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Discussione: Rifondazione Comunista

  1. #1
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    Predefinito Rifondazione Comunista

    Caso Cucchi, Acerbo: «Carabiniere Casamassima merita medaglia, no a omertà di Stato»

    CUCCHI, PRC: «CASAMASSIMA MERITA MEDAGLIA, NO A OMERTA’ DI STATO»

    Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, dichiara:

    «Massima solidarietà a Riccardo Casamassima, il carabiniere che ha fatto il suo dovere raccontando al magistrato quel che sapeva sulla morte di Stefano Cucchi. E’ stato declassato e trasferito mentre meriterebbe una medaglia. Non è tollerabile che in una repubblica democratica si ostacoli la ricerca della verità da parte dell’Arma dei Carabinieri. Non è accettabile che colpendo Casamassima si lanci un segnale omertoso e intimidatorio a tutti gli uomini in divisa: non denunciate abusi. Si tratta di una mentalità mafiosa incompatibile con la nostra Costituzione democratica. Il Presidente della Repubblica e il governo hanno il dovere intervenire. Non confido nel ministro degli Interni che, per raccattare voti dei settori più corporativi delle forze dell’ordine, ha più volte sostenuto il loro diritto all’impunità. Non lasciamo solo Riccardo Casamassima. I responsabili del mobbing nei confronti di Casamassima vanno rimossi, i vertici dell’Arma devono immediatamente fare chiarezza.
    E’ su questi problemi che le vecchie Rappresentanze Militari sono sempre state silenziose mentre con sindacati autonomi e indipendenti, come sancito dalla Corte Costituzionale, il diritto, lo Stato di diritto, può e deve entrare nelle caserme italiane».

    19 giugno 2018

    Caso Cucchi, Acerbo: «Carabiniere Casamassima merita medaglia, no a omertà di Stato» | Rifondazione Comunista
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  2. #2
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO/ Riflessioni e proposte sul Partito e su Potere al Popolo

    Enzo Jorfida

    In premessa, pur considerando imprescindibile l’obiettivo di un’aggregazione di tutte le forze che si riconoscono nella necessità di costruire un’aggregazione per combattere (nella società e nelle istituzioni a tutti i livelli) il sistema capitalista, non posso che confermare la mia valutazione negativa sulla precipitazione organizzativa prefigurata dall’assemblea di Potere al Popolo tenutasi a Napoli, in quanto, per un verso, metterebbe in capo a un soggetto parziale e debole (comunque non certo più solido di quanto sia oggi il PRC), compiti non certo secondari. Un soggetto non omogeneo (PRC, PCI, Sinistra Critica, je so pazz, Euro stop), inconsistente dal punto di vista di classe, politicamente incerto su temi decisivi (come quelli internazionali, a partire dalla guerra nel cuore dell’Europa e dei rischi di un estendersi verso est) e in quanto per altro verso non garantisce nell’ambito di suddetta aggregazione l’autonomia politica e organizzativa dei comunisti e delle comuniste, con i rischi che la nostra organizzazione diventi una “mera tendenza culturale”. Altra cosa è condividere con tutti i soggetti che compongono oggi Potere al Popolo una piattaforma (di cui ancora non si intravede la nascita) per lottare contro i provvedimenti del governo nato con le elezioni del 4 marzo.

    Quindi si pone il problema di dare corpo alle decisioni della Direzione Nazionale votate all’unanimità. Fondamentale per realizzare quegli obiettivi è rilanciare, rafforzare, estendere la nostra presenza organizzata nei territori (Circoli comunali, inter-comunali, di luogo di lavoro, di zona nei grandi centri urbani, creando anche nuclei nelle dimensioni minori) per ricollegarsi alle masse popolari che o hanno deciso di non partecipare più alle scadenze elettorali o, peggio, hanno votato altre formazioni (anche di destra).Vi è infine la necessità che i nostri iscritti e militanti riprendano con forza la presenza nelle organizzazioni già radicate nei territori (sindacati, associazioni culturali, di solidarietà internazionale, anti-fasciste, ecc.).Sono alcune riflessioni e proposte che i gruppi dirigenti del Partito a tutti i livelli dovrebbero adoperarsi per realizzare le necessarie azioni verso le masse popolari.

    DIBATTITO/ Riflessioni e proposte sul Partito e su Potere al Popolo | Rifondazione Comunista
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  3. #3
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Decreto Dignità – Fantozzi (Prc): «Del tutto insufficiente su contrasto a precarietà e licenziamenti, negativa l’abolizione dello split payment. Su delocalizzazioni si fa quello che proponiamo da anni».


