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Discussione: L'Angolo Culturale

  1. #331
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Dalla criminalizzazione alla repressione del dissenso: lo scontro mortale con "la sinistra"
    di Riccardo Paccosi - 04/11/2021



    Con il Daspo da Roma a Stefano Puzzer in seguito a una manifestazione assolutamente pacifica, vediamo il cerchio della repressione stringersi.
    Le vicende repressive di Novara, Trieste e adesso Roma, sono precedenti potenzialmente applicabili in tutta Italia e che puntano esplicitamente alla messa fuori legge dell'opposizione.
    La repressione si articola su almeno tre livelli e con toni che divengono, di giorno in giorno, sempre più violenti e sempre più volti verso lo scontro mortale, ovvero verso una logica di annientamento totale del nemico.
    1) In primo luogo, c'è la criminalizzazione mediatica martellante, ossessiva, alla quale ancora oggi - dopo due anni - non sappiamo come reagire.
    2) Il secondo livello repressivo è rappresentato, invece, dalla deriva estremistica del mondo politico. Mentre intorno al movimento vengono imbastite reazioni isteriche e rabbiose per ogni parola fuori posto pronunciata in un comizio, nelle ultime settimane abbiamo sentito un deputato - Giuliano Cazzola - invocare impunemente gli spari sulla folla e il sindaco di Trieste vomitare parole - fasciste ed eversive - su disertori e fucilazione.
    3) Tutto questo non sarebbe possibile, però, se non vi fosse il terzo livello repressivo, ovvero una base sociale di consenso alla repressione. Quella base in cui monta l'odio e la delegittimazione dell'opposizione in quanto tale, ebbene, è oggi la sinistra.
    Dobbiamo capirlo e chiarircelo intimamente: stiamo ingaggiando uno scontro mortale innanzitutto con la sinistra.
    Il fatto che, per questo motivo, la sinistra riesca a costruire una narrazione secondo cui chi le si oppone sarebbe naturaliter "di destra", è una menzogna da disvelare.
    Infatti, va anche chiarito che la destra non è né un alleato tattico né un'alternativa menopeggiorista. Semplicemente, la destra sta alla finestra a guardare questo scontro, alternando la propria adesione obbediente all'ordine dominante a strumentali strizzate d'occhio alla protesta dalle quali ricavare un po' di tornaconto elettorale.
    La lotta tra il movimento d'opposizione e questo nuovo capitalismo "di sinistra", dunque, altro non è che la sempiterna lotta tra dominanti e dominati: la diade categoriale destra-sinistra svolge invece la funzione d'occultare e impedire tale lettura.
    Intanto, però, l'odio reciproco cresce e i suoi fondamenti sono tanto profondi quanto irreversibili:
    1) Il primo fondamento viene da lontano ed è racchiuso nel concetto di post-verità: se la divisione non è tra visioni del mondo e sistemi di valori ma intorno alla definizione di cosa sia o non sia la realtà, viene a cancellarsi ogni base - logica e linguistica - di confronto. Venendo a mancare un'idea condivisa di "realtà", cioè, la polarizzazione è assoluta, travalicante perfino il conflitto etnico o interreligioso.
    2) Il secondo fondamento, derivante dal primo e sostanziante l'analogia col nazismo, è la medicalizzazione della devianza sociale: nel momento in cui la dissidenza politica viene qualificata come disturbo mentale, viene legittimata la sua messa fuori legge.
    3) Il terzo fondamento, riguarda il fatto che il sistema capitalista abbia assunto un sistema valoriale di sinistra. Oppositori e sostenitori del Governo Draghi, quindi, si stanno accusando reciprocamente di essere una nuova incarnazione del fascismo, ma solo una delle due parti - la sinistra - dispone di media e istituzioni per poter rendere quest'accusa un reato di cui rispondere.
    Qualunque analogia con polarizzazioni del passato, sarebbe fuorviante. Il conflitto tra sinistra storica e sinistra extraparlamentare negli anni '70, pur costellato da morti e uso politico della magistratura, era anche caratterizzato dalla presenza di figure che svolgevano un ruolo da pontieri fra le parti. E anche il conflitto storico tra fascisti e comunisti, non metteva in gioco la definizione di realtà o la sanità mentale.
    Dunque, se questo scontro è - già ora, sul piano della logica formale - una guerra civile, fino a che punto giungerà l'escalation del conflitto?
    Avremo morti nelle strade? Attentati? Pogrom di massa contro i non vaccinati alimentati da opinionisti di sinistra?
    Le forze al governo non stanno puntando su questo, bensì su un'azione repressiva di tipo concentrico e crescente che, anche il questo caso, richiama alla memoria la dinamica progressiva e graduale delle leggi razziai nazifasciste.
    L'obiettivo è quello, cioè, di sottrarre sempre più spazio di manovra al movimento, amplificarne al massimo grado la criminalizzazione mediatica e quindi, alla fine, giungere all'implosione della protesta di massa e alla repressione giudiziaria degli attivisti politici più in vista.
    Non sarebbe corretto dire che questa strategia potrebbe riuscire: essa sta già riuscendo.
    L'unica possibilità di scongiurarla è un salto qualitativo del movimento vero un'organizzazione nazionale realizzata attraverso l'immediato confederarsi di tutte le forze che hanno in questi mesi organizzato le mobilitazioni.
    Chi all'interno del movimento non riconoscerà questa necessità urgente e non si adopererà per la sua realizzazione, si accollerà una responsabilità storica di inaudita gravità.

