User Tag List

Pagina 2 di 6 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 56
  1. #11
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    A proposito di anniversari migliori di quelli ricordati in altri topic di Comunismo

    LA COMUNE DI BERLINO
    Cajo Brendel
    dal libro AA. VV. Connessioni Un omaggio a Paul Mattick

    PT 1

    L’insurrezione operaia nella Germania dell’Est – giugno 1953. La lotta di classe contro il
    bolscevismo

    La rivolta operaia di Berlino, che coinvolse quasi tutti i centri industriali della Germania Orientale,
    avvenne nel clima della «guerra fredda», che contrapponeva USA e URSS. Entrambe le Potenze
    coprirono la rivolta con interpretazioni del tutto menzognere e furono poche ed esili le voci che si
    levarono allora in difesa della lotta degli operai tedeschi, per ristabilire la natura di classe dello
    scontro.
    La scintilla dell’insurrezione fu provocata da un provvedimento governativo, che peggiorava le già
    pessime condizioni di vita degli operai: l’aumento del 10% delle «norme» di lavoro (ovvero della
    produzione minima oraria), tenendo invariato il salario 366
    . Questi provvedimenti intendevano
    preparare il terreno a una riforma, che fu resa pubblica il 9 giugno 1953. Questa riforma aveva
    origine nel clima di distensione avviato in Unione Sovietica con la morte di Stalin (5 marzo 1953),
    le cui premesse era state poste già al XIX Congresso del PCUS (ottobre 1952), e che furono
    estese alle Democrazie popolari.
    Le misure annunciate «[...] facevano giustizia della retorica antiborghese dello stalinismo tedesco.
    Un gran numero di industriali e di commercianti le cui aziende erano state confiscate per
    inadempienza fiscale venivano reintegrati nei loro diritti di proprietà, erano liberati dall’obbligo di
    pagare gli arretrati delle tasse, ed ammessi ad usufruire di favorevoli prestiti di Stato. Alle aziende
    commerciali private veniva riconosciuto il diritto di compravendita di merci distribuite attraverso la
    rete degli spacci statali. Era sanzionata pure l’abrogazione delle confische a favore delle
    cooperative agricole, e la restituzione delle terre o l’equivalente in denaro ai contadini ricchi e medi
    scappati nella Germania Ovest. Seguivano altri provvedimenti tra cui la riconsegna delle proprietà
    al clero»
    367
    .
    E l’onere di questa vera e propria ridistribuzione del «reddito» a favore della borghesia, sarebbe
    stato a carico della classe operaia, che subito fece sentire la sua voce. Sbocciarono allora le
    iniziative che Cajo Brendel descrive in modo assai vivo, riferendo numerose testimonianze di
    coloro che parteciparono alle lotte di quei giorni.

    Il testo originale fu pubblicato nel 1953 in una brochure anonima, a cura del gruppo dei comunisti
    consiliaristi olandesi Spartacusbond. Una seconda edizione fu diffusa nel 1978 da parte del gruppo
    danese Daad en Dedachte, alla quale Brendel apportò alcune piccole variazioni. Da questa
    versione fu tratta la traduzione in francese, apparsa nel 1980 sulla rivista «Echanges &
    Mouvement», con il titolo: L’insurrection ouvrière en Allemagne de l’Est - juin 1953. E da
    quest’ultima, abbiamo tratto la traduzione in italiano che presentiamo.

    Un movimento spontaneo

    Secondo un ripetuto luogo comune, la rivoluzione proletaria potrebbe avvenire solo dopo
    aver dato vita a possenti organizzazioni e dopo aver messo alla loro testa una direzione risoluta
    che stabilisce parole d’ordine e indica la via da seguire. Solo una simile organizzazione e solo una
    simile direzione potrebbero stimolare le masse e indurle a una lotta effettiva. E così, la condizione
    indispensabile per la lotta decisiva, quella che potrà spezzare il potere della classe dirigente,
    sarebbe un’avanguardia politica. In passato, questa concezione è stata in gran parte spazzata via
    dalla stessa realtà storica. E come se non bastasse, l’insurrezione operaia della Germania Est ha
    gettato questa concezione nel mondo delle favole.
    Le masse si sono messe in movimento senza essere assolutamente spronate da particolari
    organizzazioni. E non poteva avvenire diversamente. Le organizzazioni che avrebbero dovuto svolgere questo «compito storico» non esistevano più nello Stato di Ulbricht e di Grotewohl, sotto
    la dittatura del partito unico, la SED
    368
    . Non c’erano parole d’ordine o direttive che dicessero agli
    operai che cosa dovessero fare. Per esempio, non c’era assolutamente ciò che potrebbe sembrare
    a un’alta direzione esterna!
    369
    Dopo la lotta, un operaio della fabbrica Agfa di Wolfen, vicino a
    Bitterfeld ha detto: «Non c’era alcun progetto, tutto è successo spontaneamente. Gli operai del
    reparto vicino al nostro, non sapevano ciò che avveniva da noi ... e poi all’improvviso ci siamo
    trovati insieme nella strada».