    «Le misure sul lavoro contenute nel decreto “Dignità” non smantellano il Jobs Act – dichiara Roberta Fantozzi, responsabile Politiche economiche di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – . L’aumento del numero di mensilità che un lavoratore può ricevere come indennizzo per un licenziamento ingiusto è certamente migliorativo della situazione esistente, ma è assai diverso dal diritto ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro come prevedeva l’articolo 18.
    Né il ripristino delle causali nei contratti a termine, limitato ai rinnovi dopo i 12 mesi, può essere risolutiva a fronte di contratti stipulati, in quasi l’80% dei casi, per periodi di tempo assai inferiori. Il contrasto alla precarietà richiede inoltre interventi coerenti su tutte le tipologie contrattuali, in assenza dei quali si ha soltanto l’effetto “travaso” da una tipologia all’ altra: da questo punto di vista è assai preoccupante e inaccettabile la previsione dell’accordo Lega-M5S di potenziare nuovamente i voucher.
    Consideriamo inoltre negativamente l’abolizione dello split payment, per quanto limitata ai professionisti, perché evidente indice della volontà di indebolire il contrasto all’ evasione fiscale -come molti dei provvedimenti promessi dal governo e ad oggi non realizzati.
    Positivi sono invece sia la stretta sulla pubblicità del gioco d’azzardo, sia le norme sulle delocalizzazioni. Per il contrasto alle delocalizzazioni ci siamo battuti negli ultimi vent’anni, presentando proposte di legge in Parlamento ed in molte regioni, anche con raccolte di firme e iniziative a sostegno.
    L’opposizione annunciata dal Pd in nome della rivendicazione del Jobs Act, cioè da destra, è davvero Il segno di una deriva liberista e anti popolare senza freni.
    Servirebbe all’ opposto il ripristino delle causali per tutti i contratti come la reintroduzione del diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo».

    Decreto Dignità ? Fantozzi (Prc): «Del tutto insufficiente su contrasto a precarietà e licenziamenti, negativa l?abolizione dello split payment. Su delocalizzazioni si fa quello che proponiamo da anni». | Rifondazione Comunista
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  4. #4
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Decreto dignità. Il giudizio della Cgil

    Il decreto dignità varato dal Consiglio dei ministri, “pur contenendo misure interessanti e condivisibili, da tempo richieste dalla Cgil, a partire dall’intervento sui tempi determinati, manca di coraggio nell’affrontare, attraverso un intervento organico, un profondo ridisegno delle regole del mercato del lavoro”. Inizia così il commento della Cgil nazionale al testo del decreto dignità, approvato dal governo Conte. Questo, per il sindacato, è “il vero limite” dell’intervento dell’esecutivo.

    Il nuovo governo, per dimostrare la volontà di rimettere al centro il lavoro e la sua dignità, “deve ambire ad una proposta più forte che parta dagli investimenti volti a creare occupazione, dal sostegno agli ammortizzatori sociali per affrontare l’enorme problema sociale determinato dalla crisi, dal rilancio e dagli investimenti sulle politiche attive del lavoro”. Se non sostenute da un organico disegno di contrasto alla precarietà, infatti, le positive misure sul tempo determinato “rischiano di spostare il peso della precarietà su forme ancora meno tutelate ed ampiamente abusate, quali i tirocini, le false partite Iva se non di incrementare il ricorso al lavoro intermittente o al lavoro autonomo tout court”.

    La Cgil esprime “nettissima contrarietà” all’intervento volto al ripristino dei voucher “vecchia maniera”, a partire dal lavoro agricolo: “Strumento che muove in direzione contraria all’annunciata difesa della dignità del lavoro”. Poco coraggio anche nell’intervento sui licenziamenti ingiustificati: “Riprende una vecchia proposta di innalzamento delle indennità, senza tuttavia intervenire né sul ripristino della reintegra né sull’impianto più generale delle norme contenute sul decreto sulle tutele crescenti”.
    Insomma, non c’è nessun “licenziamento” del Jobs Act, né della legislazione che ha ridotto i diritti nel corso degli anni. Le norme, afferma la confederazione, “speriamo non siano solo un messaggio utile alla propaganda ma un inizio di un percorso di riforma vero”.
    La misura sulle delocalizzazioni rappresenta un primo tentativo per arginare un fenomeno negativo per l’economia e l’occupazione. Dall’altra parte, però, “ha il limite di non essere una risposta compiuta e forte che renda esigibile l’insieme delle norme previste e, nel contempo affronti anche dal punto di vista sociale, attraverso il ridisegno degli ammortizzatori, le ricadute che tali comportamenti di impresa determinano negativamente sui lavoratori e sulla occupazione”.
    Poi il pacchetto fiscale. “Pur svuotato rispetto ad alcuni annunci su misure usciti in questi giorni – spiega la Cgil -, va nel segno opposto rispetto a una politica che deve fare della lotta all’evasione e all’elusione uno dei principali filoni di intervento”.

