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  1. #11
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Venezuela, Alboresi: “solidarietà a Maduro, democrazia e socialismo sotto attacco imperialista”


    Apprendiamo la grave notizia di un attentato alla vita del presidente venezuelano Nicolas Maduro e contro il popolo venezuelano con l’uso di droni. Al Paese che da anni segue – attraverso la democrazia e il potere popolare – la strada della costruzione di una società socialista originale che ha emancipato il Venezuela dall’imperialismo USA, va la nostra solidarietà, così come va al presidente Maduro.

    Da anni, oramai, si intensifica una strategia di destabilizzazione che non esista a ricorrere ad attentati sanguinari, a bande neofasciste o alla speculazione per porre fine alla democrazia, alla rivoluzione bolivariana e portare alla fame il popolo venezuelano. Ma in tutti questi anni la rivoluzione e il popolo venezuelano hanno sempre respinto l’ingerenza imperialista e il fascismo, riaffermando il primato dell’indipendenza del Venezuela e rafforzando, nel protagonismo popolare, la costruzione del socialismo.

    Ancora una volta sarà così, ancora una volta il Venezuela resisterà. Nostro compito è quello di rafforzare la solidarietà internazionale autenticamente democratica, antimperialista e antifascista.

    sostieni il partito

    Mauro Alboresi, Segretario nazionale del PCI

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...-imperialista/
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  2. #12
    Il Re del Nord
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Genova: quale Stato, quale politica?

    Prima pagina venti notizie
    ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
    si costerna, s’indigna, s’impegna
    poi getta la spugna con gran dignità

    Fabrizio De André



    C’erano tutti oggi, ma proprio tutti, ai funerali di Stato per le vittime del crollo del ponte Morandi di Genova. Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, Maria Elisabetta Casellati e Roberto Fico, seconda e terza carica dello Stato, presidenti rispettivamente di Senato e Camera dei Deputati. Maurizio Martina, segretario del PD, Giovanni Toti, dalla Regione Liguria.
    Gli esponenti del governo, basta ricordare il premier Conte e i ministri Salvini, Di Maio e Toninelli, si erano già precipitati nel capoluogo ligure, in una raffica di proclami e dichiarazioni. Assieme a loro, il vespaio di giornalisti che è solito ronzare attorno al potere per atterrare non appena si inizia a fiutare la disgrazia, in un fiume di interviste, aggiornamenti, smentite, lavoro d’archivio per riportare prima della concorrenza quella singola dichiarazione pronunciata chissà quanti anni fa e riguardante lo stato di salute dell’opera, o le posizioni di un consigliere regionale che minimizzava i possibili rischi sulla tenuta dell’infrastruttura, o ancora il crollo di quel ponte gemello costruito in Venezuela ecc.[1]
    Parole, parole e parole! Funerali di Stato, lutto cittadino, bandiere a mezz’asta, dirette televisive… La solita tiritera cui il mondo dell’informazione ci ha tristemente abituati, mentre chi cerca di individuare delle responsabilità viene accusato di essere inopportuno e a chi propone la nazionalizzazione della rete autostradale come soluzione all’incuria viene detto di aspettare, di non correre troppo in fretta.
    Nel frattempo, piccolo dettaglio, qualche assenza si conta. Le famiglie delle vittime, ben 20 sul totale, hanno deciso di disertare in massa i funerali di Stato per vivere privatamente il loro dolore. E c’è chi lo ha fatto lasciando al proprio silenzio il ruolo di sberla verso le istituzioni, chi invece si è lasciato andare in colorite dichiarazioni, in cui fioccano parole come “farsa”, “passerella”, “giustizia”, “inadempienze”, “assenza”, “politici”, quest’ultima con un chiaro senso dispregiativo.
    Ora, che gli italiani non amino particolarmente lo Stato, è fatto da lungo tempo risaputo. Ma in questo caso, dopo il segnale fortissimolanciato da chi è oggi in lutto, per la politica e i media sarebbe opportuno smettere di cianciare e aprire, per una volta, le orecchie per cogliere, sentire e magari tastare con mano il totale senso di distacco, disincanto e rassegnazione dei cittadini, che non è più soltanto serpeggiante, ma è divenuto oramai ben tangibile.
    A partire dalla gravità del singolo episodio e delle reazioni che ha suscitato occorre ripensare integralmente due cose, il cui modo di declinarsi è forse il principale motivo di disaffezione e scollamento tra cittadini e istituzioni, cercando di avere una visione di lungo periodo e il più generale possibile.
    La prima è il mondo dell’informazione, nei cui confronti sarebbero molte le domande da porsi. È significativa la reazione di uno dei padri delle vittime: “Mio figlio non diventerà un numero nell’elenco dei morti causati dalle inadempienze italiane, farò in modo che ci sia giustizia per lui e per gli altri: non dobbiamo dimenticare” [2], che sottolinea allo stesso tempo la necessità di restituire una dimensione umana a chi è morto e di tenere vivo il loro ricordo, di fronte all’avanzare impietoso delle notizie. Quanto è salutare per la democrazia un mondo dell’informazione che tratta le persone come numeri e cerca costantemente dell’altro da far passare nella propria macina? Un giornalismo che riesce a rendersi vuoto tanto più riempie le tv e le pagine dei pareri di personaggi e opinionisti? Probabilmente il male della nostra epoca non alberga nelle innumerevoli bufale che vengono diffuse, ma proprio nella sovrainformazione, sulla cui dubbia necessità dovremmo noi tutti fare autocritica. Ma sarebbe troppo chiedere ai media di rallentare, fermarsi e compiere una seria riflessione. Essi fanno e faranno solo “il proprio lavoro” e continueranno a deresponsabilizzarsi, poiché, nella loro colossale mediocrità, “riportano soltanto i fatti”.
    Quindi rivolgiamo l’attenzione direttamente alla politica e allo Stato, sperando che il resto si adatti a un suo possibile cambiamento. Qui occorre un’importante precisazione, sul modo di concepire questi due concetti così nobili e al giorno d’oggi tanto disprezzati. Prima ancora di chiedersi quanto Stato, quanta politica, questione essenziale per noi comunisti, domandiamo invece quale Stato, quale politica? Sicuramente non quella che del cercare consensi facili con frasi futili e di circostanza ha fatto un’arte. Detto questo, come agire? Assodata la vicinanza alle vittime e alle loro famiglie, bisogna provare a fare un’analisi che non si limiti a stabilire colpe e colpevoli, ma possa fornire elementi utili al dibattito politico perché simili eventi non si ripetano.