    Un berlinese che sfilava in un corteo che attraversava la Capitale, così descrive le sue
    esperienze: «Avevamo raggiunto il Lustgarten, meta della nostra marcia, e nessuno sapeva che
    cosa avremmo dovuto fare dopo». Da parte sua, un cittadino di Dresda afferma: «Noi volevamo
    fare una manifestazione in Piazza del Teatro. Non pensavamo ad altre azioni. Eravamo come in
    stato di ebbrezza. Avevamo dimenticato le cose più semplici e immediate».
    Un operaio di una fabbrica della zona russa racconta: «Poteva essere una catastrofe il fatto che
    non ci fosse alcuna organizzazione. In quella zona nessuno di noi aveva mai fatto uno sciopero.
    Tutto era improvvisato. Non avevamo contatti con altre città e con altre fabbriche. Non sapevamo
    da che parte cominciare. Ma eravamo tutti contenti che le cose andassero in quel modo. Nella
    folla, si vedevano solo volti raggianti e commossi, perché tutti pensavano: finalmente è arrivato il
    momento che ci liberiamo dalle catene e dalla servitù». Un testimone oculare di Halberstadt
    afferma: «Tutte le azioni erano assolutamente spontanee. Se fosse stato altrimenti, tutto forse
    sarebbe andato meglio...».

    Uno dei primi autori che ha scritto sugli avvenimenti di quell’estate ha concluso che: «le
    azioni che dettero vita allo sciopero generale si svolsero in modo non coordinato e in modo
    assolutamente diverso da ciò che sarebbe avvenuto se lo sciopero fosse stato proclamato da un
    organismo sindacale. I sindacati esistenti erano dominati dai funzionari dell’apparato e
    difendevano solo gli interessi dello Stato. Ciò spiega il fatto che le iniziative di lotta sorgessero
    contemporaneamente in diversi punti, nelle case di centinaia e di migliaia di operai che, la sera del
    16 giugno, ascoltando la radio appresero ciò che avevano fatto gli edili di Berlino
    ». Più avanti, il
    medesimo autore constata che «alle 7 del mattino del 18 giugno l’agitazione si diffuse in tutta la
    zona Est, senza che ci fossero comunicazioni tra le città e i villaggi 371
    ». In seguito, altri storici
    confermarono questa prima constatazione.
    Tutti coloro che parteciparono agli eventi e tutti i testimoni oculari che sono stati interpellati si sono
    trovati d’accordo su questo punto: l’insurrezione della Germania Est del giugno 1953 si è
    caratterizzata come un movimento spontaneo della classe operaia.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  2. #12
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 2
    Le menzogne bolsceviche

    Lo svolgimento dei movimenti di massa nella Germania Est fu un attestato di morte per
    tutte le teorie che, come la teoria bolscevica, sostenevano la necessità di un partito di rivoluzionari
    professionali quale promotore della rivoluzione proletaria. Come c’era da aspettarsi, i bolscevichi
    della Germania Est hanno tentato di difendersi dalla mazzata che gli avevano inferto gli operai. Dopo 48 ore di elucubrazioni, pretesero che non si trattava assolutamente di lotte operaie bensì...
    di un «complotto ordito già da molto tempo», di «terrore seminato da bande foraggiate
    personalmente da Adenauer, Ollenhauer, Kaiser e Reuter
    221
    372
    », l’azione di «migliaia di provocatori
    fascisti stranieri» che «fallì grazie al buon senso dei lavoratori di Berlino».
    La sfacciataggine di questi calunniatori non conosce limiti. Nel loro giornale «Neues
    Deutschland», quotidiano della SED, del 17 giugno 1953, i dirigenti della Germania Est dovettero
    riconoscere che gli operai scesi in sciopero il 16 giugno «marcavano attentamente le distanze dai
    provocatori e dalle figure ambigue». In seguito, hanno passato completamente sotto silenzio che
    l’insurrezione di giugno non era caduta dal cielo, ma era lo sbocco di un movimento che era
    maturato nei mesi precedenti. Alcune settimane prima del 16-17 giugno, erano scoppiati scioperi a
    Eisleben, Finsterwalde, Fürstenwald, Chemnitz-Borna e in altre località. Nel corso di questi
    scioperi furono sollevate le medesime rivendicazioni avanzate poi, durante l’insurrezione. Allora, i
    bolscevichi non avevano assolutamente preteso che quegli scioperi fossero stati attizzati da
    «provocatori». Proprio per questo motivo, la continuità con le agitazioni che scoppiarono più tardi è
    talmente evidente, che tale evidenza, da sola, fa crollare le incredibili favole sul preteso giorno X,
    in cui avrebbe dovuto essere scatenato l’assalto contro la DDR.

    Secondo i bolscevichi, il «95% dei manifestanti di Berlino Est sarebbe giunto dal settore
    occidentale». Ciò vorrebbe dire che quel 16 giugno 1953, considerato il numero dei manifestanti,
    da qualche parte molte centinaia di migliaia di persone avrebbero varcato i posti di controllo, lungo
    il confine tra i settori Est e Ovest di Berlino. Ipotesi assolutamente ridicola. E che non fu neppure
    presa sul serio dagli stessi burocrati, come dimostra l’altissimo numero di arresti che essi
    effettuarono nei quartieri popolari di Berlino Est. E questo, a dispetto del fatto che, il loro organo
    «Neues Deutschland», avesse scritto alla vigilia degli arresti, che proprio nei quartieri operai di
    Berlino Est vivessero operai così intelligenti da non farsi provocare.
    Se i bolscevichi vogliono continuare a pretendere che i dimostranti fossero giunti dal settore
    occidentale di Berlino, sono costretti a riconoscere che allora, nei quartieri di Berlino Est, hanno
    arrestato degli innocenti e che essi hanno condannato degli innocenti a pesanti pene di prigione e
    anche a morte. Se al contrario confermano che i condannati sono «colpevoli», cadono tutte le loro
    affermazioni sull’origine dei dimostranti.
    Ma, allora, qual era il crimine di coloro che sono stati arrestati e fucilati? Anche il giornale tedescoorientale

    «Vorwärts» scriveva il 22 giugno e il «Neues Deutschland» il 23, che nei cantieri edili
    della Stalinallee, - dove lavoravano quasi esclusivamente membri della SED – sia nell’officina di
    materiale elettrico di Köpenick sia nella zona di Lipsia fossero attivi comitati di sciopero eletti dagli
    operai. E questo vuol dire che l’elezione di un comitato di sciopero o anche il fatto di essere eletto
    in un comitato di sciopero erano i crimini di cui erano accusati moltissimi di coloro che poi furono
    condannati?

    In realtà, era proprio quello il crimine. Ma l’accusa non poteva essere formulata
    apertamente. La classe dirigente della Germania Est non può permettersi di riconoscere che essa
    perseguita degli operai, solo perché facevano la lotta di classe e, così facendo, minacciavano il
    potere bolscevico. E malgrado le contraddizioni che stiamo mettendo in luce, i bolscevichi hanno
    mantenuto la loro fragile interpretazione, secondo la quale l’insurrezione sarebbe stata «opera di
    agenti dell’Occidente e di provocatori». Nel giornale «Berliner Zeitung» (Est) del 21 giugno 1953,
    quell’interpretazione è così formulata: «i provocatori erano giunti con le camicie da cowboys», e ciò
    senza che quel giornale, poco intelligente, spiegasse perché i «facinorosi» sarebbero arrivati
    abbigliati in un modo che, al primo colpo d’occhio, li svelava come provocatori. Forse, perché
    lettori intelligenti avrebbero potuto formulare la nostra medesima domanda, forse perché nessuna
    aveva visto uomini vestiti da cowboys, il 24 giugno il quotidiano «Tägliche Rundschau» ha
    avanzato un’altra interpretazione, secondo la quale i «provocatori» e gli «spioni dell’Ovest» si
    sarebbero «travestiti da muratori». Ma questa volta non dicono come i presunti spioni fossero riusciti a procurarsi i caratteristici abiti degli operai della Germania Est e per di più della medesima
    scadente qualità.
    Il 20 giugno un certo Kuba fornì una terza interpretazione dalle colonne del «Neues Deutschland»:
    parlava di «hooligans», cioè figuri di quella brutta risma che «si sarebbero mischiati alla
    popolazione operaia di Berlino Est e che di primo acchito non sarebbero stati riconosciuti». In tutte
    queste interpretazioni, i bolscevichi si impigliano nelle loro stesse menzogne.
    Non sono riusciti a far altro. Erano assai lontani da poter pensare che i movimenti di massa nella
    DDR potessero sorgere dagli stessi rapporti sociali e che l’ordine imposto dalla SED poneva la
    prospettiva della rivoluzione proletaria, proprio come il capitalismo in Europa o negli Stati Uniti. Lo
    stesso Kuba, che abbiamo citato, ha sentenziato agli operai della Germania Est: «C’è motivo per
    lottare se ci sono delle ragioni per farlo e quelle ragioni, voi non le avete».

    Non lo sfiora neppure il sospetto che il fatto che essi lottavano, dimostra proprio che le
    ragioni per farlo essi le avevano. C’è un abisso tra i dirigenti della Germania dell’Est e la classe
    operaia. Per quei dirigenti, il socialismo sarebbe un salario a cottimo condito dai premi di
    produzione. Per loro, «l’interesse del proletariato» sarebbe uno sfruttamento ancora più intenso
    che all’Ovest. Il fatto che la classe operaia abbia reagito a una tale situazione sarebbe causato,
    secondo loro, da un «malinteso», un malinteso che ha dovuto essere chiarito dall’Armata Rossa,
    con i suoi carri d’assalto e dalla cosiddetta polizia del popolo, la Volkspolizei, i Vopos.

    «La politica salariale nella Germania Est ha lo scopo di ottenere un aumento della produttività per
    mezzo di una maggior intensità lavorativa e di un abbassamento dei salari. Dove ciò è possibile, si
    può stabilire il salario in base alla resa del lavoro. Il salario base dipende dalla categoria di cui si fa
    parte, poi dalla misura in cui l’operaio compie la sua norma, ovvero il numero di pezzi che deve
    produrre in un determinato tempo. Già dal 1950, c’erano nella Germania Est grandi differenze
    salariali. Il sistema russo, che i dirigenti volevano imporre, avrebbe causato differenze ancora
    maggiori». Il sistema salariale nella zona sovietica, «Der Gewerkschafter» [«Il Sindacato» .
    giornale della Germania Ovest ], luglio 1953.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  3. #13
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 3
    L’ondata rivoluzionaria

    Il 16 giugno cambia tutto e tutti. Il 17 giugno porta ancora nuovi cambiamenti. Il motivo era
    che le manifestazioni di massa coincidevano con gli scioperi di massa e che l’incontro di queste
    due forme di lotta proletaria provocò una reazione a catena. Dal momento che gli operai avevano
    sentito la loro forza di classe, cominciarono ad agire come classe. E dal momento che
    cominciarono ad agire come classe, aumentava la consapevolezza della loro forza.
    Per poter manifestare, occorre smettere di lavorare. Inoltre, dove manifestavano, gli operai si
    recavano nelle officine dove i lavoratori erano esitanti, e così facendo incoraggiavano la
    partecipazione allo sciopero.