    Contratti a termine, somministrazione e licenziamenti

    Le causali sui contratti a termine vengono introdotte solo dopo un primo contratto, o per rinnovi che superano i 12 mesi. In ogni caso, scrive la Cgil, “l’intervento è positivo. Risulta condivisibile anche la riduzione del limite massimo che passa dai 36 mesi ai 24, così come il numero delle proroghe possibili da 5 a 4”.
    L’introduzione dell’aggravio del costo contributivo per ogni rinnovo “è in termini di principio condivisibile”. Tuttavia “appare evidente come tale aggravio, cioè l’aumento dello 0,5% del contributo Naspi della legge 92/12, rischi di essere ragione per la quale le imprese possano decidere di non rinnovare alla scadenza dei 12 mesi, procedendo ad alimentare il turn over attraverso plurimi contratti a tempo determinato di 12 mesi”.
    Sempre sulle causali, resta aperto il tema della loro definizione in relazione al rapporto con la contrattazione collettiva: questo non è previsto dal testo, e invece “può rappresentare un elemento di flessibilità rispetto alla rigidità del legislatore”.
    In tema di somministrazione, il decreto prevede la completa sovrapposizione della disciplina del rapporto di lavoro in somministrazione a termine a quello a tempo determinato, eccetto gli articoli riferiti al numero complessivo dei contratti e ai diritti di precedenza. “Tale sovrapposizione – per la Cgil – può indurre effetti paradossali e che dovranno essere oggetto di valutazione, quali ad esempio quelli che si determinano dalla disciplina dello stop and go. A noi pare – nel complesso – che l’intervento rischi di ingenerare un effetto opposto a quello voluto dal legislatore, perché si regolamenta in modo restrittivo il lavoro in somministrazione a tempo determinato, lasciando inalterata la disciplina per la somministrazione a tempo indeterminato”.
    L’intervento sull’articolo 3 del dl 23/15 in materia di indennità per licenziamento ingiustificato introduce un innalzamento: la misura non potrà essere inferiore a sei mensilità e non superiore a trentasei. Una norma che “muove nella direzione, da sempre auspicata, del rafforzamento della funzione di deterrenza contro i facili licenziamenti rispetto alla norma precedente. Occorre tuttavia sottolineare che non viene in alcun modo toccato l’intero impianto dello stesso decreto”.

    Delocalizzazioni

    Le misure di contrasto alle delocalizzazioni “rappresentano finalmente un primo, positivo tentativo per arginare un fenomeno negativo per l’economia e l’occupazione in Italia. Il provvedimento va quindi nelle giusta direzione”.
    La Cgil rilancia alcune indicazioni e proposte migliorative: fra tutte, la misura deve riguardare anche la parte dei finanziamenti pubblici indirizzati ai processi di “ricerca e sviluppo” o analoghi, non solo il contributo per “investimenti produttivi”. Nessuna misura di politica industriale e sociale, invece, è prevista per tutte le altre aziende che non ricevono aiuti di Stato, ma che decidono comunque di chiudere in Italia e delocalizzare parte o tutta l’attività produttiva in Europa. In questi casi non c’è alcun riferimento all’utilizzo del fondo anti-delocalizzazione.

    Semplificazione fiscale

    Il pacchetto “appare privo di tutte le più importanti misure fiscali annunciate, dalla dual tax alla sanatoria delle cartelle esattoriali. Anche le misure in decreto sembrano ‘svuotate’. La principale motivazione va attribuita alla mancanza di coperture e, dunque, al mancato gettito che tali misure produrrebbero”. Questo il giudizio della Cgil: “Si ravvisa chiaramente il segno opposto a una politica di lotta all’evasione fiscale”.
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  5. #5
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Forza Rifondazione, quando il PD e Leu saranno allo 0,5 percento forse la CGIL vi cagherà di striscio, ma intanto avranno reso illegali i sindacati
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  6. #6
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Siamo all’anno zero della sinistra Ripartiamo da Rifondazione Comunista

    Walter Tanzi

    In un momento di profonda crisi economica, sociale e politica come quella che sta attraversando l’Italia in questi tempi, possa far specie notare come qualsiasi partito alla sinistra del PD arranchi a livello elettorale.

    Il risultato elettorale di Potere al popolo, lista che raccoglie il 1% dei voti, ci deve fare riflettere, io penso che Pap non abbia prospettive politiche in grado di parlare alla pancia dei ceti meno abbienti e che sia senza alcun appeal evidenziando l’inconsistenza in termini di aggregazione del consenso politico.

    È stata una sconfitta pesante. Come si può essere contenti di un risultato appena sopra i decimali.

    Come è accaduto che in questi ultimi anni il partito che ha avuto un Circolo in ogni campanile stia sparendo? Sono stati fatti errori strategici piuttosto chiari.

    In questa situazione terremotata ritengo che si debba ripartire da qualche punto fermo. Per questo ritengo necessario, nel contesto di valorizzazione dei rapporti unitari a sinistra, rimettere in pieno funzionamento Rifondazione Comunista, sia come corpo politico collettivo formato da decine di migliaia di compagni e compagne, sia come capacità di proporre un indirizzo politico grazie al quale uscire dal pantano.