    https://www.ariannaeditrice.it/artic...on-la-sinistra
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
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  2. #332
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Da esperto fascista, scrissi più di quindici mesi fa (ai tempi di CONTEDVCE) che il cd. centrosinistra era riuscito, volontariamente o meno, a sdoganare un modus operandi totalitario e sostanzialmente fascista anche in quella parte della popolazione che noi non avremmo mai potuto raggiungere.

    Adesso con l'androide Draghibot al comando e il regime autoritario, potrei ben dire ve l'avevo detto, ma sarebbe banale.

    Faccio però notare che un conto è saltare in sella, un conto è restarci.
    Il Duce buonanima aveva caratura e carisma tali da rimanere saldo al comando per vent'anni, questi pensano che carisma sia un modello di utilitaria.

    E chi più applaude oggi, più sputerà domani.
    Hitler or Hell.

  3. #333
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Citazione Originariamente Scritto da Sparviero Visualizza Messaggio
    Da esperto fascista, scrissi più di quindici mesi fa (ai tempi di CONTEDVCE) che il cd. centrosinistra era riuscito, volontariamente o meno, a sdoganare un modus operandi totalitario e sostanzialmente fascista anche in quella parte della popolazione che noi non avremmo mai potuto raggiungere.

    Adesso con l'androide Draghibot al comando e il regime autoritario, potrei ben dire ve l'avevo detto, ma sarebbe banale.

    Faccio però notare che un conto è saltare in sella, un conto è restarci.
    Il Duce buonanima aveva caratura e carisma tali da rimanere saldo al comando per vent'anni, questi pensano che carisma sia un modello di utilitaria.

    E chi più applaude oggi, più sputerà domani.
    Ah, me lo auguro che il Rettile e i suoi accoliti durino meno, ma molto, molto meno del Duce buonanima.
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  4. #334
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    La cosa interessante è che Draghibot e soci sono finiti in una specie di "catch-22", dato che l'attuale regime autoritario è giustificato come una situazione di emergenza temporanea per "vincere la guerra contro il virus".

    A quel punto le possibilità sono due:

    1) Si decide, in un futuro relativamente prossimo, che il virus è stato sconfitto, bravi-bene-bis, adesso però fora da i bal con tutte 'ste regole idiote.
    Significherebbe mollare l'osso: la vedo dura.

    2) Alternativamente, si continua a prolungare "l'emergenza" come già stanno facendo, spostando il traguardo ogni volta, dando la colpa ai runners, al felpa, ai non vaccinati, i gatti randagi, gli inestetismi della cellulite e così via.
    "Noi la guerra la vinceremmo anche, ma è colpa del cane che mi ha mangiato i compiti, signor maestro", in pratica.
    Il punto è che se ti hanno messo lì per vincere la guerra, e la vittoria viene sempre rimandata, beh sappiamo tutti com'è finita quella storia.
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  5. #335
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    "I Poteri Forti brusselioti" non ci vogliono più bene

  6. #336
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA GENTILIANA
    di Guido Cappelli*
    NOV 26, 2021



    Mi chiedo che cos’altro ancora devono farci, quanto ancora devono sbeffeggiarci per farci svegliare. La notizia è recentissima: la prova scritta di maturità, il celebre “tema d’italiano”, è in coma profondo. Coma indotto, coma farmacologico, eutanasia: è ovvio. E il colmo della beffa è che il metodo è tipico del regime autoritario: se lo fanno chiedere da fantomatiche “forze sociali” che a gran voce esigono… quello che vogliono loro! Eseguono ordini o, se si preferisce, implementano un’Agenda: sono schiavi; ma dentro la propria sfera di competenza – cioè l’Italia, cioè noi – il loro è un potere quasi illimitato, e si stanno abituando in fretta e con gusto a esercitarlo.

    Il pretesto, il cavallo di Troia è sempre lo stesso da quasi due anni a questa parte: Covid. Testualmente: “non consentirebbero ai maturandi di stare in totale sicurezza”: dobbiamo diventare bestioline incapaci di esprimersi, altrimenti ci viene la febbre! “In totale sicurezza” – così dice il ministro della (d)istruzione, l’indegno valvassore della tecnocrazia cyber- e post capitalista. Facciamogli caso, prendiamolo in parola, non lasciamoci sfuggire queste smargiassate benché indegne di esser prese sul serio. Guardiamole in faccia: sicurezza da che cosa? Cosa mai vuole insinuare questo tono paternalista? L’elisir di lunga vita? Lo scudo galattico? L’inconsistenza infantiloide di queste pagliacciate brilla in tutta la sua sfacciatezza al solo rivolgergli lo sguardo.

