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Discussione: Rifondazione Comunista

  1. #21
    Il Re del Nord
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / L’Europa e l’errore strategico di Rifondazione Comunista

    Alessandro Pascale

    Propongo questo mio articolo come contributo per la Tribuna dedicata al dibattito politico interno al PRC. Invito l’intera comunità politica del Partito ad una riflessione profonda su questi temi e a ragionare sulle critiche più approfondite mosse al PRC, così come al resto movimento comunista italiano, nell’opera “In Difesa del Socialismo reale e del Marxismo-Leninismo” (cap. 21, dicembre 2017, scaricabile gratuitamente da Home - Intellettuale Collettivo). Voglio sperare infatti che questa comunità di comuniste e comunisti che più volte hanno rifiutato di sciogliersi in un’indistinta sinistra plurale, possa tornare a capire le ragioni e le tattiche più adeguate per rilanciare la lotta per il comunismo in Italia. Credo che questo sia interesse farlo per un’organizzazione che si sta avvitando su sé stessa ormai da anni, assottigliandosi sempre di più tra lo stupore e la stanchezza di molti suoi militanti e quadri di lunga durata. Tanti sono gli errori che sono stati fatti. Su tante cose c’è stato bisogno di riflettere. Io spero che nell’opera sopra citata possiate trovare quello stimolo a ripensare tutto daccapo, passando la spugna sugli ultimi decenni di revisionismo che hanno indebolito sempre di più il Partito della Rifondazione Comunista. Partito che per tutti questi anni è stato quello quantitativamente più rappresentativo della classe lavoratrice comunista italiana. Se oggi non lo è più, e questo occorre dirselo, è perché sono stati fatti errori storici. Come quello che segue. “Mi sono convinto che, anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. […] Occorre armarsi di una pazienza illimitata…” (Gramsci)

    Di seguito l’intervento di Lucio Magri (19.02.1932 – 28.11.2011) contro la ratifica del Trattato di Maastricht sull’Unione Europea tenuto a nome di Rifondazione Comunista nella seduta della Camera del 29 ottobre 1992. Nel prosieguo i risultati del voto, con i posizionamenti politici, e un commento critico.

    IL DISCORSO DI LUCIO MAGRI

    “Signor Presidente, i deputati del gruppo di Rifondazione Comunista voteranno contro il disegno di legge di ratifica del trattato di Maastricht. In questa scelta siamo, qui ed ora, molto isolati, una esigua minoranza a fronte di uno schieramento quasi unanime. Ancora qualche mese fa la nostra sarebbe apparsa una scelta di pura testimonianza, rilevante solo per chi la compie. […] Quali sono dunque, in sintesi, le ragioni del nostro «no»? Innanzi tutto, il rifiuto di una Europa che nasca con un segno marcatamente autoritario. L’unità nazionale è nata in connessione con i primi passi della democrazia moderna; non vogliamo che l’unità continentale corrisponda al suo declino. Ma è questo che sta accadendo, già nel modo in cui il trattato è stato discusso e definito — un accordo cioè tra Governi rispetto al quale i parlamenti nazionali possono solo dire «sì» o «no» —, ma ancora di più nella struttura di potere reale che l’accordo produce. I veri centri promotori e regolatori del processo di unificazione sono e saranno il consiglio delle banche centrali e l’integrazione delle strutture militari. E, se mai, del tutto parzialmente, resta in campo una sede politica che può avere influenza su di loro, tale sede è quella del concerto dei Governi.

    A questo punto, dunque, si ratifica e si conclude un processo che durava da anni, che è un processo di trasferimento di potere non solo dallo Stato nazionale al livello sovranazionale, ma, attraverso questo, dalle istituzioni direttamente legittimate dalla sovranità popolare ad istituzioni politiche autonome o a puri poteri di fatto. Il ruolo di comparsa in cui è sempre più relegato il Parlamento europeo, proprio in quello che dovrebbe essere il passaggio dalla Comunità economica all’unione politica, simboleggia questa realtà rovesciata. E mi pare incomprensibile, anzi patetico, il discorso di chi vota il trattato augurandosi che si possa presto completarlo con istituzioni politiche democratiche: Maastricht va esattamente nella direzione contraria.

    La seconda ragione del nostro voto non è meno importante, ma anzi lo è ancora più ed è soprattutto più trascurata. Il trattato non fissa solo delle regole e dei soggetti abilitati ad applicarle; fissa anche, direttamente e indirettamente, un indirizzo. L’indirizzo è definito in estrema sintesi così: il funzionamento pieno di una economia di mercato, ma non nel senso — badate — ovvio e banale del riconoscimento del mercato, bensì nel senso di una radicale e sistematica riduzione di ciò che sussiste di non mercantile, cioè di tutti quegli strumenti attraverso i quali le democrazie europee nell’epoca keynesiana, cioè dopo gli anni Trenta e soprattutto dopo il 1945, avevano appreso a governare gli eccessi del gioco cieco del mercato.

    Così è esplicitamente e rigorosamente stabilito che le banche centrali non possono finanziare il debito pubblico; che è vietato stabilire prezzi e tariffe privilegiate per imprese o amministrazioni pubbliche; infine, che si istituisce una moneta unica emessa da una banca centrale indipendente dalle istanze democratiche, così come lo erano prima della grande depressione o come lo è oggi la banca tedesca, di cui pure si critica l’ottusità deflazionistica. Ciò che si crea non è dunque solo un potere concentrato, ma un potere usabile in molte direzioni: è, nel contempo, una certa struttura ed una sua direzione di marcia.

    Un discorso analogo, anche se meno pregnante, si potrebbe fare sull’unificazione militare. Anche qui, non c’è alcuna unificazione di progetti politico-economici, di politica estera, ma solo la creazione di un apparato che, per sua natura e composizione materiale, è rivolto a garantire possibilità di intervento per arginare crisi che nascono alla periferia dell’Europa e che non si sa come prevenire. Non meno conta, però, l’indirizzo che si definisce in modo indiretto. Ad esempio, con la perdita dell’autonomia monetaria restano allo Stato nazionale gli strumenti della politica di bilancio, ma solo in parte ed apparentemente, perché le politiche fiscali non unificate sono vincolate, anzi, dalla circolazione libera dei capitali a farsi concorrenza nel senso di essere più permissive per attirare risorse. Vincoli monetari e vincoli fiscali si sommano così nell’imporre la via obbligata del contenimento strutturale e non congiunturale della spesa pubblica, degli investimenti sociali o comunque a lungo termine.