    Ripartire da Rifondazione Comunista, che deve continuare a vivere per l’oggi e per il domani, è condizione assolutamente indispensabile per poter ricominciare a lavorare ad un processo di unità della sinistra che, evitando scorciatoie politiciste ed organizzative, riesca a ricostruire una lettura credibile della società italiana, un qualche grado di radicamento sociale e un senso concreto dell’utilità sociale della sinistra in questo nostro paese e non ripetere gli errori che ci hanno portato a questo disastro.

    Più Rifondazione Comunista vuol dire più Sinistra: qui si tratta di decidere se gettare a mare un progetto politico e organizzativo oppure se ripartire da dove ci siamo persi, con idee chiare.

    Ora si tratta di rimettersi in piedi: ripartendo da Rifondazione Comunista e dalle origini di Rifondazione Comunista, quello di rinnovare e rifondare il comunismo in Italia.

    Una Rifondazione Comunista forte è condizione fondamentale per la democrazia del nostro Paese.

    Solo così il partito potrà tentare di risollevarsi da una china che appare irreversibile.

    Occorre una conferenza programmatica per ricostruire il progetto del PRC, per dire chi siamo, cosa vogliamo fare, come lo vogliamo fare e con chi. Basta giochi, basta ambiguità.

    Serve rifondare la sinistra in Italia. Serve voltare pagina con la breve storia negativa di questi ultimi 10 anni (da Chianciano), dove abbiamo spolpato un patrimonio politico vivo e grande, riducendo il partito a un corpo agonizzante. Serve un processo di ricostruzione politica e organizzativa.

    Nel 2008 dopo la sconfitta della Sinistra Arcobaleno Paolo Ferrero dichiarava: “Riattivare i percorsi di discussione politica è assolutamente necessario per evitare che la sconfitta determini il ripiegamento e il ritorno a casa di decine di migliaia di compagne e compagni”.

    Se il PRC vuole tornare a riempire se stesso di significato, deve ripartire proprio da qui.

    DIBATTITO / Siamo all?anno zero della sinistra Ripartiamo da Rifondazione Comunista | Rifondazione Comunista
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  7. #7
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    Eh certo, enunciare vagamente dei compiti e non porre alcuna questione teorica o pragmatica sul piatto è sicuramente un buon modo per ripartire...
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  8. #8
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Potere al popolo: a che punto siamo

    Dino Greco

    C’è una perfetta simmetria fra le posizioni di quanti, dentro il partito, vorrebbero sganciare Rifondazione da Potere al Popolo e quanti, apostoli indefessi della crociata contro tutto ciò che sa di partito, vorrebbero che il Prc si togliesse finalmente di mezzo.

    Gli uni persuasi – taglio il tema con l’accetta – che lì dentro ci si abbandoni ad una deriva minoritaria ed estremista, testimonianza senza futuro, gli altri specularmente convinti che la contaminazione con Rifondazione risucchi il movimento dentro tradizionali pratiche istituzionali ed alleanze politiche farlocche, in qualche modo contigue al centrosinistra.

    Gli uni e gli altri combattono appassionatamente la stessa battaglia nell’intento condiviso di rompere ciò che si è faticosamente avviato e di raggiungere lo scopo voluto: ciascuno a casa propria, merli con i merli e passeri con i passeri.

    Per quanto ci riguarda, fra gli argomenti in campo, troviamo altre cinquanta sfumature di grigio, ma la sostanza rimane la stessa: dovremmo revocare la netta scelta di campo, sociale e politica, che il Prc ha compiuto quando ha raggiunto la convinzione che nessuna delle forze politiche che il mainstream definisce generosamente di sinistra può essere definita tale, essendo strutturalmente approdata sulle sponde di una cultura liberale.

    Naturalmente, i problemi che abbiamo di fronte sono tutt’altro che semplici. Fra questi, il riemergere del mai tramontato, vecchio vizio settario che impedisce, malgrado le solenni dichiarazioni in segno contrario, di favorire un processo inclusivo e aggregativo più ampio; la diffidenza verso chi viene da esperienze e sensibilità diverse; la difficoltà intellettuale a sporgersi oltre le Colonne d’Ercole del “mondo conosciuto”, la paura di essere cooptati dentro un pensiero altro da sé.

    Abituarsi a lavorare insieme, a mettere a fattor comune tutto ciò che unisce, a delimitare, anziché esaltare, ciò che ancora divide, a favorire processi di “ibridazione”: questo è il faticoso lavoro da fare. Chi è padrone di se stesso ed è ancorato ad una solida struttura di pensiero non deve temere espropriazioni: il terreno dell’egemonia non è il recinto, ma il campo aperto.

    Il punto cui siamo arrivati ci mette di fronte ad uno snodo decisivo: la forma (oggi più che mai sostanza) del movimento plurale che vogliamo costruire.

    Provo a mettere (con qualche schematismo) le cose in fila:

    non un partito, che è formazione complessa, che non si improvvisa, che è il risultato di un profondo e duraturo processo di sedimentazione teorica, di pratiche politiche e sociali. L’appartenenza a due partiti è impossibile, perché ogni partito è “ontologicamente” concorrenziale rispetto ad ogni altro e il Prc non ha alcuna intenzione di sciogliersi, non per un banale riflesso identitario (come quel gatto bolso che punta la preda senza sapere più perché), ma in quanto il tema della rifondazione comunista, sebbene ancora non svolto, è ancora lì di fronte a noi, in tutta la sua pregnanza.

    Un movimento organizzato, dunque, e organizzato perché non deve restare nel limbo di un’aggregazione liquida, priva di regole che esaltino la partecipazione e modalità di vita democratiche interna del tutto nuove, fondate sulla sovranità delle assemblee territoriali e dell’assemblea nazionale: un’assemblea composta da delegati eletti dalle stesse assemblee territoriali, senza rendite di posizione, muniti di mandato imperativo, assoggettati al vincolo della rotazione e della revoca del mandato.

    Di qui la decisione di formalizzare l’adesione a Potere al Popolo attraverso una piattaforma che fra pochi giorni diventerà operativa, consentendo di misurare in progress la consistenza del movimento e di sviluppare il massimo del coinvolgimento dei militanti nella costruzione del dibattito e della linea politica.

    Tutti gli strumenti di comunicazione interna, dalla piattaforma alla mailing list alla pagina facebook dovranno essere gestiti collegialmente, in un clima nel quale il rispetto reciproco è una condizione preliminare.

    In queste settimane, accanto a molti fatti positivi si sono verificati episodi che hanno negativamente contraddetto lo sforzo di costruzione in corso. Questi non hanno una responsabilità univoca, sono a geometria variabile, da realtà a realtà, e sono il riflesso della permanenza, talvolta esplicita talaltra dissimulata, di atteggiamenti che finiscono per negare la grande intuizione che è stata alla base dell’atto fondativo di Pap: socializzare la politica e politicizzare il sociale, attraverso un’aggregazione vasta capace di mettere radicalmente in discussione, finalmente senza ambiguità, fumisterie e giri di valzer, l’ordine delle cose esistente.

    L’impresa è complicata ma abbiamo l’intelligenza necessaria per mandarla in porto: ne parlo da compagno di Rifondazione comunista e da delegato di Pap Brescia al coordinamento nazionale del movimento.

    DIBATTITO / Potere al popolo: a che punto siamo | Rifondazione Comunista
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  9. #9
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista



    Se qualcuno ha tempo di vederlo, magari si capisce dove sta andando Rifondazione.
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  10. #10
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    Predefinito Re: Rifondazione Comunista

    DIBATTITO / Pap e sinistra: la questione vera è rappresentata dai contenuti e dalle proposte

    Domenico Moro

    Fabio Nobile


    La discussione nella sinistra radicale continua spesso a concentrarsi più sui contenitori politici piuttosto che sui contenuti e il posizionamento di classe. In realtà, siamo convinti che le forme debbano essere dialetticamente connesse alla sostanza e quindi ai contenuti, la cui chiara definizione è centrale in vista della importantissima scadenza delle prossime elezioni europee. Bisogna fare uno sforzo di innovazione nell’analisi e nella proposta politica, perché molte cose, intorno a noi, sono cambiate. L’Italia presenta una situazione politica inedita: è l’unico Paese in cui non è al governo alcun partito afferente a uno dei due storici raggruppamenti europei, il Ppe e il Pse. Certamente il bipartitismo tradizionale, basato sull’alternanza centro-sinistra/centro-destra è in crisi in tutta l’Europa eurista, dove partiti di lunga trazione, come il partito socialista francese, non esistono più. Ma solo in Italia il bipartitismo tradizionale è collassato e per la prima volta sono al governo due partiti, il M5S e la Lega, entrambi euroscettici e fautori di politiche anti-immigrazione.

    La situazione dell’area politica di sinistra radicale, a sinistra del Pd, non è mai stata così confusa, le posizioni sono molte e variegate, comprese tra due estremi autolesionistici e politicamente suicidi. Uno secondo cui è giusto appoggiare o comunque aprire una linea di credito al governo Lega-M5S, in funzione anti-Europa a egemonia tedesca e/o anti-capitale transnazionale, e un altro secondo cui si sia ormai alle soglie del fascismo e che quindi bisogna allearsi con tutti quelli che ci stanno, magari anche con il Pd o quantomeno con personaggi che vi erano fino a ieri. La cosa bizzarra è che il modello del comitato di liberazione nazionale pare essere il modello politico di riferimento degli impropriamente detti sovranisti e degli europeisti “a ogni costo”.