    Gli operai sentivano che la loro unità era viva. Per evitare che fosse spezzata, per impedire
    che la continua estensione della loro lotta e che la lotta stessa venisse spezzata, era necessario
    prendere, da un momento all’altro, decisioni, ciascuna delle quali faceva sì che il movimento
    generale facesse ogni volta un passo in avanti e salisse a un livello più alto.
    Dovunque, in tutta la Germania Est, gli operai costituirono comitati di sciopero, che affrontavano le
    proprie questioni sia in fabbrica sia nella città sia in tutta la zona industriale. Di conseguenza, il
    potere costituito andò a pezzi. E via via crebbe l’autorità degli organismi che si erano formati
    durante e per la lotta. Il potere del partito e del governo svanì. Il paese sfuggiva al controllo di tutte
    le istituzione fino ad allora esistenti. Queste persero le loro funzioni di governo nella misura in cui,
    sempre di più, gli operai si governavano da soli. I loro comitati di sciopero assunsero non solo nella
    pratica ma anche nella forma la funzione di consigli operai. In questo modo prese vita
    un’organizzazione che non era assolutamente sorta con l’obiettivo del rovesciamento dei rapporti
    sociali, ma al contrario: era il frutto di un processo rivoluzionario.

    Gli scioperi di massa nel loro insieme presero la forma di uno sciopero generale. Fu la loro
    quantità a dargli un’altra qualità. Questo mutamento di qualità si manifestò anche come un cambiamento della coscienza. All’inizio, si fece sciopero per far annullare le norme di lavoro e non
    per far cadere il governo. Il 16 aprile, durante le trattative alla centrale elettrica di Zeits, l’operaio
    Engelhardt esclamò: «Vogliamo vivere come esseri umani, non vogliamo nient’altro!». Ma dal
    momento in cui furono bloccate tutte le officine, la situazione fu differente. Per poter vivere come
    esseri umani, gli operai chiesero la caduta del regime. In realtà, stavano trasformando i rapporti
    sociali e questo comportava la caduta di un regime, basato su quei rapporti sociali. All’inizio,
    gridavano: «Abbasso l’aumento delle norme di lavoro»; poco dopo gridavano: «Abbasso Walter
    Ulbricht». E ciò caratterizzò il processo rivoluzionario. Non era questa o quella organizzazione a
    fare la rivoluzione, ma era la rivoluzione che dava vita alle sue organizzazioni. Non era la
    coscienza rivoluzionaria a spingere verso la rivoluzione, ma era la rivoluzione che faceva nascere
    la coscienza rivoluzionaria. L’una era legata all’altra. Sembrava che organizzazioni nuove, che
    prima non c’erano, sorgessero come per un colpo di bacchetta magica. In realtà, sorgevano grazie
    alle iniziative di capi operai assolutamente sconosciuti, che erano spinti dalle masse e che essi
    stessi si stupivano di ciò che stavano facendo. Costoro erano stati afferrati all’improvviso dalla
    tensione degli eventi ed erano stati spinti in avanti quando, nella tempesta sociale, la coscienza di
    tutti si era trasformata. D’altra parte, la formazione di nuovi organismi stimolava fortemente la
    trasformazione della coscienza, e di questo fatto ci sono molti esempi.

    A Görlitz sul Neisse, il 17 giugno, gli insorti si impadronirono dell’installazione che controlla
    gli alto-parlanti della città. Subito si presentarono i primi oratori: 20.000 persone li ascoltavano.
    L’audio era cattivo. E per di più, a volte parlavano assieme. Operai della grande fabbrica di vagoni
    ferroviari Lowa, operai di altre officine, piccoli artigiani, un proprietario di bar, un architetto,
    impiegati e dopo di loro altri operai e ancora operai. La maggior parte di loro non si era mai trovata
    davanti a un microfono, ma il loro entusiasmo, la loro gioia di essere testimoni di quegli eventi li
    aiutò a superare la tremarella: si trovarono davanti a migliaia di persone e parlarono. All’Opera di
    Magdeburgo, la sera del 16 giugno, il musicista K. in frac nero e camicia bianca suonava «Il
    pipistrello» di Johann Strauss davanti a una sala piena. Non si era ma occupato di politica. Non
    pensava assolutamente che l’indomani si sarebbe trovato alla testa degli operai di quella città
    industriale e che, per questo, sarebbe stato costretto a scappare a Berlino Ovest.

    A Dresda, un certo Richard S. di 34 anni, abitante in quella città, dirigeva gli scioperanti e i dimostranti da un’officina all’altra, per invitare altri lavoratori a unirsi all’azione. In ogni officina, entrava nei grandi reparti, saltava sui torni e gesticolava finché tutte le macchine si fermavano e le
    cinghie di trasmissione venivano staccate. Allora iniziava a parlare: «Avete sentito ciò che sta avvenendo alla Stalinallee? Occorre essere solidali con loro. Scendete in strada!». Egli, con altri due, formava un comitato rivoluzionario. Fermavano tutti i camion che passavano e convincevano
    l’autista a fare inversione di marcia e a unirsi a loro. In poco tempo, ebbero a disposizione una
    «divisione» motorizzata che alle 11 del mattino aveva già trasportato 15.000 operai. In seguito S.
    raccontò: «Mi sentivo come se fossi rinato. Ho inviato 50 ciclisti a occupare la stazione radio».