    Ma in mezzo alla solita fuffa (“dobbiamo tenere conto della massima sicurezza dei nostri ragazzi e della loro capacità di saper esprimere se stessi”), il sinistro personaggio si è lasciato andare a un’altrettanto sinistra confessione-ammonimento: “finché non si tornerà ad una totale normalità, non si potrà tornare ad una normalità anche per quanto riguarda l’esame di Stato”. E noi che sappiamo che la “normalità” non c’è più e, se dipenderà da loro, non tornerà mai, possiamo già prevedere che questa ennesima mazzata all’istruzione, al sapere, alla civiltà in definitiva, è già stata assestata una volta e per sempre e segna una svolta che parte proprio dallo svuotamento della scuola.

    In fondo, in questa scusa securitaria umiliante e insultante c’è tutta la mentalità distopica di questi maligni transumanisti: la sfiducia, anzi il disprezzo per l’uomo, per la sua capacità di discernere, di raccontare, di interpretare, per la sua dignità di essere pensante e in grado di decidere. E invece no, decide il ministro Bianchi per noi, per tutti: un’altra picconata, l’ennesima, alla credibilità del nostro sistema di istruzione ci farà bene, eviterà sicuramente millanta contagi e salverà millemila vite umane. Dobbiamo ingoiare cotanta ostentata, palese stupidità: ma attenzione, accettare la stupidità vuol dire meritarsela. Perciò non possiamo né dobbiamo tacere.

    Il “tema” di maturità, che loro avevano già degradato a “elaborato”, è stato per decenni la prova principale nella scuola italiana. Perché è la forma più complessa per uno studente di organizzazione del pensiero e di libera espressione. Perché indica il raggiungimento di qualcosa che per secoli è stato comunemente ritenuto la capacità più importante dell’individuo e del cittadino, tanto semplice quanto decisiva: esprimersi. Non occorrono troppe spiegazioni: costruire un tema vuol dire strutturare il pensiero attraverso il linguaggio: l’attività umana per eccellenza. Sopprimere questa pratica, che era l’identità stessa della nostra scuola, non è che l’ennesimo colpo di un potere che vuole una società destrutturata, incapace di autodeterminarsi, regredita allo stato di minorità da cui, diceva Kant, i Lumi settecenteschi l’avevano tirata fuori.

    C’era una volta la scuola gentiliana: il sistema di organizzazione delle conoscenze pensato da un filosofo, Giovanni Gentile, che per una serie di concause storiche ebbe la possibilità di proporre quella scuola a base umanistica che ha formato le menti migliori del paese per quasi un secolo. Il sistema dei licei era un meccanismo di promozione sociale: uno Stato che si faceva carico integralmente dell’istruzione pubblica aveva nei licei, in particolare in quello classico, il miglior garante, il miglior bastione proprio e innanzitutto della democrazia: perché le differenze di classe si arrestavano sulla soglia di quelle aule austere e disadorne, dove regnava il sapere critico, quello che rende liberi, quello che forma il cittadino cosciente che affronta il mondo a testa alta e a occhi aperti. Aule austere, a volte persino fredde, quasi inospitali, ma che si riscaldavano col calore dei corpi, con la consuetudine e la familiarità della vicinanza: aule da cui uscì il meglio che il nostro Paese ha saputo dare per almeno cinquant’anni. (L’ossessione per le infrastrutture – diciamolo una buona volta – è stato il primo passo verso la demolizione delle strutture, quelle vere, immateriali, dell’acquisizione e della trasmissione della conoscenza. A più infrastrutture (edilizie, logistiche o elettroniche) meno struttura (mentale e spirituale) – questo testimoniano le aule ipertecnologiche della Ivy League e dei tanti campus che la scimmiottano in giro per il mondo).

    Il paradosso italiano, l’ennesimo paradosso, è che riforme, riformine e stravolgimenti vari dell’istruzione negli ultimi vent’anni hanno fatto danni incalcolabili ma si sono innestati su una scuola che nell’ossatura generale resta ancora quella gentiliana – anche se ridotta a un’ombra. Uno strano effetto di dissonanza si crea tra l’apparato gonfio e tronfio delle nuove “abilità”, “competenze” e ammennicoli vari, e il bagaglio di alta cultura di impronta umanistica che, malgrado tutto, ancora serpeggia, malconcio ammaccato ma non estinto, nelle aule d’Italia. Quanto meno, in misura incomparabilmente maggiore, per presenza concreta e per rispetto astratto, di qualunque altro paese occidentale.

