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  1. #1
    Il Re del Nord
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    Predefinito Rete dei Comunisti - Eurostop

    Oltre il corteo del 16 giugno

    Dopo circa 48 ore dalla riuscita manifestazione contro "le disuguaglianze sociali" svoltasi a Roma sabato 16 giugno, proviamo ad incardinare alcuni punti politici e programmatici di discussione che - a nostro parere - torneranno utili nelle prossime settimane a ridosso dell'esemplificarsi dell'azione del governo Conte e del complesso degli snodi che derivano dall'agire di questo "particolare" esecutivo.

    La manifestazione del 16/6 - la prima dopo le elezioni del 4 marzo - era inizialmente stata concepita dalla Federazione del Sociale dell'Unione Sindacale di Base come una occasione per rilanciare, al nuovo Parlamento, gli obiettivi di lotta che, da tempo, particolarmente nelle aree metropolitane del paese, provano ad innescare conflitto e forme di organizzazione territoriale attorno ai temi del diritto all'abitare, del reddito e delle infinite forme di preacrietà e svalorizzazione della forza lavoro.

    L'evoluzione, poi, della crisi istituzionale e l'ingresso nell'agenda politica dei diktat dell'Unione Europea (dalla lievitazione artefatta degli spread al terrorismo finanziario delle agenzie di rating fino al protagonismo autoritario di Mattarella), il profilarsi della soluzione Cottarelli fino al varo del governo Conte/Salvini/Di Maio hanno modificato il senso e l'obiettivo dell'indizione del corteo che è andato assumendo, progressivamente, un profilo più "squisitamente politico" contro l'insieme dei contenuti antisociali di questa compagine e del suo "programma/contratto".

    Inoltre l'assassinio a San Ferdinando, in Calabria, del giovane Soumalia Sacko, attivista dell'USB, impegnato nel difficile e pericoloso lavoro di sindacalizzazione ed organizzazione del proletariato immigrato/bracciantile e la vicenda della nave Acquarius lasciata, per giorni, alla deriva nel Mediterraneo a fronte della chiusura dei porti, hanno aggiunto sdegno, rabbia e voglia di protagonismo a questo appuntamento di mobilitazione.

    Ventimila persone, da ogni parte d'Italia, che in un sabato di giugno riempiono le strade di Roma, senza sponsor ed apparati consolidati alle spalle.

    Ventimila persone che sopportano il parossistico, provocatorio, e per molti aspetti ridicolo, dispositivo di "controllo" da parte degli apparati repressivi dello stato (manifestatosi già durante l'era Minniti).

    Lavoratori italiani, lavoratori immigrati che faticano nelle campagne e nei magazzini della logistica, occupanti di case e comitati ambientalisti e, poi, reti sociali di varia natura, organizzazioni comuniste ed un enorme e significativo spezzone di corteo di Potere al Popolo sono stati una bella ed interessante composizione politica e sociale, in forma meticcia e plurigenerazionale, che ha innervato la manifestazione del 16 giugno con buona pace della collaudata congiura del silenzio che l'intero sistema della comunicazione deviante ha messo in atto per oscurare i contenuti ed i protagonisti, in carne ed ossa, di questa mobilitazione.

    Alcuni nodi per il dibattito ed il confronto militante nel prossimo periodo.

    Sulla natura e sulle prospettive del governo Conte, come Rete dei Comunisti, abbiamo scritto, nei giorni scorsi, una prima nota di analisi a cui rinviamo Rete dei Comunisti - Governo Conte: quali novità e quali problemi per la costruzione di una opposizione politica e sociale adeguata alla nuova fase?.

    Ora, all'indomani della manifestazione del 16 giugno, vogliamo enucleare alcuni punti fermi su cui avanziamo - in ogni ambito politico, sociale e sindacale - una modalità di confronto e una possibile spinta a nuove soglie di unità politica con l'obiettivo di contribuire a costruire una adeguata opposizione al Governo Conte, alla più generale offensiva dei poteri forti economici e finanziari e all'insieme della borghesia continentale europea:

    a) L'esito delle elezioni ma, soprattutto la storia e gli eventi degli ultimi anni, hanno, definitivamente, mostrato il tramonto e la vera e propria bancarotta politica della "sinistra italiana/europea" la quale, in tutte le sue versioni, oltre ad essersi compatibilizzata ed integrata agli interessi del capitalismo ha sposato l'intera filosofia dell'austerity e delle draconiane misure che si sono riversate sui settori popolari della società. Tale "sinistra", come sta accadendo strumentalmente in questi giorni, torna ad agitarsi (paventando il "fascismo alle porte")è sempre più parte di quelle elites con le quali, attraverso il voto o con atti di aperta ostilità sociale, i ceti popolari hanno deciso di rompere. La definizione e la costruzione di un blocco sociale popolare deve fare a meno di questi soggetti, delle loro nefaste politiche e deve collocarsi, apertamente, in una prospettiva - storica ed immediata – in cui il tema e l'idea/forza della "rottura/cambiamento" sia presente e, strettamente, connesso ed articolato al conflitto ed alla lotta qui ed ora;

