Dodici anni or sono, Berlusconi concluse uno storico faccia a faccia con Romano Prodi sganciando negli ultimi secondi la proposta di rimuovere l'Ici sulla prima casa. Era solo l'inizio di una nuova stagione politica, perché quella manovra costava intorno ai 5 miliardi, oggi si promettono misure ben più onerose ed arrischiate. Eppure tutto iniziò lì perché il Cavaliere, trasformando se stesso, superò la semplice promessa di meno tasse. Come? Aggiunse un concetto: "Per noi la prima casa è sacra". Come se le tasse fossero una punizione, un voler colpire quanto abbiamo di più caro, come se tutte le imposte avessero in sé un "senso".
Quando oggi osserviamo che si è tramutata in normale prassi far questo genere di promesse caricandole di un significato emotivo (per intenderci, chiunque, anche il partito di Grasso, ha aderito a questa tendenza), non dobbiamo dimenticare che le tasse sono uno strumento per far funzionare la macchina dello Stato. Non si tassa qualcosa per dissacrarlo, ma perché si devono trovare le risorse dai privati a favore del pubblico. Se si taglia una tassa da una parte, senza aggiungerne un'altra nuova, se non si contrasta la diffusissima evasione fiscale, a farne le spese è la macchina pubblica. Cioè tutti noi e soprattutto le persone meno protette.
Oltre alla sacralità delle nostre tante o poche, grandi o piccole proprietà, sarebbe opportuno ricordare talvolta la sacralità dello Stato e batterci per difenderla se viene calpestata, da chi non usa bene le nostre tasse o da chi fa propaganda ingannandoci di poterle far scomparire.