    Purtroppo per noi, tutto questo non si accorda con l’individuo fragile e distopico che il transumanesimo montante ha in serbo per noi, e dunque deve sparire, per sempre. La nuova specie di homo che questi apprendisti stregoni dell’apocalisse hanno in mente di produrre è un individuo dall’identità fragilissima, zeppo delle nevrosi indotte dagli alchimisti dell’identità, perso dietro parole d’ordine demenziali, affogato in un universo cognitivo destrutturato e malato. Solo, introflesso e cattivo come un personaggio di Svevo; impaurito e perplesso come un eroe kafkiano. E kafkiano, in effetti, banalmente kafkiano, è l’algoritmo che governa sempre più implacabilmente la sua vita. Non cittadini che guardano la società e il mondo con sguardo diretto, da pari a pari, consapevoli del proprio diritto a esserci, ma soggetti nevrotici, larve impaurite e medicalizzate, clienti-pazienti da manipolare e dominare per un giga, per un’offerta di Netflix, per una triste vacanza kitsch, mentre strombazzano sui social la loro frustrazione e la chiamano democrazia. Non ci inganniamo: uno dei dispositivi cruciali di questo bel progettino è lei, la “buona scuola” che burocrati spregiudicati come Bianchi, ammantati da un’aura posticcia di asettica governance, stanno mettendo in atto su ordine espresso, neanche malcelato, del potere finanziario globalizzato. Basta leggere i deliri di questi pseudo-pedagoghi sulle pagine del Wef, quel loro disprezzo indissimulato, quella loro sufficienza irritata verso tutto ciò che sappia di alta cultura o semplicemente cultura, per affacciarsi su questo mondo desertificato e orwelliano: le loro ridicole soft skills, le loro “competenze” farlocche, tutta la loro psico-pedagogia che mischia in pari misura l’ovvio e l’assurdo, questo tripudio di illogicità, così in linea, peraltro, con la corsa generalizzata all’irrazionale, non hanno altro obiettivo che questo: spazzare via ogni senso di identità culturale, ogni coscienza di civiltà, ogni sentimento di appartenenza, ogni capacità di strutturare idee complesse, e infine ogni criterio di decodifica del reale, per sostituire tutto questo con il conformismo del “lavoro di gruppo”, con l’ipocrisia del sorriso perenne che copre la cattiveria della competizione, o con l’onnipresente, inquietante “resilienza”, cioè l’abilità pre-razionale, acritica, quasi animalesca, di adattarsi, di confondersi nell’ambiente – come se l’homo sapiens fosse regredito a insetto o animale dei boschi. Il confronto tra un libro di testo delle medie degli anni settanta e uno attuale è impietoso: contenuti contorti e ridotti al minimo si mescolano a grafici e disegnini idiotizzanti, dove ogni rapporto con un sapere non dirò critico, ma strutturato, è annullato dalla banalità sinistra di un buonismo feroce, che si presenta come verità obiettiva/tabù etico. È il totalitarismo del bene, bellezza.

    Tutto questo è profondamente funzionale a quell’emergente “governo del caos” in cui sembra essersi evoluta la nozione originaria di governance, perché promuove, legittima l’incapacità di distinguere, di analizzare e, al limite, di negare. Se la filologia è stata criterio genealogico di accertamento della verità, tecnica della ricostruzione e del restauro, pratica del discrimine tra falso e autentico, auctoritas umana, nel tempo postmoderno, sospeso, abbarbicato al “rischio zero” come a una nuova “città di Dio”, torna il dogma, la verità rivelata, questa volta non da un Dio metafisico ma dalla Scienza elevata a nuova Rivelazione. Punto di collasso scioccante, e al tempo stesso fusione caotica, tra credenza fideistica e argomentazione razionale. Coacervo dalle conseguenze imprevedibili, che coinvolgono il piano cognitivo e aprono uno squarcio di luce sul senso profondamente distruttivo di questa misura distopica.

    Un sapere antico, millenario, che ha strutturato, dato forma alla nostra civiltà, è oggetto del più crudele attacco sotto la forma di una banale, ennesima riforma dell’esame di Stato. È questo il passo mortale che sta consumando quell’obbediente pupo del transumanesimo che è il ministro Bianchi. “Ministro” nel senso etimologico della parola: cioè servo, ma non certo del popolo italiano, bensì degli opachi ma efficacissimi poteri globali semiprivati, dei nuovi feudatari che vogliono più della nostra obbedienza, vogliono la nostra anima. Per questo il piccolo ministro-pupo ha distrutto il tema di maturità. Per questo la Storia non avrà pietà del suo nome.

    * Docente di Letteratura italiana, Università degli Studi di Napoli L’Orientale, membro del Fronte del Dissenso

    https://www.sollevazione.it/2021/11/...-cappelli.html
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  7. #337
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Siamo passati da Gentile alla Fedeli, da Pavolini alla Gruber, passando per una serie di nonentità interscambiabili, identicamente imbecilli, un bizzarro incrocio tra una tortura cinese e una corsa al ribasso, e adesso è arrivato il colpo di grazia con la scusa dell'incendio al Reichstag, volevo dire dell'epidemia.

