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    Il Re del Nord
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    Predefinito Partito Comunista Italiano (2016)

    I comunisti e il governo giallo-verde

    Riprendiamo da Marx21.it e pubblichiamo l’intervento di Bruno Steri per il Convegno su “Il nuovo governo italiano e gli interessi del movimento operaio. Per una vera lotta anticapitalista contro l’euro e l’Unione europea”. Roma, 22 giugno 2018

    Il paradosso di un governo di destra votato anche dai lavoratori

    Il Pci ha già avuto modo di esprimere in diverse sedi la propria netta opposizione nei confronti dell’attuale governo Conte, nato a seguito di un patto politico tra Movimento 5 Stelle e Lega: un esecutivo scaturito da un’alleanza “post-ideologica” ma che, sin dai primi passi, non ha potuto mimetizzare il suo carattere reazionario e la sua scelta di classe, in particolare includendo nel suo programma la cosiddetta flat tax

    (tassa piatta) – divenuta più propriamente dual tax – un sistema fiscale con cui si restringe drasticamente, anziché aumentarla, la progressività della tassazione, a vantaggio dei contribuenti più ricchi e in controtendenza con lo stesso dettato costituzionale. Il fatto che siano ad oggi in questione le modalità di applicazione o la stessa praticabilità economica di tale opzione nulla toglie all’esemplare gravità di quest’ultima, concepita all’insegna di un approccio per nulla nuovo e che si è rivelato tanto iniquo socialmente quanto fallimentare economicamente: è la cosiddetta “teoria dello sgocciolamento”, che prescrive di ingrassare in alto (cioè elargire risorse a profitti e rendite) così che qualche goccia possa arrivare verso il basso. Tradotto: elemosinare investimenti produttivi incrementando il privilegio e affidandosi alla buona volontà dei ricchi. La presenza di questa proposta all’interno di un variegato e stucchevole elenco programmatico sancisce le gerarchie tematiche di tale elenco e la dice lunga su quale sia il suo carattere di fondo. Le vicende più recenti hanno poi ulteriormente evidenziato l’orientamento di destra del governo, smascherando il carattere ondivago (“né di destra né di sinistra”) dello stesso Movimento 5 Stelle: il quale è arrivato a votare nel consiglio comunale romano la proposta di intitolare una strada della capitale al fascista mai pentito Giorgio Almirante.

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    Tutto ciò costituisce l’ineludibile punto di partenza per una valutazione dell’attuale preoccupante stato delle cose. Tuttavia non ne può costituire il punto d’arrivo. Né basta a risolvere i nostri problemi ripetere all’indirizzo del governo l’evocativa espressione di “fascio-leghista”. Per porre le premesse di una risposta organizzata e consapevole dei comunisti manca all’appello un’analisi seria e compiuta delle ragioni che hanno indotto milioni di proletari a dare il proprio mandato elettorale a Di Maio e Salvini. Di più: occorre indagare a fondo il contrasto di opinioni che nel merito si è prodotto nel campo della sinistra di classe (basta farsi un giro attraverso la rete per verificare quanto ricorrenti e profondi siano i dissensi tra compagni, anche tra coloro che fino al giorno prima si erano scambiati attestati di stima). Penso che non si tratti di fenomeni di superficie, che anzi l’emergenza determinata da quello che è stato definito il primo governo “post-ideologico” insediatosi nel nostro Paese abbia fatto uscire allo scoperto tensioni profonde e contraddizioni di carattere strutturale presenti da tempo nel sottosuolo della sinistra. E’ bene dunque nominarle e farci i conti.

    Innanzitutto va detto che il voto delle ultime politiche e in particolare l’ascesa della Lega di Salvini, con ampio sfondamento all’interno di settori popolari, testimonia dello sgretolamento del cosiddetto “zoccolo duro” della sinistra. In assenza di riferimenti credibili, si rinuncia a votare; oppure, al di là di precostituite appartenenze politiche e ideali, si vota scegliendo a 360 gradi e senza vincoli ideologici, direzionandosi verso chi, avendo dalla sua i rapporti di forza numerici, si presenta sul mercato della politica come in grado di risolvere qualcuno dei tanti problemi quotidiani che affliggono la vita materiale (senza ovviamente toccare il cuore del sistema vigente). Di tale esito pragmatico e “post-ideologico” possiamo graziosamente ringraziare il Pds/Ds, che in questi anni ha distrutto un intero impianto politico, etico e concettuale, finendo per essere identificato con l’establishment e con l’unica ideologia rimasta, quella dominante. Da questo punto di vista, la battuta che mi è stata fatta recentemente da una compagna disoccupata offre una sintesi ruvida ma efficace: “Il Pd ormai lo votano solo i benpensanti benestanti”. Per converso, risulta perfettamente credibile il disperante racconto che mi faceva un altro compagno, impiegato in un’azienda metalmeccanica piemontese: “Se Salvini reintroduce l’art.18 e vara la ‘quota 100’ per andare in pensione, il grosso dei miei colleghi, dei lavoratori, gli confermerà il voto a vita”. Da ciò discende una prima importante lezione, che riassumo riportando quanto ho detto concludendo una recente assemblea romana del Pci sul lavoro:

    “Per il nostro partito il tema lavoro non è un tema tra gli altri. Esso oggettivamente costituisce e per noi deve costituire una priorità assoluta. Nella percezione diffusa vi sono anche altre emergenze, vedi la questione immigrazione: ma noi dobbiamo sapere che, se non si riesce a invertire la rotta sulle questioni del lavoro, tutto il resto si fa ancora più difficile. Non a caso, per restare sull’esempio dell’immigrazione, sin dalle tesi della Costituente bolognese, il Pci ha collegato la drammatica vicenda dei migranti alla questione sociale: certo, solidarietà; ma soprattutto, costruzione di un nuovo blocco sociale anticapitalista, di cui l’immigrazione può e deve far parte. Questo è il compito specifico dei comunisti. Da questo punto di vista mi è parso importante il riferimento, fatto qui oggi dal segretario della Usb Pierpaolo Leonardi, relativo alla presenza di lavoratori immigrati nel settore della logistica, del carico e scarico merci: non forza-lavoro a basso prezzo e disponibile a tutto, giunta ad ingrossare l’esercito lavorativo di riserva e pronta a esercitare una concorrenza al ribasso a danno delle condizioni generali del lavoro. Questo rischio c’è e dobbiamo sventarlo; ma non c’è solo questo. Oggi si è parlato di nuovi lavoratori venuti da fuori, ‘che non hanno conosciuto la sconfitta storica vissuta dalla classe operaia europea’, che sono arrivati con nuove speranze e voglia di lottare. In essi possiamo intuire l’alba di un nuovo mondo del lavoro, che mette in mostra nuove energie e nuova combattività.”

    Su tutto questo dobbiamo inflessibilmente tallonare il governo giallo/verde ed esser pronti a denunciarne le inevitabili contraddizioni sul terreno a noi più congeniale: quello della contraddizione tra capitale e lavoro. Sapendo che, per un verso, occorre restituire ai lavoratori italiani quanto è stato loro tolto e che, per altro verso, bisogna operare per far passare il tema dell’immigrazione dal registro della compassione (sentimento peraltro del tutto comprensibile) a quello della lotta.