    Tutto ciò ovviamente non è del tutto nuovo. Ieri il Presidente Amato ha riconosciuto con insolita franchezza che l’Italia vive ormai in un regime di sovranità limitata, e non solo l’Italia, se è vero, com’è evidente, che anche paesi come l’Inghilterra, che non hanno un grande disavanzo pubblico, o come la Svezia ormai sentono il peso di un potere esterno cui non riescono ad opporsi. Ma di questa sovranità limitata Maastricht è una sorta di ratifica, di legittimazione definitiva, e il prossimo prestito che l’Italia otterrà dalla Comunità comincerà a definire già il primo protocollo delle sue clausole. Non è allora esagerato dire che disoccupazione e taglio dello Stato sociale sono inerenti al contenuto del trattato; il prezzo scontato della linea di politica economica in esso implicita ma molto rigorosa.

    Vengo così alla terza ed ultima ragione del nostro «no». Nella logica di questo tipo di unificazione europea (ecco il punto che si dimentica) è non solo prevedibile, ma fatale, la prospettiva dell’aggregazione selettiva delle aree forti e dell’emarginazione ed esclusione delle periferie e semiperiferie. Non è vero, e soprattutto non è vero in questa fase, che il gioco di mercato, la supremazia dei parametri finanziari, la priorità del cambio tendano a promuovere un allargamento della base produttiva. Anzi, è evidente proprio il contrario: in assenza di politiche attive di sviluppo, le aree più deboli, financo all’interno dello stesso paese, regrediscono. E così, mentre si solidifica un centro forte che tende ad attrarre ed integrare regioni limitrofe anche fuori dalla Comunità, si emarginano interi paesi più deboli.

    La linea di confine — lo sottolineo — tra i due processi attraversa nel profondo la realtà italiana, il nord e il sud. Cosicché, se da un lato è probabile che l’Italia nel suo insieme non sia in grado di rispettare gli esorbitanti vincoli posti da Maastricht per il 1997, e sarà dunque costretta ad una rincorsa insieme affannosa e perdente, dall’altro lato in questa prospettiva dell’Europa a due velocità troviamo una chiave di lettura ed un moltiplicatore travolgente delle spinte secessioniste nell’Italia, nel prossimo futuro.

    Maastricht non promette allora l’unità dell’Europa, ma in compenso promuove la divisione dell’Italia e, più in generale, una moltiplicazione, che già si registra ovunque, di spinte, passioni, interessi localistici e di subculture nazionali. Non è un passo imperfetto e parziale verso l’unità europea, ma il rischio della sua crisi.

    C’era e c’è un’altra strada? C’era, a mio parere, e c’è. È quella coraggiosa di una costituente politica europea che produca insieme istituzione e soggetti politici unitari e democratici. È quella, dall’altra parte, dell’unificazione delle politiche economiche effettive come strumento di sviluppo orientate sulla priorità dell’occupazione, del risanamento ambientale, dell’allargamento della base produttiva regionale. Ma per percorrerla occorrerebbe costruire una sinistra politica e sindacale, riconquistare un’autonomia culturale rispetto alla genericità retorica dell’europeismo degli ultimi anni. Su questo terreno il ritardo è però grandissimo. C’è, e opera, un soggetto politico culturale forte, organizzato nel capitale internazionale. Esso ha i suoi strumenti nella circolazione dei capitali, addirittura una lingua propria: l’inglese impoverito dei managers.

    La sinistra invece, e in generale le forze politiche democratiche, come soggetto europeo quasi non esiste. L’Internazionale socialista è ormai un involucro in gran parte vuoto. L’Internazionale comunista non c’è più, quella verde non è decollata, un’Internazionale cattolica non è mai esistita. Ecco, a maggior ragione, occorre per questo trovare un punto di partenza da cui invertire una tendenza, da cui risalire una china che porta ad una unità dimidiata e ad un’unità dai contenuti che ho descritto. Il problema, per noi, è allora proprio questo. Il «no» a Maastricht e la lotta contro le sue conseguenze nei prossimi anni saranno una battaglia che permetterà di cominciare a costruire un’Europa diversa, un Europa democratica nelle sue istituzioni, socialmente definita nei suoi traguardi e nei suoi obiettivi. Le ragioni del nostro «no» sono dunque contestuali ad un «sì» per un’Europa diversa. E constatiamo con grande stupore come tanta parte della sinistra italiana, su questo terreno, non abbia saputo trovare quanto meno gli accenti di una diversità, di un’alternativa. Come si fa a volere un’alternativa in Italia, con questa ammucchiata senza forma sui grandi temi delle prospettive dell’Europa?”

    I RISULTATI DEL VOTO E I POSIZIONAMENTI POLITICI

    Il risultato finale del voto alla Camera stato di 403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti. Commento del giornalista Leopoldo Fabiani per “La Repubblica” da cui emergono anche le altre prese di posizioni politiche sulla questione: “se ieri il voto ha richiamato in Parlamento un numero notevole di deputati, non si può nascondere che nei giorni scorsi, durante il dibattito di merito a qualche deputato è capitato di parlare all’aula deserta. E sì che, dopo la decisione di partecipare alla guerra nel Golfo, questa è la più importante scelta di politica estera presa dall’Italia negli ultimi anni […]. Il governo ha respinto anche tutti gli ordini del giorno che comportavano emendamenti o “riserve” sul trattato che va “approvato o respinto così com’è” come ha spiegato anche il presidente della Camera Giorgio Napolitano.

    Sono stati invece accolti come “raccomandazioni” ordini del giorno presentati dall’ opposizione, come quello del Pds firmato da Massimo D’Alema o quello dei Verdi di Francesco Rutelli. I Verdi si sono poi astenuti nel voto finale (altrettanto ha fatto la Rete) perché chiedono un maggiore impegno sulla democratizzazione della Comunità. Contrario il Msi: “Il trattato è un mostriciattolo giuridico e costituzionale che non salvaguarda gli interessi nazionali”, ha detto Mirko Tremaglia. E anche Rifondazione comunista: “Nasce un’ Europa autoritaria decisa dalle banche centrali e dalle stutture militari”. Il gruppo di Marco Pannella, in nome di Altiero Spinelli, non se l’è sentita di votare contro né di astenersi. Ma ha lasciato in aula un solo deputato a votare a favore. Infine i deputati ‘pacifisti’ del Pds che hanno parecchie riserve sul trattato, si sono riconosciuti nella “sofferta decisione” di approvare annunciata dal capogruppo D’ Alema. Ora che il trattato è approvato, l’Italia si è assunta un impegno tutt’altro che leggero. C’è il sentiero del risanamento finanziario, obbligatorio per rispettare i criteri previsti dall’ Unione monetaria, stretto, ripido e molto faticoso, soprattutto per quello che riguarda il deficit pubblico.”