    Provo enorme dolore per i ragazzi e i bambini che sono e saranno costretti a nascere e vivere in questo tempo di merda, senza neanche sapere che non è normale.
    Se poi lo scoprono e prendono il fucile, chi potrà biasimarli?
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  8. #338
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    IL SAPERE, UGUALITARISMO, DIFFERENZA
    di Paolo Di Remigio e Fausto Di Biase
    DIC 15, 2021di SOLLEVAZIONE



    UNA RISPOSTA AL PROF. CAPPELLI

    L’articolo del prof. Cappelli[1] critica con veemenza la decisione del ministro Bianchi di eliminare anche quest’anno il tema di maturità che «è stato per decenni la prova principale nella scuola italiana». A noi la sua critica sembra giusta ma, nonostante i suoi accenti accorati, impari rispetto allo stato di cose. Di fatto vale per il tema ciò che si può dire dell’esame di maturità e della stessa scuola italiana: non esiste più da un quarto di secolo. Nel trasformare la scuola in un istituto assistenziale e l’esame in una cerimonia di promozione universale, la riforma Berlinguer sostituì il tema, cioè il breve titolo che invitava il candidato ad esporre le sue conoscenze, con una larga fornitura di pattume giornalistico, che il candidato si limitava a parafrasare fingendo di scrivere saggi brevi, articoli di giornale. La formula era coerente con la concezione tuttora vigente per cui la nuova scuola considera zavorra le conoscenze e si guarda bene dal farle apprendere, mirando piuttosto alle pure competenze, al saper fare.

    Non è questo il luogo di indagare come mai gli stessi bardi della società della conoscenza abbiano istituito una scuola senza conoscenza. Importa qui determinare i decenni a cui il professore si riferisce. Ipotizziamo che siano quelli del secondo Novecento, quando i licei classici, avendo ereditato il rigore dal padre, da Gentile, ne temperavano l’esclusivismo con l’eredità per parte di madre, ossia della Costituzione democratica, così che «… le differenze di classe si arrestavano sulla soglia di quelle aule austere e disadorne, dove regnava il sapere critico, quello che rende liberi…».

    La frase significa, ci sembra, che il liceo del dopoguerra aveva la doppia virtù di perseguire la conoscenza critica e di essere un potente strumento di mobilità sociale – un pensiero che condividiamo. Esso è però espresso con la nozione di «classe», tratta dal repertorio marxista, che rimanda, anziché alla mobilità sociale, all’ideale dell’uguaglianza. Qui si collocano le nostre divergenze. Biasimando il «lavoro di gruppo», il «buonismo feroce», il «totalitarismo del bene», il prof. Cappelli condanna giustamente la neo-didattica, ma trascura di considerare come sua matrice l’ideale ugualitario; e di nuovo lo trascura quando imputa lo smantellamento della scuola solo alla «mentalità distopica di maligni transumanisti» e al «potere finanziario globalizzato».

    Noi pensiamo che se non si vince questa reticenza non sia possibile una critica efficace dell’ideologia pedagogica attuale e che i distruttori della scuola continueranno ad esercitare indisturbati la loro egemonia culturale. Finché non ci si congeda dall’ugualitarismo inteso come volontà di distruzione della differenza, finché si assegna alla scuola il compito di ridurre o eliminare la disuguaglianza in un’ottica aggregata, anziché quello di promuovere la mobilità sociale dei singoli, è impossibile recuperarvi la centralità della conoscenza critica ed essa è condannata a restare l’istituto assistenziale per l’infanzia che è già diventata.

    È facile infatti mostrare l’incompatibilità tra conoscenza critica e ideale dell’uguaglianza assoluta: la conoscenza prende sul serio ciò che esiste; ma ciò che esiste è sempre determinato, cioè differente, dunque la conoscenza deve per sua natura valorizzare la differenza; invece l’esigenza di uguaglianza assoluta nasce dall’insoddisfazione per ciò che esiste, proprio perché esso è determinato, differente; essa è dunque incompatibile con il presente, in fuga volontaristica verso il futuro. L’odio ugualitario della conoscenza si esprime in molti modi, non solo come disprezzo teologico della ragione per attenersi alla rivelazione, ma anche come insofferenza illuminista della metafisica e della teologia e infine come rifiuto marxista della filosofia. Stretta da tanti giganti, la conoscenza può confidare più sulle cose, che sugli uomini.

    La polemica astiosa contro il liceo classico, perché era fondato sul principio della conoscenza critica, è stata portata avanti non solo dal pragmatismo borghese, ma soprattutto dalle ideologie ugualitarie: dai comunisti che gli rinfacciavano il classismo, e dagli illuministi, che gli rinfacciavano il nozionismo e il tradizionalismo. I decreti delegati che hanno inteso democratizzare la scuola sono stati voluti dal PCI. Luigi Berlinguer, che con l’autonomia ha inferto il decisivo colpo d’ariete alla scuola italiana, viene dal PCI e ha goduto il sostegno entusiasta della CGIL, federazione dei lavoratori della conoscenza. Anche Bianchi. Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori esposti alla pressione neoliberale, gli ex-comunisti lenivano i propri sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era loro consentito. Le buone intenzioni di fare della scuola non più una caserma autoritaria e oppressiva, ma il nido in cui gli insegnanti, scesi dalla cattedra, facessero da animatori della spontaneità già matura di ogni alunno, sono state la pelle d’agnello sotto la quale i lupi dell’ugualitarismo hanno espulso il rigore della conoscenza critica. Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono; è la preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri.