    Un imbroglio che viene da lontano

    Per avere il massimo di efficacia in una battaglia politica che si annuncia difficile è bene tuttavia sgombrare il campo da un insidioso fraintendimento ideologico che con questo governo rischia di trovare una sua concretizzazione politica e di massa: il superamento delle categorie di sinistra e destra e della relativa distinzione. Oggi è bene tornare con grande attenzione su questo punto. Beninteso, l’inconsistenza della suddetta opposizione è sempre stata una tesi tipica della destra; ma, com’è noto, in questi anni essa ha trovato spazio anche a sinistra. Giustamente, la rivista on line Contropiano ha recentemente evidenziato e stigmatizzato la partecipazione di Giulietto Chiesa, già giornalista de L’Unità, ad un convegno organizzato da CasaPound, che non a caso ha visto la partecipazione dell’intellettuale russo Aleksandr Dugin, massimo teorico “di quella mutazione ideologica che mischia la dottrina marxista e il fascismo”. Il fenomeno viene da lontano. In un’intervista di qualche anno fa (Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra, ottobre 2009) Domenico Losurdo, in aperta polemica col filosofo Costanzo Preve, definiva “una sciocchezza” sostenere che la distinzione tra destra e sinistra non avesse più senso: egli riconosceva che circoscrivere tale distinzione non fosse facile e che in ogni fase storica occorresse ridefinirla, ma che comunque il suo abbandono sarebbe assolutamente sbagliato e pericoloso. Per tutto il ‘900 il senso comune ha continuato a distinguere tra una “sinistra” e una “destra”, condensando in modo sufficientemente chiaro il significato di un’opposizione introdotta almeno a partire dalla Costituente del 1789 nella Francia rivoluzionaria, quando veniva dislocata su un piano orizzontale la contrapposizione tra il “basso” (il terzo stato) e l’ “alto” (il re, la nobiltà). In altre parole, la distinzione tra l’eguaglianza e il privilegio. Il successivo ancoraggio alla storia del movimento operaio ha legato questa distinzione alla contrapposizione tra operai e capitalisti, tra gli interessi del proletariato e quelli dei proprietari, espressione dell’assetto socio-economico capitalista. In Italia il termine “destra” ha altresì inglobato il riferimento al regime fascista e all’azione post-bellica delle forze politiche che a quel regime si sono richiamate. Questo dice la storia. Tuttavia, quanto più si è appannato il taglio di classe impresso alla distinzione tra destra e sinistra, tanto più è andato confondendosi il suo senso. A ciò ha contribuito ad esempio l’introduzione, all’indomani dell’89, dell’assetto bipolare: innovazione istituzionale “normalizzante” perseguita puntando alla sterilizzazione delle ali estreme dello schieramento politico, con relativa emarginazione/addomesticamento dei comunisti da un lato e sdoganamento dei post-fascisti dall’altro. E con conseguente logoramento della bipolarità sinistra/destra, svuotata così di contenuti sociali e conflittuali e ridotta a neutro avvicendamento di governo.

    In queste acque limacciose ha pescato una destra che si è detta “nuova”, che ha assecondato la confusione giungendo perfino ad assumere qualche connotato accattivante: una “nuova destra” di cui Matteo Salvini è un degno e consapevole erede. Questa nuova destra ha inteso relegare tra le anticaglie della storia le opposizioni che hanno contraddistinto la Modernità, a cominciare appunto dalla distinzione tra sinistra e destra: una Modernità presentata come esposta all’influenza delle “ortodossie ideologiche”, all’unilaterale rigidità dei guardiani delle “burocrazie di partito” e degli “statalismi novecenteschi”. Non a caso Alain de Benoist, filosofo di questa nuova destra nonché maÎtre à penser della Lega, tuona contro il mondo dei totalitarismi, contro “i dogmi dell’universalismo massificante e egualitario”: in definitiva, contro i regimi totalitari del ‘900 (nozione in cui sono inclusi comunismo e nazifascismo), ma anche contro la mercificazione globalizzata che brutalizzerebbe l’individuo e soffocherebbe le radici culturali dei diversi popoli, distruggendo il senso di appartenenza delle singole comunità. Di simili suggestioni comunitariste e localistiche si è ovviamente nutrita la Lega, quella di Bossi e quella di Salvini. Ma occorre subito aggiungere che l’enfasi antiborghese e la denuncia apocalittica di questa “catastrofe della modernità” hanno strizzato l’occhio al trasversalismo post-moderno e hanno finito per trovare ascolto anche a sinistra, incrociando il gusto “no global” per le invettive contro la “mitologia produttivistica” e la “religione della crescita”. Più a fondo, non è forse stata Hannah Arendt ad aver centrato la critica dei totalitarismi? Non è Marcuse che ha messo da parte la contraddizione dialettica e gli aspetti materiali dello sfruttamento capitalistico per mostrare dispositivi di esclusione non connotati dal punto di vista del conflitto di classe? E non è di André Gorz l’enfasi critica contro il produttivismo e l’ideologia del lavoro, così come la perorazione della gratuità del dono, caratteristica dell’epoca premoderna? Non v’è dubbio quindi che le propensioni ondivaghe di alcuni intellettuali collocati “a sinistra” abbiano contribuito ad accrescere la confusione, favorendo involontariamente le pulsioni che da sempre caratterizzano le posizioni e la letteratura reazionaria: dietro l’enfasi sull’individuo e la sua comunità, spuntano infatti il disprezzo nei confronti di chi ricerchi un senso progressivo della storia e la repulsione per qualunque progetto di radicale trasformazione sociale, per qualsiasi condotta razionale che metta consapevolmente in questione l’ordine sociale costituito. Su questo Salvini, al di là delle mance che potrà riuscire ad offrire, raccoglie in pieno (e rivendica) l’eredità di De Benoist. Così come di Spengler: il quale un secolo fa polemizzava con il razionalismo intellettualistico che vuole “sottomettere la realtà alle astrazioni” (traduzione: l’immodificabile realtà capitalistica alle improbabili astrazioni socialisteggianti). Tutto questo – non dimentichiamolo – fa parte del retroterra politico-ideale dell’attuale governo, costituitosi nel nostro Paese su un terreno che la stessa sinistra ha contribuito a desertificare.

    L’insidiosa spregiudicatezza del governo giallo-verde a trazione Salvini

    Sin qui, a scanso di equivoci, abbiamo ribadito cose che dovrebbero essere note. Ma non basta ancora, occorre indagare più nel dettaglio la capacità di convinzione che l’attuale governo ha dato prova di possedere. Nel merito, ancora su Contropiano, Dante Barontini ha scritto:

    “Una tentazione che va evitata come la peste è pensare che questo governo sia fatto solo di deficienti-ignoranti (che pure non scarseggiano…), incapaci di elaborare una strategia vincente. Intanto perché hanno vinto, fin qui. Dunque, nemici odiosi sì, ma proprio fessi non sono”. E poco dopo aggiunge: “(…) non sarà possibile fare un’opposizione vincente a questo governo se ci si limita solo a condannarne i tratti più apertamente fascisti, razzisti ecc. Questi tratti, purtroppo, non sono più percepiti come un problema repellente da buona parte della popolazione, compresa una larga fascia del nostro stesso blocco sociale. E’ gravissimo, ma è così. Meglio saperlo…”

    Sottoscrivo tali avvertenze. Nell’aprire varchi per il superamento dell’opposizione destra/sinistra, accanto a nefandezze tipiche della “vecchia destra”, Matteo Salvini ha anche esibito un’insidiosa spregiudicatezza. E’ lui ad aver proposto l’incarico di Primo ministro a Giulio Sapelli, autorevole storico dell’economia distintosi a sinistra per le sue posizioni anti-Renzi e anti-Ue. Sempre lui ha perorato l’inclusione di Alberto Bagnai nella compagine di governo. In occasione del suo insediamento, quest’ultimo ha rilasciato la seguente dichiarazione di intenti (trascrivo dal parlato): “Dopo ciascuna delle due guerre mondiali del secolo scorso, ci sono voluti 10 anni per ripristinare i livelli di reddito precedenti. Oggi stiamo attraversando la depressione più lunga dell’intera storia dell’Italia unita: secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, occorreranno 16 anni perché l’Italia torni ai livelli di reddito precedenti la crisi, quelli del 2007. Una governance basata unicamente sulle regole, come quella imposta dalla Ue, ci ha costretto a deprimere ulteriormente la nostra attività economica nel momento in cui il Paese era già piegato da una grave recessione. Ciò ha comportato una riduzione del 38% del flusso degli investimenti pubblici. Le suddette regole esprimono i rapporti di forza vigenti: nell’Ue esse diventano uno strumento con cui cristallizzare ingiustizie e asimmetrie”.