    A Dresda questo tentativo fallì, ma riuscì a Halle. La stazione radio locale fu occupata da
    30 operai insorti. Si assicurarono che fossero diffusi i comunicati della direzione centrale di
    sciopero. Gli avvenimenti del 17 giugno furono come una valanga. Appena il sole sorse, in tutte le
    città, in tutti i villaggi e in quasi tutte le fabbriche della Germania dell’Est gli operai erano in lotta.
    Gli operai erano scesi in lotta. Come a Berlino Est. Tutto ebbe inizio con scioperi e manifestazioni.
    Qualche ora dopo, la polizia fu disarmata. I dimostranti si accalcarono attorno alle sedi del partito,
    stracciarono i fogli di propaganda della SED, invasero le prigioni per liberare coloro che vi erano
    racchiusi. Ma fu solo dopo queste manifestazioni di collera popolare che l’insurrezione spontanea
    assunse in modo più evidente il carattere di rivoluzione.

    Questi processi di crescita politica sono molto più evidenti - e non per caso – nella parte più
    industrializzata della Germania Est, dove c’è la maggiore concentrazione di popolazione operaia.
    Era quello il focolaio dell’incendio. A Halle, Wolfen, Merseburgo, Bitterfeld, Rosslau, Gera e in altre
    città di quella regione sorsero organismi che, seppure per breve tempo, presero in mano il potere
    esecutivo. Misero in piedi una struttura che non era né borghese né statale. Una struttura pensata
    soprattutto per la reale liberazione degli operai. A Halle, alle 13,30, ci fu una riunione in una fabbrica, alla quale parteciparono i rappresentanti del comitato di sciopero di quasi tutti gli
    stabilimenti della città. Fu eletto un consiglio che si chiamò «comitato di iniziativa», ma che,
    osservato più da vicino, aveva tutte le caratteristiche di un Consiglio operaio e come tale operava.
    Fu questo Consiglio operaio a proclamare lo sciopero generale; fu esso a decidere che si doveva
    occupare un giornale locale, per far stampare un manifesto. L’iniziativa era in corso, quando a
    insaputa degli operai fu avvertita la polizia segreta e si dovette rinunciare.
    Nessuno aveva bisogno di chiedersi quale classe si stesse muovendo a Halle. Dalle prime ore
    della mattina, dalle fabbriche metallurgiche della periferia, numerose colonne di operai si
    incamminarono verso il centro. Fecero come gli operai di Hennigsdorf, che avevano invaso Berlino
    Est. Nella piazza del mercato di Halle, si riunirono più di 50.000 manifestanti.
    A Merseburgo avvennero fatti simili: 20.000 operai si diressero verso la centrale Uhland
    Platz, venivano dagli stabilimenti di Leuna373 e avevano trascinato con loro anche gli operai della
    Buna Werk di Schkopau, della miniera di lignite Grosskayna, delle miniere di carbone della valle
    del Geisel e quelli di tre cartiere. La direzione dello sciopero, convinta che la forza degli operai
    fosse nelle fabbriche, consigliò ai manifestanti di rientrare nelle officine, per sostenere le loro
    rivendicazioni.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  4. #14
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 4
    Di quali rivendicazioni si trattasse, era già ben chiaro dalla mattina. Tutte le maestranze si
    erano riunite davanti alla direzione della Leuna Werke. Uno dei porta voce dei lavoratori chiese, tra
    l’altro, che si ponesse fine all’incessante incremento dei ritmi e che fosse subito disarmata la
    polizia di fabbrica. Gli operai occuparono la radio dello stabilimento.
    A Bitterfeld, nel pomeriggio del 17 giugno, ciò che si vide, nessuno l’aveva visto prima. Giunti da
    tutte le fabbriche della periferia, gli operai con gli abiti da lavoro avanzavano su un ampio fronte, i
    minatori erano ancora neri per la polvere di carbone. Tutta la città era in festa. Il presidente del
    comitato di sciopero prese la parola nella Piazza della Gioventù. Stava ancora parlando, quando si
    seppe che la polizia aveva arrestato qualche operaio. A questa notizia, il comitato di sciopero
    decise di occupare tutta la città. Da quel momento, il comitato iniziò a operare come un Consiglio
    operaio che esercitava il potere a Bitterfeld. Gli impiegati comunali dovevano continuare a
    lavorare. I pompieri ebbero l’ordine di togliere dai muri della città tutti i manifesti della SED. Allo
    stesso tempo, il comitato di sciopero considerò l’ipotesi dello sciopero generale, non solo a
    Bitterfeld e nei suoi dintorni, ma in tutta la Germania Est. In un telegramma inviato al sedicente
    governo della DDR, a Berlino Est, il comitato di sciopero di Bitterfeld chiese la «formazione di un
    governo provvisorio composto da operai rivoluzionari».