    Il degrado della scuola a causa dell’odio ugualitario per la conoscenza non è una novità della nostra epoca, ma il riprodursi di un antico errore. Nella scuola pubblica, creata dall’assolutismo illuminato, la rivoluzione francese scorse uno strumento di educazione civile, vale a dire di preformazione totalitaria dei singoli. Com’è noto, Robespierre raccomandò il progetto di Le Peletier con queste parole: «Chiedo che decretiate che da 5 anni fino a 12 per i ragazzi, fino a 11 per le ragazze, tutti i bambini senza distinzione e senza eccezione siano alunni in comune a spese della Repubblica, e che tutti, sotto la santa legge dell’Uguaglianza, ricevano gli stessi vestiti, lo stesso nutrimento, la stessa istruzione, le stesse cure». Forse è meno noto che la scuola di Le Peletier era in realtà un istituto assistenziale: «Vi sono nutriti i vecchi – scrive Espinas –; non vi sono inservienti: sono i bambini che servono i vecchi e soddisfano tutti i bisogni interni. Di più, la scuola è alimentata dal lavoro degli alunni, ovviamente lavoro agricolo, che impiega quasi tutto il loro tempo». Rifluiti nell’illuminismo come forma originaria del messianismo secolarizzato dopo la loro catastrofe storica, gli ex-comunisti hanno ripreso il sogno giacobino e hanno fatto della scuola un falansterio per l’educazione ideologica, il benessere, l’avviamento professionale dei suoi assistiti, che evita l’odiosa istruzione per timore di affaticarli o frustrarli. Poiché l’ugualitarismo dell’ignoranza non comporta evidenti espropriazioni, anzi compensa con i diletti della pigrizia, solo la saggezza poteva preoccuparsi della decadenza dell’elemento aristocratico dell’istituzione; ma è mancata o le è mancato il coraggio; infatti solo pochi hanno resistito.

    La scuola assistenziale finge gli alunni uguali e li lascia uguali. Una scuola pubblica che si rispettasse riconoscerebbe una doppia disuguaglianza: quella iniziale del talento e quella finale della preparazione; dovrebbe dare di più a chi ha avuto meno dalla natura e dal caso: stargli più accanto per abituarlo alla disciplina che quello non sa imporsi da solo, perché raggiunga comunque il livello teoretico necessario al cittadino. Una scuola pubblica che si rispettasse dovrebbe esaltare il talento, anzitutto rispettando ciò che per il talento ha valore: la conoscenza disinteressata, la severità dell’impegno, la finezza del gusto, e poi coltivandolo in modo che giunga al virtuosismo.

    [1] Guido Cappelli, C’era una volta la scuola gentiliana, reperibile al seguente indirizzo: https://www.sollevazione.it/2021/11/cera-una-volta-la-scuola-gentiliana-di-guido-cappelli.html

    https://www.sollevazione.it/2021/12/...-di-biase.html
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Interessante articolo, al di là del condividerlo in parte, in toto, o non condividerlo per nulla, e sul giudizio che ognuno di noi può avere sulla figura di Alexander Solzenicyn.

    -----------------------------------------------------------

    2022: L’ANNO DELLA TIGRE
    di O.G.
    DIC 14, 2021di SOLLEVAZIONE



    “Cresce il bosco, ma cresce anche il manico della scure”

    Che ci ha detto il 2021?

    L’anno 2021 ha avuto un valore eccezionale sul piano della politica internazionale. Ha anzitutto confermato che il fenomeno intenzionalmente globalista COVID-19 non solo ha riportato definitivamente ad un approccio nazionale agli eventi globali, asservendo gli stessi processi tecnici e specialistici di digitalizzazione alle logiche da Stato nazionalista, ma ha anche posto le basi, nella stessa Unione Europea, per un assetto post-democratico della vita sociale civile, al punto che parlare ancora di “liberalismo” o di “democrazia liberale” e forse anche di “capitalismo” – come fossimo nell’800 – denota una alienazione con i processi storici reali. Vladimir Putin ha specificato che le proteste “no-vax” in Occidente sono anzitutto proteste sociali. Il futuro di questi movimenti, come già avemmo a dire in questo stesso blog, dipenderà esclusivamente dal fatto se un’elite militare prenderà l’egemonia sull’elemento sociale o apocalittico-religioso che serpeggia in seno a queste formazioni; negli Stati Uniti ad esempio, sia fazioni del Pentagono sia dell’esercito hanno espresso aperta contrarietà ai ventilati obblighi vaccinali e alla politica da tessera sanitaria. Inoltre, l’anno che sta terminando ha chiuso definitivamente il brevissimo ciclo storico apertosi con la fine della “guerra fredda” e con il tentativo di identificare “americanismo” o “angloamericanismo” con Globalismo. Abbiamo visto di contro frammentazioni verticistiche sul piano delle elite, con impreviste ricadute su quello della politica internazionale: Israele sempre più gelosa della propria autonomia dallo stesso Occidente, lo stesso si può dire della Turchia membro della NATO, il Medio Oriente zona rossa per le forze del tradizionale Patto Atlantico.

