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    Predefinito Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Raccoglierò qui un po' di scritti. Di alcuni articoli condivido molto, di altri poco, di altri ancora magari solo qualche riga, però li reputo tutti interessanti per qualcosa (anche solo per un piccolo spunto).
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  2. #2
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    IL “RINNEGATO” KAUTSKY E IL SUO DISCEPOLO LENIN
    di Jean Barrot
    PT1

    “Le tre fonti del marxismo l’opera storica di Marx” presenta un interesse storico modesto, Kautsky è stato indiscutibilmente l’ideologo della II Internazionale e l’uomo più potente all’interno del suo partito: il partito socialdemocratico tedesco. Guardiano dell’ “ortodossia” , Kautsky veniva considerato, quasi universalmente, come il maggiore conoscitore dell’opera di Marx ed Engels e come il loro interprete principale. Le posizioni di Kautsky sono dunque testimonianza di tutta un’epoca del movimento operaio e meritano di essere conosciute, non fosse altro che per questo motivo. Questa conferenza si incentra proprio su una questione centrale per il movimento proletario: il rapporto tra la classe operaia e teoria rivoluzionaria. La risposta che Kaursky dà a tale questione costituisce il fondamento teorico della pratica e dell’organizzazione di tutti i partiti che costituivano la II Internazionale e quindi del partito socialdemocratico russo, e della sua frazione bolscevica, membro “ortodosso” della II Internazionale fino al 1914, cioè fino al crollo di quest’ultima di fronte alla prima guerra mondiale.

    Tuttavia, le tesi sviluppate da Kautsky in questo opuscolo non sono crollate contemporaneamente alla II Internazionale. Al contrario esse sono sopravvissute ed hanno costituito il fondamento della III Internazionale attraverso l’intermediazione del “ leninismo” e delle sue sventurate espressioni staliniane e trotzkyste.

    Il leninismo sottoprodotto russo del kautskismo? Ecco ciò che farà sussultare coloro che non conoscono di Kautsky che gli anatemi lanciati contro di lui dal bolscevismo ed in particolare l’opuscolo di Lenin “Il fallimento della II Internazionale ed il rinnegato Kautsky” e che non conoscono di Lenin se non ciò che è bene conoscere nelle differenti chiese, cappelle e sagrestie che frequentano.

    Tuttavia il titolo stesso dell’opuscolo di Lenin definisce con estrema esattezza il suo rapporto con Kautsky. Se Lenin tratta Kautsky da rinnegato, è proprio perché ritiene che in precedenza egli fosse un adepto della vera fede, di cui si considera ora il solo valido difensore. Lungi dal criticare il “kautskismo”, che egli si mostra incapace di identificare, Lenin in realtà si accontenta di rimproverare al suo antico maestro di tradire la sua stessa dottrina. Da tutti i punti di vista, la rottura di Lenin fu tardiva e allo stesso tempo superficiale. Tardiva, perché Lenin si era fatto delle grosse illusioni sulla socialdemocrazia tedesca e non aveva capito, se non in un secondo tempo, che il tradimento era stato consumato. Superficiale, perché Lenin si limita a rompere sui problemi dell’imperialismo e della guerra, senza risalire alle cause profonde del tradimento dei socialdemocratici nell’agosto 1914, legate alla natura stessa di questi partiti ed ai loro rapporti sia con la società capitalista che con il proletariato. Questi rapporti devono essere ricondotti al movimento stesso del capitale e della classe operaia e considerati come fase di sviluppo del proletariato e non come qualcosa suscettibile di modificazioni per la volontà di una minoranza, tanto meno da una dirigenza rivoluzionaria, per quanto consapevole.

    Da ciò deriva l’importanza attuale delle tesi che Kautsky sviluppa in questo opuscolo in modo particolarmente coerente e che costituiscono il tessuto stesso del suo pensiero nel corso della sua vita e che Lenin riprende e sviluppa sin dal 1900 ne Gli obiettivi immediati del nostro movimento e poi in Che fare? nel 1902 dove tra l’altro cita diffusamente Kautsky, lodandolo continuamente. Nel 1913, Lenin riprenderà nuovamente queste concezioni ne Le tre fonti e le tre parti costitutive del marxismo in cui sviluppa gli stessi temi ripetendo a volte parola per parola il testo di Kautsky.

    Queste tesi, fondate su una analisi storica superficiale e sommaria dei rapporti tenuti da Marx ed Engels sia con il movimento degli intellettuali della loro epoca sia con il movimento operaio, possono essere riassunte in poche parole, ed alcune citazioni basteranno a chiarirne la sostanza:

    “Un movimento operaio spontaneo e sprovvisto di ogni teoria che dalle classi lavoratrici si indirizzi contro un capitalismo in fase di crescita, è incapace di compiere...l’azione rivoluzionaria”

    E’ anche necessario realizzare ciò che Kautsky chiama l’ Unione del movimento operaio e del socialismo.

    Ora” La coscienza socialista di oggi (!?) non può sorgere che sulla base d’una profonda conoscenza scientifica… Ora, il portatore della scienza non è il proletariato, ma gli intellettuali borghesi,… così dunque la coscienza socialista è un elemento importato dal di fuori all’interno della lotta di classe del proletariato e non qualcosa che sorge spontaneamente da essa”. Queste parole di Kautsky sono, secondo Lenin, “profondamente giuste”.

    Va da sé che questa unione tanto auspicata del movimento operaio e del socialismo non poteva realizzarsi allo stesso modo nelle condizioni tedesche ed in quelle russe. Ma è importante vedere che le divergenze profonde del bolscevismo sul terreno organizzativo non risultano dalle condizioni differenti, ma unicamente dall’applicazione degli stessi principi in situazioni politiche, economiche e sociali differenti.

    In effetti, lungi dal conseguire una unione sempre più grande del movimento operaio e del socialismo, la socialdemocrazia non realizzerà altro che l’unione con il capitale e con la borghesia. Quanto al bolscevismo, dopo essere stato nella rivoluzione russa come un pesce nell’acqua (i rivoluzionari sono nella rivoluzione come l’acqua nell’acqua) e per effetto dello scacco di questa, realizzerà una fusione quasi completa col capitale statale gestito da una burocrazia totalitaria.