    A Rosslau sull’Elba, per un certo periodo gli operai divennero anche padroni della città. I
    lavoratori dei cantieri navali erano il nucleo della resistenza.
    Quanto avveniva nel centro vitale del Paese avveniva in tutte le fabbriche e in tutte le città di una
    certa importanza. A Dresda, gli operai di tutte le grandi industrie, compresa la Zeiss, erano in
    sciopero e davano vita a manifestazioni. Nel Brandemburgo, erano in lotta gli operai dei cantieri
    navali Thälmann, dell’azienda di trasporti Brandemburg, della miniera di St. Elisabeth e della
    fabbrica di vagoni ferroviari di Kirchmöser (sotto controllo russo). A Falkensee, il lavoro era fermo
    in tutte le officine. Anche a Lipsia, Fracoforte sull’Oder, a Greifswald e a Gotha, per citare qualche
    città, gli operai erano scesi nelle strade. Erano in sciopero anche nelle miniere d’uranio, vicino alla
    frontiera ceca; ma anche al Nord, dove la popolazione è la meno densa del Paese.
    Tutto ciò non impedì alla «Neues Deutschland» di proclamare, un mese dopo, il 28 luglio 1953,
    che lo sciopero che «era stato tramato da putschisti era fallito, perché la maggior parte degli operai
    non gli aveva dato spazio e che solo il 5% degli operai era sceso in sciopero»
    . In realtà, i
    dirigenti bolscevichi dovettero affrontare la resistenza di tutta la classe operaia. Né Ulbricht, né Adenauer

    Quando, nella primavera del 1953, il governo di Ulbricht e la SED annunciarono
    l’incremento delle norme di lavoro, una parte degli operai della Germania Est sperò di
    controbilanciarne i danni, grazie alla possibilità di avere un salario superiore. Ma questa speranza
    si rivelò subito assolutamente vana. Il 22 maggio il «Neues Deutschland» scriveva che una simile
    rivendicazione era del tutto in contrasto con gli interessi operai. Da parte loro, gli operai avevano
    un parere ben diverso, riguardo ai loro interessi. Il conto era presto fatto: un operaio che
    guadagnava tra i 20/22 marchi (Est) al giorno, con l’incremento delle norme sarebbe sceso tra i 13
    e i 16. E questo non potevano accettarlo. Si ribellarono contro un attacco estremamente brutale
    alle loro condizioni di vita: non reagivano per motivi politici o per ideali rivoluzionari.
    Le circostanze fecero sì che la loro lotta contro la politica salariale del governo in poche ore
    diventasse una lotta contro il governo. E ciò non era previsto dalle loro intenzioni. Tutto sorse dalla
    lotta stessa e dalla sua netta connotazione di classe. Fu questa connotazione a indicare la via per
    l’azione e, in ogni momento, svolse un ruolo decisivo per contenuto e forma al movimento.
    Questa connotazione di classe è assolutamente ignorata all’Est come all’Ovest. E per le
    medesime ragioni. Se i bolscevichi l’avessero riconosciuta, sarebbero stati costretti a rinunciare a
    tutti i miti sulla loro società. Da parte loro, i democratici borghesi non avevano alcun interesse a
    porre in evidenza il significato sociale di eventi che, proprio per quel significato, avrebbero potuto
    avere ripercussioni tra la classe operaia dell’Occidente. Per questo motivo, i leader politici della
    Repubblica Federale hanno parlato di insurrezione popolare contro l’occupante russo e hanno
    messo in primo piano fatti che avvenivano ai margini del movimento, ma che facilmente potevano
    servire per sostenere un’interpretazione favorevole alla classe dirigente borghese. Per questo
    motivo, la classe dominante occidentale ha parlato di lotta «per l’unità tedesca»
    Il 23 giugno 195, nel corso di una solenne manifestazione, in Piazza Rudolf Wilde nel quartiere di
    Schöneberg, a Berlino Ovest, il cancelliere Adenauer dichiarò: «La parte del popolo tedesco che si
    trova dietro la cortina di ferro ci ha fatto sapere che non dobbiamo dimenticarla... Io giuro davanti a
    tutto il popolo tedesco che non avremo pace finché essi non conosceranno la libertà, fino al
    momento in cui tutta la Germania sarà riunificata». E il borgomastro Reuter aggiunse: «Nessuna
    potenza al mondo può dividere noi tedeschi. La gioventù ha ammainato dalla Porta di Brandeburgo
    la bandiera della servitù. Verrà il giorno che questa gioventù alzerà la bandiera della libertà...».
    È vero che il 17 giugno alcuni giovani avevano tolto la bandiera della DDR da quella porta
    monumentale e avevano tentato di sostituirla con quella della Repubblica Federale. È anche vero,
    che in molte occasioni si era urlato «Li-ber-tà» e che alcuni cortei innalzassero la bandiera del
    governo di Bonn. Ma questo dimostra solo che una parte dei partecipanti al movimento non aveva
    le idee chiare su ciò che stava facendo. Se il significato delle loro azioni si è manifestato a poco a
    poco, sicuramente non tutti ci sono arrivati nello stesso momento. Nel corso delle loro azioni, in
    molte occasioni gli operai della Germania Est hanno dimostrato che non si volgevano contro
    l’esercito russo, che stazionava sul territorio della Germania Est, bensì contro il governo della
    SED. Fino all’ultimo momento in cui quell’esercito intervenne apertamente contro le lotte,
    l’atteggiamento degli operai di fronte all’esercito non fu aggressivo e si distinse nettamente
    dall’atteggiamento che invece gli operai ebbero contro la polizia popolare e contro i dirigenti del
    partito.
    Se poniamo la questione di sapere se tutti gli operai della Germania Est avessero
    concepito la loro azione come un movimento di classe, allora, la risposta è senza dubbio negativa.
    Ma questo non cambia assolutamente il fatto incontestabile, che ciò nonostante, la loro azione era
    un movimento di classe, perché ciò che gli operai pensavano era meno importante di ciò che essi
    facevano nella loro totalità. È certo che nonostante alcuni simboli della Repubblica Federale e
    nonostante il fatto che si urlasse in modo assai ingenuo «Li-ber-tà» e anche «U-ni-tà», la classe
    operaia non desiderava vivere in una Germania riunificata. I ferrovieri di Magdeburgo scrissero con
    vernice bianca, a grandi lettere, sui vagoni nella stazione di smistamento « Né Ulbricht, né Adenauer, ma Ollenhauer». Pur nel malinteso, essi dichiaravano che consideravano un socialdemocratico come
    Ollenhauer rappresentante della loro classe, ma allo stesso tempo, dicevano chiaramente che non
    volevano avere nulla a che fare con una Germania governata da Adenauer, né più né che una
    Germania governata da Ulbricht. Volevano dire, in un modo che formalmente è sbagliato, che
    lottavano non solo contro il capitalismo di Stato, ma anche contro il capitalismo vero e proprio e
    che per questo motivo non vedevano alcuna attrattiva nel passare dal giogo bolscevico al giogo
    della borghesia.
    I politicanti della Germania Ovest hanno fatto del 17 giugno la giornata nazionale per «l’unità
    tedesca». In questo modo, si sorvola bellamente sul fatto che la rivolta esprimeva soprattutto il
    rifiuto di una divisione di classe, che esisteva sia all’Est che all’Ovest, e che gli operai della
    Germania Est avessero dimostrato nel corso di quella giornata che, in quanto operai, erano nemici
    di una società fondata sull’oppressione di classe.