    Purtroppo, il dibattito non è sempre basato sull’analisi della situazione concreta, cui si spesso si sostituisce l’invettiva con accuse reciproche, che divaricano le posizioni, disgregando ancora di più l’area della sinistra. Questa deriva è visibile in particolare sulla questione dell’uscita dall’euro e sull’immigrazione. L’euro non è una imposizione della Germania, per la sua conquista “pacifica” dell’Europa. L’euro nasce primariamente come strumento di tutto il capitale europeo, soprattutto del suo strato superiore (quello di grandi dimensioni e internazionalizzato), per modificare a proprio favore e a sfavore del lavoro salariato i rapporti di forza ereditati dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma i cambi fissi e l’austerity, allargando i divari tra Paesi e riducendo il mercato interno, incentivano anche la competizione tra stati e capitali e quindi la tendenza imperialista dei paesi europei. In effetti, lo stato nazionale non viene indebolito né tantomeno abolito. Il suo meccanismo di funzionamento viene rimodulato, dando maggiore forza agli esecutivi a scapito dei parlamenti, ma soprattutto (o solamente) per quanto riguarda la definizione delle politiche economiche e sociali.

    In questo quadro, anche alcuni settori del capitale sono stati danneggiati dall’euro: le imprese meno internazionalizzate e più piccole che non sono al vertice delle catene globali del valore. Ma anche altri settori, dalle banche alle grandi imprese di stato e non, che hanno scontato la scarsa capacità dei governi italiani di farsi valere nei confronti di Francia e Germania, ad esempio sulla patrimonializzazione delle banche, in Libia, ecc. Sono questi settori che stanno dietro il nuovo governo Lega-M5S e che sostengono, più che la necessaria uscita dall’euro, una ridefinizione dei rapporti di forza tra l’Italia e gli Stati più forti della Uem, Germania e Francia. La questione più importante da capire, per le classi subalterne, è che gli eventuali dividendi della difesa degli interessi “nazionali” di questo governo si risolveranno a favore delle imprese, non solo quelle piccole e medie ma soprattutto, come sempre, di quelle grandi.

    Infatti, la pace fiscale, la flat tax, il taglio del cuneo sul costo del lavoro si inseriscono nel solco della tendenza già vista di riduzione dei costi delle imprese e redistribuzione della ricchezza a sfavore delle classi subalterne. Nello stesso tempo il ministro dell’economia, Tria, conferma la necessità della riduzione del debito pubblico e il mantenimento del deficit primario. È, quindi, evidente che non c’è spazio per un vero reddito di cittadinanza, né sono possibili investimenti tali da risolvere il principale problema italiano, quello della disoccupazione. Tantomeno appare, neanche sullo sfondo, una strategia di uscita dall’euro. In questo quadro, l’attacco agli sbarchi degli immigrati è, da una parte, una abile mossa comunicativa per tenere nel blocco sociale che sostiene il governo la classe lavoratrice e i disoccupati del Sud e, dall’altra una scusa, per rimettere tutti e due i piedi in Libia, contrastando le mire francesi. In questo senso, qualunque cedimento alla retorica dell’invasione è un errore grave, perché spacca ulteriormente il fronte delle classi subalterne, cosa che del resto è già avvenuta. Inoltre, il vero problema non sono i flussi di immigrazione, ma – a parte gli eventi catastrofici determinati dall’Europa (guerre, ecc.) – il crollo della crescita europea che impedisce l’assorbimento di nuove forze di lavoro, autoctone e immigrate, e l’impoverimento di milioni di europei. Ma il crollo della crescita e l’impoverimento sono in parte notevole imputabili al modo in cui, grazie all’euro, tutta l’Europa ha affrontato la crisi.

    Un approccio di sinistra, quindi, non può tradursi nel “sovranismo”, intendendo con questo termine il semplice recupero della autonomia dello Stato nazionale rispetto agli organismi europei, perché lo Stato (nazionale o no) non è, da punto di vista di classe, neutrale. La questione decisiva sono i rapporti di forza tra le classi dentro lo Stato: l’euro e il “vincolo esterno” (l’alienazione di certe funzioni a livello europeo) sono strumenti tesi a realizzare la governabilità, cioè a ridurre quello che la Trilaterale definiva l’eccesso di democrazia, per imporre alle classi subalterne la disciplina di bilancio e la riorganizzazione dei rapporti di produzione e politici. Di conseguenza, non è la sovranità nazionale a dover essere recuperata ma la sovranità democratica e popolare dover essere ristabilita e allargata ulteriormente. Sostenere il governo Conte vuol dire essere subalterni al capitale e all’impresa.

    Dall’altro lato, sarebbe assurdo pensare che, per contrastare il governo Lega-M5S, bisogna fare una alleanza con chi ha determinato la situazione che ha portato alla vittoria del governo Lega-M5S. Sarebbe come curare la febbre inoculando dosi massicce di virus. In particolare, non si può pensare ad alcuna union sacré anti-fascista con il Pd, che in Italia è stato ed è il rappresentante più “puro” del capitale transnazionale e che dell’euro e del “vincolo europeo” è stato il maggiore fautore. Senza contare che l’unione “antifascista” verrebbe stabilita proprio con chi ha fatto strame della Costituzione e dei meccanismi parlamentari della Repubblica. E a fronte di forze che, invece, si fanno, strumentalmente, paladine del rispetto della Costituzione. Né il discorso cambia molto quando dal Pd si passa a personaggi che, fino a ieri, vi erano dentro, e che sono stati autori e protagonisti delle peggiori scelte politiche del Pds-Ds-Pd, o a forze politiche fortemente compromesse con alleanze e accordi con il Pd e poco chiare su Ue e Uem.

    La questione più bizzarra è che si continua imperterriti a fare gli stessi errori, sensibili al “richiamo della foresta” o del centro-sinistra o di alleanze di “salvezza nazionale”. Anzi, quanto più si è deboli tanto più ci sembra che solo appoggiandosi a qualcun altro si può sopravvivere. Al contrario, come gli ultimi venti anni hanno dimostrato, questo è il miglior modo per sparire definitivamente. Viceversa, bisogna costruire un proprio e definito punto di vista sulla realtà e, sulla base di questo, stabilire un posizionamento politico autonomo, dal punto di vista di classe, che abbia l’ambizione di rappresentare i lavoratori salariati e i disoccupati di questo paese. Ciò è necessario, ma certamente non permette un immediato e magico recupero di consensi e radicamento sociale. Ormai i buoi sono scappati dalla stalla e la crisi del capitale non ha prodotto una prateria da occupare. Davanti a noi c’è un territorio in cui si sono stabilite e ormai radicate altre forze, il M5S e la Lega, cui bisognerà contendere il terreno palmo a palmo. Si tratta di un lavoro lungo, che sarà tanto più lungo quanto meno saremo disposti a confrontarci con una analisi seria della realtà e a ridefinire i fondamentali di una nuova politica in modo adatto a una fase storica inedita. Al contrario, se continueremo a muoverci su binari puramente ideologici (e per di più vecchi) ci metteremo molto più tempo, ammesso che si riesca a sopravvivere.

    In tutto questo come si inserisce Pap? Il punto non è se Pap deve esistere ma come deve farlo. Pap va mantenuto perché, nell’arretrato quadro politico italiano ed europeo, sotto il profilo del posizionamento in termini di costruzione di alleanze, Potere al Popolo rappresenta un passo in avanti rispetto alla situazione precedente. Infatti, il rifiuto che alcuni oppongono alla continuazione dell’esperienza di Pap nasconde la volontà di riproporre vecchie formule politiche e alleanze con soggetti e personaggi politici compromessi, che mantengono come prospettiva di fatto il centro-sinistra, in modo da implicare persino una alleanza con un Pd “derenzizzato”. Soprattutto queste alleanze impedirebbero di fare chiarezza sui contenuti, riproducendo la solita contrapposizione ideologica tra cosmopolitismo e nazionalismo, e rifacendosi a un europeismo e a illusioni di cambiamento della Ue e della Uem che hanno consegnato la sinistra disarmata alle strategie del capitale. Proprio sull’Europa, l’adesione di Pap al documento di Lisbona, firmato dalle forze di sinistra con le posizioni più avanzate a livello continentale (Podemos, Bloco de Izquierda e soprattutto La France Insoumise) consente un passo in avanti. Il documento, per quanto ancora insufficiente dal nostro punto di vista, prende le distanze nei confronti delle illusioni di democratizzazione della Ue e della Uem che ancora animano parte della sinistra radicale italiana e europea.

    Il vero problema di Pap è invece il come. Infatti, che Pap sia necessario non vuol dire che vada bene così com’è o che il punto sia quello di trasformarlo in soggetto politico. Qui non si tratta soltanto o soprattutto del risultato elettorale al di sotto delle aspettative. Infatti, una coalizione che sorge tre mesi prima delle elezioni rende queste ultime un banco di prova tutt’altro che risolutivo, a meno che l’illusione leaderistica non abbia fatto breccia tra le nostre fila e si ritenga possibile ottenere risultati significativi in un battito di ciglia. La questione è che Pap va rafforzata sotto diversi profili su cui, riteniamo, sia oggettivamente ancora debole. Uno è quello della comunicazione e del linguaggio, che pure, secondo alcuni, avrebbe dovuto essere nuovo e quindi il suo punto di forza. Invece, proprio il linguaggio denota una debolezza sul piano dei contenuti. La riorganizzazione eurista, a fronte della crisi del capitale, come detto sopra, non ci apre praterie ma scava contraddizioni al nostro interno. C’è, quindi, la necessità di definire i contorni di una nuova solidarietà di classe, tra lavoratori e disoccupati italiani e tra questi e i lavoratori e i disoccupati immigrati. Invece, spesso la comunicazione, non solo sull’immigrazione, rispecchia linguaggi vecchi, caratterizzati da un umanitarismo generico, tipico della tradizione cattolica. Un’altra debolezza, più importante, è riscontrabile sul mutualismo. Forme di mutualismo fanno parte della tradizione operaia. Recuperarle in maniera inedita può essere significativo verso alcuni strati sociali ma metterle come unico centro del processo di ri-radicamento di classe rischia di portare fuori strada. Inoltre, dobbiamo essere molto oculati a non farci promotori, anche involontariamente, di forme sussidiarie private di welfare, perché va rivendicato il welfare pubblico come vero obiettivo del mutualismo che si mette in campo. Soprattutto, non possiamo continuare a essere subalterni alla ormai dominante frammentazione, locale e contenutistica, del conflitto. Infatti, il movimento comunista, sin dai suoi inizi con Marx, pur riconoscendo i meriti del mutualismo, rivendicò la priorità della lotta politica, come ricomposizione della parzialità delle lotte economiche e sociali in una critica generale e perciò politica, alla società del capitale.

    La questione principale oggi è, quindi, quella del recupero della politica, intesa come modificazione dei rapporti di forza generali delle classi subalterne nei confronti del capitale e dello Stato. Si tratta di acquisire la capacità di definire linee guida e orientamenti generali che, in prospettiva, ricompongano le lotte e la classe lavoratrice stessa, ponendosi nella prospettiva di parlare a milioni di lavoratori e disoccupati. Solo tale recupero della politica può rendere utile in termini di supporto anche il mutualismo ma soprattutto è necessario non disperdersi in mille rivoli di proposte e di sensibilità di vario tipo, e pretendendo di rappresentarle tutte e tutte allo stesso modo. Centrale, invece, è la questione del modello di sviluppo economico, perché collegato alla creazione di lavoro e alla capacità di investire nelle infrastrutture e nella soddisfazione dei bisogni collettivi, che a sua volta pone la questione dell’uscita dalla Uem. L’indubbia necessità di ampliare la capacità inclusiva di Potere al Popolo si è scontrata sovente in questi mesi con una modesta capacità di relazione con il corpo attivo delle residue organizzazioni di massa: CGIL, Anpi e Arci. L’ambizione egemonica di Potere al Popolo, che si vorrebbe estesa all’intera società, si è scontrata cioè con una lettura non differenziata di queste grandi realtà associative, in cui militano molti comunisti e che in taluni contesti territoriali da essi sono dirette. Questa circostanza, nel caso della CGIL ad esempio, non sposta di un centimetro il giudizio politico sul suo gruppo dirigente nazionale ma da qui a rinunciare, sovente con boria, a proporre una direzione politica generale a questi compagni è un errore molto grave, che può compromettere l’intero percorso politico. Logica vorrebbe quindi tatto e prudenza nella relazione con questi compagni, in luogo di giudizi sommari e privi di ogni benché minimo fondamento politico.

    Senza risolvere ed affrontare i nodi succitati l’avvitarsi sulle discussioni attorno alle forme non ha senso, come purtroppo avviene da anni troppo spesso. Bisogna avere un atteggiamento flessibile. Da una parte bisogna dare la possibilità di partecipare in modo compiuto anche a chi non afferisce a nessuna delle organizzazioni presenti in Pap, dall’altra parte non sussistono né le ragioni strategiche né le condizioni pratiche, politiche e organizzative, per scogliere le organizzazioni e i partiti esistenti. Compito prioritario e realizzabile, invece, è oggi quello di dare prova di capacità di sintesi e di collaborazione tra le forze che compongono Pap, rafforzandolo mediante la scelta della comunicazione più adeguata e soprattutto la definizione di poche linee guida, che alle elezioni europee facciano emergere un profilo politico chiaro. La situazione è molto difficile, perché, in parte, le speranze legate alla nascita di Pap corrono il rischio di essere disattese e, come spesso accade in fasi di transizione, emergono tendenze disgregatrici le quali si fanno strada in un quadro politico di crisi. Bisogna, quindi, sforzarsi di avere un atteggiamento equilibrato. Da una parte, non si può buttare a mare questa esperienza, che ha consentito di superare vecchie coazioni a ripetere. Dall’altra parte, affinché cominci a produrre risultati, bisogna che Pap riesca a tradurre le contraddizioni della realtà attuale in termini politici e finalmente adeguati alla fase storica in corso.

    Un segnale positivo in questo senso è provenuto dalla manifestazione nazionale dello scorso 16 giugno a Roma, promossa dalla Federazione Sociale dell’USB a seguito dell’omicidio di Soumayla Sacko, e che ha visto partecipare i due segmenti più avanzati della lotta di classe nel nostro paese: i lavoratori della logistica e quelli della terra. Il tema oggi più di ieri è sollecitare, organizzare il conflitto e tradurlo in termini generali

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