    Tuttavia il “leninismo” continua ad ossessionare la coscienza di molti rivoluzionari di più o meno buona volontà, alla ricerca di una ricetta suscettibile di riuscita.. Persuasi di essere “l’avanguardia” perché sono la “coscienza”, mentre non possiedono che una falsa teoria, essi militano per unificare questi due mostri metafisici che sono:” Un movimento operaio spontaneo, privo di ogni teoria”e una coscienza socialista disincarnata.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  3. #3
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 2

    Questo atteggiamento è semplicemente volontaristico. Ora, così come ha detto Lenin:”L’ironia e la pazienza sono le principali qualità del rivoluzionario”,”l’impazienza è la principale fonte dell’opportunismo”(Trotsky), l’intellettuale, il teorico rivoluzionario non deve preoccuparsi di essere legato alle masse perché se la sua teoria è rivoluzionaria, è già legato alle masse. Egli non ha da “scegliere il campo del proletariato” (non è Sartre ad utilizzare questo vocabolario, ma Lenin) perché, dicendolo più chiaramente, non ha altra scelta. La critica teorica e pratica ,di cui è il portatore, è determinata dal rapporto che intrattiene con la società. Egli non può liberarsi da questa passione che sottomettendovisi (Marx). Se “ha delle scelte”, vuol dire che non è già più rivoluzionario e che la sua critica teorica è invecchiata. Il problema della penetrazione delle idee rivoluzionarie che egli propaganda negli ambienti operai è, per questo motivo, completamente trasformato: allorché le condizioni storiche, i rapporti di forza tra le classi in lotta, principalmente determinati dal movimento autonomo del capitale, impediscono ogni irruzione rivoluzionaria del proletariato sulla scena della storia, l’intellettuale fa come l’operaio: ciò che può. Studia, scrive, fa conoscere i suoi lavori il più possibile, generalmente assai male. Quando studiava al British Museum, Marx, prodotto del movimento storico del proletariato, era legato, se non ai lavoratori, per lo meno al movimento storico del proletariato. Egli non era più isolato dai lavoratori di quanto un lavoratore qualsiasi non lo fosse dagli altri, nella misura in cui le condizioni del momento limitavano i suoi rapporti a quelli permessi dal capitalismo.

    Di contro, quando il proletariato si costituisce in classe e dichiara, in un modo o nell’altro, guerra

    (e non ha bisogno che gli si trasmetta il SAPERE per farlo, non essendo esso stesso, nei rapporti di produzione capitalistici, altro che capitale variabile. Basta che voglia cambiare di poco la sua condizione per essere di colpo nel cuore del problema che l’intellettuale avrà qualche difficoltà a cogliere) il rivoluzionario non è ne più ne meno legato al proletariato di quanto non lo fosse di già. Ma la critica teorica si fonde allora con la critica pratica, non perché è stata portata dall’esterno, ma perché sono un tutt’uno.

    Se nel periodo precedente, l’intellettuale ha avuto la debolezza di credere che il proletariato restava passivo perché gli mancava la “coscienza” e per questo era giusto considerarsi “avanguardia” al punto da voler dirigere il proletariato, allora egli si riserva delle amare delusioni.

    Tuttavia è questa la concezione che costituisce la parte essenziale del leninismo e che mostra l’ ambiguità storica del bolscevismo. Questa concezione è potuta sopravvivere soltanto perché la rivoluzione russa è fallita, vale a dire perché i rapporti di forza, su scala internazionale, tra capitale e proletariato non hanno permesso a quest’ultimo di farne una critica teorica e pratica. E’ ciò che tenteremo di dimostrare analizzando sommariamente quanto è avvenuto in Russia ed il vero ruolo del bolscevismo.

    Credendo di vedere nei circoli rivoluzionari russi il frutto dell’”unione del movimento operaio e del socialismo”, Lenin si ingannava fortemente. I rivoluzionari organizzati nei gruppi socialdemocratici non apportavano alcuna “coscienza” al proletariato. Beninteso, un opuscolo o un articolo teorico sul marxismo era molto utile agli operai; non serviva certo a trasmettere la coscienza, la conoscenza della lotta di classe, ma solamente a precisare le cose e a far riflettere maggiormente. Lenin non comprendeva questa realtà. Non solamente egli voleva trasmettere alla classe operaia la conoscenza della necessità del socialismo in termini generali, ma voleva nello stesso tempo offrirle delle parole d’ordine imperative che esprimessero ciò che essa avrebbe dovuto fare al momento opportuno. D’altronde ciò è normale, poiché il partito di Lenin, depositario della coscienza di classe, è, per prima cosa, il solo capace di discernere gli interessi generali della classe operaia al di là di tutte le sue divisioni in strati diversi, e, secondariamente, il solo capace di analizzare in permanenza la situazione e di formulare parole d’ordine adeguate. Ora, la rivoluzione del 1905 doveva mostrare l’incapacità pratica del partito bolscevico di dirigere la classe operaia e rivelare il ritardo del partito d’avanguardia. Tutti gli storici, anche quelli favorevoli ai bolscevichi, riconoscono che nel 1905 il partito bolscevico non aveva capito assolutamente niente del fenomeno dei soviet. L’apparizione di nuove forme di organizzazione aveva suscitato la diffidenza dei bolscevichi. Lenin afferma che i Soviet non erano:”né un parlamento operaio né un organo di autogoverno proletario”. La cosa importante da notare è che gli operai russi non sapevano di accingersi a costituire dei soviet, tra di loro, solo una esigua minoranza conosceva l’esperienza della Comune di Parigi e tuttavia crearono un embrione di Stato Operaio, benché nessuno li avesse educati. La tesi kautskista-leninista infatti nega ogni possibilità per la classe operaia di creare qualcosa di originale se non è guidata dal partito-fusione-del-movimento-operaio-e-del-socialismo. Ora si nota che nel 1905. per riprendere la frase delle “Tesi su Feuerbach”, “l’educatore ha bisogno lui stesso di essere educato”.