    La storia di tutte le precedenti rivoluzioni ci mostra che i grandi sommovimenti popolari, ben lungi
    dall’essere il prodotto arbitrario e cosciente dei sedicenti «capi» o dei «partiti», come pensa la
    polizia e lo storico ufficiale della borghesia, sono invece fenomeni sociali elementari, generati da
    una forza naturale che ha la sua origine nel carattere di classe della della società moderna.

    Rosa Luxemburg
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  5. #15
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    NOTE

    366
    Sull’origine della rivolta e sulla condizione della classe operaia nella DDR, cfr.: BENNO SAREL, La classe
    operaia nella Germania Est, Einaudi, Torino, 1959, Cap. 5, La rivolta (1952-53).
    367
    Gli operai berlinesi sono insorti contro la galera del lavoro salariato, «il programma comunista», a. II, n.
    12, 25 giugno-8 luglio 1953.
    368
    SED, Die Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (Partito Socialista Unificato di Germania), formato
    nel 1946 da militanti del Partito comunista (KPD) e del Partito Socialdemocratico (SPD), residenti nella zona
    della Germania controllata dai sovietici. Principali dirigenti furono Walter Ulbricht (ex KPD), che ne divenne
    segretario generale, e Otto Grotewohl (ex SPD), che fu a capo del governo della DDR. [NdR].
    369
    Qualcuno ha voluto evocare le «tradizioni». Il leader socialdemocratico Willy Brandt ha sostenuto che «gli
    strati puro-sangue del vecchio movimento operaio sindacale e politico» hanno influito sugli eventi. Altri sono
    risaliti fino al 1919-1921. Secondo Arnulf Baring [ora in: ARNULF BARING, Uprising in East Germani: June 17,
    1953, Cornell University Press, 1972] nulla consente di trarre queste conclusioni, dal momento che la rivolta
    non ha toccato solo le regioni che negli anni Trenta elessero deputati comunisti. «In ogni caso, sulla strada,
    la “tradizione” rappresentata dagli “anziani” era assente (i socialdemocratici di Weimar, poi i nazi infine la
    Gepeu assassinarono quasi tutti gli operai che erano stati allora attivi sul fronte della lotta)». Senza contare
    tutti gli «anziani» caduti sui campi di battaglia.
    370
    JOACHIM G. LEITHÄUSER, «Der Monat», Ottobre 1953, p. 46.
    Ibid. Settembre 1953, p. 613. 370
    371
    Ibid. Settembre 1953, p. 613.
    372
    Il democristiano Conrad Adenauer era il cancelliere della Repubblica federale; Erich Ollenhauer era il
    presidente della SPD; Jacob Kaiser era il presidente dell’Unione Cristiano Democratica (CDU); Ernst Reuter
    era il borgomastro socialista (SPD) di Berlino Ovest.
    373
    Gli stabilimenti chimici di Leuna erano il maggior complesso industriale della Germania Est.
    374
    La critica al libro di Arnulf Baring [Le 17 juin 1953], pubblicata dall’ICO [Informations et Correspondance
    Ouvrières], sottolinea che secondo Baring solo il 5/7% del salariati della Germania Est parteciparono alla
    rivolta, e aggiunge: «Certamente, è possibile che la quantità reale sia superiore, ma, in ogni caso, questa
    percentuale esprime un ordine di grandezza assai verosimile». Le differenti fonti precedentemente citate
    dissentono da queste stime, senza tuttavia fornire percentuali precise. Stefan Brant, in molti passaggi del
    suo libro - Der Aufstand [L’Insurrezione] -, che è ben documentato, afferma che «tutta la classe operaia» si
    sollevò. L’autore di questa opera ritiene per di più che l’ampiezza degli avvenimenti dimostra che nell’insurrezione del giugno 1953 fu coinvolto un numero molto più rilevante di operai di quello «ammesso»
    dai dirigenti della Germania Est.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  6. #16
    Klassenkampf ist alles!
    Data Registrazione
    31 May 2009
    Messaggi
    64,807
     Likes dati
    211,727
     Like avuti
    26,517
    Mentioned
    1285 Post(s)
    Tagged
    32 Thread(s)
    Inserzioni Blog
    2