    Il Grande Medio Oriente al centro

    Non possiamo di conseguenza che dare valore epocale alla fuga occidentale da Kabul a cui abbiamo assistito nell’agosto 2021. Si chiude la fase strategica apertasi con la fine della “guerra fredda”, fase nella quale avvengono l’11 settembre e le guerre senza fine medio-orientali che avrebbero dovuto legittimare il dominio globalista anglo-americano. La vittoria talebana non condurrà però ad una islamizzazione internazionale, in quanto il nazionalismo, nel nostro Vicino Oriente, ha ampiamente mostrato di essere più forte e radicato dello stesso Islam. Abbiamo oggi il “Medio Oriente” terra di nessuno. La seconda guerra mondiale fu caratterizzata dal conflitto di civiltà Oriente Occidente (P. Grosser, “Dall’Asia al Mondo”, Einaudi 2018) ma il cuore del conflitto fu comunque il Mediterraneo. Il centro di questo nuovo conflitto di civiltà sarà sempre il Medio Oriente, non l’Asia o Taipei.

    La pandemia rafforza il patriottismo russo

    Da registrare inoltre il fondamentale elemento storico – che il 2021 e l’epoca pandemica ci hanno vieppiù confermato – rappresentato dalla radicale e radicata resistenza nazionale grande-russa a tutto ciò che sa anche lontanamente di Great Reset e anglosassismi simili, pur con le varianti afro-americaniste da Cancel Culture. Solo un superficiale può identificare questo millenario nazionalismo resistente con il putinismo; è una risposta più propriamente di civiltà e civilizzazione. E’ questa resistenza profonda che ha mandato totalmente in frantumi il disegno davosista del Great Reset, che è al fondo niente altro che la vecchia ipotesi dei Rothschild, opportunamente riciclata, di una nuova Yalta tra Pechino e Londra-New York sulla pelle sanguinante e smembrata dell’orso russo. Nel conflitto di civiltà, per le ragioni appena esposte, Mosca è perennemente sull’abisso più di quanto lo siano cinesi e angloamericani; per questo sarebbe corretto provare a vedere ciò che sarà guardando il futuro anno con gli occhi di un russo: dal 2022 l’orso russo prenderà inevitabilmente la forma e la dynamis della tigre siberiana. Nel calendario sinico il 2022 sarà l’anno della tigre.

    Nuova Dehli Mosca Berlino Est

    Alexander Solzenicyn, nobile e leale Patriota russo, nella “Lettera ai Capi dell’Urss” del 1973 invitava l’elite marxista del Cremlino a superare la fase storica del materialismo storico con un nuovo idealismo nazionale slavofilo, individuando il conflitto del secolo futuro tra imperialismo cinese e nazionalismo russo. “…Sarà una Guerra Difensiva, autenticamente patriottica. Non possiamo cedere il territorio della Siberia, questo è indubbio”. Per Solzenicyn, il materialismo tecnicistico occidentale non rappresentava il pericolo per l’anima russa. Quest’ultima avrebbe avuto gli anticorpi per resistere all’ Estremo Occidente, come lo scrittore puntualizzò anni dopo negli stessi “Discorsi di Harvard”. L’Occidente tecnocratico non avrebbe esercitato alcun fascino sull’anima russa. Gli anni ’90, ricordati tuttora come il periodo più buio dell’intera storia russa, confermeranno le visioni di Solzenicyn. Era viceversa il collettivismo imperiale neo-confuciano che alla lunga avrebbe potuto frammentare l’identità spirituale e nazionale russa. L’elite sovietica naturalmente non ascoltò Solzenicyn, guardava solo a Occidente, non tenendo in eccessiva considerazione la formidabile e rivoluzionaria Ideocrazia Neo-Confuciana della Città Proibita, che poco dopo Deng Xiaoping avrebbe genialmente, e gradualisticamente, ricondotto all’egemonia mondiale. I sovietici gettarono via le risorse russe in quella nefasta sfida tecnocratica con gli Stati Uniti, che Solzenicyn condannava senza mezzi termini; “la corso al Cosmo è spettacolare quanto è inutile” sosteneva Solzenicyn, invitando il Cremlino a sviluppare un cammino spirituale autonomo dal “gigantismo tecnologico” nichilista di New York. Oggi Mosca, che si è definitivamente liberata da ogni più pericoloso influsso statunitense, non può però non sentire il fiato sul collo dell’inevitabile movimento di espansione imperiale e ideocratico del popolo Han, votato alla legittima riconquista globale. Immaginavamo non a caso mesi fa – https://www.sollevazione.it/2021/04/ne-u-s-a-ne-cina-di-o-g.html – ciò che stiamo oggi vedendo, la formazione di un blocco strategico, politico-militare, tra Vladimir Putin e Narendra Mohdi. Se la Federazione Russa è obbligata a muoversi in tale direzione, per motivi di sopravvivenza storica e politica, lo stesso va detto sia riguardo all’India nazionalista di Mohdi sia riguardo alla Germania. Quest’ultima sta sperimentando da decenni la più grande e tragica crisi identitaria che uno Stato-nazione possa sperimentare. E’ la vecchia Germania orientale, la più identitaria, che guarda con sentimento fraterno a Mosca e non vuole la definitiva estinzione della cultura e dell’identità germaniche. Mosca Nuova Dehli Berlino è perciò un blocco obbligato dalla elementare logica di sopravvivenza umana e vitale prima che da ogni strategia geopolitica. Le masse politicizzate e militari russe e indiane ben integrate con il complesso funzionale industriale e economico tedesco significherebbero un Neutralismo pacificatore e equilibratore nel caotico e tesissimo contesto di odierna politica internazionale.

    Mosca, il Terzo Occidente e l’avanguardia del futuro

    Nella medesima Lettera citata, il Patriota e scrittore russo Alexander Solzenicyn avanzava l’ipotesi di una irreversibile crisi di civiltà dell’intero Occidente, ecosistematica e spirituale. Non il marxismo sovietico avrebbe saputo approfittare di tale crisi, dato lo strettissimo legame gnoseologico tra giudeo-cristianismo occidentale e marxismo-leninismo, ma proprio il risorgente nazionalismo asiatico: a Taipei nei primissimi anni ’80 Solzenicyn previde perfettamente il futuro mondiale con gli occhi a mandorla, delineando una realtà “Collettivista mondiale” a base di tecnocrazia socialista confuciana. Dagli anni ’90 però lo scrittore russo tornò a prefigurare, come già fece nel ’73, nel polo russo l’unica barriera di civiltà sia rispetto alla tecnocrazia occidentale sia rispetto a quella orientale che stava in quegli anni recuperando il terreno perduto nei secoli precedenti. Nel corso dell’aggressione mondiale contro la resistenza Serba, egli paragonò i serbi – allora abbandonati, con grande dolore di Solzenicyn, anche dal tradizionale protettore russo – agli antichi spartani. Con la graduale rinascita russa degli anni Duemila, lo scrittore identificò con la tutela e la trasmissione degli originari valori occidentali, devastati e vilipesi dall’Unione Europea, la missione identitaria dello spirito nazionale russo. La missione russa era perciò per Solzenicyn la missione del “terzo Occidente”, in continuità con il primo Occidente ( l’originario spirito greco) e poi con il cristianesimo di scuola greca (non giudaica), che si contese la guida culturale e spirituale dell’Occidente dell’epoca con l’ecumene franco-germanica. Il messaggio di Solzenicyn è oggi più attuale che mai: nè l’Unione Europa né gli anglo-americani possono ormai fare molto per temperare o moderare il movimento espansionista mondiale Han. Va anche detto che il “socialismo di mercato” di Pechino ha usato sino a ora un metodo sviluppista, rispetto agli stessi paesi colonizzati, certamente più umano e progressivo di quello dei “bombardamenti etico-umanitari” che le tecnocrazie militariste occidentali hanno fatto loro conoscere negli ultimi decenni. Come prefigurò nei decenni scorsi Solzenicyn, spetterà dunque alla Russia, con il suo fondamento morale avito, “ricostruire l’Occidente”, dato che la decadenza morale dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti è oggi addirittura più avanzata di quella descritta dallo scrittore russo. Se l’avanguardismo nazionale russo, che il Presidente Putin a Valdai ha considerato una manifestazione di “Conservatorismo modernista”, riuscirà a integrarsi con l’Occidente avremo un concreto multipolarismo e una sana evoluzione sul piano della politica internazionale; altrimenti il multipolarismo che vedremo dal 2022 in avanti avrà sempre più la forma dello spirito imperiale Han. La Cina strariperà ovunque e con la saggezza mostrata sino a oggi. In tale direzione, l’eventuale sconfitta nelle presidenziali francesi del 2022 del candidato dei Rothschild, Macron, a vantaggio della Valèrie Pècresse (LR), statalista nazionalista e russofila, potrebbe avere un provvidenziale effetto catena in tutto l’Occidente, a iniziare dall’Italia dove pesa come un macigno l’assenza di un fronte politico nazionale che caldeggi operativamente la nascita di una Terza Forza mondiale: né Oriente né Occidente!

    https://www.sollevazione.it/2021/12/...re-di-o-g.html
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  10. #340
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    Predefinito Re: L'Angolo Culturale

    Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono; è la preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri.
    Ben scritto, e del resto anche nel campo dell'istruzione ci si limita ad ingoiare l'ennesimo rigurgito USA, in maniera prevedibile quanto il sorgere del sole.

    In questo caso, si tratta di ciò che da loro veniva chiamato, col solito tono buonista, no child left behind: nessun bambino lasciato indietro.
    Trascurando di dire che per non lasciarne uno indietro si impedisce a quei bambini che lo meritano di andare avanti.

    Ancora una volta, gli USA ci mostrano il futuro, ed è un futuro grottesco: quote razziali in nome dell'antirazzismo (la coerenza è roba da bigotti), grading on a curve, università per tutti purché si indebitino fino alla morte, abolizione di qualsiasi tipo di standard in nome dell'inclusività, celebrazione di ogni possibile ignoranza e perversione...

    Sappiamo tutti cosa sta arrivando, in fondo.
    Hitler or Hell.

 

 
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