    Lenin tuttavia ha compiuto un lavoro rivoluzionario (si veda, tra l’altro, la sua posizione sulla guerra) al contrario di Kautsky. Ma in realtà, Lenin non fu rivoluzionario che contro la sua teoria della coscienza di classe. Prendiamo il caso della sua azione tra il febbraio e l’ottobre del 1917. Lenin aveva lavorato più di quindici anni, a partire dal 1900, per creare una organizzazione d’avanguardia capace di realizzare l’unione del “socialismo” e del “movimento operaio”, che raggruppasse “dirigenti politici”, i “rappresentanti d’avanguardia capaci di organizzare il movimento e di dirigerlo”. Ora, nel 1917, come nel 1905, questa direzione politica, rappresentata dal comitato centrale del partito bolscevico, si dimostra incapace per i compiti del momento, in ritardo rispetto alle attività rivoluzionarie del proletariato”. Tutti gli storici, ivi compresi gli storici stalinisti e trotskysti, mostrano che Lenin dovette fare una battaglia lunga e difficile contro la direzione della sua organizzazione per far trionfare le sue tesi, e non ci sarebbe riuscito se non si fosse appoggiato agli operai del partito, l’avanguardia genuina organizzata nelle officine e all’interno o vicina ai circoli socialdemocratici. Si dirà che tutto ciò sarebbe stato impossibile senza l’attività condotta per anni dai bolscevichi, sia nelle lotte quotidiane degli operai sia nella difesa e nella propaganda delle idee rivoluzionarie.

    Effettivamente, la maggioranza dei bolscevichi, ed in primo luogo Lenin, con la loro propaganda e con la loro agitazione incessanti hanno contribuito alla sollevazione dell’ottobre 1917. In quanto militanti rivoluzionari hanno giocato un ruolo efficace, ma in quanto “direzione della classe””avanguardia cosciente”, sono stati in ritardo sul proletariato. La rivoluzione russa si è svolta contro le idee del “Che fare?” , e nella misura in cui queste idee sono state applicate (creazione di un organo dirigente della classe operaia ma separato da essa), si sono rivelate un freno e un ostacolo alla rivoluzione. Nel 1905, Lenin è in ritardo sulla storia perché si rifà alle tesi del “Che fare?”. Nel 1917, Lenin partecipa al movimento reale delle masse russe e facendo ciò rigetta - nella pratica - la concezione sviluppata nel “Che fare?”.
    Lotta di classe e(') autoorganizzazione di classe.

  4. #4
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 3
    Se applichiamo a Kautsky e a Lenin il trattamento inverso di quello che essi hanno fatto subire a Marx, se limitiamo le loro concezioni alla lotta di classe invece di separarle da essa, il kautskysmo-leninismo appare come caratteristico di tutto un periodo della storia del movimento operaio dominato principalmente dalla II Internazionale. Dopo essersi sviluppato ed organizzato alla meno peggio, il proletariato si è trovato, sin dalla fine del XIX° secolo, in una situazione contraddittoria. Possiede diverse organizzazioni il cui scopo è di fare la rivoluzione e nello stesso tempo è incapace di farla perché le condizioni non sono ancora mature. Il kautskysmo-leninismo è l’espressione e la soluzione di tale contraddizione; postulando che il proletariato, per essere rivoluzionario, deve passare per il cammino tortuoso della conoscenza scientifica, consacra e giustifica l’esistenza di organizzazioni capaci di inquadrare, dirigere e controllare il proletariato.

    Così come è stato presentato, il caso di Lenin è più complesso di quello di Kautsky, nella misura in cui Lenin fu, per una parte della sua vita, rivoluzionario contro il kautskysmo-leninismo. D’altronde la situazione della Russia era totalmente differente da quella della Germania, che possedeva un regime pressoché di democrazia borghese dove esisteva un movimento operaio fortemente sviluppato ed integrato nel sistema. Al contrario, in Russia bisognava costruire tutto e la questione non era se si dovesse partecipare ad attività parlamentari, borghesi e sindacali riformiste poichè non esistevano affatto. In tali condizioni, Lenin poteva adottare una posizione rivoluzionaria malgrado le sue idee kautskyste. Tra l’altro bisogna anche sottolineare che, fino alla seconda guerra mondiale, egli considerava la socialdemocrazia tedesca come un modello.

    Nelle loro storie, riviste e corrette, del leninismo gli stalinisti ed i trotzkysti ci mostrano un Lenin capace di comprendere lucidamente e di denunciare, prima del 1914, il “tradimento” della socialdemocrazia e dell’Internazionale. Ciò è pura leggenda e bisognerebbe studiare bene la storia della II° Internazionale per dimostrare che non soltanto Lenin non la denunciò, me che, prima della guerra, non aveva affatto compreso il fenomeno della degenerazione della socialdemocrazia. Prima del 1914, Lenin fa anche l’elogio del partito socialdemocratico tedesco per aver saputo riunire il “movimento operaio” e il “socialismo” (cfr.”Che fare?”). Citiamo soltanto questi passi tratti dall’articolo necrologico “A.Bebel” (che contiene d’altronde numerose superficialità ed errori di fondo sulla vita di questo “dirigente”, di questo “modello di capo operaio” e sulla storia della II° Internazionale.

    “Le basi della tattica parlamentare della socialdemocrazia tedesca (e internazionale), che non cede un pollice ai nemici, che non si lascia scappare la minima possibilità di ottenere un miglioramento, per quanto possa essere minimo, per gli operai, che, nello stesso tempo, si mostra intransigente sul piano dei principi e si orienta sempre verso la realizzazione dell’obiettivo finale, le basi di questa tattica furono messe a punto da Bebel…”

    Lenin rivolgeva queste lodi a “la tattica parlamentare della socialdemocrazia tedesca (e

    internazionale),”intransigente sul piano dei principi”(!) nell’agosto del 1913. Quando un anno più tardi egli credette che il numero del “Vorwats” (organo del partito socialdemocratico tedesco), che annunciava il voto favorevole ai crediti di guerra da parte dei deputati socialdemocratici, era un falso fabbricato dallo stato maggiore tedesco, egli manifestava soltanto l’illusione che aveva nutrito da tempo, in realtà dal 1900-1902 e dal “Che fare?”, sull’internazionale in generale e sulla socialdemocrazia tedesca in particolare. (Noi non consideriamo qui l’atteggiamento di altri rivoluzionari di fronte a questi problemi, ad esempio Rosa Luxemburg. Tale questione meriterebbe infatti uno studio dettagliato).