    LA LOTTA REVISIONISTA PER LA DEMOCRATIZZAZIONE DELL’EUROPA

    L’analisi di Magri è tuttora di grande attualità, mostrando come l’Europa che nascesse fosse un’Europa dei Capitali, della Borghesia. Un modello nato secondo linee anti-democratiche e che trovava il modo di far diventare paesi a sovranità limitata i suoi aderenti. Il tutto facendo presagire l’attacco allo Stato sociale e l’impoverimento relativo della grande maggioranza della popolazione italiana. Un’analisi di fase eccellente, seppur contingente e incapace di coglierne la natura profonda, ossia la controffensiva in atto da parte dell’imperialismo in ambito globale a seguito della caduta dell’URSS (1991). Questa carenza mina profondamente la parte finale del discorso di Magri, da cui scaturisce una proposta politica di lottare per la democratizzazione dell’Europa.

    I comunisti votavano contro la costituzione dell’Europa imperialista e promettevano di avviare una lotta per la sua democratizzazione; non per la sua distruzione quindi, come insegnavano invece chiaramente Marx, Engels, Lenin e Gramsci. Per avanzare verso il socialismo le strutture e le sovastrutture della Borghesia si possono solo distruggere, non certo riformare. Il revisionismo era però parte integrante da anni ormai del complesso del movimento comunista italiano, che aveva ripudiato in massa il marxismo-leninismo, pur nella protesta diffusa della base militante. Una delle massime espressioni politiche della candida “via italiana al socialismo”, la mente marxista di Lucio Magri, mostrava qui tutti i suoi limiti con una proposta politica utopistica che dimenticava gli insegnamenti della storia del movimento comunista internazionale.

    La convinzione di dover e poter riformare l’Europa diventa negli anni successivi la tomba del movimento comunista italiano e della sua avanguardia politica. Il Partito della Rifondazione Comunista si rivela, sia nella sua fase parlamentarista (periodo Bertinotti, 1994-2008), sia in quella extra-parlamentare (periodo Ferrero, 2008-2017), sempre incapace di riscoprire la dottrina leninista dell’imperialismo, incappando così in disastrose analisi e nelle conseguenti proposte politiche sempre meno incisive. L’accumularsi degli errori politici ha avuto l’effetto di distogliere milioni di proletari, che avevano retto ideologicamente alla caduta dell’URSS, dal marxismo e dalla consapevolezza sulla necessità di avere un’organizzazione politica rivoluzionaria e marxista alla testa delle lotte di classe quotidiane.

    Il PRC non ha perso quindi solo la fiducia delle avanguardie della classe lavoratrice, ma ne ha favorito con i propri errori un allontanamento popolare dalla teoria più avanzata a disposizione degli oppressi per la conquista della propria emancipazione politica e spirituale: gli insegnamenti del marxismo-leninismo e del socialismo “reale”. Alle nuove generazioni-avanguardia spetta ora il compito di ricostruire con calma e determinazione la connessione sentimentale tra la classe lavoratrice e la lotta di classe organizzata. Quando si avrà la forza di portare l’attacco al cuore per distruggere l’Europa imperialista, si avrà anche la forza per prendere il potere politico lanciando la rivoluzione socialista.

    [fonti: Partito della Rifondazione Comunista Bergamo, “Lucio Magri e il No di Rifondazione Comunista al Trattato di Maastricht”, 28 novembre 2017, disponibile su (28.11.2017) Lucio Magri e il No di Rifondazione Comunista al Trattato di Maastricht | Partito della Rifondazione Comunista ? Bergamo, L. Fabiani, “L'Italia approva Maatricht”, “La Repubblica”, 30 ottobre 1992, disponibile su L' ITALIA APPROVA MAASTRICHT - la Repubblica.it il pezzo è stato ripreso da "L'AntiDiplomatico" ed è disponibile su https://www.lantidiplomatico.it/dett...sta/82_25054/]


    http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35266
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  2. #22
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Rifondazione Comunista: governo vada fino in fondo su concessione Autostrade per l’Italia

    Rifondazione Comunista non si unisce al coro dei difensori dei monopolisti delle autostrade. Consideriamo un atto dovuto la lettera con cui il governo avvia la procedura che potrebbe condurre alla revoca della concessione unica alla società Autostrade per l’Italia. Si tratta del minimo che si possa fare dopo questa tragedia. Tutte le forze politiche dovrebbero essere unite e semmai confrontarsi sulle procedure più efficaci. Al contrario degli altri partiti, noi che siamo sempre stati contro la privatizzazione e nel 2006 rifiutammo offerta di soldi da Autostrade per l’Italia, ribadiamo per l’ennesima volta che bisogna scoperchiare tutto il sistema delle concessioni. I signori monopolisti delle autostrade (non ci sono solo i Benetton) hanno intascato dal 2009 al 2016 rendite per 8,85 mld. Noi siamo per la ripubblicizzazione delle autostrade, ma anche chi la pensa diversamente dovrebbe convenire che questa strage impone di riconsiderare privatizzazione e non escludere la revoca della concessione considerandola alla stregua di un reato di lesa maestà. Il fatto che “Autostrade per l’Italia” ora si dica disponibile a spendere una cifra che è quasi pari agli utili di un anno è segno che ci tengono a salvaguardare la rendita pluridecennale che la politica di centrosinistra e centrodestra gli ha garantito. Ricordiamo che la società Autostrade è sotto processo anche per la strage sul tratto Baiano-Avellino quando un bus precipitò e ci furono decine di vittime. Questa volta si vada fino in fondo anche sulla questione della revoca della concessione. E non si spengano i riflettori dopo qualche settimana.

    Maurizio Acerbo segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
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  3. #23
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Lettera aperta ai segretari di PCI e PRC

    di Gianni Fresu* - Gianni Fresu – 29 agosto 2018 -

    Nel 1991 aderii con l’entusiasmo della gioventù e la razionalità di una scelta ponderata al PRC, nel 2013 lo abbandonai con il dolore della sconfitta, sapendo che di quel dolore non mi sarei facilmente liberato, non casualmente, dopo, non ho più trovato una realtà che potessi considerare (con la stessa convinzione) la mia casa politica. Negli anni Novanta, quando tutti erano impegnati nell’apologia del neo-liberismo, assumendo i paradigmi della flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro, delle privatizzazioni, dell’adesione entusiastica alla UE di Maastricht, il PRC (pur tra tanti limiti ed errori) è stata l’unica forza organizzata a levare la sua voce critica, a mostrare quanto fosse effimera e destinata a infrangersi contro il muro una crescita economica realizzata a colpi di delocalizzazioni produttive, speculazioni finanziarie, distruzione di diritti sociali, smantellamento delle funzioni di programmazione economica da parte dello Stato. A partire dal 2008 è iniziata una crisi economica mondiale (non ancora finita), che noi vedevamo prossima quando invece gli altri pensavano di cavalcare comodamente l’onda della crescita infinita, così nel tempo si sono materializzate, una a una, tutte quelle contraddizioni che allora denunciammo. A beneficiare del crollo di quell’enorme castello di carte non è stato però il PRC, né altre forze della sinistra radicale nate da quella storia, ma il qualunquismo dei 5 stelle e la Lega di Salvini, ossia, una forza tutt’altro che antiliberista e un’altra che di quella stagione, inabissatasi nei fallimenti di questi anni, era parte attiva e dirigente. Perché? Perché siamo stati degli idioti (io mi ci metto in prima persona), perché tra gestioni politiche dissennate, impreparazione, lotte intestine, scissioni, eccessivo amore per le Istituzioni abbiamo dilapidato in pochi anni un patrimonio di credibilità che oggi avrebbe reso possibile a quella forza di raccogliere i frutti del lavoro di allora. Invece siamo ridotti tutti all’impotenza politica, alla marginalità. al punto che quanti allora privatizzarono, flessibilizzarono, precarizzarono la vita sociale del nostro Paese possono ergersi a censori e addirittura fare a noi la morale, ottenendo pure il consenso dei cittadini.