    Sono temi nostri? Certo che sì ! Non a caso Bagnai nel recente passato è stato tra gli ospiti di iniziative del Pci dedicate al tema europeo. Oggi siamo al paradosso per cui ascoltiamo parole condivisibili dette da chi è diventato ministro di un governo di destra. Affare di Bagnai? Ovviamente sì; ma sono anche affari nostri, paradossi che dobbiamo tenere ben presenti. La verità è che Matteo Salvini negli anni scorsi ha combattuto e vinto una battaglia politica interna al suo partito tesa ad aggiornarne l’immagine e a renderne più potabile la proposta politica. A rinverdire il ricordo di quel che era la Lega, un tempo Lega Nord, mi sono imbattuto nella requisitoria tenuta in Parlamento nel 2003 da Alessandro Cè, allora capogruppo leghista: il quale se la prendeva con il “colonialismo globale del pensiero unico”, con “l’universalismo illuministico” dell’Occidente, ergendosi a difensore delle appartenenze etnico-comunitarie e delle differenze tra i popoli. Concetti eleganti, per intendere più prosaicamente chiusura delle frontiere e cannoneggiamento di extracomunitari. Quanto all’ispirazione di fondo e al trattamento riservato ai migranti, è cambiato ben poco: la Lega, pur avendo lasciato cadere la qualifica di “Nord”, è rimasta legata ad un’ispirazione brutalmente “differenzialista”. Alla volontà livellatrice del totalitarismo liberal-comunista i leghisti contrappongono “la forza della diversità” (Julius Evola: “Il buon razzista ama le differenze”): una diversità fondata non più sul sangue, come per il razzismo biologico del secolo scorso, quanto piuttosto sulla più sofisticata nozione di irriducibile diversità delle culture, sulla differenza specifica che caratterizzerebbe nelle loro incommensurabili identità gli insiemi culturali, le civiltà, i popoli. Poco importa che un tale orientamento – in un mondo unificato quale è quello attuale – costituisca un vero e proprio assurdo storico, oltre che obbrobrio a-scientifico; l’importante è che convinca a che ciascuno se ne stia a casa propria, con la sua cultura, la sua comunità. Sin qui Lega Nord e Lega, Lega di Bossi e Lega di Salvini, sono in perfetta continuità: all’insegna del neorazzismo differenzialista e del neocomunitarismo reazionario.

    Dall’Europa delle “piccole patrie” alla “nazione” anti-Ue

    Tuttavia l’avvento di Salvini ha introdotto un’importante innovazione. Oggi non ci si rivolge più alle valli lombarde e venete, ma all’intera nazione. Il localismo e la chiusura autarchica restano il segno distintivo, ma è cambiata la dimensione di tale imprinting. Non è roba da poco: con ciò l’attuale gruppo dirigente leghista ha di fatto archiviato il mito “padano” e la relativa secessione. Personalmente sono convinto che questo cambiamento sia il frutto di un esplicito patto politico teso a sdoganare la Lega riconoscendole legittimazione politica e ruolo istituzionale. Non sarà sfuggito agli osservatori più attenti il fatto che da un certo momento in poi, quando ancora la Lega di Salvini era inchiodata a percentuali elettorali da prefisso telefonico, il leader leghista ha iniziato a imperversare su tutte le reti televisive, di giorno, di pomeriggio e di notte. Queste cose non avvengono a caso: si sa che l’affinamento dell’odierna costruzione del consenso prevede la costituzione di “opposizioni compatibili”. Non credo di andare lontano dal vero se immagino che “quelli che contano” abbiano a un certo punto proposto: noi vi garantiamo accesso illimitato al circo mediatico; voi mollate la secessione, la Padania e le ampolle con l’acqua del Po. Probabilmente non avevano previsto che la Lega potesse raggiungere addirittura responsabilità di governo.

    Questa innovazione salviniana ha comportato un altro essenziale mutamento nella strategia leghista, un mutamento concernente l’Europa. La Lega “padana” condivideva una delle istanze politiche più ambiziose delle destre europee: l’attacco alla cosiddetta “Europa delle nazioni” , in vista della destrutturazione degli Stati nazionali multietnici e del contestuale potenziamento di entità etnicamente omogenee, di un’Europa di Stati regionali monoetnici (quell’ Europa der Regionen che ha costituito il titolo di un manifesto etnoregionalista edito nel 1993, a firma di Guy Héraud, con la partecipazione del nazista austriaco Jörg Heider e di Umberto Bossi). Federalismo etnico e tutela delle “piccole patrie” dovevano costituire gli assi portanti del progetto europeo, secondo un modello “imperial-federale”. La Lega di Salvini è andata invece sostituendo alle requisitorie secessioniste contro “Roma ladrona” un’impostazione più marcatamente anti-Ue. Qui si spiegano la vicenda Savona e le aperture di credito a economisti anti-Ue come i citati Sapelli e Bagnai. Dalla chiusura localistica lombardo-veneta si è quindi passati ad una chiusura autarchica nazionalistica, più consona alle aspirazioni e agli interessi di un settore importante del padronato italico: quello medio-piccolo, non integrato nelle filiere produttive del capitalismo globalizzato. Si tratta dunque di un conflitto interno al blocco di potere delle classi dominanti, la cui posta in gioco riguarda la natura e il futuro della stessa Unione Europea.

    Quanto al governo Conte, gli iniziali propositi di contrapposizione frontale con Bruxelles sembrano aver lasciato il campo ad atteggiamenti più compatibili con lo status quo e, in qualche caso, del tutto opposti (vedi le rassicurazioni dell’attuale Ministro del Tesoro). Del resto, la stessa composizione del governo – stante l’autorevole mediazione del Capo dello Stato – ha evidentemente dovuto contemplare precise concessioni alla cabina di comando continentale. Una cosa è comunque certa: senza il “patriottismo laburista” auspicato da Giulio Sapelli – cioè: rispetto delle promesse elettorali fatte e attuazione di quelle provvidenze sociali che solo un allentamento della morsa di Bruxelles sul bilancio nazionale e sulla spesa pubblica può garantire – senza questo, la vita del governo giallo-verde sarà assai dura e a costante rischio di implosione. Matteo Salvini lo sa; e proprio per questo prende tempo spostando l’attenzione generale sul tema a lui più congeniale: l’istigazione alla guerra tra poveri, più precisamente tra ultimi e penultimi. Una vera bomba a orologeria che rischia di trascinare all’indietro, nelle pieghe più oscure della storia, l’intero continente.

    L’intransigente opposizione dei comunisti

    Su tali contraddizioni i comunisti e i loro alleati hanno il dovere di agire: sottraendo alla demagogia della destra temi che erano e continuano ad essere di loro competenza. A cominciare dall’opposizione a questa Unione Europea e alla contestuale presa in carico di una connessa “questione nazionale”.

    Nel merito, talvolta capita di imbattersi in chi, alla sinistra del Pd, mischia la giusta critica all’ideologia nazionalistica delle destre al governo, votata all’autarchia e alla chiusura localistica, con un’astratta e generica critica al “rossobrunismo” di chi torna a guardare alla “patria” e alla “nazione”. A proposito di questa che considero una pericolosa confusione, recentemente annotavo quanto segue in un commento ad un bel libro di Domenico Moro:

    “L’argomentazione (di Moro) si sofferma sulla natura ‘ambigua’, polivalente, del concetto di ‘nazione’. E’ profondamente sbagliato dare a tale nozione un’accezione esclusivamente negativa, identificandola con la propaganda nazionalistica (come fa ancora Antonio Negri). Essa la si può infatti intendere in termini reazionari o progressivi: lo stesso Lenin – ricorda opportunamente Moro – invita a ‘valutare caso per caso se l’aspetto nazionale sia un fattore di promozione o di disgregazione degli interessi della classe lavoratrice’. Del resto, la storia recente conferma clamorosamente una tale asserzione. E’ vero che, dopo la prima guerra mondiale, l’idea di nazione è stata a lungo egemonizzata dal nazi-fascismo. Ma è anche vero che tra gli anni 50 e gli anni 70 essa è stata la bandiera dell’antimperialismo e delle lotte di liberazione: in Asia, in Africa, nell’America Latina. E Stalingrado rimane superbo emblema di una ‘grande guerra patriottica’; così come ‘patriottica’ è stata in Italia la Resistenza al nazi-fascismo. Ciò fa giustizia di un grave fraintendimento: è l’ideologia cosmopolita che tende ad abolire gli Stati-nazione; non certo l’internazionalismo proletario, il quale al contrario ha sempre sostenuto contro l’imperialismo l’autodeterminazione dei popoli, cercando di costruire solidarietà tra le classi subalterne di diverse nazioni. All’europeismo astratto e di maniera di certa sinistra deve contrapporsi un rinnovato patriottismo costituzionale, appunto in quanto si oppone all’espropriazione della volontà popolare prodottasi con la mondializzazione capitalistica e, in Europa,con l’Unione europea.”

    L’irriducibile opposizione tra la nostra Costituzione e i Trattati Ue esemplifica bene il profilarsi di una nuova, attualissima “questione nazionale”: “questione” che la sinistra comunista ha il compito di assumere collegandola all’iniziativa di classe, evitando di parlare a vanvera di “rossobrunismo”, recuperando tale terreno e sottraendolo all’iniziativa (esclusivamente propagandistica) dei Salvini e dei ‘né di destra né di sinistra’. Domenico Moro annota, a mio giudizio correttamente, che oggi l’ideologia dominante è prevalentemente cosmopolita (globalista) ed europeista, essendo l’europeismo un’articolazione diretta del cosmopolitismo. Le élites non sono prevalentemente nazionaliste. Egli ricorda che la grande accumulazione capitalistica non avviene più su base nazionale: il principale mercato della Volkswagen non è la Germania ma la Cina; quello della Fiat, il Brasile. E oggi che è diventata Fca, il 75% dei profitti li realizza nell’area Nafta (Usa, Canada e Messico).Il capitalismo globalizzato è interessato agli investimenti esteri (di portafoglio e diretti), alle economie di scala e a quote di produzione in Paesi a basso costo di manodopera; oltre al comando sull’approvvigionamento energetico, sui movimenti di capitale e di merci. Per questo si è dissolto il blocco keynesiano, il patto tra imprese e classe operaia, sostituito da un “vincolo esterno” (“ce lo chiede l’Europa”) che assicura governabilità bypassando i parlamenti. Così l’élite capitalistica globalizzata si contrappone al grosso della popolazione nazionale: questa dinamica strutturale spiega più di tante metafore il crollo del Pd e l’ascesa del governo giallo-verde, espressione di un’unità interclassista tra i settori capitalistici non globalizzati e una parte dei ceti popolari. Noi sappiamo che una tale unità è per definizione precaria, esposta alla frizione di diversi interessi di classe solo momentaneamente pacificati, alla provvisorietà di promesse solo propagandistiche. Su tali contraddizioni dobbiamo agire e tallonare senza tregua il governo.

    Nel frattempo, dobbiamo dire cose precise sul tema immigrazione. Innanzitutto denunciando i dati fasulli veicolati al fine di creare allarme sociale e reazioni xenofobe di massa. Il sito lavoce.it ha opportunamente rispedito al mittente i numeri diffusi da Salvini nei suoi twitter: dove il leader leghista enfatizza un “record di sbarchi di clandestini in gennaio, il 15% in più rispetto all’anno scorso”, occultando, grazie ad un riferimento parziale al primo mese dell’anno, l’unico dato attendibile per una valutazione corretta, quello su base annua, secondo il quale non solo non c’è alcuna “INVASIONE, organizzata e finanziata per cancellare la nostra cultura” (sic!), ma c’è una flessione degli sbarchi del 34%. Simili falsificazioni vanno diffusamente e fortemente denunciate. In secondo luogo, i comunisti devono dire di essere contrari al blocco totale degli arrivi perseguito dalle destre e di essere invece favorevoli ad un loro flusso regolato che sia all’altezza di una capacità di accoglienza vera. Ciò in omaggio ad una posizione non strillata, socialmente sostenibile, che il compagno Fosco Giannini ha ben sintetizzato in un suo recente contributo al sito del Pci:

    “Non possiamo regalare alla destra la concezione della sicurezza: essa rappresenta un cardine sociale e civile positivo, non reazionario. Anche i comunisti sono per la sicurezza sociale, ma al contrario delle destre contemplano tale concezione all’interno di un quadro di solidarietà sociale e, soprattutto, all’interno di un quadro che preveda l’unità sociale e politica, di classe e rivoluzionaria del proletariato ‘bianco e nero’ ”

    Da questo punto di vista, dobbiamo respingere con nettezza il vergognoso tentativo di criminalizzare l’intera realtà organizzata per il salvataggio in mare, lasciando ovviamente alle Procure il compito di indagare – sulla base dei dati provenienti da Frontex, dalla Marina e dalla Guardia costiera – laddove si profilassero eventuali zone d’ombra, con canali di comunicazione tra Ong, scafisti e criminalità organizzata. Da ultimo, ma non per importanza, è compito prioritario dei comunisti denunciare il barbaro atteggiamento di chi ritiene di trovare soluzioni finali sulla pelle di chi è vittima, di chi è costretto ad emigrare (donne e bambini compresi). Se si vuole condizionare l’Unione Europea, ci si confronti a muso duro e senza esclusione di colpi con l’Unione Europea stessa e non mettendo a rischio la vita di innocenti. Si ponga un ultimatum sulla modifica del Trattato di Dublino, con l’attivazione della responsabilità condivisa nella gestione delle domande di asilo e con sanzioni per i Paesi che rifiutassero il programma, sotto forma di limitazione di accesso ai fondi Ue. E da subito si denunci il fatto che Salvini preferisca prendersela con imbarcazioni di poveri disgraziati piuttosto che imporre sanzioni al suo amico Viktor Orban, il Primo ministro ungherese che, contrariamente ad altri Paesi dell’Unione, ha sin qui rifiutato integralmente i ricollocamenti di migranti da Italia e Grecia.

    Concludendo: il piombo nelle ali del governo giallo-verde

    In politica tutto può succedere, tuttavia io penso che questo governo sia destinato a perdere la sua partita. Seppure su opposti versanti, sia questo governo che noi comunisti e con noi la sinistra di classe giochiamo la nostra carta più importante sul tema dei diritti sociali e del lavoro. Per essere credibili occorre indicare risorse a cui attingere. La destra sta giocando la carta tutta propagandistica dell’immigrazione: “prima gli italiani”, dicono. Ma anche loro sanno che, al di là dell’uso di “armi di distrazione di massa”, non è questa la vera materia del contendere. Il governo di destra, per mantenere anche solo una delle promesse fatte in merito a ripresa economica e provvidenze sociali, cioè per toccare anche solo di striscio quel “patriottismo laburista” auspicato da Giulio Sapelli, deve infrangere o attenuare sostanzialmente i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. A tal fine, non mi pare che la compagine di governo si presenti come una macchina da guerra. Si aggiunga a ciò la comparsa all’orizzonte di nubi nerissime: a cominciare dalla fine del Quantitative Easing con cui la Bce guidata da Mario Draghi ha sin qui garantito una tenuta dei conti sul piano degli interessi sul debito, grazie all’acquisto dei titoli italiani. L’aumento del prezzo del petrolio e la guerra commerciale tra Usa e Ue potrebbero aggiungere guaio a guaio. E tuttavia non sta qui, a mio parere, il punto principale.

    Noi comunisti e la sinistra di classe possiamo contare su di un grandissimo vantaggio rispetto a Di Maio/Salvini &C. Noi sappiamo dove si dovrebbe andare a prendere le risorse necessarie per invertire la tendenza involutiva in atto ai danni dei soggetti sociali cui intendiamo rivolgerci. Occorre cioè un travaso di ricchezza da profitti e rendite verso il grosso delle retribuzioni da lavoro: quelle dirette, quelle indirette (il welfare) e quelle differite (le pensioni). “Prima gli sfruttati”, appunto. E’ precisamente ciò che il duo Di Maio/Salvini non può e non intende fare. Per questo io penso che sono destinati a perdere. Quanto a noi, dipende da noi. Dunque, compagne e compagni al lavoro e alla lotta.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...-giallo-verde/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  2. #2
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Esame di Maturità, il PCI polemizza: ‘Revisionismo storico nelle tracce della prima prova’

    Riprendiamo da blastingpop.com e pubblichiamo.

    Questo martedì 20 giugno per migliaia e migliaia di studenti è stato il giorno della prima prova dell’esame di Maturità 2018. Il momento dedicato al tema di italiano, che come sempre si svolge in base a delle tracce, uguali in tutta Italia, decise da parte del Ministero dell’Istruzione.

    Le tracce della prima prova della Maturità 2018
    Per il tema storico la traccia chiedeva ai ragazzi di parlare della nascita dell’Europa, nello spirito della cooperazione internazionale dopo le macerie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale, e del ruolo cruciale avuto da Alcide De Gasperi e Aldo Moro.

    Vi erano poi quattro possibili saggi brevi, quello di ambito Storico-Politico proponeva una riflessione sul nesso tra massa e propaganda, con brani di Giulio Chiodi e Andrea Baravelli.

    Quello dell’ambito Artistico-Letterario esplorava “i diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura”. Per l’ambito Tecnico-Scientifico andava affrontato il dibattito bioetico sulla clonazione. Infine per l’ambito Socio-Economico il tema verteva sulla creatività, dote d’immaginare, come risultato di talento e caso.


    La polemica del PCI: ‘Revisionismo storico nelle tracce della prima prova della Maturità’
    Riprendiamo da Blastingpop.com e pubblichiamo

    Questo martedì 20 giugno per migliaia e migliaia di studenti è stato il giorno della prima prova dell’esame di Maturità 2018. Il momento dedicato al tema di italiano, che come sempre si svolge in base a delle tracce, uguali in tutta Italia, decise da parte del Ministero dell’Istruzione.

    Le tracce della prima prova della Maturità 2018

    Per il tema storico la traccia chiedeva ai ragazzi di parlare della nascita dell’Europa, nello spirito della cooperazione internazionale dopo le macerie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale, e del ruolo cruciale avuto da Alcide De Gasperi e Aldo Moro.

    Vi erano poi quattro possibili saggi brevi, quello di ambito Storico-Politico proponeva una riflessione sul nesso tra massa e propaganda, con brani di Giulio Chiodi e Andrea Baravelli.

    Quello dell’ambito Artistico-Letterario esplorava “i diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura”. Per l’ambito Tecnico-Scientifico andava affrontato il dibattito bioetico sulla clonazione. Infine per l’ambito Socio-Economico il tema verteva sulla creatività, dote d’immaginare, come risultato di talento e caso.

    La polemica del PCI: ‘Revisionismo storico nelle tracce della prima prova della Maturità’

    Sono molti gli utenti del web e dei social network che si sono espressi nel merito delle varie tracce d’esame, ma quest’anno non sono mancate neanche le polemiche di natura politica. In particolare da parte del Partito Comunista Italiano, che attraverso il proprio responsabile nazionale scuola Luca Cangemi, insegnante ed ex deputato nei primi anni Novanta, ha diffuso un comunicato nel quale scrive testualmente: “Proprio brutte le tracce di carattere storico proposte agli studenti italiani alle prese con la maturità.

    In particolare il saggio breve di argomento storico politico proponeva di discutere il tema “masse e propaganda” alla luce di un esplicita quanto assurda identificazione di comunismo e nazismo. Un omaggio non sorprendente ma gravissimo ad un’ ignobile vulgata revisionista , la stessa che permette a Salvini di dire che è lecito intitolare una strada ad Almirante perché ci sono vie che portano il nome di Marx”.

    E poi il responsabile scuola del PCI prosegue: “Anche il tema storico che istituisce un parallelo tra De Gasperi e Moro all’insegna di un europeismo propagandistico e becero è completamente sconclusionato, accostando due discorsi frutto di due ipotesi politiche opposte. L’europeismo atlantico degli anni cinquanta nato attorno alla Ceca e la Conferenza di Helsinki degli anni 70, punto alto del processo di distensione. Ideologia reazionaria e ignoranza marciano insieme”. Affermazioni che indubbiamente non mancheranno di far discutere.

    E’ opportuno ricordare che le tracce di esame sono state scelte dalla ministra Valeria Fedeli in maggio, e quindi ben prima dell’insediamento del nuovo Governo Lega-M5S e dell’arrivo al Ministero di Viale Trastevere del leghista Marco Bussetti.

    Sono molti gli utenti del web e dei social network che si sono espressi nel merito delle varie tracce d’esame, ma quest’anno non sono mancate neanche le polemiche di natura politica. In particolare da parte del Partito Comunista Italiano, che attraverso il proprio responsabile nazionale scuola Luca Cangemi, insegnante ed ex deputato nei primi anni Novanta, ha diffuso un comunicato nel quale scrive testualmente: “Proprio brutte le tracce di carattere storico proposte agli studenti italiani alle prese con la maturità.

    In particolare il saggio breve di argomento storico politico proponeva di discutere il tema “masse e propaganda” alla luce di un esplicita quanto assurda identificazione di comunismo e nazismo. Un omaggio non sorprendente ma gravissimo ad un’ ignobile vulgata revisionista , la stessa che permette a Salvini di dire che è lecito intitolare una strada ad Almirante perché ci sono vie che portano il nome di Marx”.

    E poi il responsabile scuola del PCI prosegue: “Anche il tema storico che istituisce un parallelo tra De Gasperi e Moro all’insegna di un europeismo propagandistico e becero è completamente sconclusionato, accostando due discorsi frutto di due ipotesi politiche opposte. L’europeismo atlantico degli anni cinquanta nato attorno alla Ceca e la Conferenza di Helsinki degli anni 70, punto alto del processo di distensione. Ideologia reazionaria e ignoranza marciano insieme”. Affermazioni che indubbiamente non mancheranno di far discutere.

    E’ opportuno ricordare che le tracce di esame sono state scelte dalla ministra Valeria Fedeli in maggio, e quindi ben prima dell’insediamento del nuovo Governo Lega-M5S e dell’arrivo al Ministero di Viale Trastevere del leghista Marco Bussetti.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...a-prima-prova/
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  3. #3
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    TOSCANA. Dinanzi alla “marea nera”resistere, mobilitarsi, preparare il futuro.

    Il Segretario Regionale del PCI Toscana, Patrizio Andreoli

    Pisa, Massa Carrara, Siena al centrodestra; questo centrodestra! Un centrodestra trainato dal risultato elettorale e dal ruolo politicamente aggressivo agito in campo nazionale dalla Lega, intorno a cui si sono coagulate la destra aperta e liste civiche di ispirazione neofascista! Come sempre si dovrà capire e indagare. Intanto la svolta (a suo modo) epocale c’è. Non solo non vi è più da anni “la Toscana rossa”, ma per grande parte non vi è più neanche -spesso in ragione di sé stesso e delle scelte antipopolari attuate- la Toscana di centrosinistra che questo risultato ha per molti versi allevato e oggi reso possibile a partire dalle primarie responsabilità del Partito Democratico!

    Ripartire dalla concretezza dei problemi, dalla ricostrizione di un punto di vista critico e di classe, dai quartieri popolari ma anche dai centri di studio e dalle Università. Senza la (ri-) saldatura tra saperi e nuove lotte sociali, non vi sarà neanche possibile riscatto. Il Pci si fa carico per l’oggi di una dura opposizione politica e puntuale presenza (antifascismo, nodi del lavoro, nodi della convivenza civile e qualità della vita nelle nostre città); per il domani di una paziente tessitura dell’alternativa. Dinanzi alla marea nera, non lasceremo le piazze dei borghi e le nostre città alle destre e ai fascisti. Resistere, mobilitarsi, preparare il futuro.

    25 giugno 2018

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...are-il-futuro/
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  4. #4
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Migranti. Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare.

    di Mauro Alboresi

    I diversi organi di stampa ed informazione hanno dato conto dell’esito del vertice europeo, tenutosi ieri a Bruxelles, avente all’ordine del giorno la questione del governo dei flussi migratori in atto.

    Il governo italiano, la cui affermazione deriva in larga parte dall’uso strumentale, dalla drammatizzazione che di tale questione hanno fatto le sue componenti, prima e durante la campagna elettorale, si è dichiarato soddisfatto, ritenendo che diverse sue posizioni siano state accolte (80% secondo il Presidente Conte, 70% secondo il Ministro degli Interni Salvini).

    I fatti, se si assumono a riferimento le posizioni con le quali il governo è andato al vertice, dimostrano il contrario, in termini assoluti.

