograficamente che culturalmente. Secondo lei cosa lo incuriosisce?
In primis perché la musica folk entra subito, è di facile ascolto, quindi non richiede una particolare preparazione. Essendo di tradizione popolare è una musica che è stata filtrata da tanti secoli di ascolti consapevoli, come è tipico della tradizione orale è difficile che qualcosa di troppo artificioso si conservi. Non essendo musica scritta non può essere molto complessa quindi incontra subito l’orecchiabile. Un altro punto a favore è il fatto che si possa ballare senza rispettare codici particolari, sentendosi libero di entrare nel ballo, esprimersi e sentirsi parte di una cultura anche se lontana.
Il folk è per definizione libero dall’influsso mediatico e dell’industria musicale. Riuscirà a mantenere la sua identità? O rischia di ridursi a una moda commerciale?
In Italia e in particolare in questo periodo è difficile diventare moda. Ormai l’industria discografica e le major di una volta stanno praticamente sparendo. Quello che potrebbe preoccupare sono altri aspetti mediatici, come la radio o il web, che sono sempre alla ricerca della novità e trasformano in frivolo e commerciale qualunque cosa per poi buttarla via. Detto questo non penso che la musica folk possa diventare vittima di questo sistema: coinvolge molte persone, questo è vero, ma persone consapevoli, è musica “ricercata” in un certo senso. Non penso corra il rischio di diventare un genere usa e getta dell’industria mass mediatica.
La musica folk è musica locale, fortemente legata ai connotati di una cultura. Quanto è importante nella trasmissione della cultura locale alle nuove generazioni?
Questa è una domanda molto complessa perché tocca un aspetto importante. Mi rendo sempre più conto di come le nuove generazioni perdano la passione per la propria cultura locale, pensiamo al dialetto ad esempio, in alcuni casi è quasi scomparso. Si è perso il valore della trasmissione orale, dello stare insieme. La musica folk ha aiutato e sta aiutando a conservare la tradizione, come ad esempio quella grecanica nel Salento. Non si tratta solo di salvare delle nozioni ma anche di conservare quell’orgoglio, quell’appartenenza culturale che la modernità ha violentemente spazzato via. Non bisogna vergognarsi delle proprie origini solo perché viviamo in una società che annulla le differenze.
La musica folk è in tutto il mondo, ma sappiamo quando sia meravigliosamente folkloristico il Sud Italia. Pensa una maggiore rivalutazione di alcune realtà possa rappresentare anche un investimento fruttuoso per la ripresa economica?
L’esempio dei comuni del Salento che si sono uniti, poi aiutati dalla Provincia e dalla Regioni, è la dimostrazione pratica di come la politica, se fatta con intelligenza, possa aiutare nella crescita di fenomeni culturali ma anche economici. Investendo in manifestazioni folkloristiche si coinvolgono non solo musicisti, ma anche artigiani e produttori enogastronomici: non solo si fa qualcosa di culturale e tradizionale, ma si dà lavoro, si contribuisce alla ripresa economica di realtà locali spesso molto piccole ma ricche di potenzialità. Bisogna rendersi conto di questi meccanismi e metterli in atto. La politica deve promuovere, deve prestare attenzione a questa realtà. Il turismo non va fatto solo con pubblicità e foto da copertina, ma invitando il turista a conoscere il folklore di un luogo, ad entrare nella sua cultura. Il Salento penso ci sia riuscito: il nostro trend è sempre in crescita, i turisti amano la nostra terra. Non c’è bisogno di economisti per capire quanto si possa investire nel folklore. I numeri de La Notte della Taranta lo dimostrano.
La musica folk viene dal popolo e pertanto è nata con una forte connotazione politica. Continua ad essere un mezzo di denuncia sociale?
Il mondo della musica folk è di spinta popolare, nasce da quella che una volta era la sinistra. Tuttavia ho dei forti dubbi sul fatto che sia rimasta questa particolare connotazione. Si è persa quella verve politica che c’era una volta. Oggi si può parlare più di musica folk di stampo progressista, vicina ai bisogni del popolo e dei lavoratori, ma non quanto lo era per i contadini di una volta.
Lei è stato fondatore nel 1975 del Canzoniere Grecanico Salentino, il più importante gruppo di musica popolare salentina, nonché docente di etnomusicologia. Come si è evoluta la musica popolare in generale e la pizzica in particolare da allora?
Quando fondai il mio gruppo, circa quarant’anni fa ormai, la musica folk era di connotazione fortemente politica, era una forma di intervento, un mezzo di resistenza e di opposizione all’imperialismo della cultura di massa per difendere la tradizione, quando ancora non si usava il termine globalizzazione ma già ci si opponeva, ritrovando la propria identità e la propria origine e mostrandola in maniera orgogliosa, attraverso la musica. Eppure con il tempo quella che una volta era musica semplice, priva di tecnicismi, diventava sempre più complessa, più studiata. C’era una maggiore esigenza di professionalità. Se prima lo scopo era solo gridare attraverso i microfoni la propria politicità, la propria protesta, adesso diventava fare della musica di qualità che poteva diventare un lavoro. E un lavoro richiede professionalità. Vorrei infatti sfatare questo mito e risolvere l’equivoco: chi fa musica folk oggi è un vero musicista, un professionista. Se non ci fosse stato questo percorso di specializzazione non ci sarebbe stata la consapevolezza che c’è oggi: certo, è una musica semplice e coinvolgente, ma ad oggi esistono diversi livelli di ascolto.
Qualche anticipazione sul Concertone di sabato?
Il Concertone di sabato conterrà quarataquattro pezzi e vanterà di una forte presenza al femminile. Cinque fantastiche ospiti, tra cui Fiorella Mannoia e Carmen Consoli, che apriranno con il brano Femmena Femmena e concluderanno il festival con una meravigliosa Buonanotte in grico, Kalifta. Il nostro scopo sarà anche quest’anno quello di condividere con orgoglio la bellezza della musica popolare pugliese con il nostro pubblico e, perché no, continuare a trasmettere alle generazioni più giovani quella cultura e quelle tradizioni che rischiamo di perdere per sempre.
Durante: "Chi fa musica folk è un professionista" ? L'Indro