    La dialettica politica si sviluppa oggi su un piano inclinato a noi avverso, da ogni punto di vista, e oramai siamo arrivati ai pogrom, alla caccia all’uomo strada per strada, bastano determinati tratti somatici e il colore della pelle per diventare preda e vittima. Personalmente denuncio da diversi anni un processo di fascistizzazione del senso comune e della cultura politica europea, ricevendo spesso in cambio l’accusa di allarmismo insensato, ma non mi stupisco, pure la tendenza a minimizzare il pericolo è oggi un effetto dell’egemonia esercitata dal nazionalismo piccolo borghese. Lo dicevo allora e lo ripeto: quanto resta della sinistra di classe deve prendere atto seriamente di questo fenomeno, ciò significa riorganizzarsi subito, dandosi un coordinamento efficace a livello europeo, e predisporsi alla resistenza contro questa incontrollabile deriva proto-fascista. Ma va fatto ora, dopo sarà troppo tardi. Contro i miasmi razzisti del nazionalismo piccolo borghese, in Europa, occorre restituire centralità assoluta al conflitto sociale, alla contraddizione capitale-lavoro. Fallite le illusioni dell’intermediazione socialdemocratica, decompostasi nell’inutilità dopo aver assunto acriticamente tutte le esigenze del capitale e la visione del mondo liberale, solo l’unità degli sfruttati contro gli sfruttatori può offrire una via di uscita. Per far questo bisogna anzitutto smascherare le ambiguità di quanti mestano nel torbido, dobbiamo isolare chi tenta di riesumare categorie nefaste come il socialpatriottismo per indebolire le difese immunitarie delle forze della sinistra, aprendo le porte all’offensiva egemonica del nazionalismo e delle nuove forme di fascismo. Si tratta di una battaglia insieme filosofica e politica nella quale i due terreni di lotta (teorico e pratico) sono essenziali l’uno all’altro.

    “Non avere paura di fare politica”, era una tipica espressione con la quale Togliatti esortava i comunisti sempre a non rinchiudersi nel ghetto delle proprie certezze per aprirsi alla contraddizione, perché solo in questo modo la propria visione del mondo poteva sperare di divenire egemonica e non mera testimonianza. Non è tutto, ma anche questa metodologia spiega come fu possibile trasformare una piccola e organizzazione nel più grande partito comunista d’Occidente. Nel PCI coesistevano dirigenti di peso con visioni profondamente diverse come Secchia, Amendola, Ingrao, ma anche lo scontro più duro su questioni non secondarie mai li spinse a pensare di moltiplicare le proprie sensibilità in altrettanti partiti. Oggi, invece, ogni sfumatura sembra diventata un limite invalicabile e il concetto di Unità (dei comunisti non della sinistra in generale) appare quasi un insulto, così preferiamo guardarci allo specchio e darci sempre ragione, confondendo l’autoriflessione con il “fare politica”. Se l’opportunismo è la fine di qualsiasi prospettiva capace di andare al di là dello stato di cose esistenti, il settarismo è la pietra tombale sopra qualsiasi ambizione di intervento dialettico nella realtà, che trasforma il pensiero critico nella passiva esegesi dei testi sacri e la meta del socialismo un mero esercizio retorico.

    Credo che i segretari del PRC e del PCI debbano assumere l’iniziativa di un nuovo processo unitario capace di unire altre forze politiche e sociali e quanti sono tornati a casa, lo impone la gravità del momento. Insomma, ripartire dallo spirito del 1991, ma evitando di ripetere gli stessi errori di quella storia, superando le divisioni tra i comunisti, unendo quelle forze sociali da sempre critiche verso lo stato di cose presenti. La via d’uscita non è da ricercare nelle scorciatoie sovraniste del nazionalismo piccolo borghese, ma nel dare nuovamente forma critica e coerente a una visione del mondo alternativa, capace di teorizzare e praticare, in maniera organica, il conflitto del lavoro contro le pretese di dominio del capitale.

    Come dopo la prima guerra mondiale, anche oggi, di fronte a questa gigantesca crisi organica (economica e di egemonia) della civiltà occidentale, l’alternativa è una sola: Socialismo o barbarie.

    *Dottore di ricerca in Filosofia alla Università di Urbino, professore di Filosofia politica alla Universidade Federal de Uberlandia (MG/Brasil).

    http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35370
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  4. #24
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Cultura, adesione e sostegno di Rifondazione alla manifestazione nazionale del 6 ottobre

    COMUNICATO STAMPA

    Il Partito della Rifondazione Comunista dà il proprio sostegno e la propria adesione alla “manifestazione nazionale unitaria per la cultura ed il lavoro” organizzata per il prossimo 6 ottobre a Roma.
    In una società realmente democratica la cultura costituisce un elemento strategico fondamentale. Da essa dipendono infatti i diritti di scelta e la formazione della coscienza critica di cittadine e cittadini, dunque la loro reale libertà e capacità di incidere nello sviluppo sociale del Paese.
    La cultura è un bene comune, non privatizzabile e non mercificabile, diritto fondamentale; patrimonio di tutti, bene inalienabile: a tutti va garantito l’accesso alla produzione e alla fruizione della cultura.
    Le politiche messe in atto dagli ultimi governi non solo hanno continuato a tagliare i fondi a tutta la produzione culturale, alle istituzioni e all’intero tessuto culturale italiano, ma hanno prodotto leggi volte a smantellare l’intervento pubblico in tutti i settori della conoscenza, della comunicazione, dei saperi e della cultura sia a livello nazionale che locale. Una politica volta a impedire la circolazione delle idee, la libertà d’espressione e l’autonomia e l’indipendenza della produzione culturale. Continuano a chiudere teatri, sale cinematografiche, biblioteche, musei, istituti di ricerca, gallerie d’arte, accademie, associazioni, fondazioni e le più importanti istituzioni culturali del nostro paese. I lavoratori della cultura sono privi di tutele e spesso di diritti.
    Rifondazione Comunista è al fianco di tutto il mondo della cultura, contro la mercificazione della conoscenza, della cultura e dei saperi, per il riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori della cultura dello status di lavoratrice e lavoratore.