    La proposta della nazionalizzazione già incontra le prime frenate, vittima dell’ormai consolidato modus operandi della politica italiana, consistente nel dire una cosa, smentirla il giorno dopo, precisarla quello successivo e così via in un turbine di dichiarazioni d’intenti che nella maggior parte dei casi finiscono nel nulla. La nazionalizzazione è il primo strumento attraverso cui attaccare la logica del capitalismo, incentrata sul profitto (l’accumulo di capitali, appunto), per promuovere un sistema economico che ponga invece come essenziali le finalità sociali (lavoro, sicurezza ecc) sfuggendo ai dettami e ai freddi calcoli imposti dal mercato. La nazionalizzazione di un settore centrale come quello dei trasporti non è una proposta provocatoria: in Inghilterra, non proprio un Paese socialista, se ne discute da tempo [3] ed è stata, per i servizi ferroviari, in parte realizzata.[4] Ma in Italia siamo ancora vittime del modo di intendere lo Stato come un “privato”, o peggio come una “famiglia”, mentre invece bisogna ricordare e ricordarsi che lo Stato, l’intervento pubblico in economica, non risponde ai canoni economici privatistici. Non lo fa se crea investimenti e genera quindi indotto in posti di lavoro e infrastrutture che arricchiscono in definitiva chi ha pagato per la loro realizzazione, cioè noi tutti.

    Ripensare quindi l’intervento dello Stato in economica, seguendo lo slogan “+ Stato – Mercato” non è per noi un mero richiamo propagandistico, ma disegna il programma e la pianificazione dello sviluppo economico del Paese. Un progetto lungimirante non rivolto alle elezioni di domani, ma invece adeguato alla realizzazione di quel cambiamento che ancora, nonostante l’infinità di promesse, stenta a realizzarsi. L’assenza dello Stato unisce con un filo rosso le innumerevoli tragedie che, senza volgere lo sguardo troppo all’indietro, solo nell’ultimo mese ci hanno sconvolto, perché in tale assenza si creano quei cortocircuiti che infine danneggiano la collettività e i più deboli (per dirne uno, il fenomeno del caporalato). Da Nord a Sud il Paese è sconvolto da tragedie e molte di esse hanno come matrice comune la logica del profitto. È bene ricordarlo, con la consapevolezza che rimanere solo sul caso particolare rischia di tenerci ancorati a un modo di fare politica attualmente in voga, ma che non ci appartiene e non deve impedirci di sviluppare quella fondamentale qualità assente nel panorama politico italiano: la lungimiranza.

    Agli italiani non serve uno Stato che si faccia vivo quando la disgrazia è già avvenuta e non nel momento del bisogno. Non serve uno Stato che dimentichi la parola “prevenzione” per riunirsi ogni anno nell’anniversario della strage. Non serve una politica che rinunci, abdicando i propri compiti, all’azione che gli compete per lasciar quasi passivamente accertare in via giudiziaria la verità e la responsabilità, questi concetti così evanescenti che probabilmente non arriveremo a conoscere. Crollo di ponte dopo crollo di ponte, ci ritroveremo sempre più soli e abbandonati. Ciò che è già accaduto succederà ancora se non si inverte il modo di concepire e di amministrare lo Stato, ovvero non affrontando ogni singola situazione come se si trattasse di un’emergenza, ma con la pianificazione che il sapere e la scienza ci possono garantire.
    È in ballo qualcosa di ben più grave di quanto siamo abituati ad ascoltare ogni giorno. Lo tengano presente le classi dirigenti che oggi ci governano: la disaffezione del popolo per la cosa pubblica è a lungo termine erosiva per la tenuta democratica del Paese.

    di Massimiliano Romanello e Gennaro Chiappinelli

    [1] https://www.corriere.it/cronache/18_...93fd6b87.shtml

    [2] https://www.corriere.it/cronache/18_...?refresh_ce-cp

    [3] Privatizzazioni, la Gran Bretagna si pente e rivuole i servizi pubblici  - Repubblica.it

    [4] Regno Unito, la ferrovia East Coast torna in mano pubblica

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...uale-politica/
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  3. #13
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    E’ il momento di più Stato e meno mercato: il PCI in piazza il 20 ottobre

    Il Partito Comunista Italiano aderisce e sostiene la manifestazione del prossimo 20 ottobre, promossa dall’Unione Sindacale di Base, per le nazionalizzazioni.

    I fatti, come abbiamo ripetuto più volte in questi anni e ancora di più nelle ultime settimane, dimostrano il fallimento di un modello di società fondato sul primato assoluto del mercato, sull’esaltazione del privato. Gestione della rete autostradale, ILVA, Alitalia, sono solo alcune delle vertenze più significative che oggi coinvolgono pezzi strategici della vita e dell’economia del Paese.

    Di fronte a questa situazione, la parola d’ordine delle nazionalizzazioni rappresenta, per l’Italia, l’unica speranza di rinascita e inversione di una tendenza economica disastrosa per il paese e, per i comunisti, una battaglia fondamentale per aprire una prospettiva di sviluppo del Paese, che archivi il liberismo che ha dominato per oltre 20 anni, e che ridia centralità alla proprietà pubblica degli snodi fondamentali dell’economia nazionale.

    di Mauro Alboresi, Segretario nazionale PCI


    https://www.ilpartitocomunistaitalia...il-20-ottobre/
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  4. #14
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    ILVA: il PCI sul nuovo accordo

    Gli impianti dell’Ilva dopo 4 anni dal sequestro per disastro ambientale da parte della magistratura hanno trovato un acquirente.

    L’accordo siglato sull’Ilva è un bel risultato di questo governo e dei sindacati.

    Il gruppo Arcelor Mittal acquisisce l’Ilva e garantisce i livelli occupazionali, anche grazie all’ incentivo ad esodo volontario (che deve però prevedere effettivi, rapidi ed adeguati percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori), e le tutele dei lavoratori.

    Viene mantenuto addirittura l’articolo 18 e non sarà applicato il Jobs Act.

    Non possiamo che plaudere a questa buona notizia per così tante famiglie.

    E il piano di ristrutturazione ambientale pare perfino migliorativo rispetto a quanto richiesto dal precedente governo e questo è bene per l’intero territorio nazionale.

    Salvaguardia e rilancio occupazionale, rilancio industriale e tutela ambientale sono, infatti, i cardini del rilancio del paese.

    A sindacati e politica il dovere di vigilare sul rispetto dell’accordo, dei tempi previsti e sulla sicurezza reale sul lavoro.

    Il neo, che però oggi risulta secondario rispetto all’ urgenza oggettiva di famiglie e ambiente, è che un settore strategico quale quello dell’acciaio finisce in mani straniere.

    Noi comunisti continuiamo a ritenere che sia necessario un grande piano di nazionalizzazioni che rimetta nella disponibilità dello stato i settori strategici quali metallurgia, trasporti, infrastrutture, beni culturali.

    Continueremo dunque a lavorare perché sia lo stato e non chi cerca il profitto a rilanciare questo paese ma siamo consapevoli che la strada sia lunga e che oggi sia comunque una buona giornata per il paese e per il futuro di tanti lavoratori.

    di Lucia Mango, Segreteria nazionale PCI e Responsabile Lavoro

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...nuovo-accordo/
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  5. #15
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Patria e Costituzione: un’iniziativa da non perdere di vista

    Sabato 8 settembre scorso si è svolto a Roma (dalle 10 e 30 alle 17,00) l’incontro “Patria e Costituzione” indetto da Stefano Fassina, avente l’obiettivo prioritario di costituire l’omonima associazione. Dopo l’introduzione dello stesso Fassina, ci sono state 5 relazioni (D’Attorre, Santomassimo, Giacché, D’Antoni, Preterossi) e una serie di interventi già annunciati sul manifesto di lancio dell’iniziativa. Il Pci non ha fatto parte del gruppo promotore ma è stato presente con due membri della segreteria nazionale (il sottoscritto e il compagno Francesco Della Croce). Quest’ultimo ha chiesto e ottenuto di intervenire. La sala della protomoteca del Campidoglio era piena, molti i giovani; importante, in particolare, la lettera di saluto inviata da Sahra Wagenknecht, dirigente della Linke fortemente critica con l’attuale direzione del suo partito e oggi presidente dell’associazione Aufstehen/Rialziamoci (con cui il Pci ha fissato un incontro in Germania per il prossimo ottobre). A occhio, erano assenti il Prc (a parte D. Moro) e Potere al Popolo. Di quest’ultima assenza non c’è da stupirsi, vista l’ironia con cui Salvatore Prinzi, uno dei maîtres à penser di Pap, ha accolto su Facebook l’uso del termine “patria”: come spesso accade sui social, l’ironia è poi diventata scherno e disprezzo nei commenti successivi, al punto che una delle rare voci sensate ha dovuto far presente “Scusate, ma non è la Costituzione che parla di patria.. e la Resistenza non era patriottica?”. Purtroppo, una voce nel deserto di Potere al popolo. Del resto, superficialità semplificante e fuga dalla realtà non sono un’eccezione a sinistra, se anche su Left si rende incredibilmente conto di questo incontro nei termini di “rossobrunismo” e “tardo-stalinismo”.
    Ma torniamo al merito di un’iniziativa che è, a mio parere, da seguire nei suoi sviluppi, provando a valorizzare la sintonia riscontrata con molte delle cose dette. Qui di seguito, penso sia utile sintetizzare alcuni contenuti rispetto a cui il minimo che si richieda è di prestarvi un’attenta riflessione. Stefano Fassina ha esordito constatando che alle nostre spalle c’è “un trentennio inglorioso”, chiusosi in modo fallimentare perché caratterizzato da una pesante “svalorizzazione del lavoro”. Davanti al ripiegare della globalizzazione capitalistica, oggi occorre “rideclinare il nesso nazionale/internazionale”. In Italia e fuori d’Italia, due essenziali esigenze sono state clamorosamente disattese: la richiesta di una protezione del mondo del lavoro, la richiesta di una comunità solidale. In questo senso, “patria” significa: “una comunità nazionale e un programma fondamentale” (socialista). Nella forma aggiornata al XXI° sec., occorre dunque “riattivare il quadro nazionale” e, con esso, la politica (a fronte di un sistema dell’euro che relega la politica al ruolo di ancella dei poteri forti). Fassina ha insistito su due temi. Sulla questione migrazione: “l’accoglienza non può essere l’unico principio guida”, occorre assicurare a chi arriva in loco e a chi in loco risiede una vita e un ambiente dignitoso (evitando, per tutti, condizioni di degrado e aumento dello sfruttamento), “occorre una regolazione dei flussi”. Sull’Europa: è illusorio pensare di poter riformare i Trattati Ue; per questo è sbagliata la parola d’ordine “più Europa”, e occorre puntare invece ad un’ “Unione intergovernativa di sovranità nazionali democratiche” (è la medesima formulazione proposta da Sahra Wagenknecht).
    Dal canto suo, anche Alfredo D’Attorre non ha fatto ricorso a giri di parole: la parola “sinistra” non mobilita più nessuno. Occorre una svolta netta. Non ci si oppone a questo governo con formule ormai incomprensibili per molti. Oggi non c’è un’opposizione credibile: e “non ci si salva la coscienza sul molo di Catania o minacciando l’ampliarsi dello spread”. Dobbiamo dire chiaramente che non abbiamo niente a che fare con gli autori del disastro sin qui fatto. E bisogna tenere a mente che Von Hayek, uno dei campioni del liberismo, aveva capito che, in nome della libera concorrenza, occorre tagliare il ramo degli stati nazionali. Anche D’Attorre riprende il tema immigrazione: “dire che l’immigrazione è solo un problema di percezione è una follia, piaccia o non piaccia il problema c’è”; e occorre affrontarlo non lasciandolo alla spontaneità del giorno per giorno ma predisponendo proposte realistiche e concrete. Ma soprattutto bisogna reimpadronirsi dei temi che hanno caratterizzato la nostra storia, ad esempio ribadiamo con forza che i servizi pubblici essenziali non si privatizzano. E cogliamo al balzo il tema posto (ma non certo risolto) da questo governo: facciamo della questione Autostrade e del tema nazionalizzazioni un passaggio essenziale.
    Chiudo questa mia rapida sintesi sottolineando un punto della relazione di Massimo D’Antoni. Il regime di libera circolazione dei capitali dà ai medesimi un grande potere e lega al carro dei loro interessi gli stati-nazione, indebolendo all’interno di questi ultimi la forza delle classi popolari. Qui sta la radice del “vincolo esterno”, l’origine del “disciplinamento” e della sottrazione di sovranità. Ricorda D’Antoni che tutto ciò è ben spiegato nell’autobiografia di Guido Carli. Il punto è: perché a tutto ciò ha aderito la sinistra? “C’è dunque da meravigliarsi se, davanti al “tradimento” della sinistra, gli italiani diventano euroscettici e votano per gli euroscettici?”.
    Mi fermo qui. Potrei aggiungere molto altro, scegliendo tra i tanti spunti di una discussione interessante (ad esempio le argomentazioni di Vladimiro Giacchè, come sempre lucidissime, centrate sull’incompatibilità tra Trattati Ue e Costituzione italiana). Ma quanto detto è già sufficiente a dare il senso di un serio impegno di approfondimento destinato a proseguire on line su di un apposito sito di cui la nascente associazione si doterà.
    Ovviamente sin qui non ho fatto menzione di una domanda tutta politica, che pure si intravede a mezz’aria. A Fassina occorrerebbe infatti chiedere: “Che conti col recente passato intendete fare? Su quali gambe politiche potrà camminare questa che avete definito una svolta netta?” Si vedrà. Intanto è bene valorizzare quello che questa giornata di riflessione ha già prodotto.

    di Bruno Steri, Segreteria nazionale PCI

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...dere-di-vista/
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  6. #16
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    20 OTTOBRE: NAZIONALIZZARE, QUI ED ORA! L’appello e i primi firmatari

    L’appello per una manifestazione nazionale il 20 ottobre a Roma.

    Il crollo del ponte Morandi a Genova, con il suo tragico bilancio di vite umane, ha mostrato a tutti quanto esaltare le privatizzazioni servisse a coprire un unico vero scopo: far realizzare immensi profitti a poche famiglie del capitalismo italiano, a scapito della sicurezza collettiva, delle nostre finanze,e dei posti di lavoro. Autostrade, ILVA, Alitalia, Telecom, solo per citare i casi più famosi: migliaia e migliaia di esuberi, aziende portate al fallimento.

    Genova dimostra, più che simbolicamente, quanto lo slogan “privato è bello”, così in voga dai primi anni ‘90 in poi e declinato da tutti i governi che da allora si sono succeduti alla guida del nostro paese, sia stata una vera e propria truffa, perpetrata ai danni della collettività. Come lo sono del resto tutte le cosiddette grandi opere, dal ponte di Messina al TAV al TAP, solo per citarne alcune tra le più inutili e dannose, agognate dai padroni del cemento e sollecitate dall’Unione Europea che ha fatto delle privatizzazioni uno dei suoi mantra più importanti.

    Il vergognoso abbandono che avvolge i paesi del terremoto, lo stallo nelle grandi vertenze ILVA e Alitalia, il degrado della rete autostradale, la devastazione dei servizi pubblici e dei territori, impongono ormai scelte immediate e decisive.

    La strada delle nazionalizzazioni, che porti con sé anche una nuova e diversa concezione del modello di sviluppo, che preveda partecipazione delle comunità e controllo popolare, salvaguardia del territorio, del bene comune, del lavoro NON ammette più ritardi, né tentennamenti da parte di questo governo. Governo di cui fa parte una forza come la Lega che in passato ha sottoscritto concessioni e, come tutti gli altri partiti, ha preso soldi da Autostrade, votando come gli altri il decreto Salva-Benetton e che oggi, non a caso, frena sulle ipotesi di ripublicizzazione del settore.

    Occorre quindi mobilitarsi perché la richiesta di nazionalizzazione che è venuta dal basso e che è stata populisticamente evocata dal Governo, sia effettivamente esaudita, per rimettere in campo, qui ed ora, il rilancio del lavoro pubblico come rilancio dei servizi sociali a partire da sanità, istruzione, abitazioni, del carattere pubblico dell’acqua, per sottrarli agli appetiti dei privati e degli speculatori, con un piano di finanziamento, assunzioni e di reinternalizzazioni che porti al superamento del precariato.

    Per questo rivolgiamo un appello a tutte le forze sociali, politiche, ai comitati dei territori, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle/ai precarie/i, per costruire insieme entro settembre un’assemblea nazionale a Genova e una grande manifestazione il 20 Ottobre a Roma.

    Per difendere il territorio, i servizi, la salute, il lavoro, per fare sentire la voce di chi in questi anni di crisi ha pagato tutto con aumento dello sfruttamento, delle tariffe, dell’inquinamento.

    NAZIONALIZZARE QUI ED ORA!

    Un appello per costruire la mobilitazione di ottobre

    4 settembre 2018

    Primi firmatari:

    Sergio Cararo – Eurostop

    Viola Carofalo – Potere al Popolo

    Mauro Casadio – Eurostop

    Mauro Alboresi – PCI

    Giorgio Cremaschi Potere al Popolo

    Nicoletta Dosio – No TAV

    Eleonora Forenza – Eurodeputata Prc – Potere al Popolo!

    Carlotta Guaragna As.I.A. USB – Torino

    Pierpaolo Leonardi USB

    Guido Lutrario Federazione del Sociale USB

    Daniela Mencarelli USB Pubblico Impiego

    Maria Vittoria Molinari As.I.A. USB – Roma

    Francesco Piccioni Contropiano

    Salvatore Prinzi ex OPG

    Francesco Rizzo USB ILVA

    Luciano Staccioli, Usb Alitalia

    Ernesto Screpanti, economista

    Luciano Vasapollo vicerettore La Sapienza

    Carlo Cellamare, docente La Sapienza

    Marta Collot , Noi Restiamo Bologna

    Maria Antonietta Di Cello – Potere al Popolo Lamezia Terme

    Roberto Musacchio Altra Europa – Potere al Popolo

    Carolina zorzella. Noi restiamo Bologna

    Viola negro, Noi restiamo Torino

    Francesco della Croce – PCI

    Marina Boscaino LIP – Potere al Popolo

    Giulia Livieri, noi restiamo Roma

    Carla Corsetti – Democrazia Atea

    Franco Russo – Forum diritti Lavoro

    Beatrice Gamberini, Noi restiamo Roma

    Gianmarco Bucciarelli, csoa Intifada Roma

    Paolo Maddalena, vicepresidente emerito Corte Costituzionale

    Stefano Fassina, deputato SI, Patria e Costituzione

    Valerio Tellenio- Federazione dei comunisti anarchici- Fano

    Roberto Pardini Genova city strike

    Alessandra Perrotta- Usb- Genova

    Francesco Leonelli – Potere al Popolo

    Emanuele Salvati USB Terni

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  7. #17
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Cangemi (PCI): La scuola educa piccoli marines? Accade a Catania

    Da tempo denunciamo la presenza propagandistica, sempre più massiccia, nelle scuole catanesi di ogni e grado del corpo dei Marines, una presenza incompatibile con la missione che la Costituzione ha assegnato alla scuola pubblica. Nei giorni scorsi è avvenuto un episodio inaccettabile, che dimostra un’arroganza che ormai ha passato il segno” – ha dichiarato Luca Cangemi, responsabile nazionale Scuola del PCI.

    “Grazie alla denuncia del giornalista Antonio Mazzeo abbiamo scoperto dell’esistenza di un incredibile video, impunemente diffuso in rete, in cui piccolissimi alunni dell’istituto comprensivo “De Roberto” di Catania, ripresi, tra l’altro senza alcuna precauzione, cantano l’inno dei marines, mimando il passo marziale. Ovviamente nessuno ha spiegato ai bambini che quelle note e quelle parole, innocentemente cantate (“Dalle stanze di Montezuma alle spiagge di Tripoli; noi combattiamo le patrie guerre…”), per tanta parte del mondo dall’Africa all’America Latina, dal Medio Oriente al Vietnam significano morte e distruzione, oppressione e sfruttamento.

    Siamo di fronte, in tutta evidenza, ad un episodio gravissimo che non può essere accettato e che non può passare sotto silenzio. È compito delle strutture del ministero dell’istruzione, ad ogni livello, intervenire immediatamente per chiarire come si sia potuti arrivare a tanto; è loro responsabilità precisa far sì che episodi del genere che offendono la scuola italiana non avvengano più- ha concluso Cangemi.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...ade-a-catania/
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  8. #18
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Qui a chi interessa il documento politico della FGCI: https://www.ilpartitocomunistaitalia...GCI-finale.pdf
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  9. #19
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Il PCI a fianco dei lavoratori ILVA in lotta

    Il PCI appoggia la lotta dei lavoratori dell’ILVA e lo sciopero proclamato dal sindacato USB per protestare contro il palese mancato rispetto dell’accordo da parte di ALCELOR MITTAL.

    Si dimostra come l’aver accettato di cedere una industria strategica a un gruppo privato multinazionale evidentemente con poche o nulle garanzie, invece di attuare la Costituzione ed espropriare l’Ilva facendola ridiventare di proprietà pubblica, sia stata una non solo una cattiva scelta ma, sostanzialmente, una decisione sbagliata.

    Il PCI ritiene di grande importanza la decisione di USB di proclamare uno sciopero nelle giornate del 24 e del 31 dicembre per “i gravi problemi legati alla sicurezza e ai sovraccarichi psico-fisici sui lavoratori”.

    L’aumento del numero delle lavoratrici e dei lavoratori morti per infortunio nei luoghi di lavoro è emblematico delle condizioni sempre più precarie che deve subire chi vive del proprio lavoro. Condizioni che mettono in serio pericolo la salute e la vita non solo di chi lavora ma anche (e il caso dell’Ilva è, in questo, emblematico) di chi abita nelle vicinanze degli stabilimenti inquinanti.

    Promuovere azioni di lotta che contrastino quella che è ormai una tragica “normalità” senza limitarsi alla solidarietà è qualcosa di estremamente positivo. In particolare in questa fase politica e sociale estremamente critica e sfavorevole a chi vive del proprio lavoro.

    Il PCI chiede a tutte le organizzazioni politiche e sindacali di mobilitarsi e contribuire attivamente alla lotta che inizia con lo sciopero proclamato da USB all’ILVA ma che deve continuare anche dopo la fine dello stesso.

    Direzione nazionale del Partito Comunista Italiano

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...ilva-in-lotta/
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  10. #20
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    L’esito prevedibile di una manovra senza cambiamento

    di Bruno Steri, Segreteria nazionale Pci e Responsabile Economia


    Già a fine ottobre, con la pubblicazione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, così commentavamo quella che il governo annunciava come una manovra di “cambiamento”:

    «(…) Il governo “giallo-verde” ha annunciato di voler invertire una tendenza sul piano della sensibilità sociale; ma non ha nelle sue corde – nella sua ispirazione di fondo, nel suo impianto ideologico e politico – la capacità di aprire una pagina davvero alternativa alla situazione vigente, più favorevole alle classi popolari in termini di condizione sociale e rapporti di forza. Non sto parlando di prospettive socialiste – cosa del tutto ovvia – ma anche solo di correzione del modello di (sotto)sviluppo imperante. (…) Per siffatte scelte occorrerebbero due decisioni politiche che il governo non vuole o comunque non può fare. In primo luogo, un recupero della propria autonomia in tema di politiche di bilancio, monetarie, fiscali e del lavoro, in sintonia con la fine della sbornia privatizzatrice e il rilancio di un robusto interventismo pubblico: ma ciò significa rotta di collisione con gli orientamenti dell’Unione europea e i vincoli di Maastricht, rimessa in discussione della moneta unica e di questa stessa Unione europea; in secondo luogo, sul piano interno, un travaso di ricchezza da profitti e rendite a salari (diretti, indiretti e differiti) anche attraverso una decisa revisione dei meccanismi di prelievo fiscale, con accentuazione del loro carattere progressivo, e tramite qualche forma di imposta patrimoniale. Questo sarebbe l’unico vero e possibile “cambiamento”» (cfr. Una prima valutazione sul progetto di manovra del governo, in www.ilpci.it)

    Oggi dobbiamo dire purtroppo di essere stati profeti fin troppo facili; ed anzi che la realtà ha perfino superato la previsione. Ci vuole infatti una notevole faccia tosta (ma in romanesco l’espressione è assai più mordace) per invocare nazionalizzazioni all’indomani della tragedia del ponte Morandi e, solo due giorni dopo, proporre privatizzazioni nella trattativa con la Commissione europea; o ancora, dichiarare di non voler conteggiare nel computo del bilancio investimenti tesi alla crescita economica e poi non solo rinunciare ad investire ma esser disposti a inaugurare l’ennesima stagione di svendita di beni pubblici. La verità è che, dopo le dichiarazioni altisonanti e la voce grossa del ministro dell’Interno, con l’Unione europea si è risolutamente imboccata la strada dell’accordo al ribasso. Così, per rientrare entro vincoli come sempre dettati da un’impostazione monetarista e antipopolare (obiettivo deficit/Pil ricondotto dal proclamato 2,4% al più risicato 2,04% indicato da Bruxelles), sono state ulteriormente falcidiate le già scarse risorse disponibili a discapito dei servizi essenziali: complessivamente, cinque miliardi di tagli a quanto previsto per la sanità, per scuola e ricerca, per l’edilizia scolastica (nonostante il dato drammatico secondo cui una scuola su quattro non sia in linea con le norme di sicurezza), per interventi di sviluppo territoriale, di manutenzione e recupero ambientale, per trasferimenti agli enti locali, per il sostegno selettivo a imprese che assumano a tempo indeterminato.

    A ciò vanno aggiunti altri quattro miliardi e mezzo sottratti all’attuazione dei due cavalli di battaglia del governo – la cosiddetta “quota 100” per andare in pensione e il reddito di cittadinanza – con inevitabile ridimensionamento delle provvidenze e sostanziale diminuzione del numero di coloro che ne possono usufruire. In relazione al primo provvedimento, esso infatti potrà avere applicazione limitatamente ai prossimi tre anni tenendo fermo il combinato disposto di un minimo obbligatorio di 38 anni di anzianità lavorativa (da sommare all’età) e di una forte penalizzazione dell’assegno pensionistico (che cresce all’aumentare dell’anticipazione del pensionamento). Per quanti non riuscissero ad accedere o pensassero di rinunciare a tale “opportunità” (si prevede una gran parte dei lavoratori) resterebbe l’applicazione della legge Fornero. Se a tale misura si aggiunge l’indicizzazione progressiva dei trattamenti pensionistici dai 1500 euro lordi in su, il quadro che il governo compone per la previdenza è tutt’altro che entusiasmante. Per quel che riguarda il reddito di cittadinanza, caro ai Cinquestelle, non siamo in presenza di qualcosa di sostanzialmente diverso dal già vigente reddito di inclusione (con relativi vincoli e paletti). Se poi si guarda alle cifre, la nebbia non si dirada, anzi: è del tutto evidente che le risorse rimaste potrebbero coprire una minima parte dei 6 milioni di poveri certificati dall’Istat. In compenso, un insperato vantaggio avrebbero le imprese, cui verrebbe graziosamente destinato il reddito medesimo in caso di assunzione del beneficiario.

    Ma l’aspetto più preoccupante della manovra concerne ciò che ci attende dopo il 2019. Il totale riconoscimento della primazia di Bruxelles e del suo potere di controllo sui conti pubblici nazionali ha indotto il “governo del cambiamento” a prevedere pesanti dispositivi di salvaguardia degli obiettivi di bilancio. In primo luogo, sono stati “salvati” un paio di miliardi, sottraendoli temporaneamente alle esigenze di spesa pubblica, con la prospettiva di un loro ritorno alla disponibilità in caso di raggiungimento dei suddetti obiettivi (quelli appunto indicati e supervisionati dall’Ue). Ma soprattutto, anziché esser ridotte, vengono praticamente raddoppiate le cosiddette clausole di salvaguardia, norme che il governo italiano si impegna a far scattare in caso di sforamento dei vincoli di spesa e che si traducono in aumenti dell’aliquota Iva e delle accise sul carburante. Nel merito, si tratta di una spada di Damocle di 23 miliardi per il 2020 e di 29 miliardi per il 2021 e il 2022: se non si trovassero tali miliardi con tagli corrispondenti nella finanziaria del 2019, l’aliquota ordinaria dell’Iva (la più odiosa delle tasse perché spalmata su tutti i contribuenti, poveri e ricchi) passerebbe automaticamente dal 22 al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021. Con le previsioni di crescita del Pil decurtate da un ottimistico 1,5% ad un più realistico 1% e con i venti di crisi che tornano a farsi minacciosi, c’è ben poco da stare allegri. Dal canto suo, Matteo Salvini si affretta a sostenere che “siamo solo all’inizio”, che l’opera dovrà essere completata ad esempio con l’attivazione della Flat tax, nella sua versione allargata: cioè a beneficio non solamente di piccoli artigiani ma anche di chi si colloca alla sommità della scala dei redditi, fino a grandi capitalisti e rentiers.

    Per carità di patria sorvoliamo sul resto dell’attività e delle misure attuate dall’attuale governo italiano. In questa sede interessa soprattutto sottolineare che, come si evince da quel che si è detto sin qui, la valutazione sull’operato di quest’ultimo è strettamente connessa con il giudizio sull’Unione europea e il che fare rispetto ad essa. E’ precisamente su tale prioritaria questione che il governo Conte/Salvini/Di Maio, anche sui temi economico-sociali mostra il suo carattere conservatore e reazionario, la sua strutturale incapacità di operare in direzione degli interessi popolari. Contestualmente, ciò significa che solo chi esprima un giudizio netto sull’irriformabilità dell’Unione europea può aver titolo ad accreditarsi come opposizione credibile al patto “giallo-verde”. Ciò è stato chiaro sin dall’inizio al ricostituito Pci, il quale ha posto il tema Europa come politicamente dirimente, accanto ai temi Nato e imperialismo Usa. In Europa non siamo i soli a pensarla in questo modo. Ad esempio, quando ancora la trattativa tra il nostro esecutivo e la Commissione europea muoveva i suoi primi passi, il compagno Miguel Viegas, parlamentare europeo e autorevole esponente del Partito Comunista Portoghese, in un fondo dedicato alla situazione italiana mostrava di avere comunque le idee assai chiare sul rapporto con l’Unione europea:

    “Qualunque sia il giudizio di merito che possiamo esprimere sul governo italiano e sulle sue politiche, ciò che la Commissione europea intende fare nella pratica è annullare ogni deviazione, non importa quanto piccola, dai suoi orientamenti neoliberali. (…) Questo è stato il caso della Grecia e del Portogallo. Vedremo se così sarà anche per l’Italia. Una cosa è certa: con questo episodio emerge ancora più chiaramente la necessità per il Portogallo di liberarsi dai vincoli dell’Unione europea e in particolare dell’euro” (cfr. Il “problema italiano”, in Associazione Politico-Culturale Marx XXI).

    Anche nel nostro Paese, si sono levate voci che esprimono una posizione analoga a quella qui menzionata. E’ il caso della Rete dei Comunisti, sul cui giornale on line ‘Contropiano’ compaiono nel merito articoli di fondo e analisi condivisibili (cfr. ad esempio Dante Barontini, Sovranisti da strapazzo, populisti di palazzo. Su pensioni e non solo, in www.contropiano.it). Ed è il caso della Redazione della rivista on line ‘La Città Futura’ che, con un occhio alle imminenti elezioni europee, lancia un Appello dal significato politico inequivoco (cfr. Appello a tutte le forze che ritengono irriformabile il polo imperialista europeo, in www.lacittafutura.it). Così come non manca di farsi sentire dall’interno del Prc la voce di chi non condivide la prospettiva di un’ennesima coalizione elettorale dai contenuti politici tutt’altro che univoci e trainata dall’ennesimo uomo della provvidenza (cfr. Domenico Moro e Fabio Nobile, Una coalizione a perdere per ‘la patria europea’? No grazie, abbiamo già dato). Si tratta di presenze circoscritte e tuttavia importanti nel contesto di una sinistra di alternativa frammentata e a tutt’oggi in cerca di autore. Dal canto suo il Pci fa bene a porre in cima alla sua agenda la costruzione di un Partito Comunista degno di tale nome, senza che si sia presi dall’ansia della prossima scadenza elettorale, come troppe volte è successo in questi anni. Con ciò, l’interlocuzione con chi è politicamente più vicino resta un compito importante e da assolvere.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...a-cambiamento/
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