Korsch riconduce questi limiti da un alto all’utilitarismo politico di Lenin, che prescinde dalla verità delle affermazioni compiute, e dall’altro, più profondamente, all’impostazione di Materialismo ed empiriocriticismo. In quest’opera il problema gnoseologico del rapporto tra teoria e prassi è il rapporto tra leggi di sviluppo scoperte dalla teoria ed una pratica che ‘applica’ queste ‘verità’. Una simile visione ripropone la separazione di scienza e società, che si aggrava con Stalin.
Il giudizio sull’URSS di Karl Korsch è molto duro: si tratta di uno stato capitalistico, di un capitalismo di Stato di tipo monopolistico, al pari della Germania nazista e degli Stati Uniti del New Deal. Recensendo il libro di Pannekoek su Lenin, Korsch accoppia la critica del ‘marxismo’ proprio di Lenin alla critica del suo ‘giacobinismo’ politico, che riduce la rivoluzione a rivoluzione politica incentrata su istituzioni politiche (partito, dittatura, Stato).[10] Al contrario, per Korsch la rivoluzione non può che essere sociale, se vuole superare il limite borghese proprio di tutta l’impostazione teorica hegeliana, ed in parte anche – scriverà successivamente – marxiana. Sarà questo il nucleo del pensiero politico di Korsch immediatamente precedente la Seconda Guerra mondiale (che comprende gli scritti sulla Comune): fedeltà alle intenzioni di Marx (libertà sociale oltre alla libertà politica), anche contro Marx stesso.
Si può notare un limite in tutto ciò: la critica al leninismo e al riformismo è condotta in nome di un criterio astratto di possibilità della rivoluzione o del socialismo, che smentisce in parte lo stesso criterio, rettamente inteso, della specificazione storica – il che a ben vedere è l’esatto contraltare del modo di intenderlo del primo Korsch, come giustificazionismo della prassi bolscevica. È evidente che in questa maniera viene tagliato fuori quasi per decreto e del tutto il problema della mediazione politica (del ‘partito’, anche in una ottica non leninista) nella preparazione e nella realizzazione della rivoluzione e del socialismo in condizioni date. La lotta operaia è sempre e comunque rivoluzionaria, sempre e comunque è possibile la presa del potere.
Capitalismo e crisi
Il problema si sposta all’indietro: difatti alla base dell’impostazione che si è detta sta una idea del capitalismo come modo di produzione il cui stato normale è la crisi. Una simile idea è necessaria perché permette di superare una impostazione alla Bernstein o alla Hilferding, che vede il socialismo come risultato di un intervento solo soggettivo, ma anche una impostazione ‘oggettivistica’ (Luxemburg, Grossman), che patisce il grave limite di non saper fornire una teoria realmente scientifica e non metafisica. Scrive Korsch: “un terzo atteggiamento mi sembra possibile e meritevole – esso solo – della qualifica di autenticamente materialista nel senso di Marx […] esso ritiene piuttosto che, con una ricerca empirica sempre più precisa e di fondo dell’attuale modo di produzione capitalistico e delle sue tendenze di sviluppo chiaramente emergenti, possono essere tratte anche certe previsioni, pur sempre assai limitate ma sufficienti per l’azione pratica.[11]
Questo atteggiamento, autenticamente materialista e marxista, che rifiuta la suggestione di una qualsiasi teoria del crollo, sottolinea che la critica marxiana dell’economia politica si interessa non del funzionamento normale della società borghese quanto piuttosto della “reale condizione normale di questo particolare sistema sociale, cioè la crisi…cioè della tendenza sempre crescente del metodo di produzione capitalista ad assumere tutte le caratteristiche della crisi in atto anche nei periodi di espansione e di ripresa, in sostanza in tutte le fasi del ciclo della società moderna, il cui punto culminante è la crisi universale”.[12] Perché una impostazione del genere non sia sufficiente a giustificare la mancanza in Korsch di una teoria dell’organizzazione verrà mostrato in seguito, in alcune brevi note conclusive.
Nel 1935 Korsch scrive un articolo, “Perché sono marxista”, nel quale anticipa numerose tesi del Karl Marx. In breve i punti essenziali della teoria marxista gli paiono i seguenti:
“1.Tutte le affermazioni di principio del marxismo, anche quelle apparentemente generali, sono specifiche.
2. Il marxismo non è positivo ma critico.
3. Il suo oggetto non è la società esistente nel suo stato affermativo ma la società capitalista in declino, come si rivela nelle tendenze al crollo e alla rovina in modo dimostrabile.
4. Il suo fine principale non è il piacere contemplativo del mondo esistente, ma la sua attiva trasformazione”.[13]
Per spiegare l’ultimo punto Korsch si richiama alla dialettica marxista. Essa è la trasformazione materialistica della dialettica hegeliana, trasformazione che non investe solo il contenuto ma anche il metodo stesso. In un saggio del 1931, “L’empirismo nella filosofia di Hegel”, Korsch aveva scritto che il metodo hegeliano era lo stesso metodo assiomatico delle scienze naturali[14],[15]. Hegel non era però riuscito a distinguere concettualmente l’esperienza dal soggetto: così da un lato poteva rivendicare l’identità di conoscenza e azione (l’esperienza come azione, come prassi umano–sociale),[16] dall’altro non ha colto la dimensione storico-sociale della scienza, il suo essere parte dello sviluppo sociale e soggetto a se stessa.[17] In “Hegel e la rivoluzione”, sempre del 1931, il metodo hegeliano è collegato al movimento rivoluzionario borghese, del quale esprime peraltro l’ultima fase, la restaurazione (di qui l’assolutizzazione dialettica e la “restaurazione concettuale della realtà immediatamente data e (la) conciliazione con questa realtà”).[18] Marx e Lenin hanno ripreso la dialettica hegeliana, ma ciò ha il carattere di un mero ‘trasferimento’ alla teoria della rivoluzione proletaria, che ha ancora basi borghesi (di qui il suo carattere giacobino) e che è in realtà ancora da costruire.