    Stefania Brai
    Responsabile cultura di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

    Maurizio Acerbo
    segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

    Roma, 18 settembre 2018

    http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35504
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  5. #25
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Potere al popolo: perchè ritiriamo lo statuto e non partecipiamo al voto

    “Ogni limite ha una pazienza”
    PERCHE’ RITIRIAMO LO STATUTO E NON PARTECIPIAMO AL VOTO


    Oggi è stata rifiutata la pubblicazione sul sito del testo di presentazione dello “Statuto per tutte e tutti”, creando una evidente e inaccettabile condizione di disparità tra i due statuti di fronte alle/agli aderenti: il primo statuto aveva da tempo pubblicato la sua, abusando ancora una volta del monopolio sulla gestione di sito e pagine social. Inoltre sul sito vi è una ricostruzione falsa del coordinamento di lunedì scorso, che attribuisce a noi – che abbiamo sempre chiesto di poter votare su un solo statuto emendabile – la responsabilità di andare al voto su due statuti contrapposti. E’ davvero troppo.
    In qualità di firmatari/e del secondo statuto, pertanto, comunichiamo la nostra decisione di ritirarlo e di non partecipare a una consultazione on line per la quale mancano i requisiti minimi di agibilità democratica. Non bastava aver imposta una votazione assurda su statuti contrapposti, rifiutando di far esprimere le/gli aderenti sulla modalità di voto, come noi avevamo proposto. Non bastava aver rifiutato un breve differimento della data del voto; si procede senza tenere conto che migliaia di persone non riescono ancora a padroneggiare la piattaforma, alcune nemmeno ad entrarci, e che non si conoscono le regole che presidierebbero alla definizione del risultato del voto.
    La pazienza unitaria ha un limite. Di fronte a queste scelte non possiamo che prendere atto che non vi sono le condizioni per una consultazione informata, seria, autenticamente democratica. Invitiamo le compagne e i compagni di quella che si è configurata come la “maggioranza” del coordinamento a rinviare la consultazione on line e a concordare una convocazione del coordinamento stesso per ristabilire un quadro di regole condivise. Invitiamo le compagne e i compagni che come noi si riconoscono nel Manifesto fondativo di Potere al popolo! a non partecipare alla votazione che inizia domani.

    Marina Boscaino, Maurizio Acerbo, Enzo Di Salvatore, Paolo Ferrero, Roberto Morea, Roberto Musacchio, Vincenzo Riccio, Ivan Cazzaniga (Milano), Francesco Campolongo (Cosenza), Dino Greco (Brescia), Pino Rando (Genova).

    Potere al popolo: perchè ritiriamo lo statuto e non partecipiamo al voto | Rifondazione Comunista
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  6. #26
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    La premessa allo statuto2 censurata

    Questo è il testo della premessa allo statuto2 che non è stata pubblicata sul sito di Potere al popolo! con argomentazioni che dimostrano una scarsa dimestichezza con la democrazia. Non si era mai visto che qualcuno decida di sindacare i contenuti di un testo presentato da altri in alternativa al suo. E che quindi ne neghi la pubblicazione. La democrazia è una cosa seria. Buona lettura.

    Pap: una contrapposizione sbagliata, da correggere scegliendo la regola del consenso


    Premessa a chi legge

    Una premessa: ci sembra evidente che, nel gioco delle parti, si sta tentando di creare una contrapposizione netta tra buoni e cattivi, giovani e vecchi, moderni e antichi, movimenti e partiti.
    Non abbiamo intenzione di partecipare a questa liturgia, peraltro abusata; siamo in grado di comprendere complessità della situazione, valore e meriti degli avversari, responsabilità da assumere rispetto alla situazione in cui siamo. Siamo doverosamente interessati a riattivare un dibattito che esca dalla attuale fase, caratterizzata da una contesa senza esclusione di colpi. E’ poco edificante per tutti noi; ma lo è soprattutto per le/i 9mila che hanno aderito al progetto e per le/gli oltre 300mila che ci hanno votati in marzo.
    La posta in gioco è chiara: la sopravvivenza e la crescita di Pap come – secondo quanto affermato dal manifesto – espressione di un “movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”, dove ciascuno si senta a casa. O trasformarlo in altro: una formazione egemonizzata da una maggioranza – qualsiasi essa sia – che – acquisito il 50+1% – assume contemporaneamente un controllo pressoché totale della direzione politica, delle scelte, delle cariche. In cui partecipare fisicamente alla socializzazione della politica e alla politicizzazione del sociale o farlo con un click su una piattaforma rappresenta una variabile ininfluente.
    Non eravamo partiti così. E non è casuale che contraddizioni – che al momento sembrano insuperabili – siano emerse proprio sul tema dello statuto: il sistema delle regole della democrazia.

    La costruzione del consenso

    Pap ha funzionato in questi mesi in larga parte attraverso la regola del consenso, discutendo e trovando la strada tutti e tutte insieme. In questo modo abbiamo composto le liste elettorali, il programma, deciso le iniziative politiche e di mobilitazione di cui siamo stati protagonisti in questi mesi.
    La vita delle assemblee territoriali, quando hanno funzionato bene, è stata caratterizzata dalla stessa attenzione alla costruzione comune: si parte insieme e si arriva insieme.
    Su questa base abbiamo fatto l’assemblea nazionale di Napoli, che ha varato un documento politico unitario e che ha lanciato la proposta delle adesioni individuali e la piattaforma informatica, impostata anch’essa per funzionare con il principio del consenso.
    Anche l’adozione della piattaforma liquid feedback era stata pensata e voluta proprio perché funzionale per sua natura a un soggetto politico e sociale che si basi sulla ricerca e sulla costruzione della convergenza sulla proposta con maggior consenso.
    Quando è cominciata la discussione sullo statuto il clima invece ha cominciato ad avvelenarsi, perché dalla costruzione del consenso si è passati alla logica della conta interna.
    In questo quadro il coordinamento nazionale ha deciso a maggioranza che, invece di avere una discussione su un unico statuto emendabile, si arrivasse – nel caso in cui i punti di differenza fossero più di due – alla votazione contrapposta su statuti diversi.
    Abbiamo contrastato quella scelta divisiva e abbiamo proposto di avere una sola proposta di statuto emendabile, in modo che tutti i compagni e le compagne aderenti potessero votare su ogni singolo emendamento. In questo modo non si sarebbero create contrapposizioni, ma si sarebbe costruito lo statuto tutti insieme, in modo partecipato.

    Questa strada è stata proposta anche da molte assemblee territoriali, che hanno considerato
    sbagliata questa conta che rischia di creare pesanti fratture nel movimento.