    Nessuna modifica dell’accordo di Dublino, a suo tempo sottoscritto dal Governo Berlusconi, del quale l’allora Lega Nord era parte, in base al quale l’obbligo di asilo è in capo al paese di approdo dei migranti, anzi, si esplicita che in primis si tratta dell’Italia. Un risultato ancor più negativo, questo, se si pensa che la Lega ed M5S, nei giorni scorsi, al Parlamento Europeo, non hanno votato a favore di un provvedimento che metteva in discussione questo principio, nella convinzione di potere ottenere di più al vertice.

    Nessun impegno ad articolare in diversi paesi i centri di accoglienza, anzi, si ribadisce che essi vanno fatti nei paesi di primo ingresso, quindi innanzitutto in Italia.

    No alla redistribuzione obbligatoria di quote di migranti richiedenti asilo tra i diversi paesi dell’Europa, anzi, si è sottolineato al riguardo il criterio della volontarietà, e molti hanno già detto di no.

    L’unico risultato conseguito dal governo italiano è quello relativo al ruolo delle ONG, dallo stesso fortemente osteggiate, che vengono escluse dal novero dei soggetti preposti al soccorso, riferito quindi alla guardia costiera libica ed a quella italiana ( sulla carta l’impegno a promuovere una guardia costiera europea). Un risultato, questo, del quale lo stesso non dovrebbe andare fiero, in quanto da una riduzione dei soggetti in campo è lecito aspettarsi un ulteriore drammatico bilancio in termini di perdita di vite umane.

    L’Italia, per molti osservatori, è stata quindi messa in un angolo, sostanzialmente isolata, di certo, a fronte delle proprie richieste, ritorna dal vertice europeo con un pugno di mosche in mano.

    Grande è l’incapacità dimostrata dal governo italiano, dalle forze che lo compongono, a gestire la questione dell’immigrazione, che non ha il carattere emergenziale che tali soggetti, per un meschino calcolo politico, hanno teso, tendono a rappresentare, e che non può essere risolta con quanto proposto.

    Il cinismo con il quale nei giorni scorsi è stata gestita dal governo, da Salvini in primo luogo, la vicenda della nave Aquarius, al grido “l’Italia rialza la testa”dice tanto al riguardo.

    L’idea di Salvini di potere fare leva sui paesi dell’est, sul cosiddetto “blocco di Visegrad”, per affermare la posizione dell’Italia, si è dimostrata sbagliata.

    Essi, infatti, si sono chiamati fuori, ribadendo la chiusura delle proprie frontiere, rimarcando quell’impostazione nazional-populista che anche la Lega esprime.

    L’esito del vertice, oltre al fallimento dell’Italia, evidenzia tutti i limiti di un’Unione Europea che, chiusa nei suoi egoismi, sempre più lontana dai valori dichiarati come fondanti, è sempre più a rischio.

    Tanto dicono le migliaia di migranti morti, cento soltanto ieri, registrati ad oggi. Per molti essi non fanno più notizia, per altri sono un prezzo inevitabile, un danno collaterale, a fronte del processo di competizione globale in essere. Per noi sono un dramma. I processi migratori in atto sono largamente riconducibili alle politiche portate avanti nel tempo da parte di tanti tra i paesi che oggi ne sono coinvolti, Italia compresa. Si può insistere nel strumentalizzarli politicamente, promuovendo xenofobia e razzismo, continuare a fare finta di niente, chiudersi entro i propri confini. La realtà ci dice che si è di fronte ad un processo irreversibile, di fronte al quale occorre tenere assieme politiche atte a rimuoverne concretamente le cause ed a governarne gli effetti. Ciò che ad oggi è in campo, in Europa ed in Italia, non va nella giusta direzione, tutt’altro, porta con sé un aggravamento del problema, le cui conseguenze è difficile prevedere.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...mezzo-il-mare/
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  5. #5
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Come non uscire dall’Euro – una risposta a Stigliz

    L’Euro, si sa, è una costruzione fallimentare che ha provocato solo danni all’Italia e all’Europa, come appare evidente a tutti. Ormai, dirlo non fa più scandalo, come faceva nel 1992 quando i comunisti (Rifondazione) votarono contro il Trattato di Maastricht. Anzi, alcuni opinionisti ci campano sopra e lo annunciano urbi et orbi un giorno sì e l’altro pure. Tra loro, Joseph Stiglitz si distingue come voce molto autorevole nell’economia non certamente eterodossa o, sia mai, marxista.

    Proprio per la sua autorevolezza e vista la pubblicazione del suo nuovo libro, Politico.eu ha ospitato un suo articolo su come l’Italia potrebbe uscire dall’Euro, poi ripreso da molte testate. Visto che Stiglitz pretende di passare per persona di sinistra, qual non è, come FGCI vogliamo rapidamente smontare questo articolo ed evitare confusioni ai lettori meno addentro alle cose economiche. Stiglitz è infatti dichiaratamente un liberale, come Oscar Giannini o Berlusconi, che solo nella società schizzata americana può passare come di sinistra.

    Andando dunque con ordine, Stiglitz riconosce che l’Euro ha centralizzato la politica monetaria (tasso d’interesse e tasso di cambio), togliendola agli Stati nazionali e portandola da Bankitalia alla BCE. Stiglitz poi attribuisce a ciò i problemi dell’Unione Europea, cosa non vera: i problemi derivano dalle politiche mercantiliste tedesche (compressione dei salari e sistema produttivo rivolto all’esportazioni) che nell’ordine riducono i salari dei lavoratori, distruggono il mercato interno e creano bolle speculative finanziarie (i profitti dei padroni che se li giocano in Borsa). Da questo errore, Stiglitz deriva poi una ipotetica soluzione alla crisi: il fondo di garanzia pan-europeo sui depositi come mossa per prevenire la fuga dei capitali. Però anche questo è fattualmente sbagliato: i capitali in fuga non erano i depositi delle nonnine, ma prestiti interbancari da svariati milioni di Euro che non sono coperti da nessun fondo di garanzia al mondo, né in Germania né in Grecia. In ogni caso, Stiglitz, in parte a ragione, dice che tale fondo di garanzia non si farà mai per l’opposizione della Germania e di altri Paesi (Olanda e Baltici in primis).

    Dopo queste premesse sballate, Stiglitz presenta dunque il suo Piano per l’Italia: svalutare! Stiglitz qui discute di varie opzioni, tutte fattibili solo nella sua testa, ma il nocciolo del suo argomento rimane lo stesso: con la svalutazione i prodotti italiani sarebbero meno costosi per gli stranieri, che ne comprerebbero di più (esportazioni salgono), e al tempo stesso i prodotti stranieri costerebbero di più per gli Italiani, che comprerebbero sostituti più economici fatti in Italia (importazioni calano e si sostituiscono con prodotti italiani). Ciò è esattamente quello che si è cercato di fare in Italia con Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e dieci anni di austerity: riduzione dei salari e crescita trainata dall’esportazioni. Se Monti voleva ridurre il numero di Euro in busta paga ogni mese (svalutazione interna), Stiglitz vuole mantenere lo stesso numero in busta paga ma non più di Euro, ma di una moneta che vale meno (svalutazione esterna). Il risultato è lo stesso: l’economia riparte perché i lavoratori prendono meno, ma riparte solo per i padroni che ingrassano. Si tratta di un classico modello mercantilista a tassi di cambio variabili.

    Non solo dunque, questo modello scarica i costi della crisi sui lavoratori, ma è persino fondato su dati sbagliati: l’Italia ha già un sostanzioso surplus delle esportazioni sulle importazioni, frutto della macelleria sociale targata Monti e PD (infatti le ditte esportatrici italiane stanno facendo profitti record negli ultimi anni). Inoltre, tale modello ha una limitazione fortissima: funziona solo per esportazioni dove c’è competizione di prezzo (industrie mature, come l’automobile in Germania) e non d’innovazione (industrie in sviluppo, come intelligenza artificiale e biotecnologie). Svalutare ancora, cioè ridurre ancora i salari, ha senso solo in un’ottica di scommessa cieca e folle sull’esportazioni, sulla distruzione del mercato interno e sull’abbandono della ricerca scientifica, come ha fatto la Germania e come Trump vuole impedire che si faccia di nuovo. In sostanza, Stiglitz, da economista di destra classica liberale, propone all’Italia un sistema mercantilistico a danno dei lavoratori, basato su dati e teorie sbagliate ed oltre il tempo massimo di tali sistemi. Gli lasciamo volentieri i suoi consigli non richiesti e facciamo il contrario.