    Abbiamo visto come Lenin avesse abbandonato nella pratica le tesi del “Che fare?” nel 1917. Ma l’immaturità della lotta di classe a livello mondiale, ed in particolare l’assenza di rivoluzioni in Europa, comportò il fallimento della rivoluzione russa. I bolscevichi si trovarono al potere con il compito di “amministrare la Russia” (Lenin), di portare a termine i compiti della rivoluzione borghese che non si era potuta verificare, ossia di assicurare, in effetti, lo sviluppo dell’economia russa, non potendo tale sviluppo che essere capitalista. Un obiettivo fondamentale fu di richiamare all’ordine la classe operaia – ed alcune opposizioni all’interno del partito. Lenin, che nel 1917 non aveva rinnegato esplicitamente il “Che fare?”, riprende subito le concezioni “leniniste” che sole permettono il “necessario”inquadramento degli operai. I Centralismi Democratici, l’Opposizione Operaia ed il Gruppo Operaio[1] sono schiacciati per aver negato “il ruolo dirigente del partito”. Allo stesso modo la teoria leninista del partito viene imposta all’Internazionale. Dopo la morte di Lenin, Zinoviev, Stalin e tanti altri, dovevano svilupparla insistendo sempre più sulla “disciplina di ferro” , “l’ unità di pensiero e l’unità di azione”, mentre il principio sul quale poggiava l’Internazionale stalinizzata era lo stesso che era alla base dei partiti socialisti riformisti (il partito separato dai lavoratori che forniva loro la coscienza di ciò che erano) e chiunque rifiutasse la teoria leninista-stalinista cadeva nella “palude opportunista, socialdemocratica, menscevica,…” Da parte loro i trotzkysti s’agganciavano al pensiero di Lenin e recitavano “Che fare?” . La crisi dell’umanità non è altro che “la crisi della direzione” diceva Trotzky: occorreva dunque creare ad ogni costo una direzione. Supremo idealismo, la storia del mondo veniva spiegata con la crisi della sua coscienza.

    In definitiva, lo stalinismo non doveva trionfare che nei paesi in cui lo sviluppo del capitalismo non poteva essere assicurato dalla borghesia, senza che le condizioni fossero unificate affinché il movimento operaio, successivamente, potesse distruggerle. Nell’Europa dell’Est, in Cina, a Cuba si è formato un gruppo dirigente nuovo, composto da quadri del movimento operaio burocratizzato, da vecchi specialisti o tecnici borghesi, talora da quadri dell’esercito o di vecchi studenti in sintonia col nuovo ordine sociale come in Cina. In ultima analisi, un tale processo non era possibile se non a causa della debolezza del movimento operaio. In Cina, per esempio, il sostrato sociale motore della rivoluzione fu la classe dei contadini, incapace di dirigersi da sola, non poteva che essere diretta dal “partito” . Prima della presa del potere, questo gruppo organizzato nel “partito” dirige le nasse e le “regioni liberate” se dovessero esservi; in seguito, esso prende nelle sue mani l’insieme della vita sociale del paese. Ovunque le tesi di Lenin sono state un potente fattore di burocratizzazione, infatti, secondo Lenin, la funzione di direzione del movimento operaio era una funzione specifica assicurata da alcuni “capi” organizzati separatamente dal movimento ed il cui ruolo era esclusivamente quello.Nella misura in cui preconizzava un corpo separato di rivoluzionari di professione capaci di guidare le masse, il leninismo è servito come giustificazione ideologica alla formazione di direzioni separate dai lavoratori. A questo livello il leninismo, fuori dal suo contesto originale, non è altro che una tecnica di inquadramento delle masse ed una ideologia che giustifica la burocrazia e sostiene il capitalismo: il suo recupero era storicamente necessario per lo sviluppo di nuove strutture sociali che rappresentano, esse stesse, una necessità storica per lo sviluppo del capitale. Man mano che il capitalismo si estende e domina l’intero pianeta, maturano le condizioni affinché vi sia la possibilità di una rivoluzione, l’ideologia leninista comincia a fare il suo tempo, nel vero senso della parola.

    E’ impossibile prendere in esame la questione del partito senza riportarla alle condizioni storiche nelle quali è nato questo dibattito, in ogni caso, benché sotto forme differenti, lo sviluppo dell’ideologia leninista è determinato dall’impossibilità della rivoluzione proletaria. Se la storia ha dato ragione al kautskysmo-leninismo, se i suoi avversari non hanno mai potuto né organizzarsi durevolmente e nemmeno presentarne una critica coerente, ciò non è dovuto al caso: il successo del kautskysmo-leninismo è un prodotto della nostra epoca ed i primi attacchi seri – e pratici – contro di esso, segnano la fine di tutto un periodo storico. Per fare questo occorreva che il capitalismo si sviluppasse largamente su scala mondiale. La rivoluzione ungherese del 1956 ha suonato il rintocco di tutto un periodo di controrivoluzione, ma anche di maturazione rivoluzionaria. Nessuno sa quando questo periodo sarà definitivamente superato ma è certo che la critica delle tesi di Kautsky e di Lenin, prodotti di questa epoca, diventerà allora possibile e necessaria. Ecco perché abbiamo ritenuto importante ripubblicare “Le tre fonti del marxismo”, l’Opera storica di Marx”, per far conoscere meglio e comprendere maggiormente quella che fu e quella che è ancora l’ideologia dominante di tutto un periodo. Lungi dal voler dissimulare le idee che condanniamo e combattiamo, vogliamo, al contrario, diffonderle largamente, al fine di mostrare nello stesso tempo quanto siano state necessarie ed il loro limite storico.

    Le condizioni che hanno permesso la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni di tipo socialdemocratico e bolscevico oggi sono superate. Per quanto riguarda l’ideologia leninista, oltre all’utilizzo che ne viene fatto dai burocrati al potere, lungi dall’avere un’utilità per i gruppi rivoluzionari che sostengono l’unione del socialismo e del movimento operaio, non può servire, sin da ora, ad altro che a cementare provvisoriamente l’unione di intellettuali mediocri e di lavoratori mediocremente rivoluzionari.

    [1] NdT Queste erano le tendenze interne al Partito bolscevico fino agli anni venti che non condividevano le scelte del gruppo vicino a Lenin-Zinoviev del “Centralismo Democratico”.
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  5. #5
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Colloquio con Cajo Brendel

    sul comunismo dei consigli

    (traduzione di Omar Wisyam)

    PT 1

    “Stai in guardia contro ogni mito!”

    Questo colloquio del gruppo tedesco Revolution Times con Cajo Brendel, realizzato nel dicembre del 1999, è stato pubblicato nel gennaio 2001 nella brochure: Red Devil, Die Kronstadt-Rebellion. Alle Macht den Sowjets, nicht den Parteien! (La rivolta di Kronstadt. Tutto il potere ai soviet, niente ai partiti!), Bibliothek des Widerstandes (Biblioteca della resistenza), gennaio 2001, p. 21-27.
    Il testo dell'intervista è apparso anche in Echanges n° 111 (inverno 2004-2005).

    Red Devil: A tuo avviso, come si spiega la comparsa delle posizioni comuniste consiliari, e come potresti, brevemente, presentarle?
    Cajo Brendel: Il comunismo dei consigli non è caduto dal cielo. Ha preso forma a poco a poco e si è sviluppato sul filo del tempo. Dopo l'entusiasmo iniziale per la rivoluzione russa, vari marxisti dell'Europa occidentale hanno cominciato a formulare alcune critiche. Tra di essi, Otto Rühle fu senza dubbio uno dei primi testimoni della pratica bolscevica a mettere per iscritto le sue esperienze (1). Il marxista olandese Gorter partecipò subito alle critiche al bolscevismo, ma la sua analisi critica (1920) (2) non si applicava che a qualche dettaglio. Gli attacchi si fecero più numerosi dapprima in seguito alle vivaci discussioni suscitate dalla rivolta di Kronstadt nel1921, poi quando, poco tempo dopo, l’azione dei bolscevichi si concretizzò nella Nuova politica economica (3). Più tardi, alla fine degli anni '20, si aggiunse il totale rigetto del capitalismo di Stato; infine, all'inizio degli anni '30, comparvero altre divergenze, ancora più numerose. Secondo me, la teoria del comunismo dei consigli ha raggiunto un provvisorio apogeo nel 1938 quando il marxista olandese Anton Pannekoek sottopose il leninismo nel suo insieme ad un'analisi marxista (4). Tuttavia, lo sviluppo del comunismo dei consigli non si arrestò lì. Lontanissimo da ogni ortodossia o da ogni forma di degenerazione, continua a servirsi del metodo di Marx per meglio comprendere la realtà sociale.

    R. D.: La teoria comunista consiliare qualifica il KPD (Partito comunista tedesco) e lo SPD (Partito socialdemocratico tedesco) come esempi del «vecchio movimento operaio». Un «nuovo movimento operaio» con delle «nuove organizzazioni di classe» è in formazione. Dove vedi i segni di un tale «nuovo movimento operaio» e come vedi le differenze tra il «vecchio» e il «nuovo» movimento operaio? Esiste per voi una tradizione rivoluzionaria a cui richiamarsi o che potreste reclamare?

    C. B.: la differenza tra il «vecchio» e il «nuovo» movimento operaio – messe da parte tutte le concezioni politiche e teoriche – risiede nel fatto che il «vecchio» movimento operaio è un movimento per gli operai (diretto dai politici o dagli intellettuali) mentre il «nuovo» movimento operaio (che ha appena smesso di usare i pannolini) è un movimento degli operai, cioè degli operai stessi. Io non penso che ci si possa richiamare a delle tradizioni. Vedo i segni (ed insisto sulla parola «segni») di un nuovo movimento operaio laddove i lavoratori fanno uno sciopero «selvaggio» (come si dice) assolutamente senza una coscienza preconcetta del suo senso e del suo significato, senza il sostegno di alcun partito né di qualsivoglia sindacato. E si potrebbero senza dubbio ritrovare altri segni della medesima natura in altre azioni degli operai.

    R. D.: «Il comunismo non è una questione di partito (5), ma la formazione di un movimento di massa autonomo», questo era il titolo di un articolo del gruppo francese Le Prolétaire (6), che partecipò all'incontro di Bruxelles del 1947 (7). Come, all'interno del gruppo Daad en Gedachte (Atto e pensiero), vi situate in rapporto a questa affermazione, e come un tale «movimento di massa autonomo» può, e anche, deve nascere?

    C. B.: Un movimento di massa è autonomo se non è convocato da individualità o da organizzazioni. Sorge spontaneamente dai rapporti sociali o politici. Sono assolutamente d'accordo con l'affermazione del gruppo Le Prolétaire.

    R. D.: I comunisti consiliari hanno in passato criticato in egual misura il fascismo e l'antifascismo e si sono rifiutati di far parte di un campo o dell'altro, la democrazia qui o il fascismo là. Come vi situate in rapporto al fascismo che rinasce in Europa? E come vi situate in rapporto al movimento antifascista?
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  6. #6
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 2
    C. B.: Il fascismo rinascente in Europa non presenta evidentemente in un tutti i paesi lo stesso carattere né obbedisce alle stesse cause. Tuttavia, quale che sia la forma che riveste o quali che siano le sue cause si deve senz'altro combatterlo: ma non voglio avere niente a che fare con una lotta a fianco della borghesia.
    R. D.: La maggior parte dei gruppi politici cerca di intervenire nelle manifestazioni, negli scioperi, ecc. per influenzare questi movimenti in una o in un'altra direzione, o perlomeno di diffondere le loro idee. Ci sono state all'interno del comunismo dei consigli delle divergenze tra gli attivisti e gli osservatori. Qual è il vostro punto di vista? Non è sbagliato restare passivi di fronte ai movimenti sociali esistenti? Quali sono i compiti dei comunisti dei consigli prima e durante i movimenti di massa e le lotte di classe?
    C. B.: Certo è importante partecipare alle lotte. Ma... gli interventi dei diversi gruppi d'avanguardia non hanno alcun senso. Al contrario. Io ho affrontato questo tema in un articolo. Sono dell'avviso, già dalla mia giovinezza, che non ci sia niente da insegnare alla classe operaia, ma, casomai, tutto da imparare da essa. Come servirsi in seguito di ciò che si è appreso? Ho sempre agito a questo proposito in conformità ad una frase di Marx tratta da uno dei suoi primi testi, il Contributo ad una critica della filosofia del diritto di Hegel, là dove scrive: «Si devono costringere questi rapporti pietrificati a danzare cantando loro la propria melodia!». Non ho mai detto agli scioperanti: «Voi dovreste fare in questo modo o in quest'altro». Ho semplicemente cercato ogni volta di discutere con loro il senso delle loro azioni. E questo non è un comportamento passivo.
    R. D.: A chi si rivolge il vostro giornale Daad en Gedachte quando la vostra azione politica diminuisce? Quale ruolo accordate al vostro giornale?
    C. B.: Il gruppo Daad en Gedachte si è sempre rivolto a tutti coloro che hanno un punto di vista critico verso il «vecchio movimento operaio» sia che intravedano già il cammino del «nuovo movimento operaio» sia che lo ricerchino.
    R. D.: Ci fu nel 1947 un incontro internazionale dei comunisti consiliari e altri gruppi internazionalisti (10). Si trattò di un tentativo di costruire una sorta di Internazionale dei comunisti dei consigli o più semplicemente di annodare dei rapporti più stretti tra gruppi in qualche modo affini provenienti da diversi paesi?
    C. B.: Sfortunatamente non ho potuto all'epoca partecipare a quell'incontro internazionale, e non possiedo che un articolo apparso a questo proposito su un periodico comunista consiliare.
    R. D.: La maggior parte del «vecchio movimento operaio» ha condannato l'azione dei marinai di Kronstadt. Trotsky ha minimizzato gli avvenimenti di Kronstadt definendoli una «tragedia». Come vi situate in rapporto a Kronstadt?
    C. B.: Non ho affatto le stessa concezione dei bolscevichi, di Lenin, di Trotsky, di Stalin o di chi altro ancora sulla rivolta di Kronstadt. L'ho sempre considerata come precedente della rivoluzione proletaria in Russia (8).
    R. D.: Come vi situate in rapporto ai trotskysti e agli anarchici? Noti dei punti in comune e dei punti di divergenza?
    C. B.: Né sì né no. Si può definire il trotskysmo come leninismo e lo stalinismo come una varietà di leninismo. Tutti e due si fondano su un'interpretazione erronea di Marx, risultante dai rapporti sociali in Russia. Certamente la questione è diversa con l'anarchismo, sebbene esso si inganni su Marx sotto varie angolature. Inoltre il loro metodo di lavoro è parecchio distante dal mio. Sono tuttavia d'accordo con l'anarchismo quando si distingue nella lotta contro ogni potere di Stato, che si dica borghese o proletario.
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  7. #7
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 3
    R. D.: Come si situano i comunisti consiliari in rapporto ai partiti e alle elezioni?
    C. B.: I partiti sono il frutto delle rivoluzioni borghesi e sono indispensabili al capitalismo. Io non ho partecipato mai ad una elezione nella società capitalista. Le sole elezioni alle quale io potrei partecipare sarebbero quelle per i consigli operai.
    R. D.: I comunisti dei consigli considerano la rivoluzione dell'ottobre 1917 in Russia come una «rivoluzione borghese». Puoi darci qualche spiegazione in proposito?
    C. B.: La Russia era negli anni Venti un paese in cui la servitù non esisteva più e che possedeva alcune industrie, ma il paese conservava ancora nel suo insieme le stigmate della feudalità. Lo zar, la chiesa e la nobiltà erano al potere, l'agricoltura era la branca principale della produzione, e la stragrande maggioranza della popolazione era contadina.
    Se c'era una borghesia, non era paragonabile a quella che c'era in Francia nel XVIII secolo, compenetrata della propria importanza e cosciente di sé stessa. Il compito della rivoluzione, che acquistava forza dall'inizio del XX secolo in Russia, era di mettere fine allo zarismo, di spezzare il potere della chiesa e della nobiltà. Era necessario inevitabilmente per questo scopo sviluppare nuovi rapporti di produzione. La rivoluzione russa doveva seguire le stesse fasi della rivoluzione francese, ma in circostanze che non erano affatto le stesse. Considerando ciò che era da fare in Russia, si può dunque parlare di una rivoluzione borghese, che tuttavia, a causa della debolezza della borghesia russa, fu una rivoluzione in cui i compiti storici della borghesia dovettero essere compiuti da un'altra classe.
    Nessuno l'aveva predetto meglio di Lenin agli inizi del XX secolo. Si può leggere in uno dei suoi primi testi: «La rivoluzione avvenire sarà una rivoluzione borghese, ma una rivoluzione borghese senza borghesia».
    La rivoluzione borghese russa offre numerosi punti di paragone con la rivoluzione francese del XVIII secolo. In Francia, il materialismo dell'epoca era servito come un'arma nella lotta contro la religione, poiché essa costituiva la base della potenza della chiesa. Fu lo stesso in Russia. E il materialismo con il quale si combatté la religione in Russia, che Lenin chiamava il materialismo storico, era semplicemente il materialismo francese del XVIII secolo. Pannekoek l’ha magistralmente dimostrato nel 1938. Ma non si può muoverne rimprovero a Lenin. Sono le condizioni russe che l'hanno condotto ad interpretare alla maniera russa il materialismo sviluppato da Marx ed Engels nei rapporti capitalisti. La rivoluzione russa si distingue anche per un'altra cosa che si ritrova egualmente nei rivoluzionari francesi. Tuttavia con una lieve differenza. I giacobini francesi aveva preso in prestito i loro modelli e le loro teorie rivoluzionarie dalla storia romana; i bolscevichi non girarono la testa all'indietro verso l'antichità classica ma al contrario verso l'avvenire proletario. In Francia nel 1789 fu tutto come in Russia nel 1917, l’immaginario che era nelle teste non corrispondeva assolutamente alla pratica reale. In Francia, dove si sognava la libertà e l'eguaglianza, non ci si rendeva conto che si trattava di libertà giuridica e di eguaglianza di fronte alla legge. Trotsky ha scritto da qualche parte: «Si credeva di finire la rivoluzione di Febbraio e si arrivò effettivamente all'Ottobre». In realtà è vero il contrario: si credeva di avanzare sul cammino del comunismo e si faceva una rivoluzione borghese senza la borghesia.
    Ciò che doveva arrivare, il capitalismo di Stato, arrivò perché la borghesia era troppo debole per costituirsi come classe dirigente. Per ritornare a Lenin ancora una volta, egli aveva ragione quando si descriveva come un giacobino!
    R. D.: Ci sono stati dei tentativi di pubblicare dei testi dei comunisti dei consigli in esperanto allo scopo di superare la strettoia delle frontiere nazionali e linguistiche. Come vi situate in rapporto agli intellettuali?
    C. B.: I comunisti dei consigli del gruppo dei Comunisti Internazionalisti hanno pubblicato dei testi in esperanto all'inizio degli anni '30. Non l'abbiamo più rifatto dopo la seconda guerra mondiale; i nostri testi e la nostra corrispondenza raggiungono quei paesi di cui padroneggiamo più o meno le lingue. Non abbiamo mai dubitato dell'intelligenza dei lavoratori; la nostra diffidenza andava agli intellettuali che appartenevano alla borghesia o ai gruppi d'avanguardia.
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  8. #8
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    R. D.: Come vi situate in rapporto ai simboli del «vecchio movimento operaio» (per esempio la bandiera rossa, la falce e il martello, l'Internazionale, il pugno chiuso, il termine «compagno», ecc.)?
    C. B.: Tutto il gruppo Daad en Gedachte, io compreso, non abbiamo mai accordato un grande valore ai simboli. Il nostro interesse si è sempre rivolto a ciò che era essenziale nei gruppi, nei movimenti, ecc., a ciò che significavano. Del resto, l’Internazionale è da tanto tempo cantata dai peggiori riformisti! E ben altri simboli sono stati svuotati.
    R. D.: Quali sono state le reazioni nelle discussione del novembre 1998 in Germania quando vi hai tenuto delle riunioni e delle conferenze?
    C. B.: Sono stato molto contento delle reazioni di numerosi uditori. Erano in generale molto obiettivi e mostravano di avermi perfettamente compreso. Con la sola eccezione di due membri del CCI (10), che non erano là per discutere e tennero soltanto – per fortuna molto brevemente – un discorso di propaganda, a favore della loro organizzazione, che non aveva nulla a che vedere con l'argomento della mia esposizione. Questi hanno, in seguito, pubblicato un articolo molto lungo nel loro giornale a questo proposito, in cui le menzogne non vengono risparmiate.
    R. D.: Quali sono, a tuo avviso, le posizioni comuniste consiliari che sono state confermate e quali no dalla storia e dal passato?
    C. B.: Penso che la questione della conferma o no delle posizioni comuniste consiliari dalla storia non ha alcun senso. Non si tratta di posizioni più o meno buone ma di analisi, di una anlisi della realtà dove abbiamo sempre a che fare con un processo. E l'analisi ha ottenuto migliori risultati nella misura in cui processo si evolve.
    R. D.: Quali sono secondo te le ragioni per le quali il comunismo dei consigli è rimasto fino ad oggi senza una vera influenza? Cosa rimane del comunismo consiliare oggi?
    C. B.: Se si condividono le concezioni dei gruppi d'avanguardia come si esprimono nel verbo leninista: «senza teoria rivoluzionaria, non c'è pratica rivoluzionaria» (11), si può pensare che le idee del comunismo consiliare avrebbero potuto avere una maggiore influenza di quella che hanno. La realtà è un'altra. Infatti non esiste una teoria pura di ogni pratica; la teoria si appoggia su una pratica, cioè su dei fatti. Non è quella teoria o quell'altra, o quel punto di vista oppure quell'altro che influenzano la realtà, ma il contrario. Questa era esattamente la linea di condotta di Marx e di Engels. Non concepisco il comunismo dei consigli come un «movimento» in senso stretto; secondo me, è il movimento dei lavoratori ad essere importante, e questo deriva dalla loro posizione sociale, che abbiano conoscenza delle idee comuniste consiliari o no. Essi combattono non a causa di queste idee, ma perché il capitalismo li costringe.
    R. D.: Come giudicate la situazione attuale in quanto comunisti consiliari?
    C. B.: La situazione attuale è evidentemente un momento di un processo. Tutto ciò che posso dire è che ho visto le lotte di classe modificarsi continuamente nel corso di cinquant'anni. Per fare un esempio tra i tanti, cinquant'anni fa le occupazioni delle fabbriche erano completamente diverse da quelle di oggi.
    R. D.: Come vedi le prospettive della sinistra alla fine del XX secolo? I comunisti dei consigli sono interessati a collaborare con altri gruppi? Se sì, in quali settori e in quali condizioni?