    Il coordinamento di lunedì 1

    Per questo nell’ultima riunione del Coordinamento di lunedì 1 ottobre abbiamo proposto tre cose:
    - In primo luogo che il modo in cui si votano gli statuti (se su un unico o su più) venisse deciso direttamente da tutte e tutti gli aderenti sulla piattaforma.
    - In secondo luogo di spostare di una settimana il voto, in modo da permettere a tutte/i coloro che hanno aderito di ricevere le conferme delle adesioni e poter impratichirsi con la piattaforma informatica. Moltissimi aderenti non hanno ancora ricevuto alcun riscontro dell’adesione e si rischia un gran pasticcio.
    - In terzo luogo abbiamo proposto che il coordinamento riconsiderasse la possibilità di votare su un solo statuto emendabile, rivedendo la decisione assunta a maggioranza di andare a votare su più statuti in contrapposizione, qualora vi fossero stati più di due emendamenti.
    Tutte queste proposte sono state dunque respinte; e così la maggioranza del coordinamento provvisorio ha deciso di portare Pap ad una conta che non è certo utile né tantomeno necessaria.
    Una decisione sbagliata come quella di dire no ad un solo statuto costruito ed emendabile da tutte e tutti porta – di conseguenza – ad un uso distorto della piattaforma, che – da strumento di negoziazione e avvicinamento al consenso quale era – viene piegata ad una logica referendaria, che ne snatura (anche grazie al complicato incrocio di variabili prevedibili nella registrazione e ratifica degli esisti del voto) la funzione. Precludendo, peraltro, la possibilità – prevista nel nostro statuto emendato – di scegliere su opzioni alternative su singoli punti. Ci impegniamo, peraltro, sin da ora a valorizzare politicamente, qualora dovesse prevalere il consenso sullo statuto 2, la possibilità di
    valorizzare politicamente tale importante opportunità.

    La redazione di Uno statuto per tutte e tutti

    Dopo averle provate tutte per evitare la contrapposizione e visto che i punti fondamentali che avevamo posto non sono stati recepiti, abbiamo riformulato lo statuto 2 “uno statuto di tutti e tutte”, modificandolo alla luce delle proposte che sono emerse dalle assemblee territoriali.
    Abbiamo accentuato il ruolo fondamentale delle assemblee territoriali e la valorizzazione del tessuto militante che le anima. L’assemblea nazionale viene così formata da delegati eletti appositamente da ogni assemblea, senza alcun filtro intermedio e permettendo alle assemblee territoriali di discutere prima gli argomenti all’ordine del giorno. Questo modello consiliare mai esperimentato in Italia è affiancato dal ricorso alla piattaforma con il coinvolgimento di tutte e tutti gli aderenti nel rifiuto netto di ogni logica presidenzialista nell’elezione dei portavoce. Il tutto in un
    quadro di rispetto democratico delle diverse posizioni e di ricerca del consenso come metodo di funzionamento: per evitare quelle spaccature che tanti danni hanno fatto negli ultimi decenni.

    Conclusioni

    Se questa consultazione sullo statuto avesse adottato la regola dei 2/3 che noi proponiamo per le principali decisioni politiche, non ci troveremmo in questa deleteria contrapposizione.
    Perché un movimento politico e sociale come Potere al Popolo, che ha l’ambizione di aggregare il complesso delle lotte e delle forze antiliberiste ed anticapitaliste, deve avere una attitudine inclusiva e non basata sulle contrapposizioni interne.

    http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35793
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  7. #27
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Pap, i problemi sono sempre stati due: la democrazia e il settarismo. Intervento di Roberta Fantozzi

    PAP. I PROBLEMI SONO SEMPRE STATI DUE: LA DEMOCRAZIA E IL SETTARISMO.

    di Roberta Fantozzi -


    “L’appello iniziale delle compagne e dei compagni dell’Ex-Opg, dopo la brusca fine del percorso del Brancaccio, aveva molte caratteristiche condivisibili: parlava di una maggioranza della società non rappresentata, di percorsi di autorappresentazione e della ricostruzione di un rapporto tra impegno sociale e politica, tra conflitti e rappresentanza, esprimeva una generazione nuova che prendeva finalmente parola, e sapeva farlo persino con leggerezza.

    Evocava per me la necessità di uno spazio ampio, di una soggettività capace di misurarsi con la ripoliticizzazione di una società impoverita e atomizzata per ricostruire legami e relazioni sociali e insieme senso di sé, una soggettività capace di parole nette e allo stesso tempo inclusiva per rappresentare quella maggioranza.

    Non è stato così a mio avviso il percorso che ne è seguito: il rifiuto di votare sul nome della lista, come si era fatto ad esempio con l’esperienza di Altra Europa, le forzature perché si arrivasse a una definizione tanto del simbolo quanto delle figure più rappresentative, escludendo ogni alternativa che non fosse internissima, una discussione successiva al risultato elettorale in cui in nome dell’ “entusiasmo” ogni riflessione anche solo vagamente critica diventava di fatto “disfattismo”, il rifiuto di relazionarsi con altri percorsi nella pretesa di essere in sostanza l’unico, la gestione del sito che avrebbe dovuto essere di tutti come proprietà esclusiva di alcuni, la selezione degli interlocutori ad esempio sul piano sindacale di fatto ristretta ad una organizzazione…

    La costruzione di uno spazio e di una soggettività politica ampia sono diventate sempre di più evocazioni, a cui hanno corrisposto nei fatti logiche minoritarie e settarie, fino all’appello ad annullare in una cabina elettorale i percorsi di chi magari si è dato da fare per anni, per costruire partecipazione, conflitto, saperi diffusi, pratiche e cultura del cambiamento. Percorsi da cancellare, perché non hanno accettato di annullarsi, a tre mesi dal voto, e confluire nella pretesa totalitaria di Potere al Popolo.”

    E’ inelegante citarsi e chiedo scusa se lo faccio, ma dopo aver provato a scrivere ex-novo quello che penso di questi mesi, mi sono accorta che in realtà tutto quello che volevo dire era contenuto nell’intervento di diverso tempo fa, scritto per aprire una discussione già allora troppo a lungo rinviata.

    Era un intervento che seguiva all’appello al voto di PaP in cui si invitava ad annullare alle amministrative tutti i simboli che non fossero quello di PaP medesimo, quindi anche quelli delle liste di sinistra di alternativa che si presentavano con altro simbolo, o delle liste che si presentavano come Rifondazione. Allora la discussione si concentrò solo su quel punto e si negò che vi fosse quella intenzione, una negazione scarsamente credibile per chi, dentro il coordinamento, aveva dovuto discutere per ore e ore delle realtà che non intendevano andare al voto come PaP: come ci si poteva “dimenticare” di ciò di cui si era discusso per settimane?

    Ma era un intervento che soprattutto affrontava quelli che già allora, anzi da quasi subito, emergevano come problemi di assoluta rilevanza: la democrazia e il settarismo, la logica proprietaria e la pretesa “totalitaria”.

    Perché non si era potuto votare su nome e simbolo della Lista, come era avvenuto ad esempio nel caso di Altra Europa?

    Perché non si era potuto discutere delle figure più rappresentative nel passaggio elettorale, con la logica di allargare al massimo il consenso, ed ogni proposta alternativa era stata respinta, fino alla forzatura della seconda assemblea dove per “acclamazione” si era bypassato ogni possibile ulteriore confronto?

    Perché ogni seppur vaga riflessione autocritica doveva essere tacitata in nome dell”entusiasmo” usato come una clava contro la libertà di confronto?

    Perché a chi aveva proposto in coordinamento, di invitare all’assemblea post voto, la Rete delle Città in Comune o Altra Europa era stato detto di no e che “si strizzava l’occhio ad altri percorsi” evidentemente sentiti come concorrenti e non come possibili compagni di strada con cui costruire un campo largo dell’alternativa?

    Perché quando alcuni hanno proposto sempre in coordinamento di aprire una fase costituente, con incontri con associazioni, movimenti, sindacati, la sola replica era stata il silenzio?

    E perché ad esempio sul piano sindacale, non solo non era possibile nominare la Cgil se non come avversario o nemico (che è cosa assai diversa da vederne tutte le criticità e i limiti), ma pure i Cobas non erano interlocutori, con la restrizione di fatto delle relazioni ad una sola sigla?

    Perché non era possibile aderire a mobilitazioni promosse su piattaforme giuste dall’Anpi o dall’Arci, o da altri, perché magari in piazza ci poteva essere qualcuno del PD, come se incontrare in piazza qualcuno del PD fosse la stessa cosa che promuovere una manifestazione con il PD? Dal 25 aprile alla Perugia-Assisi…

    E perché la gestione del sito doveva essere nelle mani solo di Ex-OPG, respingendo ogni proposta di comitato redazionale con una sorta di “così è, se vi pare”?

    Ho detto, con molte e molti, queste cose per mesi, sempre cercando per altro di vedere la realtà nella sua complessità, di non negare che ci fossero anche esperienze positive: dalle energie che si erano attivate, molto sopravvalutate ma comunque reali, alla centralità del fare, anch’essa sopravvaluta da una retorica abbastanza insopportabile, ma che comunque costituiva e costituisce una parte importante della ricostruzione dell’iniziativa sociale e politica.



    Che fare dunque ora?

    La prima cosa è la necessità di un dibattito tra noi, tanto libero quanto non lacerante, che faccia un’autocritica necessaria, ma per rilanciare in avanti, che abbia cura di Rifondazione e al tempo stesso ne affronti i problemi e le difficoltà reali, con qualche umiltà e reciproca capacità di ascolto.

    E che ci ridislochi immediatamente nel contesto con cui dobbiamo fare i conti: quello della costruzione di un’opposizione assai diversa da quella che siamo abituati a fare ai governi precedenti, con un governo che rischia di sommare il consenso che gli viene dalle posizioni razziste e xenofobe a quello che gli può derivare dal dare risposte, limitate e contradditorie, ma pur sempre risposte, ad un disagio popolare diffuso, cresciuto a dismisura per le politiche di questi anni.

    La seconda è rafforzare l’impegno per la costruzione del polo antiliberista e di alternativa, che senza settarismi, metta insieme tutte le soggettività disposte a costruire un’alternativa su scala nazionale ed europea, tanto ai governi dell’austerity e a chi li ha incarnati come il PD, quanto alle forze nazionaliste e xenofobe.

    Su questo, un’ultima notazione, per me forse la più importante.

    E’ del tutto evidente che il PD è tra i massimi responsabili della situazione in cui siamo, perché ha introiettato fino in fondo le “culture” neoliberiste e per una costituzione materiale che rappresenta ormai interessi opposti a quelli popolari e del cambiamento, come si vede dal fatto che tutt’ora riesce a criticare “da destra” il governo: sul Decreto Di Maio come sulla politica economica. Ma è altrettanto evidente, che a fronte della disperazione di tante e tanti per la situazione attuale, è del tutto possibile, che una qualche operazione di green/rose/washing magari con una confusa autocritica sul passato, possa farlo tornare ad essere persino un polo di attrazione per parte della società.

    Io vorrei evitare questo, e la critica al settarismo non è mai stata parte di una logica “moderata”, ma rispondere all’opposto alla necessità di riuscire a fare anche in Italia, quello che è riuscito in molti altri paesi d’Europa: rovesciare i rapporti di forza tra la sinistra di alternativa e i “socialdemocratici” del neoliberismo e dell’austerity. Non rassegnarsi alle logiche minoritarie e provare a ad incidere di nuovo, davvero, nella società, nella cultura, nella politica.

    Difficile? Difficilissimo, ma altrimenti che ci stiamo a fare?

    Pap, i problemi sono sempre stati due: la democrazia e il settarismo. Intervento di Roberta Fantozzi | Rifondazione Comunista
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  8. #28
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Non vorrei dire, ma se Rifondazione non voleva entrare in PaP lo diceva fin da subito che non gli andava bene, invece ha sfruttato l'alleanza per galleggiare e adesso la lascia con un pretesto. Io non sono d'accordo con Potere al Popolo, ma loro sono sempre stati onesti sulle loro intenzioni e come concorrenti li rispetto, a differenza di Rifondazione il cui comportamento è infido fino all'inverosimile.
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  9. #29
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Documento approvato alla Direzione Nazionale del PRC-SE del 13/10/2018

    La direzione nazionale chiama il partito ad un impegno straordinario di mobilitazione contro le politiche portate avanti dal governo recuperando il nesso tra il piano della battaglia democratica, antifascista, antirazzista e il piano della lotta per i diritti sociali e del lavoro. In assenza di una politica che ponga al centro le domande di giustizia sociale e i bisogni dei settori maggiormente colpiti dal liberismo economico, crescono spauracchi, chiusure, xenofobie, frustrazioni securitarie, trova alimento la politica della paura. Una politica, funzionale ai poteri e agli interessi dominanti, utile a distogliere il dibattito pubblico dall’urgenza di un cambiamento sociale radicale o ad alimentarne un simulacro di destra. Basti pensare all’allarmismo e alle politiche brutali, fascistoidi in tema di migranti. Bisogna infrangere gli specchietti per le allodole. Per farlo occorre ritrovare la capacità di parlare ai ceti popolari impoveriti, di esserci sul terreno materiale delle condizioni di esistenza. La manovra economica in corso di definizione e approvazione da parte del governo solo in apparenza risulta in controtendenza con il passato ma ha una capacità inedita di parlare ai ceti popolari. In realtà col taglio della spesa sociale, l’ennesimo mega regalo ai grandi evasori e ai ricchi la manovra è destinata a non ridurre ma ad ampliare la forbice delle disuguaglianze e a peggiorare la condizione sociale in un Paese in cui il 20% più ricco ha 740 volte la ricchezza del 20% più povero. Anche in occasione del dibattito sulla manovra emerge che l’attuale opposizione parlamentare – rappresentata da forze che hanno l’indubbia responsabilità del peggioramento delle condizioni di vita dei settori popolari – costituisce il miglior alleato del governo. Occorre adoperarsi per costruire la più ampia mobilitazione contro le politiche di austerità vecchie e nuove, con una critica da sinistra al governo. A tal fine la direzione si impegna a predisporre una campagna sociale e di controinformazione da condurre su scala nazionale nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nei quartieri in cui mettere al centro l’abrogazione della Legge Fornero, il reddito minimo ai disoccupati, la tassazione alle grandi ricchezze, la lotta alle disuguaglianze. Impegna altresì il partito a partecipare a tutti i momenti di mobilitazione promossi da forze sociali, sindacali, di movimento.