    Infatti, come FGCI, diciamo chiaramente che si esce dalla crisi solo con un rinnovato intervento pubblico nell’economia. Non vogliamo infatti uscire dall’Euro tanto per, ma solo perché esso è uno strumento dell’imperialismo tedesco e perché le regole europee e gli attuali meccanismi macroeconomici ci impediscono di fare la grande campagna di investimenti pubblici (in primis ricerca e manifattura ad alta tecnologia) che serve a rilanciare l’occupazione e la produttività del lavoro. Un’uscita è necessaria, ma dev’essere progressista (quella proposta da Stiglitz non lo è), altrimenti tanto vale restare dentro e risparmiarsi la fatica. Tutto il resto, Stiglitz compreso, è fuffa.

    di Frunze

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  6. #6
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

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  7. #7
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Mi stuzzica, magari qualcosa di ragionato lo riescono a tirare fuori. Spero di dibatta su PaP, unità dei comunisti e strategie contro i gialloverdi e per fare una battaglia culturale e politica.
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  8. #8
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    L’INTERNAZIONALISMO E IL PCI. PRIMO CONGRESSO NAZIONALE DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO.


    di Giusy Greta di Cristina, Comitato Centrale – Sul solco della grande tradizione internazionalista dei Partiti Comunisti, il Primo Congresso Nazionale del Partito Comunista Italiano si è svolto all’insegna di prestigiose presenze straniere, che hanno dato lustro all’importante evento politico, atteso da tutti i suoi iscritti, militanti e simpatizzanti.

    Il magnifico luogo scelto come sede del Congresso, ovvero il Palazzo del Capitano del Popolo, nella Piazza del Popolo di Orvieto, ha fatto da cornice ad un Congresso avvenuto in un periodo storico complicatissimo per i comunisti in Italia e in Europa, ma che ha aperto la strada a riflessioni non più rimandabili e portatrici di nuove soluzioni.

    Assieme alle delegazioni rappresentanti tra i più importanti partiti comunisti in Europa, ben sei Ambasciate hanno accompagnato il nostro Partito in questo cammino che rappresenta, ad un tempo la ripresa dei lavori dopo alcuni mesi di certo non facili, dall’altro la spinta verso un futuro che, lungi dall’essere semplice, può essere di certo affrontato con forza e determinazione.

    sostieni il partito
    Durante il primo giorno del nostro Congresso, le alte rappresentanze diplomatiche hanno voluto esprimere il più affettuoso e solidale saluto alla dirigenza del Partito, unito al ringraziamento per la solidarietà internazionalista che mai è mancata in questi soli due anni di esistenza del PCI.

    Per l’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela, la dott.ssa Maylyn López, Seconda Segretaria politica e responsabile Media; per l’Ambasciata della Repubblica del Nicaragua in Italia, S.E. l’Ambasciatrice Monica Robelo Raffone; per la Repubblica Popolare Democratica di Corea, il dott. Jo Song Gil, Primo Segretario e membro del Partito del Lavoro della Corea; per l’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, Shuyomeng Shang, addetta all’Ambasciata, membro del Partito Comunista Cinese; per l’Ambasciata di Palestina, il dott. Mustafa Qaddumi, Primo Consigliere; per la Repubblica Socialista del Vietnam, S.E. l’Ambasciatore Cao Chinh Thien, membro del Partito Comunista del Vietnam.

    Questi i Paesi fratelli che ci hanno onorato del loro sostegno politico.

    La folta presenza delle delegazioni internazionali ha addirittura costretto a suddividere gli interventi in due giorni.

    Il primo giorno, immediatamente dopo le Ambasciate, il Segretario Generale del Partito Comunista della Bulgaria, compagno Alexander Paunov, ha aperto la lunga sezione dedicata ai saluti da parte dei partiti esteri. A seguire il compagno Ammar Bagdash, Segretario Generale del Partito Comunista Siriano, già presente nel 2016 a Bologna per l’Assemblea Nazionale Costituente. Per il Partito Comunista Svizzero, il compagno Massimo Ay, Segretario Generale.

    A chiudere la prima giornata di lavori, la compagna Maria Drobot, Segretaria del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa.

    La serata si è conclusa con una piacevolissima cena, fatta di risate, di racconti, di canti, alla quale i delegati internazionali sono stati accompagnati dal nostro Segretario Nazionale, compagno Mauro Alboresi e dai compagni del Dipartimento Esteri che hanno svolto il ruolo di organizzazione e traduzione.

    I lavori congressuali della seconda giornata si sono aperti con i saluti di tutte le altre delegazioni presenti: per AKEL di Cipro il compagno Giorgos Koukouma, membro del C.C.; per il Partito Comunista Britannico il compagno Nick Wright, responsabile alla Comunicazione e membro dell’Esecutivo; per il Partito Comunista Ceco-Moravo il compagno Filip Zachariáš, presidente del distretto della Moravia del Sud e vice-presidente della Regione, membro del C.C.; per il Partito Comunista Francese il compagno José Cordon, membro del Dipartimento Esteri, responsabile per gli Affari Europei; per il Partito Comunista Tedesco il compagno Günther Pohl, a capo del Dipartimento Esteri; per il Fronte Popolare Ivoriano il compagno Maurice Gnagne Yadou, vice Presidente; per la Sinistra Slovena il compagno Darijian Volk, membro dell’Esecutivo; per il Partito Comunista Portoghese il compagno Paulo Costa, membro del Partito.

    Il terzo e ultimo giorno di Congresso si è aperto con i saluti rivoluzionari del popolo di Cuba, attraverso il Primo Segretario Politico dell’Ambasciata di Cuba in Italia, il compagno Mauricio Martínez Duque.

    Alcuni punti sono stati pressoché presenti in tutti gli interventi dei nostri prestigiosi ospiti: la cooperazione internazionalista fra Partiti fratelli, il ruolo di lotta dei Partiti comunisti in Europa e nel mondo contro l’aggressione dell’imperialismo in tutte le sue manifestazioni, la critica a questa Unione Europea della finanza, la necessità dell’unione delle lotte, nel segno di una Internazionale che si faccia carico e voce della maggioranza dei popoli, schiacciati dalle morse del capitalismo.

    Tali analisi rappresentano per noi un inequivocabile punto di riferimento nella lettura delle varie situazioni in cui si trovano a vivere ed agire i diversi partiti comunisti e a porre un raffronto con quel che viviamo noi, come comunisti italiani ed europei.

    Gli interventi dei delegati e gli incontri che il Partito ha organizzato lungo la tre giorni hanno rafforzato il convincimento che si è sulla giusta strada.

    Un internazionalismo basato profondamente sulla solidarietà fra comunisti che condividono medesime visioni della realtà e medesime soluzioni e progetti futuri sono i punti, a nostro parere, fondamentali per lo sviluppo e il rafforzamento dei comunisti in Italia, in Europa, nel mondo.

    Il Partito Comunista Italiano ringrazia ancora una volta tutte le delegazioni internazionali e le rappresentanze diplomatiche per il sostegno, il calore e per averci accompagnato durante questo Congresso: lavoreremo affinché sempre più numerosi siano i momenti di incontro e scambio tra i Partiti Comunisti fratelli, sempre più spesso si possa cantare insieme l’Internazionale!

    Noi comunisti italiani ci impegneremo affinché questo Congresso e tutti gli altri a venire, in Italia, in Europa, nel mondo siano solo il primo passo verso il Sol dell’Avvenire!

    Viva l’internazionalismo proletario!
    Viva il comunismo!

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...ista-italiano/
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  9. #9
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Sul tema dell’unità dei comunisti

    di Nuccio Marotta, Segretario della Federazione di Firenze

    L’esito del congresso appena concluso va assunto come un passo in avanti del Partito nel suo processo di costruzione. E’ innegabile, in particolar modo se messo a confronto con la drammaticità appena attraversata.

    Ribadendo l’autonomia e la priorità di tale processo si è riavviato un percorso che ha ultimamente subito un certo rallentamento per qualche ostacolo evidentemente incontrato.

    E’ il frutto di una volontà di sintesi avanzata per la quale possiamo ritenerci soddisfatti.

    Rimangono nondimeno aperti alla riflessione, come è giusto e bene che sia, tutti i temi che hanno segnato il confronto interno di questi ultimi mesi.

    Di questo occorre esserne del tutto consapevoli.

    Quello dell’unità dei comunisti continua a permanere tra i più stringenti.

    E’ una richiesta sentita e diffusa che fa quasi da preambolo a qualsiasi avvio di discussione, un auspicio a prescindere, che necessita per questo di una precisazione una volta per tutte il più possibile dirimente, pena il persistere di qualcosa di irrisolto che può agire come elemento frenante.

    E’ un tema da affrontare dunque con estrema schiettezza, che attiene alla sfera della razionalità politica piuttosto che a quella delle speranze e dei desideri indotti da un nobile ma primario impulso.

    Il problema di fondo rimane quello dell’omogeneità della cultura politica, quella che determina il profilo del Partito ed del suo progetto.

    Fin dall’inizio siamo stati i più convinti assertori di una necessaria riunificazione delle forze comuniste e l’operazione che abbiamo messo su quattro anni fa è li a testimoniarlo. Se ne sentiva l’esigenza dopo anni di sterili tentativi e di tangibili sconfitte. L’Appello per la ricostruzione del partito comunista, per la casa dei comunisti, possibilmente di tutti i comunisti, è stato lanciato a tutti comunisti della diaspora. Abbiamo incontrato tutti, abbiamo ricevuto risposte diversificate per le quali vanno indagate le reali motivazioni legate in primis, senza dubbio, alle diversità culturali esistenti.

    Il Partito Comunista che ci siamo impegnati a ricostruire fin da subito ha inteso esplicitamente richiamarsi, attualizzandolo, al miglior patrimonio politico e ideologico dell’esperienza storica del P.C.I. e del movimento comunista internazionale, nell’alveo quindi della tradizione del socialismo scientifico.

    Questa è l’impianto politico di riferimento ed intorno ad esso, per coerenza intellettuale, abbiamo il dovere politico di muoverci, per cercare di colmare quel deficit più che trentennale di analisi storica e di proposta teorica-strategica che abbiamo avvertito e denunciato nel corso dei lavori dell’Associazione, verificando in tal senso come l’eclettismo e/o il residualismo, sia di cultura che di pratica politica, siano stati alla base dell’inadeguatezza, dell’inefficacia e dell’esaurimento di tutte le esperienze nate dalla autodissoluzione del P.C.I.

    Ne era una delle conclusioni condivise.

    Occorre adoperarsi, ma senza tentennamenti, perché su questo impianto si arrivi ad una condivisione da parte delle altre soggettività di ispirazione comunista ed ad una convergenza che in modo cosciente permetta finalmente di costruire un grande e organizzato Partito Comunista.

    Non smetterò mai di puntualizzarlo: uno strumento utile per un progetto di trasformazione sociale e politica e non una palestra del pensiero.

    Oggi l’ambito del pensiero comunista è ripercosso da certi fermenti. Qualche settimana fa è nata ufficialmente “Rinascita! Per un’Italia sovrana e socialista”.

    Un soggetto politico lanciato da alcuni navigati compagni di spessore intellettuale come Boghetta, Formenti e Porcaro. Ho letto con il dovuto interesse il programma d’intendi e devo onestamente dire che non ho trovato tali differenze, sia d’analisi che di proposta, da giustificare un tale percorso parallelo.

    Nel caso le difformità di opinione su alcuni temi, se esistono, dovrebbero far parte della normale dialettica interna ad un partito.

    C’è da chiedersi allora il perché. E farlo con la dovuta franchezza.

    Siamo noi che non riusciamo a trasmettere il messaggio costituente nei modi giusti, ad attardarci ed incartarci in alcuni passaggi retrocedendo in credibilità e affidabilità (e qualche ragione alla luce di quanto successo non è da escludere ) o, cosa ancora più probabile, la condivisione dell’analisi si ferma sulla soglia della traduzione in azione politica, sull’individuazione delle modalità e degli strumenti necessari, prigioniera di certezze culturali storicamente consolidate e soggettivamente consolatorie, dure a morire?

    Noi vorremmo tornare ad interessarci ed occuparci, ma nella contemporaneità, di casematte, di intellettuale collettivo, di costruzione paziente del consenso, di democrazia progressiva, di organizzazione e di centralismo democratico.

    L’unità dei comunisti la vediamo dentro questa cultura e dentro questo soggetto.

    Non è per inopportuna presunzione (perché anche a volerlo non potremmo permettercelo nelle condizioni date), ma per un criterio di realismo politico che esige la storia degli ultimi decenni.

    La suggestione per un possibile alleanza politica o elettorale a monte con le altre forze di ispirazione comunista in grado di garantire la presenza della Falce e Martello sulla scheda elettorale priva di una puntuale verifica sullo stato d’avanzamento dei rapporti sul piano della cultura politica, dunque acritica (c’è da capire se in ciò viene compresa anche Rifondazione o ci si riferisce solo ad altro), così declinata non può essere sostenibile perché si porrebbe in palese contraddizione con l’essenza stessa dell’Appello, ridimensionando la grande ambizione del progetto e facendo percepire il PCI come l’ennesimo partitino di tendenza comunista, alla pari di altri, sullo stesso piano di altri. Una condizione da cui bisogna assolutamente emanciparsi se si vuol permeare il senso comune.

    Vorrei tra l’altro comprendere il senso politico di chiedere come condizione per un accordo unitario un condanna preventiva dell’eurocomunismo, dell’accettazione dell’ ombrello della Nato e del compromesso storico ad un partito che ha dichiarato ripetutamente di considerare l’Europa dall’Atlantico agli Urali, di voler uscire dalla Nato o l’impossibilità politica di tessere rapporti con il PD. Oltretutto tematiche che storicamente hanno interessato il dibattito tra migliaia di comunisti e che, qualsiasi sia la posizione nel merito, non possono essere liquidate superficialmente con un atto di abiura pubblica.

    Mi pare un atteggiamento dogmatico fine a se stesso che ha tutta l’aria di una ricerca di autogratificazione postuma ad uno stato di malessere antico.

    Quel simbolo e quella denominazione rappresentano per noi invece pura sostanza politica di progetto, da curare e spendere quindi con la massima attenzione.

    Questo non significa affatto che venga abbandonata la ricerca di un confronto per una possibile e sicuramente auspicabile ricomposizione. La mancata condivisione del nostro percorso non deve per nulla escludere un comune lavoro unitario, un’unità d’azione che sappia incidere più efficacemente sul conflitto sociale.

    Anzi potrebbe essere il viatico per aiutare a superare posizionamenti, atteggiamenti e impolitici orgogli di appartenenza (che ci sono) ancora restii a quella necessaria presa di coscienza che ha contraddistinto il percorso fatto da tutti noi.

    Forse abbiamo osato troppo, vedremo, ma da Partito Comunista Italiano non si possono fare passi all’indietro. Paradossalmente rappresenta la nostra garanzia.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...dei-comunisti/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  10. #10
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    Predefinito Re: Partito Comunista Italiano (2016)

    Art. 18, Alboresi: “pessimo voto della Camera, costruire opposizione a politiche contro i lavoratori”

    Nella quasi totalità dei sui componenti, la Camera dei deputati ha respinto un emendamento al Decreto Dignità per la reintroduzione dell’art.18. La mera constatazione dei costanti livelli record di disoccupazione e di precarietà dilagante avrebbe dovuto aprire gli occhi ad una classe dirigente che si rifiuta di guardare in faccia la realtà: la distruzione dei diritti dei lavoratori non produce nessuna ripresa e nessun benessere per la collettività, ma garantisce solo profitti e privilegi di pochi.

    Il governo del sedicente cambiamento, tradendo le promesse di pochi mesi fa, si allinea ad una politica decennale contro i diritti dei lavoratori ed, insieme al Pd, sposa le politiche di precarizzazione integrale del lavoro, di riduzione dei salari e di liberalizzazione del ricatto da parte delle imprese contro i lavoratori. Non ci sono dubbi: serve costruire l’opposizione vera a questo governo ma soprattutto a queste politiche, che uniscono trasversalmente populisti, centrodestra e Pd.

    di Mauro Alboresi, Segretario nazionale PCI
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

 

 
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