Potrebbe essere il primo effetto collaterale dell’accordo M5S-Lega. Una sorta di patto di desistenza fra i due alleati del nascente governo giallo-verde in una delle principali città del Nord, chiamata al voto il 10 giugno. Ieri, a 48 ore dalla scadenza del termine per la presentazione delle liste, ai grillini di Vicenza è stato infatti negato l’uso del simbolo. Significa che il candidato sindaco Francesco Di Bartolo, l’avvocato scelto a suo tempo dagli attivisti sulla piattaforma Rousseau, dovrà ritirarsi dalla corsa. Senza che però nessuno, dallo staff nazionale che avrebbe dovuto notificare la mancata certificazione, abbia comunicato nulla ai militanti sul territorio né spiegato le ragioni di un atto tanto clamoroso. La notizia appresa – dopo molte chiamate senza risposta - dal sito ufficiale del M5S: dove, scorrendo l’elenco delle liste ammesse alle amministrative, in Veneto non compare il capoluogo iberico. Scatenando il forte sospetto che si sia voluto rimuovere uno dei maggiori ostacoli per una eventuale vittoria del centrodestra.

Basta guardare i risultati delle ultime politiche: a Vicenza, città governata negli ultimi 10 anni dal piddino (di rito democristiano) Achille Variati, l’alleanza Lega-Fi-FdI ha ottenuto il 41% dei voti, il centrosinistra si è fermato al 27,3, Leu al 4,1, mentre il M5S è schizzato al 22,8. Il terzo incomodo che avrebbe potuto rovinare la festa al civico Francesco Rucco, sostenuto innanzitutto da Salvini e poi a ruota da tutti gli altri.

“Francamente non riusciamo a capire cosa sia successo” dice il coordinatore della campagna elettorale e consigliere comunale uscente Daniele Ferrarin, dando voce “alla rabbia e all’amarezza” dell’intero Movimento cittadino. “Ma la cosa che ci fa più male e l’assenza di una spiegazione”, rincara. Eppure avevano fatto tutto in regola: raccolto le firme tra i cittadini, inviato allo staff la fedina penale e i carichi pendenti dei candidati, riempito decine di moduli. “Mai abbiamo ricevuto avvisaglie di qualcosa che non andasse, da due mesi siamo in campagna elettorale fra i mercati e le piazze della città”, incalza Ferrarin.

“Nell’ultima settimana però abbiamo cominciato a preoccuparci e abbiamo iniziato a chiamare tutti: parlamentari, consiglieri regionali, io persino Davide Casaleggio, ma nessuno si è degnato di risponderci”. Fino alla doccia fredda di ieri, quando mediante un’asettica chat su Telegram lo staff ha comunicato che Vicenza non risultava fra le città certificate dal capo politico. Senza dare alcuna motivazione. Una doccia fredda. Che qualcuno si spinge a ipotizzare possa persino rappresentare l’inizio di una epurazione dei grillini di sinistra, visto che Ferrarin – uomo forte dei 5S berici – appartiene all’ala ortodossa, quella che fa capo a Roberto Fico. Specie ora che il matrimonio con la destra è cosa fatta.

Ma il M5S di Vicenza non si arrende. “Bisogna rispettare il lavoro fatto per 5 anni in consiglio comunale e lo sforzo dei tanti attivisti che da mesi battono il territorio palmo e palmo per vincere le elezioni: noi siamo il riferimento sul territorio di tante battaglie, contro la Tav e le speculazioni edilizie, non possiamo scomparire così”, lancia un appello Ferrarin. Perciò domani, alla scandenza del termine per depositare le liste, “noi ci saremo: la presenteremo lo stesso come gesto simbolico, poi verremo esclusi, ma non accettiamo questo no senza neppure uno straccio di motivazione”. Che alla luce di quanto accaduto esiste, è anzi fin troppo chiara: solo che è indicibile.

M5S-Lega, lo strano caso del "patto di desistenza" a Vicenza - Repubblica.it

Alcune considerazioni. I capi della setta grillina hanno dei modi indegni, vergognosi e ingenerosi nei confronti degli attivisti. Non degnarsi nemmeno di rispondere, oltre a essere una cafonata è indice di arroganza. Per loro chi lavora nel territorio non conta una sega. Detto questo, potremmo essere anche davanti al primo indizio di un'alleanza vera (non solo post-elettorale) con la Lega. In un prossimo futuro vedremo i 5 stelle e i leghisti alleati anche sul territorio?