    La direzione nazionale del Prc-Se unitamente alla costruzione dell’opposizione sociale ribadisce il proprio impegno per la ricostruzione di un campo di forze antiliberiste, anticapitaliste, antagoniste, di sinistra, ambientaliste. Lo abbiamo fatto in Potere al Popolo che è apparso in questi mesi uno dei punti di riattivazione di energie e di protagonismo. Lo abbiamo fatto con l’idea di mantenere l’impegno originario di apertura, di sviluppare un modello inclusivo, partecipativo, democratico, plurale contro ipotesi autoreferenziali, di chiusura, di poter bastare a se stessi e trasformare quello che doveva essere un movimento politico sociale unitario in un partito. Ex Opg, Eurostop e altri hanno perseguito l’archiviazione di fatto del manifesto fondativo di Potere al popolo imponendo un’assurda consultazione su due statuti contrapposti, del tutto priva di garanzie democratiche e di confronto paritario, a cominciare dalla censura operata nei confronti dei materiali di presentazione dello “Statuto per tutte e tutti”. Di fronte a violazioni palesi delle più elementari regole di correttezza, la nostra delegazione nel coordinamento nazionale – unitamente a compagne/i indipendenti – ha chiesto di sospendere e rinviare le votazioni on line e di indire una riunione per chiarire la situazione. Al rifiuto è seguita la dolorosa decisione di ritirare la proposta di statuto e l’invito a non partecipare al voto. Anche in questo caso la risposta è stata all’insegna della prepotenza lasciando sulla piattaforma in votazione una proposta ritirata dai proponenti. Il risultato è stato una sonora bocciatura di queste forzature: ha votato solo una minoranza degli aventi diritto al voto (4041 su 9.091) e solo poco più di un terzo a favore dello statuto n. 1 (3.332). Neanche questi dati inequivocabili hanno spinto al riconoscimento di un deficit di democrazia e consenso. Senza nemmeno consultare il coordinamento si è proceduto immediatamente a dichiarare approvato lo statuto.

    In qualità di soggetto cofondatore di Potere al popolo! che ha sempre proposto la democratizzazione del percorso attraverso la partecipazione diretta, non riconosciamo la legittimità di tale statuto che non riteniamo essere stato approvato dalle/dagli aderenti di Potere al popolo!

    La DN del PRC, nel prendere atto delle palesi irregolarità compiute dalla maggioranza del coordinamento provvisorio di Pap in sede di votazione dello Statuto, non riconosce l’esito di questa consultazione falsata. Tali forzature antidemocratiche se non azzerate, rappresentano una palese violazione dello spirito con cui è nato il progetto di Potere al Popolo. Riteniamo pertanto necessario aprire una fase di forte dialettizzazione politica.

    Non viene meno il nostro impegno a costruire in Italia uno schieramento di sinistra e popolare alternativo a tutti i poli esistenti di cui ogni giorno di più emerge l’urgenza.

    Ribadiamo la nostra indisponibilità per riproposizioni del vecchio centrosinistra liberista e la necessità di una proposta politica di rottura con le politiche e le classi dirigenti degli ultimi 25 anni.

    È doveroso e indispensabile che le soggettività politiche, sociali e civiche che in questi anni hanno resistito e difeso diritti e beni comuni lavorino per costruire un’alternativa a questo governo e a un’opposizione delegittimata.

    Per questo insistiamo sulla costruzione di un progetto che parli a milioni di persone e che sul piano europeo si collochi in alternativa tanto a nazionalisti e razzisti quanto ai trattati UE e alla governance neoliberista.

    Il Partito della Rifondazione Comunista è uno strumento al servizio della lotta per la trasformazione della società e la difesa delle condizioni di vita delle classi lavoratrici.

    Respingiamo ogni caricatura volta a presentare la nostra esistenza come ostacolo alla costruzione di soggettività di sinistra più forti. Le esperienze europee dimostrano il contrario, come per esempio nel caso di Unidos Podemos. Sono semmai il settarismo da un lato e l’opportunismo dall’altro che in questi anni hanno impedito un’auspicabile ricomposizione di un’area politico-sociale-culturale frammentata e lo sviluppo di un discorso politico nuovo e egemone. Ribadiamo l’impegno alla costruzione del partito come fatto materiale, a rafforzare il nostro tessuto militante, il senso di appartenenza, l’impegno all’autofinanziamento, la presenza politica, le pratiche sociali. Va in tale direzione la convocazione dell’assemblea nazionale delle compagne e dei compagni del partito della rifondazione comunista impegnati sul diritto all’abitare. Che questa possibilità ci sia lo dimostrano alcuni indicatori non di poco conto. Le 50.597 mila sottoscrizioni al 2Xmille a favore di Rifondazione Comunista e la riuscita delle molte feste di Rifondazione Comunista. Dati significativi che parlano di una potenzialità, di un possibile salto in avanti che va accompagnato a una maggiore capacità di comunicare e raccontare quello che proponiamo e le cose che facciamo. Su tutto questo e altro ancora siamo impegnati a dare corso alla traccia di lavoro contenuta nel documento uscito dalla discussione di Spoleto sul rilancio del partito. In particolare la direzione nazionale impegna i gruppi dirigenti territoriali alla convocazione dei comitati federali e regionali con all’ordine del giorno la fase politica e il completamento della campagna di tesseramento 2018 contattando e coinvolgendo compagne e compagni vecchi e nuovi.

    La Direzione nazionale, su proposta del segretario, convoca il Comitato Politico Nazionale per il 27 e 28 ottobre.

    Documento approvato alla Direzione Nazionale del PRC-SE del 13/10/2018 | Rifondazione Comunista
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  10. #30
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Un documento che fa chiarezza sulla mancanza di chiarezza! Il solito movimentismo che vuole tenere un piede in tremila scarpe, da Sinistra Italiana a PAP, dai sindacati confederali a quelli di base. E nel frattempo il partito non esiste e si sta sfaldando.
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