    C. B.: La risposta dipende naturalmente da ciò che si intende con «sinistra»? Se la si intende nel senso di tutti quei gruppi che si considerano l'avanguardia del proletariato e si considerano i suoi educatori, la risposta è semplice: non c'è nessuna prospettiva! Per la classe operaia, al contrario, c'è una prospettiva, che se ne abbia o no una nozione chiara: è la rivoluzione, che il capitalismo suscita inevitabilmente. Per quanto riguarda gli avanguardisti, non vedo l'utilità di collaborare con loro.
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  9. #9
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    PT 4
    R. D.: Parliamo di Marinus van der Lubbe. Volle distogliere la classe operaia dalla sua apatia incendiando il Reichstag (12). Voleva in qualche modo sostituirsi ad essa? Il KAPD (Partito comunista operaio tedesco) con la sua tendenza al putsch, non ha spesso agito al posto dei lavoratori?
    C. B.: Non ho mai dubitato dei sentimenti sinceramente proletari di van der Lubbe. Ciò che si attendeva, o ciò che sperava, dalla sua azione era, a mio avviso, illusorio. Quanto al KAPD, non sono certo che si sia sostituito alla classe operaia con la sua cosiddetta tendenza al putsch. Mi piacerebbe che mi si fornissero degli esempi in proposito.
    R. D.: Cosa intendi con «azione diretta»?
    C. B.: A dire il vero io non utilizzo mai questa espressione. Parlo piuttosto di atti spontanei o di ciò che si chiamano azioni «selvagge» o scioperi «selvaggi».
    R. D.: Cosa raccomanderesti alle lettrici o ai lettori convinti dalle tue spiegazioni?
    C. B.: Tutto ciò che potrei dire loro, è: «Lascia cadere ogni illusione, guardati da ogni mito». Questo è il fil rouge del mio pensiero.
    R. D.: Un'ultima parola...
    C. B.: Sono curioso di sapere ciò che pensate della nostra discussione.
    NOTE
    (1) Si vedano, per esempio, due articoli di Otto Rühle «Mosca e noi» e «Resoconto su Mosca» (apparsi nella rivista Die Aktion nel 1920). Ma anche due testi più tardi: “Fascismo bruno, fascismo rosso” (redatto nel 1939, ma pubblicato soltanto nel 1971 in tedesco; e «La lotta contro il fascismo comincia dalla lotta contro il bolscevismo» (articolo apparso in inglese nella rivista americana Living Marxism, vol. 4, n° 8, settembre 1939).
    (2) Vedi: Herman Gorter, Risposta a Lenin su “La malattia infantile del comunismo”, e dello stesso autore l'ultima lettera a Lenin (1921).
    (3) Dopo la rivolta di Kronstadt, mentre in Russia mancavano tutti i prodotti di base, Lenin impose al partito bolscevico la Nuova politica economica, nel 1921, che ripristinò, tra le altre misure, la libertà per i contadini di vendere al mercato una parte della loro produzione.
    (4) Nel 1938, Anton Pannekoek pubblicò in tedesco, con lo pseudonimo di John Harper, una critica delle concezioni di Lenin dopo aver letto il suo Materialismo ed empiriocriticismo – pubblicato nel 1908 in russo ma tradotto in tedesco e in inglese soltanto nel 1927 – con il titolo di Lenin filosofo.
    (5) Questa espressione ricorda un articolo di Otto Rühle, «La rivoluzione non è affare di partito», apparso originalmente il 17 aprile 1920, con il titolo «Un nuopo partito comunista?», nella rivista Die Aktion (1911-1932) animata da Franz Pfemfert (1879-1954).
    6) Le Prolétaire - Organe du communisme révolutionnaire era pubblicato alla fine della seconda guerra mondiale dai Communistes révolutionnaires (CR), degli ex-trotskysti legati ai tedeschi e agli austriaci, anch'essi ex-trotskysti, del gruppo Revolutionäre Kommunisten Deutschlands (RKD), esiliati in Francia e in altri paesi prima della guerra, che hanno condotto una propaganda internazionalista durante il conflitto.
    (7) Dei piccoli gruppi di vari paesi avendo mantenuto le posizioni internazionaliste durante la seconda guerra mondiale manifestarono il bisogno di riunirsi per rinnovare i contatti dopo la marea sciovinista che seguì la vittoria degli Alleati. Una conferenza internazionale ebbe luogo a Bruxelles il 25 e il 26 maggio 1947, in cui dei gruppi e delle individualità di differenti sensibilità politiche dei Paesi Bassi, del Belgio, della Svizzera, della Francia e dell'Italia furono invitati dal Communistenbond Spartacus.
    (8) Si veda l'articolo di Cajo Brendel, «Kronstadt: Proletarischer Ausläufer der russischen Revolution» (Kronstadt, precedente proletario della rivoluzione russa), in J. Agnoli, C. Brendel, I. Mett, Die Revolutionäre Aktionen der rus­si­schen Arbeiter und Bauern (Le azioni rivoluzionarie degli operai e dei contadini russi), Karin Kramer Verlag, 1974.
    (9) Si vedano vari passaggi in Che fare? (1902) e in Un passo avanti e due indietro (1904).
    (10) Courant communiste international; gruppo che pubblica in Francia il mensile Révolution internationale e una rivista teorica trimestrale, La Revue internationale. La CCI diffonde i suoi scritti in variepaesi e varie lingue.
    (11) “Senza teoria rivoluzionaria, nessun movimento rivoluzionario”, in Che fare?
    (12) Si vedano due testi di Pannekoek: “Il gesto personale” e “La distruzione come mezzo di lotta”.
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  10. #10
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    Predefinito Re: Scritti vari (consiliarismo, sinistra comunista, critica radicale e altro)

    Citazione Originariamente Scritto da Marilena Larouge Visualizza Messaggio
    Raccoglierò qui un po' di scritti. Di alcuni articoli condivido molto, di altri poco, di altri ancora magari solo qualche riga, però li reputo tutti interessanti per qualcosa (anche solo per un piccolo spunto).
    Rileggendo mi sono accorta di essere stata un po'...poco precisa . Dicamo che condivido moltissime delle cose scritte dagli autori consiliaristi e della sinistra comunista internazionale critica nei confronti del leninismo (quindi per esempio le prime due cose qui sopra), mentre mi sento molto più distante dalla sinistra comunista italiana perché nasce leninista. Per la critica radicale e le altre cose che pubblicherò dipende da testo a testo. Comunque ci sono anche cose della sinistra comunista italiana interessanti per esempio il Lato Cattivo:

    https://illatocattivo.blogspot.com/

    https://www.sinistrainrete.info/stor...i-ricordi.html
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