Diventata un solido avamposto per la “difesa” del Mediterraneo e dei paesi europei che si riconoscono nella Alleanza Atlantica, la Sardegna è una delle “regioni” italiane maggiormente occupata da quelle che vengono comunemente indicate come servitù militari.
Già negli anni sessanta si poteva definire "una portaerei nel centro del Mediterraneo" per la presenza di numerose basi con strutture di addestramento, poligoni di tiro, aeroporti, e rampe missilistiche.
La posizione geografica, l’insularità, la conformazione delle sue coste, hanno attratto l'attenzione fin dal dopoguerra, dapprima in forme indirette poi sempre più scoperte, iniziando l'operazione di smantellamento delle strutture economiche tradizionali e di degradazione di ogni forma di espressione culturale indigena.
In questa operazione di depauperamento rientra anche l'intervento dell'industria petrolchimica: non "cattedrali nel deserto" ma "cattedrali che hanno prodotto il deserto".
La situazione di sottosviluppo economico, una condizione niente affatto naturale ma storica, in quanto prodotta dalla oppressione e dallo sfruttamento coloniale, pur alimentando l’insofferenza, questa viene deviata nella quotidiana ricerca di forme e mezzi per la sopravvivenza.
L'aspetto più grave della presenza massiccia di basi militari e relative servitù è che, da un lato condizionano pesantemente l’economia e la crescita civile delle popolazioni, da un altro influenzano le istituzioni civili.