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    finalmente i nipoti degli operai antibolscevichi del '53 hanno avuto quello che volevano i loro nonni
    Sussidi e rabbia: perché la Germania è ancora divisa - Linkiesta.it
    Una Cina, una Yugoslavia, una Russia, una Corea, una Palestina, un'Irlanda. E zero USA

  7. #17
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Citazione Originariamente Scritto da amaryllide Visualizza Messaggio
    finalmente i nipoti degli operai antibolscevichi del '53 hanno avuto quello che volevano i loro nonni
    Dai lo sai anche tu che questo aut aut non esiste e fa comodo a certe posizioni e basta. E il patto nostro di non belligeranza dov'è? E' vero che ho fatto la cattiva e sono intervenuta nel topic su Kim (lì proprio non ce l'ho fatta a restare serena e non dire la mia)...
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  8. #18
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Uno scritto sulla complessa figura politica (e umana) di Giorgio Cesarano:

    https://www.inventati.org/apm/archiv...020101_051.pdf
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  9. #19
    Forumista
    Data Registrazione
    05 Mar 2018
    Messaggi
    256
     Likes dati
    28
     Like avuti
    70
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Prima che si portasse un po' fuori () e diventasse una specie di primitivista Jacques Camatte ha scritto cose interessanti.
    Qui qualche stralcio in inglese:

    https://www.marxists.org/archive/camatte/index.htm

    Una delle sue cose fondamentali:

    https://books.google.se/books/about/...wC&redir_esc=y

    Commentino sul sito dell'editore (Il capitale totale - Edizioni Dedalo)

    Nel periodo di dominio formale, il capitale non arriva ad assoggettare a sé e dunque ad incorporare la forza-lavoro, che gli è restia, gli si ribella al punto da mettere in pericolo lo sviluppo del suo processo, dal momento che esso ne dipende totalmente. Ma l'introduzione delle macchine modifica tutto. Il capitale si impadronisce allora di tutta l'attività che il proletario dispiega nella fabbrica. Con lo sviluppo della cibernetica si constata che il capitale si appropria, incorpora il cervello umano; con l'informatica, crea il proprio linguaggio sul quale deve modellarsi il linguaggio umano, ecc. A questo livello, non sono più unicamente i proletari - coloro che producono il plusvalore - ad essere sottomessi al capitale, ma tutti gli uomini. È il dominio reale sulla società, dominio nel quale tutti gli uomini diventano schiavi del capitale. In tal modo non è più il lavoro, come momento definito e particolare dell'attività umana, ad essere sottomesso e incorporato al capitale, bensì tutto il processo vitale degli uomini. Il capitale è ormai l'essere comune (Gemeinwesen) oppressore degli uomini. Il capitale è diventato la rappresentazione (Darstellung) assoluta: tutto quello che gli uomini possono fare si rispecchia in esso. Non è più possibile una data attività con la sua rappresentazione che, sul terreno della società del capitale, possa essergli antagonista, minacciarlo. Il movimento di negazione deve realizzarsi al di fuori della società, il gran rifiuto deve essere rifiuto del capitale e rifiuto del lavoro. È vano attendere ancora la rivoluzione. Essa è già in atto. La perdita sempre più spinta della nostra sottomissione reale al capitale ci permetterà di affrontare il vero problema della rivoluzione: non quello di cambiare la vita, dal momento che ogni vita è da millenni asservita, addomesticata e deviata dall'esistenza delle classi, ma, quello di creare la stessa vita umana.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  10. #20
    Klassenkampf ist alles!
    Data Registrazione
    31 May 2009
    Messaggi
    64,807
     Likes dati
    211,727
     Like avuti
    26,517
    Mentioned
    1285 Post(s)
    Tagged
    32 Thread(s)
    Inserzioni Blog
    2

    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Citazione Originariamente Scritto da Marilena Larouge Visualizza Messaggio
    Dai lo sai anche tu che questo aut aut non esiste .
    Infatti esiste la realtà. Quella in cui i nipotini dei nemici del goveno comunista sono finalmente liberi dalla dittatura. Liberi di emigrare in massa.
    Una Cina, una Yugoslavia, una Russia, una Corea, una Palestina, un'Irlanda. E zero USA

 

 
Pagina 2 di 6 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Paul Mattick scritti vari e sparsi
    Di Marilena Larouge nel forum Comunismo e Socialismo Libertario
    Risposte: 9
    Ultimo Messaggio: 01-05-18, 21:34
  2. tre sezioni di destra radicale contro una sola sezione di sinistra radicale?
    Di frameeme nel forum Supporto tecnico e news dall'Amministrazione
    Risposte: 141
    Ultimo Messaggio: 30-05-13, 09:26
  3. Risposte: 31
    Ultimo Messaggio: 23-05-08, 12:58
  4. Nasce il terzo partito comunista: Sinistra Critica
    Di Danny nel forum Centrosinistra Italiano
    Risposte: 36
    Ultimo Messaggio: 21-02-08, 12:32
  5. Scritti vari
    Di Der Wehrwolf nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 12-02-05, 14:02

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito