User Tag List

Pagina 2 di 5 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 42

Discussione: Rifondazione Comunista

  1. #11
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Il problema è questo. PaP è una forza populista di sinistra o comunista? Se si mischiano queste due cose insieme non si va molto lontano. Infatti bisogna prima unire i comunisti, come ha detto Rizzo, e se qualcuno vuole costruire una Italia Insoumise lo faccia, ma lo dica chiaramente! Inoltre, come ben fatto notare, il linguaggio umanitarista sull'immigrazione rende controproducente il tentativo di unire lavoratori immigrati e italiani perché identifica PaP col PD e la sinistra dirittoumanista.
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  2. #12
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Avanti popolo

    Stella Isacchini

    Vincenzo Salvitti

    Marco Schettini


    Il governo della reazione

    Le elezioni politiche del 4 Marzo con l’affermazione del movimento 5stelle e della coalizione di centrodestra a trazione leghista e la travagliata ma riuscita nascita del governo Conte, Salvini, Di Maio segnano un salto di fase politica molto rilevante nel paese: la politica trasformista dei “5stelle”, per sua natura ambivalente e opportunista è surclassata e fagocitata dalla politica “coerentemente” reazionaria della Lega, che nel passaggio trimestrale dalle elezioni alla formazione del governo vede crescere i suoi consensi del 70% (dal 17% al 29%).

    Quello che abbiamo di fronte è un governo che sta praticando politiche xenofobe sull’immigrazione e che cerca alleanze, a livello europeo, con i governi dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia). Sono presenti nel governo posizioni esplicitamente sessiste ed omofobe ma la caratteristica principale che lo contraddistingue è l’intreccio tra cultura conservatrice e reazionaria con proposte di politica economica iper-liberista come la flat-tax, che, se applicata, produrrebbe una fortissima redistribuzione della ricchezza verso l’alto.

    Avanza un populismo fiscale, penale, sociale, etnico, costituzionale, che si fa azione di governo. Siamo di fronte ad un governo “di riequilibrio“, espressione di una parte della borghesia italiana, (settori produttivi e ceti professionali che influenzano amplissimi strati di lavoratori, disoccuppati, inoccupati) che mira a ricontrattare politicamente il proprio ruolo in ambito europeo, per ottenerne vantaggi economici rilevanti. A questo scopo mostra un cinismo disumano sui migranti, solleticando istinti esplicitamente razzisti.

    Ma c’è di più: non è impossibile che il movimento 5-stelle e la Lega intendano, consolidare l’alleanza per il futuro, ben sapendo che il loro non sarà un governo per la legislatura, puntando cioè a (stra) vincere le prossime elezioni.

    Rimane da osservare come si dispiegherà concretamente l’azione governativa nella prossima fase e nei meccanismi e nei rapporti economici europei. Il tentativo da parte del 5stelle con il cosiddetto “Decreto dignità” di recuperare consenso nella competizione con la Lega, di certo non smantella il “jobs act” ma introduce solo elementi correttivi e limitati sui contratti a termine e sugli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo, ben lungi da un intervento di riduzione organica della precarietà (tipologie contrattuali) o di reintroduzione dell’articolo 18 per tutti. Anche il provvedimento sulle delocalizzazioni rimane monco senza nessun ridisegno degli ammortizzatori sociali. Negativa l’abolizione dello split payement e grave l’annunciata reintroduzione dei voucher in agricoltura e turismo.

    L’opposizione necessaria

    La posizione iniziale di “Potere al popolo”, mentre era in corso lo “scontro” nella composizione del nuovo governo tra il 5stelle/Lega e il Presidente della Repubblica, sul caso Savona, non ci è sembrata individuare correttamente l’urgenza di una denuncia politica del carattere reazionario del nuovo governo (composto interamente da forze che NON sono antifasciste). Sarebbe stata necessaria, invece, una posizione di difesa esplicita dei valori fondanti la Costituzione, come quello dell’antifascismo, che ci avrebbe distinto correttamente dall’opposizione liberista del Pd e dalle motivazioni economiche di Mattarella.

    Non possono esserci equivoci ed è bene ribadire che non si tratta di un governo “contro” i poteri forti come pure ha detto “Potere al popolo” ad un certo punto, ma di un governo che è espressione di frazioni di classe della borghesia italiana, quelle oggi più propense ad avventure autoritarie: quindi l’opposizione ad esse non può essere solo “programmatica” ma deve essere anche di principio.

    Il nostro compito di fase come comunisti è quello di contrastare il consolidamento di un blocco sociale reazionario che possa derivare dal governo Lega/5stelle.

    Se questo avvenisse si aprirebbe, nel medio periodo, uno lunga stagione di “autoritarismo” nel nostro paese. Per questa ragione non condividiamo posizioni come quelle espresse da una delle componenti di Potere al popolo (ex-Opg), in occasione del decreto dignità, tese ad una sorta di opposizione costruttiva che rischia, nel malcelato tentativo di dialogare con “il popolo”, di alimentare ulteriori illusioni sulle virtù taumaturgiche di questo governo. Sebbene in questi anni il movimento 5-stelle abbia consolidato progressivamente il proprio voto elettorale (con la significativa eccezione di Roma durante la prima prova di governo in una grande città), l’accordo con la Lega e il profilo politico del governo possono incrinarne il consenso in quella parte di elettorato precedentemente e genericamente orientato a sinistra. Il nostro compito è quello di evitare approcci “costruttivi” o viceversa “ultrasinistri” che rischiano, semplicemente, di regalare questo settore al Partito Democratico.

    Rifondazione Comunista, Potere al Popolo e il quarto polo

    La mozione congressuale approvata a Spoleto, al X congresso del Prc, recita:

    “Rilanciamo con forza la nostra proposta di costruzione di un soggetto unitario della sinistra antiliberista che raccolga il complesso delle forze sociali, culturali e politiche che si pongono sul terreno dell’alternativa alle politiche liberiste, dunque alternativo al PD ed ai socialisti europei. (…) Continuiamo a lavorare in questa direzione valorizzando tutti i percorsi unitari sin qui costruiti, a partire dalle esperienze già sperimentate nei territori e dall’iniziativa della rete delle “città in comune” con l’obiettivo di dar vita ad un processo di aggregazione. Invitiamo le altre formazioni della sinistra di alternativa a intraprendere con determinazione un percorso che vada oltre l’ottica della mera lista unitaria e a condividere un progetto che vada oltre il perimetro degli attuali partiti senza chiedere a nessuno di sciogliersi.”

    Il progetto elettorale di “Potere al Popolo” scaturisce, come d’altra parte quello di Liberi ed Uguali, dalla rottura del “Brancaccio”. Il fallimento politico di quel percorso e la costrizione temporale per la presentazione delle Liste hanno dato al progetto elettorale di “Potere al Popolo” un carattere essenzialmente reattivo e difensivo, il tentativo cioè di mantenere in piedi lo spazio politico dell’alternativa antiliberista (unica altra opzione era la presentazione di liste del Prc).
    Si sono manifestate nella rottura, per semplificare, una “destra” e una “sinistra”, con opzioni politiche conseguentemente opposte; quella di LEU protesa a una riedizione di nuove formule alchemiche di centrosinistra.

    Il voto del 4 Marzo segna uno spartiacque. Le ambizioni “centrosinistre” si sono infrante su un drammatico scoglio elettorale, con il tracollo del Pd e su uno stentatissimo superamento della soglia del 3% da parte di Leu, che partiva da ambizioni a due cifre.

    Il risultato di “Potere al Popolo” è stato invece drammaticamente insufficiente (1,1%) per poter svolgere efficacemente il compito di riaggregare il complesso delle forze sociali, culturali e politiche antiliberiste, stante il nostro il mandato congressuale. I risultati delle elezioni politiche, dunque, segnano seccamente una sconfitta elettorale delle due opzioni fuoriuscite dal Brancaccio.

    La rottura di quel percorso ha avuto il merito, però, di chiarire quali sono le opzioni strategiche in campo e dove proseguire l’impegno del nostro partito nella costruzione della sinistra antiliberista. Le elezioni amministrative del 10 Giugno 2018 ci hanno fornito nuove e ulteriori indicazioni.

    Per prima cosa va sottolineata la negativa assenza di liste di sinistra alternativa in circa la metà dei Comuni. Laddove si sono presentate, le liste di sinistra hanno ottenuto dei risultati importanti, come a Pisa (Città in Comune, Prc e Possibile) dove sfiorano l’8%, ad Ancona (L’altra idea di città), 6,7%, a Grottammare (Ascoli Piceno) dove viene eletto a Sindaco al primo turno, il compagno Piergallini e Bussi sul Tirino (Pescara) con l’elezione a Sindaco di un nostro compagno. Risultati importanti ci sono stati in Sicilia a Francofonte (22%) e a Partinico (10%). Potere al Popolo ha ottenuto un buon risultato a Campi Bisenzio, con il nostro compagno Lorenzo Ballerini, (5,9%) e a Massa, (3.64%) mentre ha avuto pessimi risultati a Brescia, (0.86%) e nell’ottavo municipio di Roma.

    Dove ci siamo presentati con la lista di Rifondazione comunista, da soli o con un simbolo composito, i risultati non sono drammatici e smentiscono la “vulgata” dell’irrilevanza elettorale del Partito.

    Rispetto alle politiche, anche se i risultati non sono comparabili e si tratta di piccoli centri, il Partito ottiene in voti assoluti e percentuali risultati uguali o superiori a quelli di “Potere al Popolo”: Chiaravalle (2.75%), Anzio (2%), Corciano (2.5%), Martellago, (2.3%).

    L’analisi del voto amministrativo segnala, quindi, in un quadro negativo di assenza in circa la metà dei comuni, una pluralità di esperienze locali e una rete nazionale come quella delle “Città in Comune”, che necessariamente devono entrare a far parte della costruzione dell’alternativa antiliberista.

    L’ovvia conclusione è che Potere al Popolo è parte importante della sinistra alternativa, ma non può esserne l’unico elemento, né disegnarne l’intero campo. Riteniamo sbagliata, quindi, l’opzione politica che identifica “Potere al Popolo” come l’unico soggetto antiliberista in cui investire strategicamente ed errata anche la variante tattica in cui Potere al Popolo assuma il ruolo di centro assorbente di altri soggetti.

    Il quarto polo, la sinistra antiliberista ed anticapitalista, può invece essere lo strumento idoneo a tenere insieme differenze, radicalità e unità. Lo stesso movimento politico del Sindaco di Napoli, De Magistris, forte di un consenso locale ampio e di un immagine positiva in larghi settori della sinistra può dare un forte impulso in direzione della costruzione del quarto polo. Un contributo importante possono darlo militanti senza appartenenza, personalità, realtà politiche, sociali, di movimento e sindacali che oggi non sono in “Potere al Popolo” e scelgono coerentemente una prospettiva antiliberista.

    E’ bene specificare quale, a nostro avviso, debba essere il ruolo del Prc in questo contesto.

    L’orientamento acquisito al nostro interno, da anni, è che la eventuale cessione della sua “sovranità” o autonomia è ammissibile solo in materia di elezioni e costituzione della rappresentanza istituzionale, restando in capo al partito la titolarità piena di ogni altra attività.

    Prima di essere una questione statutaria, che pure si pone, con riguardo agli articoli 3 (“Non è ammessa la contemporanea iscrizione al partito e ad altra organizzazione partitica” ) e 10 (“Lo scioglimento del partito, la sua confluenza o unificazione in una nuova soggettività politica possono essere decisi solo dal congresso del partito con la maggioranza dei due terzi delle delegate e dei delegati”) si tratta di una questione prevalentemente politica.

    In “Potere al popolo” affiorano interlocutori con una cultura politica correttamente radicale, in termini generali, ma declinata in forma minoritaria nella proposta politica e settaria nella pratica delle relazioni.

    Decidere di non “fare politica”, come ad esempio nelle elezioni regionali della Val d’ Aosta, (Potere al popolo ha provato a presentarsi da solo, scontando una rottura interna e senza peraltro essere riuscito a raccogliere le firme, mentre la lista di cui potevamo far parte ha raggiunto il 7.5%, eleggendo 3 consiglieri) di fronte ad uno smottamento enorme dell’elettorato di sinistra, scegliere di perseguire la costruzione di sé come opzione identitaria e strutturata è, secondo, noi, una forma di minoritarismo politico, che impedisce a Potere al popolo di dare un importante contributo alla prospettiva dell’alternativa.

    Per dispiegare al meglio le sue potenzialità “Potere al Popolo” non deve chiudersi, di fatto, nella nascita di un nuovo Partito: obiettivo anche apprezzabile per un centro sociale o per una rete come Eurostop, ma improponibile per il Prc. Non solo perché il Partito già ce l’abbiamo ma perché abbiamo una ambizione più grande: ricostruire la sinistra alternativa e antiliberista, ricomponendo soggetti politici, sindacali e associativi, senza torsioni moderate né estremistiche e con l’ambizione di svolgere un ruolo centrale in questo processo, favorendo il dialogo tra diversi e trovando le forme più adeguate per tenere insieme tutti e tutte, (coalizione, confederalità, ecc..).

    L’esistenza politica di “Potere al Popolo” per noi ha senso, dunque, se le sue “componenti” accettano di essere parte di un aggregazione più vasta, senza interdizioni da e verso nessun soggetto antiliberista, o se sono capaci di farsi esse stesse promotrici di un processo più largo.

    In tal caso, servirebbero un appello ampio, la scelta di continuare ad essere un movimento politico aperto ed includente, dentro una coalizione plurale, popolare e radicale dove possono essere adottati metodi decisionali simili a quelli che furono del “Genova Social forum”, cioè pieno riconoscimento reciproco di ogni pratica e soggettività; in ogni caso flessibilità organizzativa e libertà delle forme organizzative, assunzione della varietà di esperienza che si ritrovano in Potere al popolo e metodo del consenso o, al limite, voto assembleare a maggioranza qualificata per ogni decisione contendibile.

    Purtroppo la direzione intrapresa dall’assemblea di fine maggio a Napoli e dal coordinamento nazionale di Potere al Popolo (dove sono presenti nostri compagni e compagne), sembra indicare un’altra strada, fatta di strutturazione organizzativa minuta, bizantine discussioni in cui l’intensità della adesione politica è funzione del costo-tessera, sostanziale auto-isolamento a sinistra e paradossale autoesaltazione del proprio percorso.

    L’utilizzo ambiguo della preannunciata piattaforma informatica, il costo dell’adesione (on-line e cartacea), l’annunciato congresso a settembre con relativo Statuto e scelta dei gruppi dirigenti vanno nella direzione della costruzione di un soggetto politico-partitico nuovo che appare difficilmente compatibile con la piena esistenza del PRC come partito autonomo. Vogliamo su questo punto essere chiari: se consideriamo il complesso degli elementi che si stanno predisponendo quali il deposito di nome e simbolo da un notaio; l’apertura e chiusura a settembre di una fase costituente in cui si doterà di uno Statuto che regolerà la vita interna e i processi decisionali; l’adesione on-line o cartacea che definirà la “platea” degli iscritti; la scelta dei gruppi dirigenti normata dallo statuto e che verrà fatta dagli aderenti “aventi diritto” ed infine la partecipazione alle elezioni politiche ed amministrative ci sembra chiaro ed evidente che Potere al Popolo ha avviato un processo di trasformazione in un nuovo Partito (nessuna associazione o sindacato contiene allo stesso tempo tutti questi elementi). Un modello di Partito relativamente nuovo in Italia, ma pur sempre un Partito.

    Nel Prc alcuni settori negano questa evidenza del processo di trasformazione di “Potere al Popolo” da movimento a Partito, ma evitano con accuratezza di entrare nel merito delle questioni sollevate. Se esiste una posizione politica favorevole al superamento di Rifondazione Comunista essa va esplicitata con chiarezza e lealtà.

    A nostro avviso invece, se altre componenti di Potere al popolo s’incammineranno su questa strada, come Prc, non potremo aderire, ma dovremo mantenere un rapporto politico da soggetto a soggetto contribuendo alla costruzione del quarto polo e non escludendo una relazione privilegiata.

    Rimane quindi imprescindibile il mantenimento della piena autonomia politica ed organizzativa del Prc, sia nelle relazioni politiche che nelle relazioni di massa.

    Il Prc deve ritrovare lo slancio organizzativo oltre che politico, deve curare la propria organizzazione, il proprio tesseramento, i propri insediamenti, continuando nel difficile percorso di “risanamento” e incrementando l’autofinanziamento. Anche per la presentazione delle liste alle elezioni politiche del 4 marzo il nostro contributo è stato determinante. Senza i nostri militanti, i nostri circoli, le nostre sedi e le nostre case del popolo non ci sarebbe stata nessuna lista né tantomeno “Potere al popolo” e un contributo determinante lo daremo anche nella costruzione del quarto polo.

    Le elezioni europee

    Riteniamo che sia principale interesse di Rifondazione Comunista, e dovrebbe esserlo anche di Potere al Popolo, costruire uno schieramento antiliberista più largo possibile, non solo in Italia con la costruzione del quarto polo e l’obiettivo di un’unica lista unitaria alle prossime elezioni europee, ma anche a livello internazionale senza sconti alle socialdemocrazie, contro i populisti ed i liberali: per raggiungere questo obiettivo dobbiamo mantenere un quadro unitario con chi la rottura non l’ha potuta sperimentare, a causa di errori e sconfitte (Syriza) ma governa; con le sinistre dei paesi economicamente forti (Die Linke, France Insoumise) che sono all’opposizione; con quelle che gestiscono tentativi innovativi (“Bloco de esquerda” e PCP portoghese e Podemos e Iu) che appoggiano esternamente governi socialisti, con soggetti apparentemente periferici nel GUE ma ben radicati nel loro paese (SP, Sinn Feinn)

    Auspichiamo, pur non condividendola nel merito, che la recente scelta del “Partito della sinistra” di Melenchon di rompere con il “Partito della Sinistra europea” non costituisca un serio ostacolo alla costruzione di un riferimento unitario internazionale per le europee del 2019. Proponiamo dunque che per le prossime elezioni si lavori, ad una lista ampia, radicale, di sinistra, munita di una convergenza politica sul programma e tecnica sul simbolo, politicamente caratterizzata grazie alle sue candidature, al suo profilo ed alla sua riconoscibilità.

    Il Partito della Rifondazione Comunista

    In una delle ultime riunioni, la Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione comunista ha deliberato un insieme di priorità organizzative e operative. Si tratta di ben 11 compiti urgenti, non è chiaro se indicati in ordine di importanza, o se tutti di pari importanza. Ci limitiamo qui ad indicarne i primi tre:

    - Tesseramento, con l’obiettivo di aumentare gli iscritti del 2018 del 10% rispetto al 2017.

    - Autofinanziamento, con l’obiettivo di raggiungere le 100 mila indicazioni “L19″ in favore del PRC, ed il raddoppio dei moduli Sepa (ex RID), superando quindi il migliaio.

    - Formazione, con l’impegno a dotarsi di una rivista telematica e costituire un gruppo di lavoro.

    Poi ci sono il mutualismo, la comunicazione, l’uso sociale delle sedi e così via. Per raggiungere questi obiettivi crediamo che il nostro Partito, a Roma come in numerose altre situazioni, abbia bisogno in primo luogo, di una “terapia d’urto” metodica, complessa, efficace.

    Nella consapevolezza che la politica delle alleanze che abbiamo praticato, e continuiamo a praticare giustamente, drena risorse militanti e dirigenti, crediamo sia urgente e fondamentale ricalibrare gli impegni militanti sull’organizzazione del Partito.

    Riteniamo che il dispositivo della Direzione Nazionale implichi una chiamata alla responsabilità per i nostri gruppi dirigenti ad ogni livello e che si concretizzi in obiettivi e risultati verificabili e tangibili. Noi per primi ci sentiamo, ed in verità già da tempo siamo, impegnati in questo senso, nella convinzione che la tenuta politico-organizzativa, finanziaria e patrimoniale del Partito, il suo insediamento e ricostruzione, siano l’insieme della precondizioni per ogni scelta politica, per tutte le scelte politiche.

    Avanti popolo, avanti Rifondazione!!

    DIBATTITO / Avanti popolo | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  3. #13
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    De Magistris, quarto polo, governo fascista, bla bla bla. Non si capisce se si vuole fare il PCF o la France Insoumise.
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  4. #14
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Per una percezione unitaria della sinistra come identità, prima che come cartello elettorale

    Stefania Castellana

    La difficoltà dell’attuale fase politica rende piuttosto ostica la redazione di un’analisi puntuale e, in qualche modo, utile al dibattito in uno spazio così breve. È tuttavia evidente che il 4 marzo ha segnato uno spartiacque sia per il Paese che per la sinistra e la crisi di identità che attraversa Rifondazione Comunista dopo aver sostenuto il progetto PaP ne è un ulteriore segnale. La maggior parte degli interventi si è concentrata sul dibattito legato al ruolo di RC nei confronti di PaP che, di per sé, rende palpabile l’esistenza di un problema legato da un lato alla gestione della comunicazione da parte del movimento, dall’altro al posizionamento di RC nell’ambito di questa esperienza. Dico subito che la mia personale posizione è che se cessione di sovranità (o presa di coscienza di una subalternità, preferisco questa definizione) ci deve essere, questa deve avvenire nei confronti di un progetto destinato a essere inclusivo nel tempo e che, soprattutto, ai proclami permetta di dar seguito ai fatti. Sinora, l’atteggiamento che io rilevo in PaP non collima con la mia personale visione di una nuova sinistra. Che, tuttavia, non vuol dire che il tempo non possa portare a una convergenza di visione a seguito di qualche correzione sotto il punto di vista gestionale e anche comunicativo.

    E proprio questo aspetto della comunicazione mi permette di aprire una parentesi, a mio parere, di fondamentale importanza nella prospettiva della costruzione di un soggetto di sinistra ampio. L’utilizzo dei social network è senza dubbio diventato importantissimo, ma rispetto a quella che è la nostra storia culturale ha una grossa falla: la superficialità. Ed è stata, purtroppo, una delle caratteristiche che ha connotato la nostra campagna elettorale, con “meme” sempre all’attacco di qualcuno – e mai propositivi – e un programma di buon senso nelle parole d’ordine ma carente sotto il punto di vista dei contenuti. Per restare alle questioni di mia competenza – cultura e patrimonio storico-artistico – l’assenza di riferimenti precisi all’abolizione della Riforma Franceschini è sintomatico di quanto rilevato sopra.

    Pertanto ritengo fondamentale un cambio di atteggiamento generale: innanzitutto, non possiamo stare a rimorchio dell’agenda propagandistica di Salvini e co., limitandoci a dissentire. È necessaria una azione propulsiva, che individui dei temi e prospetti uno sviluppo concreto per una soluzione. Ciò, nella condizione di estrema frammentazione in cui versa la sinistra in Italia, è estremamente difficile. Come ricucire i vari brandelli? La presenza fisica e il dibattito sui territori è fondamentale, ma credo fermamente che per arrivare a un’unione di intenti ci debba essere una condivisione di battaglie da portare avanti. Dalla riflessione su esperienze a me vicine viene un invito: la costituzione di una piattaforma di informazione di sinistra che si faccia portavoce delle istanze da tutti i territori. Non si tratta dell’ennesimo sito internet ma di un progetto, da discutere anche con i compagni delle altre realtà politiche e dei territori, nel quale far confluire, in maniera organica, materiale di informazione dai territori e sulle principali tematiche sulle quali, spesso, siamo impreparati (o assenti). Uno strumento che sia di informazione ma anche, e soprattutto, di formazione; che sia un punto di riferimento per il popolo della sinistra e che si caratterizzi come spazio di dibattito reale, evitando la dispersione in mille rivoli dell’informazione. Un’esigenza di cui, peraltro, alcuni compagni si sono già fatti portavoce in altri contesti.

    L’ esempio di buona pratica a cui faccio riferimento viene, ancora una volta, dal mio comparto di appartenenza (totalmente dimenticato dalla sinistra), quello dei Beni Culturali. L’esperienza a cui faccio riferimento è la piattaforma Emergenza Cultura, nata due anni fa da una manifestazione che riuniva gli operatori della cultura contro il volontariato e le riforme che stanno strangolando la tutela del patrimonio, aprendo a una utilizzazione dello stesso in chiave aziendalistica e non di crescita culturale del Paese. Il sito ospita quotidianamente denunce, interventi dai territori, approfondimento sulle tematiche di carattere nazionale e internazionale legate ai Beni Culturali. È diventato, insomma, un punto di riferimento per un popolo di lavoratori (anche se non li riconosce nessuno come tali) che non ne aveva.

    Nel mondo in cui l’informazione viaggia tramite web senza alcun filtro e con un parterre di fruitori sempre meno abituato alla pratica della verifica delle informazioni, avere un luogo in cui poter trovare la soluzione di sinistra, in un’unità di intenti dichiarata da principi che siano comuni a tutte le organizzazioni partecipanti, sarebbe un grande passo avanti verso la percezione di qualcosa di nuovo e ampio che si muova dai territori, che resista alla dittatura della superficialità, che dimostri che c’è una base ma anche dei vertici impegnati per la costruzione di una nuova consapevolezza di essere cittadini. Di essere di sinistra.

    In questo credo che Rifondazione possa essere in grado di dare, dal punto di vista intellettuale e dell’analisi – ma anche politico, se ci sarà la volontà – un grosso contributo.

    DIBATTITO / Per una percezione unitaria della sinistra come identità, prima che come cartello elettorale | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  5. #15
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Marchionne l’uomo della provvidenza per i soci FCA

    Antonio Bianco

    La morte di Marchionne ex AD di FCA ha lasciato un vuoto incolmabile fra i suoi cari ed incertezze sugli investimenti in Italia. L’azzeramento del debito certificato a luglio dopo la sua morte pone nuove prospettive di sviluppo ma anche tante incertezze dovute alla cessata produzione della Punto a Melfi con la messa in cassa integrazione degli operai. Risvolti negativi che potrebbero riflettersi su tutto l’indotto nonché sugli altri stabilimenti FCA presenti in Italia. I traguardi lusinghieri di FCA sono stati raggiunti con una politica di drastica riduzione del personale ridotto a poco più di ventimila unità, al trasferimento all’estero della sede fiscale ed amministrativa, ai mancati investimenti sui nuovi modelli pur di ridurre il debito, al Jobs Act che ha consentito, non solo a FCA, di asservire i lavoratori a logiche neocapitaliste di sfruttamento del personale, costretto a tacer sugli infortuni in fabbrica pur di conservare il posto di lavoro. I tanti licenziati lasciati da soli senza alcun sostegno pur avendo contribuito a rendere grande, nel mondo, FCA. Non posso tacere tutto questo e vorrei che almeno la morte ci rendesse tutti uguali anche davanti al Parlamento, il quale ha dedicato un minuto di silenzio all’annuncio della morte dell’ex AD di FCA. Vorrei che lo stesso atteggiamento fosse tenuto per i tanti morti sul lavoro, circa quattro ogni giorno, almeno una volta al mese. La morte rende tutti uguali ma in Italia anche questo ineluttabile e naturale evento ci divide in classe sociale, individua la casta di appartenenza, il censo e solo i più alti nel rango sociale meritano un ricordo, gli altri sono dei pària. La grandezza di un manager si vede dalle sue doti di condurre in porto battaglie epiche che non devono calpestare i diritti Costituzionali e quelli del lavoratore, considerato una macchina obsoleta da sostituire o eliminare quando il mercato impone dei sacrifici.

    In questo cordoglio generale delle Istituzioni e delle parti Sociali, giusto e doveroso, occorre fare una riflessione attenta anche sul comportamento del Sindacato che, in questi anni, ha avallato la politica di eliminazione dei diritti garantiti dalla Costituzione. Il sindacato che offre servizi e non protegge il lavoratore, che abdica al suo compito, che pur di preservare l’unità sindacale, sottoscrive un contratto di lavoro, scaduto circa sette anni fa, che riconosce aumenti salariali lesivi della dignità del lavoratore. Un sindacato fatto di parole vuote, incapaci di incidere nella vita di ognuno di noi, che non combatte la precarietà e tutte le forme di flessibilità.

    Da questo sindacato, oggi e per sempre, vorremmo una dichiarazione di guerra alle morti sul posto di lavoro, definite bianche, ma che hanno il colore nero del lutto indossato dai familiari dei lavoratori deceduti. Evento luttuoso provocato dalla scarsa formazione del lavoratore, dal mancato rispetto delle regole sulla sicurezza che incidono pesantemente sull’integrità fisica degli operai. Senza prevenzione e controlli dell’Ispettorato del lavoro il gioco è fatto: si assicura il massimo profitto all’imprenditore e si mette a rischio la vita del lavoratore.

    Vorremmo dal Sindacato la guerra, condotta con le armi della legalità alle disuguaglianze, alla precarietà, alle ingiustizie sociali e culturali. Una lotta senza quartiere alla delinquenza organizzata, quest’ultima causa ed effetto della distruzione del tessuto lavorativo sano e che sottrae risorse da investire nel recupero ambientale, in quello del patrimonio edilizio e ancor più del patrimonio storico-culturale, forse, unica strada per la rinascita del nostro Paese e la creazione di nuovi posti di lavoro.

    FCA ha azzerato il debito, azione utile solo ai soci, ma ha mortificato la dignità della persona, ridotto i diritti e precarizzato il rapporto di lavoro. Manca il senso di equità e giustizia cardini di una Comunità civile e solidale vocata alla valorizzazione del Bene Comune. Se queste sono le premesse, la morte di Marchionne, ex AD di FCA, ha evocato negli italiani scenari di isolamento e di disoccupazione e non ha rappresentato una fase di riflessione e cordoglio, ma solo di scontro sociale.

    DIBATTITO / Marchionne l?uomo della provvidenza per i soci FCA | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  6. #16
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Decreto dignità – Fantozzi (PRC): «Per il lavoro non c’è dignità! Siamo con i sindacati che manifestano contro il potenziamento dei voucher»

    «Abbiamo sottolineato fin dall’inizio che le misure di contrasto della precarietà introdotte dal cosiddetto “Decreto Dignità” erano del tutto inadeguate – dichiara Roberta Fantozzi, responsabile Politiche economiche di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea -, perché la reintroduzione delle causali limitata ai contratti a termine superiori a 12 mesi e ai rinnovi, non tocca il 78% dei contratti stipulati e rischia di produrre solo un meccanismo di ricambio di lavoratori precari con altri lavoratori precari. Così come abbiamo ribadito che l’aumento degli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo, non aveva nulla a che vedere con il ripristino del diritto alla reintegra: la sola vera norma contro la precarietà “in uscita”.

    Il passaggio nelle commissione parlamentari non solo non ha migliorato il testo, ma con il potenziamento dei voucher, amplia la precarietà e offre nuove occasioni al lavoro nero.

    Non c’è nessuna riconquista di dignità per il lavoro.

    Fa sinceramente specie che Martina attacchi il decreto “da destra” in nome di un’occupazione che evidentemente per il PD deve essere priva di qualsiasi parvenza di diritto e stabilità. Ci fa specie, ma non ci stupisce, giacchè è loro la responsabilità del Jobs Act e di rapporti di lavoro in cui i contratti a termine sono la regola ( il 98,8% della nuova occupazione nell’ultimo anno).

    Sosteniamo la denuncia dei sindacati in presidio davanti al Parlamento. E’ necessario rilanciare le mobilitazioni per interventi reali e organici di contrasto alla precarietà, per il ripristino dell’articolo 18, perché le persone che lavorano possano riconquistare realmente diritti e dignità».

    Decreto dignità ? Fantozzi (PRC): «Per il lavoro non c?è dignità! Siamo con i sindacati che manifestano contro il potenziamento dei voucher» | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  7. #17
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Dare a Tsipras quel che è di Tsipras

    di Marco Revelli

    Dare a Tsipras quel che è di Tsipras. Una sinistra incapace di riconoscere i propri punti di forza, o quantomeno di riferimento, e di dar conto del loro merito, pur senza venir meno al dovere di critica, è destinata alla fine miserevole che ha fatto. Tre anni fa tutti a sgomitare dietro ad “Alexis”. Oggi va di moda l’accusa di “tradimento” alla Mélenchon o la dichiarazione di fallimento alla Cesaratto e Varoufakis, come se nella dinamica della crisi greca tra il 2010 e oggi non ci fosse stata una soluzione di continuità. Un punto di svolta – il 2015 -, e dopo di quello, linee di resistenza, segni d’inversione di tendenza, diciamolo pure, “vittorie” sia pur parziali. Bisogna andare lontano, fuori dal continente, fuori dalla “politica”, per trovare gli attestati d’onore: la grande stampa internazionale, soprattutto anglosassone, che – in occasione dell’uscita dal memorandum – titola a tutta pagina, Greece escapes a financial tragedy; o la proposta del premio Nobel per la pace a Tsipras da parte di “Foreign policy” per il modo in cui ha affrontato la questione della Macedonia, frontalmente opposto a quello con cui i rinascenti nazionalismi europei gestiscono i confini…

    Sul terreno della politica, invece, un buio ampiamente costruito. Continua a dominare l’immagine di una Grecia ridotta a un paesaggio di rovine sociali, schiacciata sul fondo e priva di prospettive di risalita: incatenata per sempre al proprio destino di povertà. Le frasi con cui il capo del governo greco ha salutato l’uscita dal tunnel del memorandum sono guardate con scetticismo quando non con disprezzo, come fossero le boutades di un Matteo Renzi qualunque. E questo in nome di una doppia narrativa, solo apparentemente contrapposta. Da un lato la versione bizzarramente convergente dei “sovranisti” di sinistra (diciamo così: quelli che avrebbero voluto nel 2015 l’uscita della Grecia da Euro e Unione Europea) e dei neo-populisti di destra (la Nuova Democrazia di Kyriacos Mitsotakis che si prepara a condurre la prossima campagna elettorale su posizioni “populistico-sovraniste” all’italiana, per intenderci), uniti nell’accreditare l’idea che, lungi dall’uscita dal commissariamento della Troika, l’ultimo accordo incatenerebbe la Grecia ad una austerità perpetua annullando di fatto la sovranità del paese. Dall’altro lato il racconto dei falchi neo-liberisti, soprattutto tedeschi, per i quali il fallimento greco sarebbe dovuto a una mancata o insufficiente applicazione della terapia “ordo-liberista” (una solo parziale applicazione delle loro medicine tossiche da parte di un governo recalcitrante per ideologia egualitaria e di un popolo sostanzialmente inaffidabile e pelandrone).

    Per la verità i numeri (e i fatti) parlerebbero di tutt’altra realtà. Come ha ricordato Tsipras in un duro intervento in Parlamento contro Mitsotakis (di cui ha denunciato, fra l’altro, il recente viaggio a Berlino nel tentativo di convincere i tedeschi a pretendere un ulteriore taglio alle pensioni greche), “nel 2017, il PIL greco è cresciuto di quasi 1,5 per cento [più di quello italiano, tanto per intenderci] e già nel primo trimestre del 2018 la crescita è stata del 2,3 per cento, ossia quasi sei volte la media della zona euro”; la disoccupazione, nel triennio 2015-17 si è ridotta di oltre 7 punti percentuali, scendendo al 20% [ancora alta, certo, ma di un quarto più bassa rispetto a prima] e nel solo ultimo anno sono stati creati 350.000 nuovi posti di lavoro. L’indice del fatturato industriale è cresciuto di 6,7 punti, l’aumento degli investimenti esteri ha raggiunto il 30% e il valore totale delle esportazioni nell’aprile 2018 è risultato dell’11,6% superiore a quello dell’anno precedente. Non sono precisamente le prove di un collasso totale.

    A questo si aggiunga che un avanzo di bilancio di oltre il 4% ha permesso non solo di far fronte al servizio del debito ma di destinarne uno 0,8% alla parte più bisognosa della popolazione. E che quello stesso risanamento dei conti pubblici ha significato il ritorno della Grecia sui mercati del debito con tassi d’interesse sostenibili (i bonds a 10 anni sono inferiori al 4%, meno della metà rispetto a due anni fa, un quarto rispetto al 2014 quando avevano superato il 15%) e un forte rilancio della borsa di Atene, il cui indice è quasi raddoppiato dal 2016.

    Certo, questo non significa che i greci sono ritornati a uno stato di “salute sociale”. I segni della ferocia con cui la macchina della governance europea ha lavorato sul loro corpo restano evidenti (e a perenne denuncia della disumanità e stupidità di quel dogma). Non si può dimenticare che i primi 5 anni di “terapia d’urto” ordoliberista – quelli che vanno dal 2010 al 2015 – avevano ridotto il Pil di quasi il 30% (-28,4%: da 237 a 178 miliardi), fatto schizzare la disoccupazione dall’11,9% al 26,2% (nel 2013 si era raggiunta la cifra record di 1.384.000 disoccupati contro i 335.000 del 2008) e fatto esplodere la percentuale del debito sul Pil dal 129 al 184%. Né si può ignorare la volontà di vendetta con cui l’Eurogruppo esattamente tre anni fa, alla metà di luglio del 2015, intese punire l’unico governo di sinistra in Europa e in generale i greci per aver “osato” discutere i loro diktat addirittura con un referendum imponendo loro una camicia di forza che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto metterli di fronte all’alternativa tra arrendersi o perire.

    Si deve esclusivamente alla capacità politica del governo greco se pur chiuso nell’involucro di ferro di quella vergine di Norimberga che avrebbe dovuto, con le regole asfissianti di quel nuovo memorandum, dargli il colpo di grazia, riuscì a portare a casa la pelle e a evitare una macelleria sociale di proporzioni storiche, smussando gli aculei più crudeli. Contrastando punto per punto le mosse dei “commissari”, per ridurre di quanto possibile il danno. Utilizzando brandelli di risorse scovati tra le pieghe dei protocolli per stendere una qualche, sottile, rete di protezione sui settori più fragili, in totale solitudine, abbandonati dai governi di pseudo-sinistra europei, dal Pd di Renzi come dai socialisti di Hollande e da quelli, orrendi, dell’Spd tedesca di Gabriel e di Schultz… E’ così che nonostante tutto – nonostante il tentativo di tanti in Europa di soffocare Alexis Tsipras con la sua stessa cravatta, per usare un’espressione in voga -, pur con risorse ridotte al lumicino, gli ospedali sono stati riaperti ad Atene e anche nelle isole. Due milioni di greci sono stati riportati sotto la copertura del sistema sanitario nazionale. Migliaia di infermieri sono stati riassunti nella sanità pubblica con tutte le garanzie del caso. Le utenze elettriche tagliate dai precedenti governi ai più poveri sono state riallacciate. La garanzia della prima casa contro la minaccia di pignoramento, esclusi i casi di speculazione, è stata assicurata. Gli ispettori del lavoro (sia pur mal pagati e a ranghi ridotti) sono ritornati sui posti di lavoro. Le frequenze televisive sono state fatte pagare ai padroni dei network… Non sarà senza significato se la Grecia – insieme a Spagna e Portogallo – è uno dei pochi paesi europei in cui la crisi non ha fatto esplodere in dimensioni un’estrema destra populista e razzista, e Alba dorata, che nel 2015 stava intorno al 10% non solo non è cresciuta, ma si è molto ridotta di peso e presenza politica e oggi versa in una crisi comatosa, pur essendo stata la Grecia in questi anni attraversata dal più massiccio flusso migratorio in Europa (quasi un milione di migranti nel 2016 in un paese di 12 milioni di abitanti)!

    Da dove, dunque, questa immagine di disastro sociale e di fallimento politico che circola nel circuito mediatico? Direi da due linee (errate) di calcolo. In primo luogo la scelta del terminus a quo: si confrontano i numeri attuali della situazione greca con quelli precedenti all’inizio della crisi, con il 2008, e allora è evidente che pesa, per intero, la criminale politica delle destre interne e dell’oligarchia europea con le loro, quelle sì fallimentari, politiche e la catastrofe sociale che hanno generato. Se invece si confronta il livello attuale con quello del 2015, quando Syriza prese in mano il governo, il trend appare (sia pur frazionalmente all’inizio) in crescita, su tutti gli indicatori (Pil, reddito pro capite, occupazione, popolazione attiva…). Si prenda, ad esempio, il reddito pro capite, crollato dai 21.800 euro del 2008 ai 16.200 del 2015 e tornato a crescere sia pur di poco fino ai 16.600 del 2017. O la povertà assoluta, letteralmente esplosa tra il 2009 e il 2015 (esattamente raddoppiata, da 1.200.000 a quasi 2.400.000), che tuttavia nel triennio successivo si è ridotta di circa 200.000 unità (non un “miracolo”, certo, ma il segno di una capacità di resistenza).

    La seconda questione, più seria, riguarda il debito pubblico, dichiarato da (quasi) tutti insostenibile. E rispetto al quale secondo molti, la chiusura dell’accordo attuale con l’Europa non apporterebbe speranze nuove, anzi. Ora, su questo punto è vero che l’accordo non prevede “tagli” del debito – l’haircuttanto sperato e suggerito da molti -, ma solo una sua (parziale) ristrutturazione. E tuttavia i termini di tale ristrutturazione non sono affatto irrilevanti: l’estensione della scadenza (prevista nel 2022) di altri 10 anni al valore nominate, e la concessione di un “periodo di grazia” (quello in cui il mancato pagamento non comporta infrazione) di altri 10 per gli interessi e l’ammortamento del debito, rende per molti versi “sostenibile” (non “rimborsabile”, sia chiaro, ma “sostenibile”) il debito greco per lo meno a medio termine, e permette di attenuarne l’impatto sui conti pubblici di numerosi punti percentuali (liberando risorse per politiche sociali). Con un tasso d’inflazione intorno al 2% tutto ciò equivale (o assomiglia molto) a un taglio. Allo stesso tempo la costruzione di un buffer, cioè di un “cuscinetto di liquidità”, di oltre 24 miliardi dovrebbe concedere ad Atene un paio di anni di possibile indipendenza dal mercato. E anche la restituzione di 4,6 miliardi di Euro costituiti dalle plusvalenze della Bce sulle obbligazioni greche, sebbene sottoposto a condizioni, costituisce comunque una forma di risarcimento.

    Tutto questo vuol dire, allora, che le prescrizioni europee erano giuste? Che la “cura” alla fine ha funzionato? E che la Grecia e l’Europa sono definitivamente fuori del tunnel della crisi? Insomma, che “tutto va bene madama la marchesa” ad Atene come a Bruxelles e a Belino? No di certo. Al contrario. La terapia criminale cui la Troika ha sottoposto i greci prima ancora della Grecia era, come si è dimostrato, mortale. Aveva ridotto il paziente in coma sociale, in nome di un dogma dimostratosi clamorosamente falso, che è costato al popolo greco non solo lacrime e sangue, ma una sofferenza degna di un sadismo economico e sociale spaventoso. E buona parte delle ferite sono ancora lì, aperte e sanguinanti. Se quelle ricette al veleno non hanno dispiegato tutto il proprio potenziale letale lo si deve a un’azione tenace di un governo dalle forze limitate ma dall’indubbia volontà di traghettare il proprio popolo fuori dall’inferno. E così per il debito. Sia pur ristrutturato, l’immenso debito greco (accumulato, bisogna pur dirlo, per la maggior parte a cominciare dal primo programma di cosiddetto aggiustamento) non è, in nessun modo, “rimborsabile” (lo sa e lo ripete sempre il FMI). Come non sono rimborsabili quelli dell’intera Europa del sud, a cominciare da quello italiano, al momento ben più drammatico di quello ellenico. Esso è servito, e in qualche misura serve ancora, per mantenere l’asimmetria politica ed economica dei creditori sui debitori, e per continuare a far funzionare il meccanismo come vettore di trasferimento di risorse dai deboli ai forti (il 90% dei prestiti alla Grecia sono ritornati ai paesi creditori, soprattutto Germania e Francia) e ne hanno salvato le banche. Ma questo non è più un problema della Grecia. E’ un problema dell’Europa. Non è più il paese di Tsipras a non essere in “sicurezza”: è l’Europa di Merkel e di Macron, di Junker e di Tusk a essere a rischio.

    Infine un’ultima domanda (che ci riporta all’incipit di questo testo): Alexis Tsipras è dunque “senza peccato”? Nel suo triennio di governo non ha commesso “errori od omissioni”? E la risposta non può essere reticente: evidentemente sì, errori ce ne sono stati, se anche dopo la svolta del gennaio 2015 i greci hanno continuato a soffrire, e se il programma con cui Syriza aveva vinto quelle prime elezioni non ha potuto essere realizzato. Ma non sono gli errori – meglio: le “colpe” – che i suoi critici (e “giustizieri”) del “fuoco amico” gli attribuiscono. Il primo errore è stato sicuramente l’aver sottovalutato (come d’altra parte tutti noi) il grado di ferocia, ottusità, indifferenza ai principii democratici della leadership europea a guida tedesca. L’aver pensato che in qualche modo un programma di “uscita dalla crisi” per il suo Paese razionale, ragionevole e sostenibile seppur alternativo a quello imposto fino ad allora sulla base della dogmatica neoliberista, potesse quantomeno essere preso in considerazione. E che la voce di un popolo dell’Unione, espressa nella forma più esplicita e democratica possibile attraverso libere elezioni e un referendum, potesse quantomeno trovare ascolto. Era stata quella la logica con cui i greci avevano lavorato nel loro primo semestre di governo: condurre una trattativa con gli eurocrati e con i rappresentanti dei creditori alla luce della ricerca di soluzioni diverse da quelle fallimentari imposte fino ad allora, sulla base di un confronto ragionevole e razionale. Ed era stata quella la ragione del referendum del 5 luglio sul piano proposto dai creditori internazionali (ex Troika): mettere sul tavolo della trattativa il contenuto di una “volontà popolare” espresso nella forma più esplicita nell’illusione che costituisse una sorta di vantaggio competitivo.

    Quanto accaduto nell’Eurogruppo successivo, e nell’Eurosummit a 19 della “notte di Valpurga” del 14 luglio, alla presenza dei capi di governo, ha mostrato invece che quello che dominava tra gli “azionisti” di maggioranza dell’Unione Europea era un’aspra, sorda e cieca volontà di vendetta. Un’ oscura voglia di “sorvegliare e punire” il trasgressore del dogma, indifferente alle soluzioni ma attenta soltanto a umiliare il Paese che aveva osato sfidare la loro autorità. Zero flessibilità, zero apertura a soluzioni ragionevoli (quello che qualunque creditore in una trattativa economica accetterebbe per rientrare dei propri denari), zero ascolto. Il Referendum considerato un oltraggio di lesa maestà. La parola al popolo una colpa. La democrazia una pratica intollerabile. Vinsero allora i “falchi”, vinse Schauble, vinsero quelli del vae victis, e alla Grecia fu lasciata l’unica alternativa di prendere la cicuta (restando moribonda nell’Euro) o andarsene e morire di morte più veloce (come i tedeschi non nascosero di volere). Tsipras scelse il primum vivere. Tra la figura dell’eroe tragico che cerca la bella morte e quella del governante responsabile che sceglie per il proprio popolo il male minore, optò per la seconda. E fece benissimo: l’alternativa sarebbe stata la catastrofe definitiva del suo popolo, a cominciare dalla parte più fragile e sofferente della società greca. Forse in molti l’hanno dimenticato ma in quei giorni le banche erano chiuse ad Atene, dopo che il governatore della Bce Mario Draghi, impropriamente santificato qui in Italia, con ferocia inaudita e in modo illegale aveva bloccato la “liquidità di emergenza” (Ela) fin dal giorno del Referendum – una misura di rappresaglia degna dei peggiori occupanti bellici -, i bancomat razionati, le contrattazioni di Borsa sospese, le pensioni non erogate… L’ostentazione di quello spettacolo crudele da parte di un’Europa che rivelava così il proprio “cuore di tenebra” in modo inaspettato per molti, si rivelerà in realtà un boomerang più per i carnefici che per la vittima, e di fatto inaugurò il processo di progressiva disgregazione di un’entità senz’anima i cui esiti si mostrano oggi.

    Resta comunque il fatto che, mentre di Schauble che avrebbe voluto ammazzare la Grecia buttandola fuori dell’Euro non si ha più traccia, Tsipras è ancora lì, ad Atene e a Bruxelles. Non è cosa da poco.

    Dare a Tsipras quel che è di Tsipras | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  8. #18
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Art.18, Acerbo: “M5S voltagabbana: sulla difesa dei lavoratori sono proni ai padroni, uguali al Pd!”

    ARTICOLO 18 – ACERBO (PRC): «M5S VOLTAGABBANA: SULLA DIFESA DEI LAVORATORI SONO PRONI AI PADRONI, UGUALI AL PD!»

    «Ci dispiace molto constatare che il M5S vota come il PD e le destre contro i lavoratori – dichiara Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – . Votare no alla reintroduzione dell’articolo 18 equivale a non rispettare un impegno preso, significa stare dalla parte dei padroni e non dei lavoratori. Questa non è una fake news: ma la realtà di un partito che ha fatto finta di licenziare il Jobs Act ma in realtà lascia in piedi le leggi che hanno precarizzato il lavoro. L’Italia è una Repubblica parlamentare e un partito in aula non è vincolato alla sua coalizione. Questo non è il decreto che elimina la precarietà, come sosteneva Di Maio. Lo ribattezzeremo decreto “senza dignità”, quella che sta perdendo M5S nell’alleanza con i fascioliberisti della Lega. Non ci sfugge la strumentalità di chi votò durante i governi Monti e Renzi per eliminazione dell’articolo 18. Ma ci fa piacere che con ravvedimento operoso quella parte di LeU ora riscopra il valore delle tutele dello Statuto dei Lavoratori. Bisogna insistere».

    Art.18, Acerbo: ?M5S voltagabbana: sulla difesa dei lavoratori sono proni ai padroni, uguali al Pd!? | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  9. #19
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Marx, Engels e l’overshootday

    di Maurizio Acerbo

    Overshootday è l’espressione con cui si indica il giorno dell’anno in cui abbiamo finito di consumare le risorse naturali che in un anno la Terra è in grado di rigenerare. Il WWF giustamente chiede un piano globale per la difesa della biodiversità planetaria. Certo sarà difficile fermare l’inarrestabile avanzare dell’autodistruzione se non si metteranno in discussione le logiche del capitalismo neoliberista che sta divorando il pianeta. Anche la sinistra e i movimenti comunisti e socialisti sono stati ossessionati durante il Novecento dallo sviluppismo e dal mito ottocentesco progressista-industrialista. Almeno dagli anni ’60 si è progressivamente affermata una cultura rosso-verde che ha connesso ecologia e socialismo e oggi non ci si può dire comunisti senza dirsi anche e soprattutto ambientalisti. Battersi contro l’inquinamento e il consumo di suolo, per la mobilità sostenibile e la riconversione ecologica dell’economia, e per mille altri obiettivi è parte di una prospettiva ecosocialista e importante almeno quanto le lotte sul piano delle rivendicazioni economiche e sociali immediate.
    Agli albori dei movimenti ecologisti negli anni sessanta Allen Ginsberg – tra i primi a indicare la strada della coscienza ecologica – diceva che i “marxisti psichedelici” avrebbero capito che lo sfruttamento capitalistico colpisce non solo i lavoratori e le masse del Terzo mondo ma anche gli alberi e le specie viventi. Poi progressivamente crebbero i movimenti ambientalisti e l’ecologia politica e sociale e tra le avanguardie ci furono proprio i movimenti operai mettendo in discussione le nocività dentro e fuori la fabbrica. Oggi proprio una visione ecologista impone un punto di vista critico sul capitalismo e di discutere di #comunismofuturo e di un altro mondo possibile anzi necessario. Queste cose dovrebbero essere scontate da almeno quaranta anni ma giova ricordarle
    Cose che erano abbastanza chiare d’altronde a Marx e Engels*.
    Tornano in mente le parole di Karl Marx nel III libro de Il Capitale:
    “Dal punto di vista di una formazione socio-economica più elevata, la proprietà privata di particolari individui sulla terra apparirà altrettanto assurda come la proprietà privata di un uomo su altri uomini. Anche l’intera società, una nazione, o tutte le società contemporaneamente esistenti nel loro insieme, non sono i proprietari della terra. Sono semplicemente i suoi possessori, i suoi beneficiari, e devono lasciarla in eredità in uno stato migliore alle generazioni successive, come boni patres familias“.
    E quelle di Engels:
    “Cerchiamo di non … adularci troppo per le nostre vittorie umane sulla natura. Per ogni vittoria di questo genere la natura prende la sua rivincita su di noi …. Così ad ogni passo ci viene ricordato che noi in alcun modo dominiamo sulla natura come un conquistatore sopra un popolo straniero, come qualcuno che sta al di fuori della natura – ma che noi, con carne, sangue e cervello, apparteniamo alla natura, ed esistiamo in mezzo ad essa, e che tutto il nostro dominio di essa consiste nel fatto che abbiamo il vantaggio rispetto a tutte le altre creature di essere in grado di imparare le sue leggi e applicarle correttamente”.

    Ovviamente non si tratta di fare dell’ecologia una litania da ripetere accanto ad altre frasi ideologiche ma di un punto di vista che vive nelle lotte, nelle vertenze, nelle ricerche, nelle inchieste, nelle elaborazioni del partito come dei movimenti.
    Se non si dà alcun progetto credibile di #RifondazioneComunista senza ambientalismo va rimarcato che anche i progetti unitari a cui lavoriamo – da Potere al Popolo al cosiddetto “quarto polo” – non possono che avere una forte ispirazione rosso-verde. C’è molto da fare e pensare facendo tesoro dell’enorme patrimonio che ereditiamo da alcuni decenni di lotte per i beni comuni e l’ambiente.

    * su Marx e Engels e l’ecologia segnalo due articoli di John Bellamy Foster e la sezione ecologia della nostra biblioteca on line con scritti di Giorgio Nebbia:
    Natura
    John Bellamy Foster: Natura « Sandwiches di realtà. il blog di Maurizio Acerbo
    Karl Marx e lo sfruttamento della natura
    Karl Marx e lo sfruttamento della natura | Rifondazione Comunista
    biblioteca on line
    Formazione PRC ? Biblioteca

    segnalo anche
    ecologia politica
    Ecologia Politica - Ricerche per l'alternativa

    Eddyburg
    Eddyburg

    Marx, Engels e l?overshootday | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  10. #20
    Il Re del Nord
    Data Registrazione
    06 Mar 2017
    Località
    Udine
    Messaggi
    18,354
     Likes dati
    9,577
     Like avuti
    10,408
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    36 Thread(s)

    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Condanniamo il vile attentato al Presidente Maduro

    VENEZUELA: PRC CONDANNA ATTENTATO A MADURO


    “Il Partito della Rifondazione comunista – Sinistra Europea condanna nella maniera più energica il vile attentato terrorista contro Nicolàs Maduro, Presidente costituzionale della Repubblica Bolivariana el Venezuela, avvenuto ieri a Caracas. Il Presidente Maduro è illeso, ma l’attentato ha provocato il ferimento di 7 militari a cui va la nostra solidarietà e gli auguri di pronta guarigione.

    Il fascismo venezuelano, con l’appoggio di quello internazionale, cerca di ottenere ciò che non è riuscito ad ottenere nè con lo squadrismo di piazza degli anni passati, nè per via elettorale. Se non ci riesce con i golpe istituzionali di “nuovo tipo”, si ricorre ai vecchi metodi del golpismo con i tentativi di assassinio diretto.

    L’attentato alla vita del presidente Maduro, ai membri del suo governo e delle forze armate fa parte dei molteplici tentativi dell’imperialismo statunitense di sbarazzarsi del processo bolivariano, così come le esperienze dei governi di sinistra, popolari e progressisti del continente.

    Da anni gli USA, con la complicità dell’UE, portano avanti una strategia di destabilizzazione assolutamente inaccettabile.

    Il Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea ancora una volta esprime la propria solidarietà al Presidente Maduro e al popolo venezuelano”.


    Maurizio Acerbo, Segretario Nazionale PRC-SE

    Marco Consolo, Responsabile Area Esteri PRC-SE

    Condanniamo il vile attentato al Presidente Maduro | Rifondazione Comunista
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

 

 
Pagina 2 di 5 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Gubbio roccaforte di Rifondazione comunista
    Di Giacomo79 nel forum Umbria
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 26-04-09, 13:59
  2. Rifondazione Comunista Sardegna
    Di robertoguidi nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 19-04-09, 11:20
  3. Rifondazione nel conflitto, il conflitto in Rifondazione
    Di ulianov nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 21-10-08, 19:35
  4. Risposte: 31
    Ultimo Messaggio: 23-05-08, 12:58
  5. Risposte: 97
    Ultimo Messaggio: 09-04-08, 18:10

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito