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  1. #1
    Avamposto
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    Predefinito Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

    Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra -

    1 gennaio 2000

    Autore: Alfredo Cattabiani







    Non aveva torto Drieu La Rochelle a scrivere prima di morire che le generazioni future si sarebbero chinate incuriosite sui suoi libri per cogliere un suono diverso da quello solito.
    Oggi infatti i giovani si accostano a lui con interesse e con partecipazione perché lo sentono per molti aspetti attuale. Sono passati vent’anni dal suo suicidio; il fascismo appare alla nostra generazione, che aveva otto anni nel 1945, un’immagine nebbiosa, colta sui libri, nelle architetture delle città, nei racconti dei padri o dei fratelli più anziani. Appartiene già alla storia; come Drieu d’altronde che è entrato, dopo un lungo periodo d’anticamera, nella letteratura francese del Novecento. Eppure, leggendo i suoi scritti politici, ci accorgiamo che sono ancora vivi, legati alla nostra realtà, colmi di interrogativi, di speranze e di delusioni.
    Il motivo è che Drieu non era solo un intellettuale fascista, come qualcuno ha voluto etichettarlo un po’ troppo semplicisticamente. È stato uno scrittore che ha creduto di trovare una risposta alle sue domande e alle sue speranze nel fascismo o, meglio, in una certa immagine del fascismo che si era creata. Se non si tiene conto di ciò, si rischia di non capire la sua analisi critica e lucida dei regimi di Mussolini e di Hitler e l’atteggiamento anticonformista che gli attirò le antipatie sia delle destre che delle sinistre.
    Il suo fascismo, malgrado le profonde differenze storiche, affondava le radici in un humus ideologico simile a quello italiano; era infatti erede di quel filone politico di fine ottocento e dei primi anni del Novecento che con Drumont, Barrès, Péguy e Sorel aveva cercato di superare le antinomie «destra-sinistra», «conservazione-rivoluzione» in una visione sintetica e originale.
    Ma l’adesione di Drieu a questa dottrina nasceva da motivazioni ancora più profonde: «Sono diventato fascista – scrisse prima di morire – perché ho misurato i progressi della decadenza. Ho visto nel fascismo il solo mezzo per frenare e arrestare questa decadenza».
    Il nocciolod el suo pensiero è tutto qui. Basterebbe d’altronde leggere qualche suo romanzo per cogliere questo sentimento della decadenza vissuto e sentito in tutta la sua tragicità. Gilles e Drieu non sono due personaggi distinti, uno di fantasia e l’altro di carne, ma un unico uomo che a tentoni, cadendo, rialzandosi, vuole sfuggire a una civiltà sfatta e priva di vigore, cerca una via personale di salvezza e alla fine crede di trovarla in una morte tragica e cosciente.
    Ma dove coglieva Drieu questa decadenza? Nella bruttezza della controciviltà contemporanea, delle sue case, delle fabbriche, degli abiti, nel grigiore e nell’inumanità delle metropoli, nella spersonalizzazione progressiva degli uomini, nella morte del vero amore e nel moltiplicarsi dei vizi più sordidi, quali l’inversione e l’onanismo. Infine nell’impotenza spirituale, nell’incapacità di creare.
    Dinanzi alle architetture e alle pitture medioevali Drieu percepiva invece il senso di una vita umana, sentiva l’equilibrio fra corpo ed anima, vedeva nella forza severa delle chiese gotiche, nello splendore delle sculture, nei colori degli affreschi l’espressione di un mondo in comunione con la natura e con l’universo.
    Il dramma di Drieu era contenuto in questa semplice interrogazione: come frenare e arrestare la decadenza?
    La risposta nacque a poco a poco, durante quindici anni di ricerca di fronte ai nazionalismi suicidi delle nazioni europee e alle contrapposizioni astratte fra socialisti e conservatori. Drieu capiva che quelle ideologie erano vere solo parzialmente, che non coglievano il dramma della nostra epoca. Era attirato da un lato dalle istanze di giustizia della sinistra e dall’altro dal richiamo all’ordine e alle tradizioni della destra. Sentiva che tutti i vecchi valori erano caduti, che bisognava ricostruire sulle rovine.
    Il moto di rinascita doveva nascere, secondo lui, da un’Europa unita, in cui le nazioni trovassero una concordia spirituale e politica capace di ridare forza al vecchoi continente dilaniato da guerre e da rivoluzioni. L’unità significava forza e indipendenza di fronte ai nuovi colossi che stavano sorgendo in America e in Asia. Era una necessità vitale, la condizione necessaria per respirare, per avere la possibilità di ricominciare. Senza l’unità l’Europa sarebbe stata sommersa dai barbari. Per questa ragione Drieu giunse ad accettare, illudendosi, la collaborazione con i tedeschi invasori: era, a parer suo, l’ultima occasione per l’Europa.
    Ma l’unità sarebbe stata una parola vana e senza senso se non fosse stata sostenuta da una tensione spirituale, da una lotta contro la decadenza, contro la follia del mito della produzione e del consumo, contro la speculazione senza freno. Era necessario insomma un ritorno all’ordine, a una dimensione umana della civiltà industriale, a un’armonia fra l’uomo e la macchina.
    Drieu pensò che lo strumento adatto a realizzare tutto ciò fosse il socialismo, anzi il socialismo fascista. Ma – è bene sottolinearlo a scanso di equivoci – il suo socialismo non aveva niente a che fare con quello marxista. Lui stesso specificò in un brano famoso: «Il fascismo è un socialismo riformista… Sia a Roma che a Berlino si sta risvegliando il socialismo non marxista…». Drieu pensava a Proudhon, a Sorel, al Marraus del primo anteguerra, e nello stesso tempo guardava più in là, alla meditazione storica di Nietzsche. Il socialismo di Drieu significava controllo dell’economia, tensione morale e religiosa, ricostituzione di un’élite in senso qualitativo, rispetto dell’uomo e della sua misura più autentica; non conosceva né il mito del Progresso, né quello dell’Utopia della società senza classi, né quello della collettivizzazione dei mezzi di produzione.
    A questa concezione egli rimase fedele tutta la vita, cercando di realizzarla nel suo sogno fascista, restando affascinato per un certo tempo dal totalitarismo tedesco, ma ben presto consapevole dell’errore tragico in cui era caduto.
    Sui tre temi della decadenza, dell’Europa e del socialismo è modulata tutta la meditazione di Drieu, i saggi politici, gli articoli e i romanzi. Le sue scelte furono fatte in funzione di queste tre linee direttive: l’adesione al fascismo, il suo disperato engagement, che per dieci anni, sino alla morte, lo portò ad essere in prima linea sul piano culturale, nasceva da tali esigenze. Le quali oggi, al di là delle scelte contingenti, ci paiono estremamente attuali, vive, parlano a noi giovani in tutta la loro drammaticità.
    Infatti nessuno dei problemi posti da Drieu è stato risolto; trent’anni di storia, una guerra sanguinosa, rivoluzioni, restaurazioni democratiche non hanno cambiato nulla. L’Europa non esiste ancora, le dispute nazionali continuano in nome di ideologie astratte; la contrapposizione «capitalismo-socialismo marxista» lacera ancora molti nostri paesi; il meccanismo della produzione non è stato né limitato né regolato, anzi ha moltiplicato i suoi ingranaggi senza ordine, senza alcuna cura per la persona umana.
    Molti intellettuali stanno scoprendo oggi questa alienazione spirituale della civiltà moderna, di cui aveva parlato lo scrittore francese; i giovani più avvertiti vivono in uno stato di insoddisfazione spesso inconsapevole, rifiutano l’inserimento, oppure si perdono in ribellioni velleitarie incapaci di liberarli. Drieu parla a tutti costoro; la sua interrogazione appassionata, colma di dolore e di speranza, di generosità e di virilità, risuona estremamente attuale. È un grido simle a quelli di Bernanos, di Saint-Exupéry, di Céline, uomini provenienti da schieramenti politici diversi, ma accomunati da una sola e fondamentale preoccupazione: rendere all’uomo una dimensione umana. Il fascismo degli uni e l’antifascismo degli altri non ci interessa in questa sede, non si tocca: si tratta di una scelta contingente, passionale, legata a un dato periodo. Ciò che interessa a noi è la concezione della vita che ha diretto questi uomini, i quali hanno combattuto da una parte e dall’altra della barricata.
    Quanto a Drieu, il suo errore fu di credere che il nazismo tedesco fosse capace di superare il nazionalismo, di porsi su un piano europeo, di creare una nuova civiltà. Sottovalutò i pericoli del totalitarismo che lui scambiava erroneamente con il concetto di una società organica e unitaria, molto diversa da quella che Hitler voleva costruire. Credette per un certo periodo di tempo che alcuni intellettuali tedeschi, come Otto Abetz o Ernst Jünger ad esempio, rappresentassero la parte più autentica del regime tedesco.
    Ma, a differenza di molti altri, volle pagare sino in fondo, dimostrare che anche oggi le parole possono essere scritte «con il sangue e non solo con l’inchiostro». Sarebbe stato facile per lui fuggire in Svizzera, starsene tranquillo, ritornare in patria dopo qualche anno. No. Sarebbe stato troppo facile, troppo moderno. Drieu, che aveva predicato per tutta la vita il senso di responsabilità e la necessità di un impegno personale, non poteva fuggire.
    «Ho perduto, esigo la morte», sono le ultime parole vergate nervosamente su un pezzo di carta prima di suicidarsi.

    * * *
    (Il presente scritto costituisce la Prefazione a Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo, Fascismo, Europa. Scritti politici scelti e presentati da Jean Mabire, Volpe, Roma 1964, pp. 15-19).




    Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra | Alfredo Cattabiani

  2. #2
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

    Povera Europa -

    1 gennaio 2000


    Autore: Pierre Drieu La Rochelle














    Povera Europa, ti abbandoni ai quattro venti del tuo disastro.
    Vento asiatico, vento slavo, vento ebraico, vento americano.
    E non lo sai. Sarai morta senza saperlo.
    Questo perchè non hai coscienza di te, o hai perso questa coscienza, o non l’hai ritrovata. Hai avuto una coscienza, ma ne hai perso man mano gli strumenti.
    Coscienza cristiana: coscienza per il papato, la Chiesa, i grandi ordini.
    Coscienza per l’espansione franca, per l’espansione germanica, per la feudalità, per l’Impero.
    Coscienza per l’arte francese, l’arte italiana, ancora l’arte francese, l’arte tedesca, l’arte inglese. Coscienza per i Rinascimenti, la Riforma, la Rivoluzione.
    Coscienza per la filosofia, la scienza.
    Coscienza per la monarchia, l’aristocrazia, la borghesia, il proletariato.
    Coscienza per il socialismo.
    Coscienza per la sofferenza del 1914-1918, coscienza per Ginevra. Coscienza per il fascismo e l’antifascismo, il comunismo e l’anticomunismo.
    Non hai ancora acquisito la tua nuova coscienza per l’internazionale delle nazioni, per la federazione delle tue potenze grandi e piccole che eleggevano un’egemonia per l’unità del tuo socialismo. E, senza dubbio, l’acquisirai troppo tardi.
    Europa, tu che non sei un Impero, sei invasa da due Imperi.
    Quello russo e quello americano.
    Questi due Imperi vogliono la tua sconfitta e tu non lo sai.
    Addirittura, ti presti al gioco di questi imperi tramite le tue forze disgiunte.
    Molti europei sono partigiani dell’Impero russo e molti sono partigiani dell’Impero americano. Essi chiamano, con tutta la loro voce, lo spiegamento e l’esplosione della forza russa e della forza americana sull’Europa. Essi si rallegrano quando le orde asiatiche e slave entrano in Europa, nelle tue provincie di Romania e di Polonia, quando le flotte americane bombardano la patria delle tue patrie: l’Italia, dove, dopo lustri di decadimento, conservavi una delle tue più preziose e antiche immagini in quasi completa integrità fisica.
    Già dal 1941 una delle tue isole avanzate, l’Irlanda, era calpestata dagli americani e tu non te non te n’eri preoccupata.
    L’impero britannico era, nel mondo, una presenza dell’Europa (una compensazione al decentramento, alla stravaganza dell’Inghilterra fuori dall’Europa). Ora questo Impero è subordinato in maniera umiliante agli Imperi americano e russo.
    In America esso ha perduto quasi tutto ciò che vi aveva, in un certo senso in nome dell’Europa. E’ una sconfitta e una umiliazione europea il fatto che le isole inglesi della costa americana siano occupate dalle guarnigioni americane; c’è da aggiungere che il Canada scivola nella versatilità americana.
    Risulta una minaccia per l’influenza europea nel mondo il fatto che le repubbliche sud-americane, così legate all’Europa, si pieghino sotto il giogo americano l’una dopo l’altra, e che anche l’Intelligence Service sia costretto, causa quel giogo, ad intrighi deboli e nascosti contro lo sbarco yankee.
    Stessa situazione nel Pacifico e in Asia, dove ciò che l’Inghilterra non ha ceduto ai giapponesi o ai cinesi, deve abbandonarlo alle iniziative difensive e offensive degli americani.
    Ed ecco che l’Inghilterra deve dividere con la Russia e con l’America anche l’Africa, il Vicino e il Medio-Oriente.
    Si può dire la stessa cosa per l’Impero francese, per l’Impero portoghese, per l’Impero spagnolo, per l’Impero olandese.
    E più di tutti gli altri europei, gli Inglesi fanno i furieri degli Americani e dei Russi. Le isole britanniche, infatti, dopo Guglielmo il conquistatore sono affolltate da milioni di americani ignoranti e sprezzanti. L’Inghilterra è occupata dagli extra-europei ancor prima che lo sia tutta l’Europa.
    Se l’Inghilterra è terribilmente colpevole contro l’Europa, anche la Germania lo è. Abbandonando il proprio impero, l’Inghilterra abbandona i suoi beni, i possedimenti e i prestigi dell’Europa all’estero, scatena la doppia invasione della Russia e dell’America; d’altro canto, la Germania impedisce alle comunità europee di confederarsi intorno ad essa, non sapendo oltrepassare il suo nazionalismo, il suo imperialismo, non sapendo trasformare la sua rivoluzione particolare in una rivoluzione universale, non sapendo eliminare tutti gli elementi arretrati che veicola ancora in sè: essa, pura forza socialista, brucia sull’altare della patria europea. Nel 1940 la Germania non ha capito il proprio compito, l’ha solo presentito oscuramente: ha pronunciato la parola Europa senza mettervi niente di più di un vago fremito istintivo.
    Assorbito dalla sua giusta visione del pericolo russo, il preveggente Hitler ha sempre agito con saggezza in funzione di questo pericolo.
    Ma non ha capito che i gesti da lui compiuti fuori della Russia non potevano non essere scorti dagli interessati nel loro rapporto con quel pericolo ignorato, nato in una vasta zona dell’Europa.
    Credeva che le “occupazioni” fossero solo una tappa verso qualcos’altro, verso la ripresa della marcia ad Est, forse solo parate secondarie e acessorie rispetto a quel movimento essenziale. Ma esse non sono state considerate tali dagli interessati, i quali vi hanno visto solo il preludio a volgari conquiste.
    Abbiamo dunque una serie di territori occupati che si ritengono gli elementi virtuali di un accatastamento imperialista; non si può trasformarli nelle trasposizioni viventi di una dichiarazione scritta, volontariamente orientate verso una egemonia elettiva, se non si spande ovunque un soffio comune, un movimento comune, che coordinino in una azione e in una speranza comuni gli abitanti sconcertati di questi territori.
    A queste popolazioni, le quali in quanto occupate si considerano in procinto di essere conquistate, non si può chiedere di offrire operai e soldati se non si propone loro al tempo stesso un impegno interiore. Impegno che, essendo simultaneamente interiore ad ogni popolo d’Europa, si riveli comune a tutta l’Europa.
    Le genti di Polonia e di Bretagna, di Norvegia e di Grecia non possono aver voglia di difendere l’unione dei loro paesi in quanto Europa, a meno che non si dia loro qualcosa di nuovo da difendere; qualcosa che in quanto europei, li sta ora interessando.
    L’Europa non può interessarsi a se stessa come un ricordo da resuscitare, un ricordo ignorato dalla maggioranza; si può interessare solo ad un nuovo impegno, il quale potrà renderle tangibile la sua esistenza, che questa inizi o che ricominci.
    Può capire la guerra esteriore solo nelle opere di una guerra interiore; può capire una guerra contro il comunismo solo nella realizzazione della guerra socialista.
    La Germania poteva suscitare l’interesse dei popoli alla sua presenza, permettere loro di vederla sotto una angolazione diversa da quella dell’occupante, solo facendo di questa presenza una presenza rivoluzionaria. I Tedeschi non interessano in quanto Tedeschi, non più degli Inglesi, Americani o Russi; ciò che interessa è quello che gli uni e gli altri possono apportare. Gli uni il comunismo, gli altri la democrazia capitalista; i tedeschi dovevano imporre il socialismo.
    Ogni occupazione tedesca doveva trasformarsi in una rivoluzione nazionale; sarebbe stata una palpitazione della rivoluzione europea.
    Inizialmente i popoli sono rimasti delusi dalle occupazioni tedesche, proprio perchè sono sdtate delle occupazioni; ci si rassegnava nel bene o nel male; ci si rassegnava ad essere rovesciati.
    C’era un’invocazionein quel terrore che, nel 1940, aveva preceduto l’arrivo delle armate tedesche: si credeva che fossero delle armate rivoluzionarie, più rudi, ma al tempo stesso più innovatrici.
    Purtroppo non è successo niente: erano solo armate d’altri tempi e, in un primo momento, solo più gentili di quelle.
    Dapprima sono apparse rassicuranti; poi si è iniziato a dare voce alle lagnanze, divenute sempre maggiori. Avremmo preferito essere più scossi all’inizio, sconvolti.
    Si è trattato solo di una occupazione militare la quale, contro le varie difficoltà, ha potuto reagire solo con i mezzi militari e, poi, polizieschi. Non abbiamo conosciuto il nazionalsocialismo, abbiamo conosciuto solo gli eserciti e la polizia. Non abbiamo conosciuto il contenuto della Germania hitleriana, ma solo i suoi strumenti esteriori.
    La Germania ha voluto rispettare l’antica convenzione delle autonomie, delle sovranità nazionali. Allora ha dovuto impiegare i mezzi, non meno convenzionali di quelli che si usavano in passato, per circuire e assediare queste autonomie: mezzi di pressione diplomatici, finanziari, economici, militari, politici.
    Ma c’era bisogno dei mezzi più nuovi, più rispettosi, più vitali della conquista rivoluzionaria.
    Fare appello alle grandi alleanze intime, dirette, tra il genio del popolo tedesco e il genio degli altri popoli, tra le forze rivoluzionarie di Germania e di altre nazioni. Per poggiare l’egemonia militare sulla federazione delle rivoluzioni.
    E’ ciò che, invano, avevano cercato di fare gli Anglo-americani; è ciò che, di sicuro, faranno i Russi.
    Gli Americani hanno dei veri alleati: i democratici; i Russi hanno i comunisti; i Tedeschi non hanno riconosciuto i loro alleati naturali, i socialisti europei.
    Ma questi, pochi all’inizio, potevano sviluppare le loro forze solo in un clima di tumulto generale, di convergenze ardenti.
    La Germania ha avuto paura. Temendo per la coesione e l’efficacia del suo esercito, la Germania ha avuto paura di farne un’arma rivoluzionaria; ma i soli eserciti che hanno fatto storia nel mondo sono stati quelli delle rivoluzioni armate.
    La Germania ha avuto paura di cessare di essere se stessa per divenire l’Europa; la sua aquila non è divenuta una fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri.
    E’ dunque troppo tardi? La comunità delle sofferenze per i massacri russi e americani, gli incendi, le rovine,: tutto ciò va forse a confondere occupanti e occupati, conquistatori e conquistati, difensori e difesi? Ci sono ancora frontiere, in Europa, per i nugoli di aerei americani, per le orde asiatiche? Ci sono ancora dogane tra le folle ridotte alla miseria? Può esserci forse una bandiera diversa da quella rossa, sulla superficie di un continente interamente ridotto al socialismo marxista, volente o nolente? Chi mai potrà risollevare l’Europa dalle rovine, se non il socialismo? Non saranno certo le banche o i trusts.
    Ora è tempo che i Tedeschi non solo proclamino, ma realizzino il socialismo europeo sulle rovine dell’Europa. Perché, in mezzo a queste rovine, c’è ancora la nostra anima da difendere.
    Il momento peggiore è quello migliore.
    Le trasmutazioni sociali decisive si compiono in piena guerra.
    E’ stato in piena guerra che l’Inghilterra puritana, la Germania luterana, la Francia giacobina e la Russia leninista, hanno compiuto i passi decisivi nella lotta all’interno.
    E’ in piena guerra, quando i russi avanzano, che bisogna compiere i gesti decisamente europei e socialisti.


    (Maggio 1944)



    Povera Europa | Pierre Drieu La Rochelle

  3. #3
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra




    Le radici giacobine dei totalitarismi


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    Dal Diario 1939-1945 di Pierre Drieu La Rochelle si evince la complessità e la finezza del pensiero politico dello scrittore francese, audace interprete di una geopolitica trasversale ancor oggi attualissima.
    Proprio nel Journal, Drieu La Rochelle si lamenta del rifiuto da parte della Revue de Paris di pubblicare un suo contributo sulle comuni origini giacobine di nazismo, stalinismo e fascismo.
    Le radici giacobine dei totalitarismi presenta un Drieu La Rochelle per molti aspetti insolito ed insospettato antifascista, come sottolinea Calogero Carlo Lo Re, curatore dell’edizione italiana. In ogni caso, un Drieu La Rochelle sempre inviso ai reazionari e radicalmente antiborghese, intelligentemente anticonformista ed anticonservatore, grande intellettuale nel contempo di destra e di sinistra.



    Presentazione di Carlo lo Re

    Per ben inquadrare nel corpus del pensiero di Pierre Drieu La Rochelle (1893-1945) le riflessioni sulla comune genesi giacobina di nazismo, fascismo e comunismo che qui presentiamo occorre a nostro avviso necessariamente rifarsi alle pagine politiche del diario (1) dello scrittore transalpino. Se Gilles (2) è il capolavoro letterario di Drieu La Rochelle, il Diario 1939-1945 rappresenta senza dubbio il punto più alto del suo lavoro d’analisi della realtà politica, l’occasione per addentrarsi nel percorso e esistenziale e speculativo dello scrittore francese, percorso ben difficile da comprendere se non considerando come unità inscindibile vita, arte, esperienze politiche.
    Alle prese col Journal, la prima domanda che è ragionevole porsi riguarda il perché della scelta di Drieu La Rochelle di scrivere un diario, forma espressiva che il francese non apprezzò mai eccessivamente. Nella lunga ma essenziale introduzione Julien Hervier — l’“intervistatore” di Ernst Jünger (3) — avanza l’ipotesi che il diario rappresenti l’ideale continuazione di Gilles, nel quale viene ricapitolata l’esistenza dello scrittore fino a poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il diario rappresenterebbe quindi il tentativo di non disperdere le proprie sensazioni di fronte alla guerra in attesa del ritorno dell’ispirazione necessaria a scrivere un romanzo di levatura pari al capolavoro.
    Fermo restando che anche nel Diario siamo in presenza di una cifra artistica altissima, impiegata per descrivere la disperante quotidianità e le più ardite architetture geopolitiche, la meschinità dell’ambiente collaborazionista e le pagine definitive della filosofia politica dell’autore, gli orrori della guerra e le avventure galanti, anche e soprattutto queste centrali per comprendere il pensiero di Drieu La Rochelle nel suo complesso. Perché anche al lettore più disattento non sfuggirà il grande spazio che in quegli schizzi di memoria Drieu La Rochelle dà alla descrizione minuziosa delle presenze femminili nella sua vita (ed intelligentemente Hervier dedica quasi metà dell’introduzione ad analizzare i rapporti di Drieu con le sue mille donne).
    Ma perché la donna è il “pensiero dominante” dello scrittore francese? Forse il ruolo delle donne e della sessualità nella vita di Drieu La Rochelle si può comprendere se — facendo uno sforzo di onestà umana ed intellettuale — si considera che l’uomo è fondamentalmente desiderio di Infinito, di Eterno e che la donna è in terra un surrogato di Dio, ciò che più ci appare simile all’Assoluto. Solo così si può spiegare la turbinosa vita sentimentale di Drieu La Rochelle, che in gioventù si congedava dall’amante per recarsi subito dopo al bordello (afferma Emil Cioran che l’uomo suona alla porta del postribolo perché cerca Dio).
    Ma amaramente nota Hervier come l’ultima parola spetti sempre alla solitudine. E, del resto, Drieu dà tragica testimonianza — specie nella vicenda del cancro mortale di Emma Besnard — dell’incapacità di non tradire come marchio indelebile della pulce umana, incapacità di non tradire che lo scrittore francese — nel suo pessimismo a volte del tutto simile al realismo tragico di Céline — senza dubbio individuava come ulteriore prova dell’abisso di fango dell’umano cammino.
    Fermiamoci un momento a considerare che cosa realmente significhi la debolezza del francese: siamo così piccoli ed impotenti da non riuscire ad essere fedeli neanche a ciò che amiamo di più, neanche alla donna amata che muore di cancro. Un abisso che porterà Drieu La Rochelle al suicidio, perché egli non si suicidò certo per la sconfitta politica — nessuno mai si ucciderebbe per un motivo “politico” — ma per l’insopportabilità di una condizione vertiginosa, di una domanda che ormai lo schiacciava. Ed ancora una volta ha ragione Hervier quando afferma che tutto il Diario appare come un lento avvicinamento alla morte, vista sempre in una dimensione se non cristiana, di sicuro profondamente religiosa.
    Ma di certo il Diario è centrale nella produzione di Drieu La Rochelle soprattutto per le considerazioni politiche che contiene — di acutezza anche maggiore di quelle del celebre saggio Socialismo fascista (4) — è «una testimonianza di un intellettuale francese sui grandi eventi contemporanei [...] che si svolge sullo sfondo di una civiltà colta nel momento del suo crollo» (5), una testimonianza che alle soglie del terzo millennio può essere ancora utile per comprendere il reale. Di grande attualità sono i taglienti giudizi sul liberalismo, la sua condanna del borghese ottimismo uma-nistico-positivista che in questo Novecento si è andato furiosamente a contrapporre al realismo di chi è certo che il dato preponderante dell’umana avventura è il dolore (Céline docet).
    La critica alla liberaldemocrazia, l’idea di un’Europa federale, la delusione per la Germania che osteggia i pochi fascisti francesi, il disprezzo per il regime di Vichy considerato la roccaforte della destra conservatrice e reazionaria, la contemplazione della decadenza europea, il meditato e sofferto passaggio dal fascismo al comunismo sono i cardini della riflessione politica di Pierre Drieu La Rochelle, che non “tentenna confusamente” — come è parso ad alcuni — fra le due grandi ideologie, ma semplicemente crede di scorgere fra esse un profondo trait d’union, portando alle più radicali conseguenze quelle che individua come loro comuni premesse hegeliane e socialiste.
    L’ammirazione per Stalin e per i russi non è dovuta al desiderio di saltare sul carro del vincitore, non è sintomo di debolezza. In Drieu quella che potremmo definire l’alternanza dell’adesione al fascismo e al comunismo scaturisce sì dalla delusione per l’esperienza fascista italiana (6), ma soprattutto nasce dal rapporto che egli crede intercorra fra le due ideo-logie, agli occhi di molti pensatori della sua generazione quasi intercambiabili («I comunisti sono sempre stati attratti dal fascismo, hanno sempre favorito il suo trionfo sulla democrazia. Il comunismo in Europa è un fratello maggiore del fascismo, un fratello meno fortunato» (7), scriveva il 14 marzo 1940).
    Ma neanche l’adesione al comunismo smuoverà il pessimismo dello scrittore, per il quale chiunque avesse vinto la guerra non sarebbe stato in grado di salvare l’uomo moderno dalla decadenza: «Nell’Europa di domani, che sia fascista, comunista o entrambe le cose [...] lo spirito in piena decadenza, irrimediabilmente labile, ormai non può che produrre altro che deboli mostri» (8).

    Ma un altro dato significativo del pensiero di Drieu La Rochelle emerge dalla lettura del Diario, un dato con il quale non possiamo esimerci dal fare i conti: il viscerale antisemitismo dello scrittore francese, un antisemitismo purtroppo realmente sentito, non una finzione antiborghese come quello di Céline. Certamente Drieu era all’oscuro dell’Olocausto, non immaginava nemmeno l’orrore dei campi di sterminio, ma questo non può certo giustificare le troppe sciocchezze scritte sugli ebrei. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che l’antisemitismo pre-Olocausto fosse “solo” un’antipatica posa intellettuale da tanti assunta, ma in realtà poco incidente. Si potrebbe anche leggere negli scritti di taluni autori del primo Novecento la parola “ebrei” come sinonimo di borghesi (ipotesi questa a nostro avviso entro certi limiti lecita nel caso di Céline). Si potrebbero tentare siffatte operazioni, ma invano dopo la lezione di Theodor W. Adorno, che — in Minima Moralia— ha chiaramente mostrato come l’antisemitismo consista proprio nell’insieme dei piccoli pregiudizi, degli odiosi luoghi comuni sugli ebrei e come proprio da simili preconcetti si sia potuta evolvere la più atroce pagina della storia umana.
    Peccato per Drieu La Rochelle, ma il suo antise-mitismo, che forse era davvero “soltanto” un odioso vezzo, resta come macchia indelebile sulla figura di uno dei più lucidi pensatori politici del secolo.

    Il breve saggio che qui presentiamo — saggio al quale abbiamo dato il titolo di Le radici giacobine dei totalitarismi. Bolscevismo, Nazismo e Fascismo (9) — sviluppa un versante, quello storico-genealogico per così dire, dell’idea, dominante nel Journal, della stretta familiarità che Drieu La Rochelle individua fra i totalitarismi protagonisti della prima metà del XX secolo.
    Scritto nell’autunno del 1939, l’intervento — del cui manoscritto originale non si hanno più tracce — fu rifiutato dalla Revue de Paris (10) e dovette attendere quasi trent’anni per vedere la luce, inserito da Grasset nell’edizione del 1964 di Mesure de la France.
    Nell’agosto del ’34 Drieu scriveva: «Al fascismo importa soprattutto la rivoluzione sociale, il cammino lento, difficile, sconvolgente, sottile, secondo le possibilità europee, verso il socialismo. Se esistessero ancora dei difensori coscienti e sistematici del capitalismo, potrebbero accusare il fascismo di servirsi del ricatto nazionalista per imporre il controllo dello Stato sull’economia [...] Non solo il nazionalismo è un pretesto, ma è anche una semplice tappa dell’evoluzione socialista del fascismo» (11).
    A prescindere dalla valutazione complessiva che in tutta la sua opera Drieu La Rochelle dà dell’esperienza fascista — valutazione nel merito della quale in questa sede preferiamo non entrare — è singolare che il pensatore francese consideri il socialismo come il fine da raggiungere per garantire una umana convivenza fondata sulla Giustizia. In tale posizione non è peregrino individuare la traccia originaria del cammino che lo porterà all’adesione al comunismo, progressione minuziosamente testimoniata nel Journal.
    Le radici giacobine dei totalitarismi non è affatto un testo tenero con il fascismo, anzi lo si potrebbe definire un testo addirittura antifascista. Nell’articolo vengono accumunate le esperienze fasciste, naziste e sovietiche non solo — come in altre pagine dell’autore transalpino — in base a presupposti ideologici, ma soprattutto in base all’utilizzo del metodo giacobino di gestione del potere comune ai regimi totalitari. Anche se, è ovvio, «non si possono comprendere somiglianze di struttura così precise se non attraverso somiglianze di principi (12) [...] l’identità del contenuto è com-parabile a quella del contenente» (13).
    Fascismo e nazismo avversavano radicalmente l’89 ed i suoi principi e la ricostruzione di quella che l’autore definisce la filiazione giacobina di comunisti, nazisti e fascisti non poteva non scandalizzare i reazionari al potere nella Francia di Vichy, quei conservatori che tanto nettamente rifiutarono le sue idee e la sua “collaborazione”.
    E del resto anche molti osservatori neutrali contestano come disastrose per la vita di Drieu La Rochelle le sue audaci analisi, la sua posizione di confine fra destra e sinistra estreme. Scrive Giuseppe Tedeschi nell’introduzione italiana di Gilles: «Fu rovinato dalle interpretazioni politiche, dall’oscillare tra nazionalismo e comunismo e dall’infatuazione per tutte le correnti sciovinistiche europee, nazismo, fascismo, falangismo, delle quali diventò difensore e teorico, più di Charles Maurras (14), più di Céline (15), con Robert Brasillach (16) e Lucian Rebatet (17), con Alphonse de Chàteaubriant (18) e Abel Bonnard (19). Vi si buttò anima e corpo, voleva una Francia grande, che utopia [...] Certamente questi non sono piccoli errori per uno scrittore. Perché li ha commessi, per opportunismo, o per fede? Per arrivismo, vitalismo e facilità di vita o per idealismo? Egli ha fatto intendere che forse si occupò di politica giusto per fare qualcosa. Certamente ha fatto parte di un periodo del ’900 tra i più disperati e assurdi della storia del suo paese, con un gruppo di uomini morti tutti in circostanze altrettanto disperate e assurde [...] Un periodo folle e tutti questi uomini atrocemente innestati in esso» (20).
    Certo un periodo folle, nel quale Drieu La Rochelle si è distinto come «uno dei più intelligenti, forse il più affascinante scrittore [...] la storia di Drieu è [...] esemplare: è l’artista (e che artista, basterebbero le pagine sulla morte volontaria a salvarlo) che viene sopraffatto dalle cose del mondo, da quella realtà che tenta di rappresentare, di spiegare e interpretare» (21).
    Sopraffatto da quella realtà che tenta di interpretare. Più di ogni altro giudizio espresso sul pensatore transalpino, questa felice sintesi di Carlo Bo fornisce un quadro fedele di Pierre Drieu La Rochelle, la cui filosofia politica può apparire complessa perché la storia del Novecento è enormemente complessa, le cui analisi possono apparire contraddittorie perché spietatamente contraddittoria era la realtà dei suoi anni.
    Non esula da tali considerazioni questo Le radici giacobine dei totalitarismi, testo che scava nelle contraddizioni dottrinarie del fascismo con la lucida volontà di provocazione che in Drieu sempre si accompagnò all’amore per la ricerca storica.
    Come previsto dall’autore la pubblicazione di Le radici giacobine dei totalitarismi fu rifiutata dall’establishment reazionario di Vichy. Quasi settant’anni dopo, l’articolo viene presentato al lettore italiano come testimonianza di un pensiero politico — quello di Drieu La Rochelle appunto — audace ed impulsivo eppur dolorosamente meditato, al contempo idealista e realista, al contempo rosso e nero.

    Calogero Carlo Lo Re





    NOTE

    1) Pierre Drieu La Rochelle, Journal 1939-1945, Gallimard, Paris, 1992 (trad. it., Diario 1939-1945, Il Mulino, Bologna, 1995).
    2) Pierre Drieu La Rochelle, Gilles, Gallimard, Paris, 1939 (trad. it., Gilles, Sugar, Milano, 1961).
    3) Cfr. Julien Hervier, Entretiens avec Ernst Jünger, Gallimard, Paris, 1986 (trad. it., Conversazioni con Ernst Jünger, Guanda, Parma, 1987).
    4) Cfr. Pierre Drieu La Rochelle, Socialisme fasciste, Gallimard, Paris, 1934 (trad. it., Socialismo fascista, Edizioni Generali Europee, Roma, 1973). Cfr. anche Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo, fascismo, Europa, Volpe, Roma, 1964.
    5) Julien Hervier, Introduzione a Pierre Drieu La Rochelle, Diario 1939-1945, cit., p. 34.
    6) «Il conservatorismo borghese ha corrotto il fascismo dall’interno. I marxisti avevano ragione: il fascismo in fondo non è stato che una difesa borghese. L’amara, cruenta consolazione di uomini come me consiste nel pensare che, senza il fascismo, la borghesia perirà. Adesso (e questo è vero da un anno) tutti i miei voti sono per il comunismo. Qualsiasi cosa purché la borghesia perisca» (Pierre Drieu La Rochelle, Diario 1939-1945, cit., p. 353, 27 luglio 1943).
    7) Ibidem, p. 156.
    8) Ibidem, p. 103.
    9) D’ora in avanti sinteticamente indicato come Le radici giacobine dei totalitarismi.
    10) «Thiébault alla Revue de Paris rifiuta un articolo in cui dimostro la filiazione giacobina dei comunisti e dei fascisti. Ha paura di urtare la suscettibilità degli ambienti ufficiali», si lamenta Drieu nel Diario il 19 ottobre del 1939 (Ibidem, p. 98).
    11) Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo fascista, cit., p. 217.
    12) Corsivi nostri.
    13) Infra, p. 41.
    14) Charles Maurras (1868-1952), uomo politico francese, monarchico nazionalista e conservatore. Nel novembre del 1898 fonda l’Action Française. Autore di Mes idées politiques, Fayard, Mesnil sur Eure, 1937 (trad. it., Le mie idee politiche, Volpe, Roma, 1970).
    15) Louis-Ferdinand Destouches, detto Céline (1894-1961), anarchico, di professione medico, probabilmente il più grande scrittore del Novecento. Fra i suoi capolavori Voyage au bout de la nuit, Denoël, Paris, 1932 (trad. it.,Viaggio al termine della notte, Corbaccio, Milano, 1933-1992), e Mort à crédit, Denoël, Paris, 1936 (trad. it., Morte a credito, Garzanti, Milano, 1964-1992).
    16) Robert Brasillach (1909-1945), scrittore francese fascista, autore del romanzo Les sept couleurs, Librairie Plon, Paris, 1939 (trad. it., I sette colori, Edizioni del Borghese, Milano, 1966). Più che dall’ideologia, fu attratto dall’estetica e dall’ottimismo vitalistico del fascismo. Al termine della Seconda Guerra Mondiale fu condannato a morte come collaborazionista e giustiziato.
    17) Lucien Rebatet (1903-1972), scrittore francese fascista. Come collaborazionista fu condannato a morte e successivamente graziato. Autore di Les Décombres, Denoël, Paris, 1942.
    18) Alphonse de Chàteaubriant (1877-1951), scrittore francese cattolico e nazista, autore di La Gerbe des Forces. Nouvelle Allemagne, Grasset, Paris, 1936 (trad. it., Il fascio di forze. La nuova Germania, Akropolis/La Roccia di Erec, Firenze, 1991). Dopo la caduta del nazismo fu condannato a morte in contumacia e fuggì in esilio in Tirolo, nei pressi di Kitzbühel, dove rimase fino alla morte.
    19) Abel Bonnard (1883-1968), poeta e scrittore francese, monarchico, vicino all’Action Française ed al Partito Popolare Francese di Jacques Doriot, ministro dell’educazione nazionale sotto il governo collaborazionista di Vichy. Condannato a morte in contumacia, dopo la guerra trovò rifugio nella Spagna franchista. Autore di Les Modérés, Grasset, Paris, 1936 (trad. it., I moderati, Volpe, Roma, 1967).
    20) Giuseppe Tedeschi, Pierre Drieu La Rochelle, Introduzione a Pierre Drieu La Rochelle, Gilles, cit., p. XI.
    21) Carlo Bo su La Stampa del 3 agosto 1961, in ibidem, p. XII.



    http://www.parodos.it/books/storia/p...a_rochelle.htm
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  4. #4
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    Drieu La Rochelle: “Révolution nationale” (1944)










    Nel procedere incessantemente nell’opera di ricerca di approfondimento del pensiero socialista nazionale, oggi desidero proporvi due articoli del valente scrittore e giornalista Pierre Drieu La Rochelle, tratti da “Révolution nationale” composti nel 1944.

    Addentriamoci ora nei suoi scritti per assaporare il senso di libertà delle sue argomentazioni e di analisi schietta e diretta; elementi caratteristici di una mente che riesce a spaziare negli eventi di allora senza essere vittima, come lo sono purtroppo molti scrittori e giornalisti di oggi, di preconcetti propagandistici.

    Wids72



    “Hitler è meglio di Churchill”

    “Ciò che mi lascia basito degli Alleati non è tanto l’affiliazione degli Inglesi e degli Americani ai Russi, quanto quella solamente apparente dei Russi ai primi. Stalin che stringe la mano a questi vecchi ipocriti biblici, Churchill e Roosvelt, che scandalo! Non sono i fiotti di sangue fatti colare sui tedeschi e gli altri popoli d’Europa, non sono i fiotti di sangue che rimprovero a Stalin, a Churcill, a Roosvelt e a Hitler.

    I fiotti scorrono ovunque. Gli Inglesi hanno sparso il sangue degli Irlandesi e degli Indiani per secoli. Sul conto degli inglesi aggiungo il milione e settecento morti della guerra del 1914, i centomila morti provocati dalla loro ritirata nel 1939 e tutti i morti dei bombardamenti e della Resistenza.

    Ma non è per questo che sono contro gli Inglesi. Mio nonno trovava del tutto naturale che a Versailles si fossero sgozzati ventimila comunardi. E mio padre, leggendo il giornale, esclamava: “Nessuna pietà per i marocchini”. E lo stesso vale per gli Americani che hanno fondato l’America sul sangue degli indiani e dei neri. Semplicemente penso che i Russi e gli Americani siano troppo lontani dall’Europa per poterla costruire. Allora preferisco Hitler. Che non è così male. E poi è uno contro tre.”



    Sempre da Révolution nationale (1944)…

    “Così gli anglosassoni stanno distruggendo l’Europa”

    “Dinanzi all’infantile politica di Vichy, amo ancora di più la politica gollista. Questa in un primo momento stringe le nostre catene a una potenza nordica, l’Inghilterra, poi a una seconda potenza nordica, l’America, poi a una terza potenza nordica, la Russia. Combatte insomma una potenza nordica, la Germania, tramite altre potenze nordiche. E prendendo coscienza a Londra, e ancora meglio ad Algeri, della pressione Inglese – che tutto sommato non è così diversa da quella tedesca – de Gaulle prova a comporre le influenze nordiche tra loro. Un giorno si è più americanofili che anglofili, un altro più russofili; e poi, delusi anche da questo, si fa ritorno all’anglofilia.

    Ma almeno in tutto questo andirivieni si ritrova qualcosa di solido. Sia i collaboratori gollisti sia i collaboratori germanofili si muovono nell’opulenta sfera delle influenze nordiche, e non come fanno certi attendisti nella nubi marsigliesi. Noi almeno siamo d’accordo su questo. Ma chi sono i nemici giurati dei Latini? Il mondo anglosassone. Gli inglesi e gli americani, nel corso degli ultimi secoli hanno inflitto disfatte su disfatte ai diversi latini, in Europa e altrove. Gli anglosassoni vogliono oggi completare questa pulizia dell’Atlantico di cui i Latini sono sempre stati vittime. La parola d’ordine: mai più un Latino, vale a dire un Europeo, nelle acque e nelle isole atlantiche. Ma basterà tutto questo?

    Agli Americani non sono sufficienti tutte le basi intermediarie dell’oceano. Hanno bisogno anche dell’altro lato dell’Atlantico. Non si può approfittare fino in fondo di un oceano se non nel momento in cui si chiude e diventa un grande lago. In questo consiste l’eterno imperialismo talassocratico degli anglosassoni. E tutto questo getterà il generale Charles de Gaulle in un isolamento insondabile.”



    Drieu La Rochelle: “Révolution nationale” (1944) « C.S. CURSUS HONORUM

  5. #5
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    Drieu La Rochelle [Incise sulla pietra]


    Noi siamo uomini d’ oggi.
    Noi siamo soli.
    Non abbiamo più dei.
    Non abbiamo più idee.
    Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx.
    Bisogna che immediatamente,
    subito,
    in questo stesso attimo,
    costruiamo la torre
    della nostra disperazione e del nostro orgoglio.
    Con il sudore ed il sangue di tutte le classi
    dobbiamo costruire una patria
    come non si è mai vista;
    compatta come un blocco d’ acciaio,
    come una calamita.
    Tutta la limatura d’ Europa
    vi si aggregherà per amore o per forza.
    E allora davanti al blocco della nostra Europa,
    l’ Asia, l’ America e l’ Africa
    diventeranno polvere.



    (Pierre Drieu La Rochelle)

  6. #6
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  7. #7
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    Pierre Drieu La Rochelle

    Romanziere, drammaturgo, saggista francese (Parigi, 1893 - id., 1945 ).










    Cresciuto in una famiglia della piccola borghesia segnata dalle liti dei genitori e da problemi economici, Drieu La Rochelle espresse, in Mesure de la France (1922), lo smarrimento dei giovani francesi nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, nella quale fu ferito tre volte; ne La comèdie de Charleroi (1934), la sua evocazione di quel grande massacro e l'estrinsecazione della sua difficoltà a trovarvi un senso, richiamano le interrogazioni di Céline nel Viaggio al termine della notte.

    Legato a Louis Aragon, Drieu La Rochelle aderì inizialmente al movimento dada, non riuscendo ad integrarvisi. Fu affascinato dall'azione, movenza interiore che tratteggiò ne L'uomo pieno di donne (1925) ed in Gilles (1939), resoconto delle sue avventure amorose dove tuttavia si assegna un ruolo maldestro, quello di un don Giovanni di debole carattere.
    Lo slittamento verso l’estrema destra



    La Rochelle condivide per molti tratti aspetti interiori che lo accomunano a personaggi-limite, Céline, Brasillach, che occuparono la scena della Francia e dell’Europa nel periodo tra le due guerre e sotto il nazifascimo. Tragici furono tali personaggi ma altrettanto tragica fu l’epoca - sotto la doppia ipoteca delle dittature fascista e comunista che attanagliavano l'Europa -che furono destinati a vivere.

    Spirito tormentato, ossessionato dal suicidio ( vedi Fuoco fatuo, 1931), ebbe idee politiche molto fluttuanti. Nel 1917, fu attratto dal comunismo, quindi si mostrò favorevole ad un'Europa forte (Le Jeune Européen, 1927 ; Genève ou Moscou, 1928 ), saggi in cui viene denunciata la decadenza materialista della democrazia, pur criticando la dottrina hitleriana (L'Europe contre les patries, 1931). Poco a poco, tuttavia, soprattutto a seguito delle sommosse del 6 febbraio 1934 e di un viaggio effettuato nella Germania nazista nello stesso periodo, scivolò verso il fascismo, nel quale vedeva un rimedio contro la disperazione e la mediocrità. È di questi anni il libro dal titolo sintomatico: Socialisme fasciste (1934).
    Attratto dalla personalità di Doriot, dopo che quest'ultimo aveva rotto col partito comunista, Drieu La Rochelle aderì alla Partito popolare francese e pubblicò Avec Doriot, plaidoyer pour un fascisme à la française (1937 ), (Con Doriot, difesa di un fascismo alla francese) ossia distinto da quello di Mussolini e di Hitler. Tuttavia, Drieu fu deluso dall’ avvicinamento di Doriot all'Italia fascista e alla Germania nazista, e ruppe con lui fin dal 1938. Finirà tuttavia a sua volta per aderire apertamente al nazismo, pubblicando una serie di libri di militanza politica in difesa dell’abbracciata ideologia: Ne plus attendre (1941 ); Notes pour comprendre le siècle (1941 ); Chronique politique (1943 ); Le Français d'Europe (1944 ).
    Direttore de la Nouvelle Revue française (la rivista delle edizioni Gallimard, punto di riferimento dell’establishment letterario francese) sotto l'occupazione, ottenne la liberazione di Jean Paulhan, allora nelle mani del Gestapo (1941). Successivamente, la NRF assunse toni nettamente filonazisti. E durante l’occupazione nazista della Francia Drieu La Rochelle si avvicinò a Otto Abetz, al quale propose di creare un partito filonazista. Scrisse anche articoli collaborazionisti su Le Figaro ed in Je suis partout, cercando tuttavia, difronte ai miasmi della politica, salvezza nella letteratura. Sono di questo periodo, che pubblica L'uomo a cavallo(1943) ed I cani di paglia (1944).

    Il 15 marzo 1945, alla Liberazione, imputato di collaborazionismo col nazismo, si suicidò.
    La sua opera, testimonianza tragica del disagio di tutta una generazione, è stata completata dalla pubblicazione postuma di alcuni scritti (Racconto segreto, composto appena prima del suo suicidio e pubblicato nel 1948; Exorde, 1961; Memorie di Dick Raspe, 1966) e dal suo Diario 1944 –1945, più volte pubblicato anche in Italia.(1961).



    Fuoco fatuo (Le feu follet)



    Di grande spessore emotivo e di grande riuscita letteraria resta di lui quel libro così bello e necessario che è Fuoco fatuo, da cui Louis Malle ha tratto un bel film nel 1963 con musica di Erik Satie.
    Il 5 novembre 1929 lo scrittore surrealista Jacques Rigaut, uno dei più cari amici di Drieu La Rochelle, si toglie la vita. Fuoco fatuo, pubblicato due anni dopo, è il romanzo-testimonianza ispirato dalla sua tragica fine, ma anche l'affresco di un'epoca tormentata che ha avuto in Drieu uno dei suoi più grandi cantori.

    Alain, il protagonista del romanzo, è il prodotto di una società alla deriva e al tempo stesso un uomo in rivolta, che rifiuta il mondo degradato e privo di valori "eroici" che lo circonda. Lo scrittore francese diventa qui l'osservatore quasi scientifico, per implacabilità e minuzia di analisi, degli ultimi giorni di un uomo che, già sconfitto dagli eventi e dalla droga, ha deciso di compiere l'unico gesto individuale ormai possibile per sfuggire alla menzogna dell'irrealtà quotidiana e per aderire, finalmente, alle cose.





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    Drieu La Rochelle, Biografia ed opere
    Ultima modifica di Avamposto; 25-08-10 alle 13:38

  8. #8
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    Pierre Drieu la Rochelle

    (1893-1945)

    Drieu La Rochelle nasce a Parigi il 3 gennaio 1893 da una famiglia appartenente a quello strato sociale e culturale tipico del popolo francese che egli definirà, in uno dei suoi meglio riusciti romanzi, "borghesia sognatrice". Ad appena otto anni entra nel collegio di Sainte Marie de Monceau diretto dai padri maristi. Ricorder\'e0 quegli anni affermando che non aveva amici e da tutti veniva ignorato. Tuttavia, ben presto divenne l'abile e furbo tiranno dei suoi compagni ("imponevo il rispetto" dirà più tardi). Scoprì giovanissimo gli autori che saranno i maestri di tutta la sua vita, in particolare Barrés e Nietzsche ("il santo che annuncia l'eroe"), di cui lesse con passione, primi fra tutti, "Un homme libre" e lo " Zarathustra". Riguardo al proprio nutrimento spirituale degli anni dell'infanzia ha scritto in un capitolo - dall'emblematico titolo "Letture e battaglie" - dell'autobiografico "Stato Civile" (1921): "Ecco i miei classici, i libri che mi hanno raccontato la mia vita in anticipo. Era un racconto virile come non lo saranno i miei ricordi, le mie confessioni, quando si appresserà la mia fine." A Sainte Marie sognava di fare il soldato e di andare un giorno nel Sudan al comando di una guarnigione, nel frattempo si accontentava di essere, fra i ragazzi del collegio, il capo dei repubblicani e dei bonapartisti contro i monarchici. A quindici anni visita per la prima volta l'Inghilterra; diventerà la sua seconda patria e l'amerà attraverso Coleridge e Shakespeare. Nel 1910 entra alla Ecole des Sciences Poliques, e si iscrive ai corsi di diritto e contemporaneamente alla Sorbona per diplomarsi in inglese. I suoi interessi sono volti alla storia e all'economia politica. Schopenaur diventa uno dei suoi filosofi prediletti. In questo periodo, definito come "l'inevitabile romanticismo dei diciott'anni" ha, come i suoi coetanei, la prima esperienza sessuale con una prostituta che descriverà in seguito ne "L'Homme couvert de femmes" (1925). Stringe amicizia con Raymond Lefebvre e Vaillant-Couturier, i futuri capi del comunismo. Fa la scoperta dei movimenti politici della sua epoca, li definisce sette e in ciascuna di esse vi trova qualcosa di attraente e ripugnante allo stesso momento. Il 1913 scopre l'amore. Si innamora di Colette Jeramec, sorella di un suo compagno e nello stesso tempo conosce l'insuccesso. Viene infatti, questo affascinante, colto e intelligente studente, bocciato sonoramente agli esami finale dell'Ecole des Sciences Poliques. Scriverà: "Fui bocciato a quell'esame perchè così vollero i dirigenti dell'Ecole e non per colpa mia. Mi avevano voluto punire per il mio disordine interiore". Pensa seriamente al suicidio, a quel suicidio che aveva scoperto durante l'infanzia e che attraverserà la sua esistenza terrena siglandola definitivamente il 16 marzo del 1945. Viene chiamato alle armi ed assegnato al V reggimento di fanteria di stanza a Parigi. Ha modo di frequentare, tra una marcia ed una esercitazione, le lezioni di Bergson e assistere alle rappresentazioni dei Balletti Russi; durante una licenza visita la Germania. Allo scoppio della guerra parte per il fronte e il 23 agosto del '14 viene ferito a Charleroi da una granata. Durante la convalescenza scrive le sue prime poesie che saranno raccolte e pubblicate, da Gallimard, nel 1917 in un volume intitolato "Interrogation". Rivolge ai suoi contemporanei un canto di guerra in cui afferma che "il sogno è l'azione e l'azione è sogno". Viene ferito altre due volte, il 29 ottobre di quello stesso anno e 25 febbraio del 1916. Nell'ottobre dell'anno successivo si sposa con Colette Jeramec. Smobilitato nel marzo del 1919, Drieu inizia la sua collaborazione alla Nouvelle Revue Française e frequenta nuovi amici, in particolare Aldous Huxley e Ortega y Gasset. Quell'anno si reca in Africa ed aderisce ad alcune manifestazioni dadaiste. Nel 1922 incontra ad Algeri Emma Besnard, la Pauline di "Gilles" (1939), con lei visiterà il Tirolo, dove stende il suo primo saggio di analisi politica ("Mesure de la France") , e successivamente Venezia. L'anno seguente divorzia da Colette. Il titolo, squisitamente cartesiano di "Mesure de la France" lo fa conoscere al pubblico di destra e di sinistra a causa delle sue tesi rivolte ad una soluzione "europea" e politica della Francia. Nel 1924, pubblica la sua prima raccolta di racconti, "Plainte contre inconnue", frequenta il gruppo dei surrealisti e diviene amico di Louis Aragon, cui dedica "L'homme couvert de femmes" (1925), e di Jacques Rigaut, il Gonzague protagonista de " La valise vide" , uno dei racconti di Plainte. L'idillio letterario e l'amicizia con i surrealisti termina nell'agosto dell'anno successivo con una lettera aperta ad Aragon e ai suoi amici. Nel '27 pubblica ben due libri, "La suite dans le idees" e "Le jeune europeen" cui farà seguito "Geneve ou Moscou" (1928), "Bleche" (1928). Benchè abbia in orrore il matrimonio, nell'ottobre di quell'anno si sposa una seconda volta. Si reca in Grecia e al ritorno in patria inizia la prima stesura di "Une femme a sa fenetre" (1930). Nel 1929, in seguito al suicidio di Rigaut scrive "Adieu a Gonzague" e "Le feu follet" . Quest'ultimo diverrà ben presto un best seller e nei primi anni sessanta conoscerà un secondo successo grazie alla magistrale trasposizione cinematografica operata da Louis Malle e alla interpretazione di Ronet. Nel 1931 rifiuta la Legion d'onore, cui era stato proposto da Maurice Martin du Gard e pubblica un secondo saggio politico in cui definisce più nitidamente il suo pensiero europeista, "L'Europe contre les patries" . L'anno seguente visita l'Argentina, ove tiene una serie di conferenze in cui viene di volta in volta definito, a seconda dei casi fascista o comunista, e insieme all'archeologo Mettraux si spinge fino alla Bolivia che esalterà nel romanzo "L'homme à cheval" (1942). Nell'ottobre di quell'anno si reca nuovamente in Germania. Trova il paese molto cambiato da quando lo aveva visitato la prima volta, assiste all'ascesa del movimento hitleriano che si fa di settimana in settimana sempre più evidente. Nel '33 escono "La Comèdie de Charleroi" e un testo teatrale "Le Chef" , pubblica inoltre "Drole voyage" dedicato alla scrittrice argentina Victoria Ocampo. Il 1934 è per Drieu La Rochelle un anno decisivo. In gennaio visita nuovamente la Germania, collabora alla "Lutte des Jeunes" di Bertrand Jouvenel, e comincia a scrivere "Réveuse Bourgeoise" , ove tratteggia, con uno stile naturalista, la storia della propria famiglia. Pubblica alcuni articoli comparsi ne la "Lutte di Jouvenel" in un libro "Socialisme fasciste" , nel quale si dichiarerà , senza mezzi termini, fascista e socialista europeo. Nel 1935 incontra quella che sarà la donna della sua vita. Questa donna, Christiane Renault moglie del proprietario della omonima fabbrica di auto, sarà immortalata nel romanzo breve "Bèloukia" . Negli anni trenta Drieu aderisce al partito popolare di Doriot. Doriot è un ex capo della gioventù comunista francese che è riuscito meglio di altri a coniugare le istanze sociali e nazionali della Francia. Drieu è, agli inizi, un entusiasta sostenitore di questo partito fascista e del suo capo, ma dopo neanche tre anni invia le sue dimissioni. Dal '39 al '45 pubblica tra l'altro 2Gilles", il romanzo della maturità, "I cani di paglia" e "L'uomo a cavallo" , in cui le preoccupazioni religiose e filosofiche hanno la meglio sul suo impegno politico tuttavia testimoniato nell'adesione alla Collaborazione. Anzi, Drieu sarà uno dei pochi collaborazionisti che preferirà la Parigi occupata dai tedeschi piuttosto che la Francia petainista di Vichy. Negli anni della guerra tiene un diario, recentemente dato alle stampe, ove sono ricorrenti le sue riflessioni sulla religione degli antichi ari e sulla unità dell'Europa. Negli ultimi mesi della sua esistenza vagheggia una Europa comunista piuttosto che una Europa colonizzata dagli americani.

    Seppur troppo impegnato politicamente, il dandismo di Drieu la Rochelle è di stampo tipicamente Novecentesco, con una sfumatura fascistizzante ("preferisco essermi rivoltato nel fango insieme agli altri): consiste nel non farsi notare dalla massa, se non dagli intenditori come lui; per una cravatta finissima, un colletto su misura, un abito di sartoria. La filosofia di Drieu, cioè quella dell'autoannullamento volontario attraverso la solitudine e, infine, il suicidio, ( una sorta di nihilismo o dadaismo portato all'eccesso) ha anche ripercussioni sulla sua estetica: a prima vista pareva sì vestito elegantemente, ma a forza, tanto da apparire sguaiato. Ma gli amici intenditori ricordano con malinconia le sue giacche di tweed inglesi e le scarpe che si faceva preparare su misura.

    Drieu però, come anche altri rari dandy, non si considerava tale; scrive nel suo "Diario", alla data 3 febbraio 1945: "[...] Proverò sempre rimorso per non essere stato capace di incarnare in questi ultimi anni un personaggio che è rimasto senza interpreti: quello del dandy, dell'uomo rigorosamente non conformista, che rifiuta tutte le sciocchezze del momento, da qualsiasi parte vengano, e professa con discrezione ma con fermezza una sacrilega indifferenza. Una via di mezzo tra Baudelaire e Rean, tra Remy de Gourmont e Mallarmè. [...]".



    Pierre Drieu la Rochelle

  9. #9
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    Predefinito Rif: Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

    Drieu La Rochelle Pierre-Eugène -

    Un uomo ingannato





    MISTICA DELL’INCOMPIUTO

    DISCORSETTO INTRODUTTIVO

    Quarantenne, nei primi anni Trenta, Drieu La Rochelle pubblicava una raccolta di racconti: “Journal d’un homme trompé”. Oltre mezzo secolo più tardi, i lettori italiani possono leggere almeno l’eponimo racconto lungo: nessuna traccia d’un’edizione contenente tutte le dodici storie ospitate nell’opera originale (nemmeno “Diario di un uomo tradito”, edito dalla Sellerio, se non erro: quando l’editore si degnerà di aprire un sito in rete, potremo avere notizie chiare). Teniamoci stretto, intanto, questo libretto della Settimo Sigillo: verrà un giorno un editore che colmerà queste lacune, e provvederà a stampare l’opera omnia del grande Drieu. Ricordi soltanto, il neofita, che scrivo nel gennaio del 2005: arrancando tra cataloghi d’editori minori, bancarelle e fondi di magazzino, sono riuscito, negli ultimi undici anni, a rilevare soltanto sette libri del semidio padre del “Racconto segreto”. È una profonda ingiustizia, e ha una matrice sola: ovviamente, politica. Rattristato e piuttosto incazzato – perché è un vizio italiota, questo dell’ostracismo e della damnatio memoriae, e decisamente vigliacco – prendo atto una volta ancora dell’immaturità e della stupidità del popolo di questa nazione. Negarsi intelligenza, arte e letteratura perché l’autore era “nemico” è esecrabile, deprecabile e castrante. Problema da risolvere: rieducare alla tolleranza chi s’è spacciato per tollerante, soffocando appena possibile chi la pensava diversamente. Prendetene coscienza, tutti. Negare l’evidenza non è più possibile.

    IL LIBRO

    Diario d’un’estate d’un letterato di quarant’anni: nel pieno d’una crisi esistenziale figlia d’una serie di riflessioni sul senso, sulla natura e sul significato dell’amore. È un autodafè degli amori, della fedeltà all’idea e dell’inevitabile infedeltà della realtà al sogno: composto per frammenti, schizzi, aforismi e improvvise e torrenziali digressioni, solcato da una malevola occupatio volta a giustificare la narrazione “ombelicale” e autoreferenziale, concluso con bruschezza. Mi sembra possa essere salutato come una sorta di ritorno allo spirito e al clima de “L’uomo pieno di donne”: a dieci anni di distanza, liberatosi dalla maschera dell’alter ego Gilles, Drieu s’interroga su quel che è stato e quel che ha vissuto; chi ha avuto, e chi davvero ha amato.

    Parte nel mese di Luglio: stordito dal torpore, nelle prime giornate sente di non avere né passato, né avvenire. Solo, vaga senza meta: nessuno dei suoi amici sa dove si trovi. È quasi nudo: si purifica sudando, sotto il sole, come un vagabondo. Beve solo acqua, non si cura di nutrirsi.
    È un fantasma che scivola tra la folla. Se ne frega della storia, delle chiese, dei palazzi: questo non è un viaggio di formazione, è una fuga in se stesso. Non ha importanza dove vada, e in fondo non c’è differenza tra le donne dei bordelli spagnoli e quelle dei bordelli francesi: è dentro che l’artista si sente rotto, e scrive lacerandosi e sbriciolando, volta per volta, ogni argine e ogni difesa. Del resto, il bordello è “l’unico posto dove l’umanità si zittisce e offre un commercio gentile” (15 agosto).
    Se ne frega dei passanti: scrive che ogni individuo è complice dei suoi sogni: muto, rispetta il disordine del suo spirito.

    Drieu ha saputo d’essere stato tradito. Lui, in venti anni, aveva tradito una volta sola: è un pianta-donne, un genio della fuga e della negazione di se stesso; desidera, almeno una volta, sposare ogni donna che possiede, e tuttavia s’accorge dell’abisso che scinde l’idea d’amore dalla realtà; sa avere, sa osservare e adorare – sa amare una donna come fosse lui stesso una donna, sa rifiutarsi e sa quando chiudere. E sparire. Conosce il fascino mistico dell’incompiutezza: la bellezza del pensiero di quel che poteva o avrebbe potuto essere, e tuttavia forse non sarà mai: la capacità di dominare senza solo possedere, per sprofondare nell’inconscio e non più abbandonarlo.
    Sa che “quel che è indispensabile non è sufficiente. E questo diventa così insufficiente da sembrare che cessi di essere indispensabile” (10 agosto). È stato tradito per la prima volta: o forse per la prima volta ne è stato informato. “L’uomo pieno di donne” si domanda se sia mancato in tenerezza, o in virilità, o se abbia scelto, per avventatezza, una compagna di vita dissoluta e imprevedibile: è tormentato, e il suo sembra divenire il cammino non più d’un vagabondo, ma d’un pellegrino. Sprofondare nell’abisso dello spirito per ritrovare Dio: ovunque. Come quando “Passo le mie notti in questo bordello che immagino essere dedicato alla Vergine. Ogni luogo, ogni cosa deve essere dedicata a un dio o a una dea. Ora, noi, in Occidente, abbiamo una sola dea che deve supplire a tutte le funzioni della femminilità divina. Dedicato alla Vergine perché, in un bordello, uomini e donne coltivano la verginità del cuore. Culto atroce e facile. (…) Posso fare, ora, soltanto l’amore con una donna che amo. Ho frequentato le puttane, ma mi sembra che sia finito. Resto stupito nel constatare di essere stato per anni un dissoluto che bramava le statue dei giardini pubblici. Le mie sensazioni erano così attenuate al contatto di quel marmo o quello zinco. Probabilmente avevo del miglio da gettare ai passeri; ora non ne ho più” (15 agosto).

    Nelle donne ha cercato delle immagini: nel bordello, a volte, si spacciava per pittore e disegnava e dipingeva. Per rubare simulacri (riflessi, scintille, luci): sedotto dall’idea, accecato dal sole dell’eterno femminino, l’esteta è un dannato e non s’arrende al piacere: pretende bellezza e dedizione e appartenenza e agogna l’esperienza mistica, sì, l’esperienza mistica dell’estasi. Solo amare, solo conoscere conta.
    Gli innamorati sono dei mistici, e chi non capisce quel che scrivo detesta l’amore, o non lo conosce affatto: è fede in una creatura che è sogno e (i)dea e non può non essere (tua): chi ti tradisce t’uccide, e Drieu questo non ha saputo dirlo; ha vagato attorno a questa consapevolezza, per non ammettere che quel dolore era il dolore d’un genio dell’esclusivismo e di quella totalizzante unicità che ha vita e senso solo quando io e io sono – per un attimo, nella febbre – noi.

    Ho cercato una lettera di lei e l’ho bruciata, stanotte: l’estate finisce quando t’accorgi che nella vita succede meno volte di quante sono le dita d’una mano. E vorresti spegnere il desiderio per non ammettere che. Niente.
    Allora dovresti rinunciare ad avere: possedere è promettere d’incatenarsi, e le nostre catene sono carta.

    ***

    Tra post-decadentismo e neo-romanticismo, un romanzo breve d’un grande scrittore europeo: non un capolavoro, né un’opera di genio; un diario sentimentale, spirituale, letterario. L’epilogo è un segreto.

    EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

    Pierre-Eugène Drieu La Rochelle (Parigi, 3 gennaio 1893 – Parigi, 16 marzo 1945), poeta, romanziere e saggista francese. Esordì nel 1917 con “Interrogation”.

    Partecipò ventenne alla prima guerra mondiale, fu collaborazionista nella seconda. Direttore, in quegli anni, della Nouvelle Revue française, morì suicida, rifiutando (o evitando) d’essere processato per la sua adesione al nazismo.

    Pierre Drieu La Rochelle, “Un uomo ingannato”, Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1987. Traduzione e nota introduttiva di Tiberio Graziani.

    Prima edizione: “Journal d’un homme trompé”, Gallimard, Paris 1934.

    Conteneva le seguenti novelle: “Journal d’un homme trompé”, “Un bon ménage”, “La voix”, “Rien n’y fait”, “La femme au chien”, “Divorcées”, “Le mannequin”, “Le bon moment”, “Le pauvre truc”, “Un art sincère”, “Les caprices de la jalousie”, “Défense de sortir”.



    Un uomo ingannato | Lankelot

  10. #10
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

    Reclamo la morte. Voglio morire perché sono stupendamente maturo per la morte. Che fortuna non diventare vecchio.





 

 
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