    b) Lo svolgimento della "crisi istituzionale" italiana (che presenta elementi di assonanza a ciò che, come Organizzazione Comunista, sul piano dell'analisi internazionale, abbiamo definito la nuova fase strategica del capitale) e l'intero dibattito pubblico hanno mostrato, anche ai ciechi, che l'Unione Europea e tutti i suoi Trattati sono il moloch che incombe pervasivamente su ogni processo politico. Non c'è tema o questione, di ogni ordine e grado, che non richiami o sia riconducibile, direttamente o indirettamente, a Bruxelles. La tentacolare morsa della UE e dell'Euro sono dispositivi autoritari ed antidemocratici da cui occorre liberarsi. Non può darsi - a nostro parere - un movimento sociale, popolare e progressista che eviti di porre al centro della sua iniziativa (perfino sul versante istituzionale) l'obiettivo della rottura della gabbia dell'UE e l'avvio, anche in forme spurie e sperimentali, di rapporti e nuove relazioni culturali, economiche e politiche con gli altri popoli che pagano il pesante prezzo antisociale dell'azione di Bruxelles e Francoforte. E' urgente un approccio internazionale ed internazionalista alla lotta contro l'Unione Europea e il primo passo di questo percorso deve configurarsi e delinearsi nell'area del Euro/mediterranea, tra i popoli delle due sponde di questo mare e deve affasciare quanti, popoli, nazionalità e paesi, sono strangolati dalle politiche predatorie, squilibratici e militariste del polo imperialista europeo;

    c) La ripresa delle lotte, il lungo e paziente lavorio di contatto e riunificazione dei diversi segmenti della classe (oggi disorientati, frammentati e, spesso, contrapposti tra loro come reazione oggettiva alla crisi capitalistica ma anche come risultato concreto della lunga azione collaborazionista della "sinistra" e dei sindacati complici) necessita di strumenti, modalità di relazione e di percorsi tattici complessi e, persino, inediti. In questa dimensione non è più tollerabile che si mantengano elementi di ambiguità nei confronti di Cgil, Cisl e Uil. I sindacati complici sono parte del problema da cui occorre emanciparsi e liberarsi costruendo quel sindacato, modernamente confederale, meticcio, metropolitano ed internazionalista in grado di agire lungo tutta l'intera "catena del valore". Attardarsi in snervanti "battaglie interne" a questi involucri serve esclusivamente a mortificare e rendere impotenti - politicamente e sindacalmente - quei delegati ed attivisti che ancora si illudono di poter invertire la degenerazione di un corso politico che è giunto, non da ora, al suo punto di maturazione teorica, politica ed organizzativa.

    Questi sintetici punti di riflessione sono elementi di discussione che socializziamo ai comunisti, agli attivisti tutti per valorizzare, al meglio, la disponibilità alla mobilitazione ed alla lotta che si è rappresentata nella piazza romana del 16 giugno e che, crediamo, debba ulteriormente lievitare e crescere nei prossimi mesi.

    Rete dei Comunisti - Oltre il corteo del 16 giugno
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  2. #2
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    Predefinito re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    L’ITALIA AL VERTICE EUROPEO. RACIMOLATO QUALCOSA SULL’IMMIGRAZIONE, MA TABULA RASA SULLE DECISIONI ECONOMICHE E MILITARI

    Dilettanti – ma responsabili – allo sbaraglio. Possiamo ben dire che il governo italiano nel recente vertice dell’Unione Europea si sia giocato pessimamente le sue carte. Ha puntato i piedi solo sulla questione immigrazione ottenendo un accordo che lascia moltissimi spazi ad ambiguità operative e discrezionalità interpretative da parte dei partner europei. Si è così giocato l’unico bonus di cui disponeva in questa partita.
    Ma una volta chiusa la questione immigrazione, su cui tutti hanno concentrato l’attenzione dell’opinione pubblica, nel silenzio più completo sembrano essere stati approvati invece i robustissimi punti economici e militari previsti dall’ordine del giorno (anche se una coda di confronto tra i paesi dell’Eurozona è prevista per oggi). Dal documento finale risulta che sono state approvate tutte le “raccomandazioni” della Commissione Ue. Evidentemente, sulle questioni vere, il governo Salvini non osa neppure fiatare, quando stanno ai tavoli che contano. Mica è come blaterare davanti a un microfono condiscendente…
    Li elenchiamo per far capire quanto siano questi i veri pilastri di una governance che perpetua diseguaglianze e tensioni in gradi di distruggere la struttura sociale e produttiva di interi paesi.
    In ballo c’era infatti l’approvazione delle raccomandazioni specifiche per paese diffuse dalla Commissione Ue lo scorso 23 maggio.
    In questo documento sono dettagliate le misure che ogni paese deve adottare da qui a 12 mesi. Per l’Italia il margine è strettissimo sul fronte dei conti pubblici, visto che la Ue richiede un aggiustamento strutturale dello 0,6% nel 2019, mentre il ministro Tria proverà a contrattare una maggiore flessibilità di dimensioni pressoché identiche. Secondo l’impostazione Ue ci sarebbero insomma da tagliare o trovare almeno 10 miliardi subito, mentre il governo pretenderebbe un maggior deficit vicino a quella cifra. La distanza tra due posizioni era calcolata in 20 miliardi. Vedremo…
    Altra raccomandazione “che non si può rifiutare” è quella di «utilizzare entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL».
    Mentre potrebbe avere effetti esplosivi sul sistema bancario nazionale l’ordine proveniente da Bruxelles: l’Italia deve «mantenere il ritmo della riduzione dell’elevato stock di crediti deteriorati e sostenere ulteriori misure di ristrutturazione e risanamento dei bilanci delle banche, anche per gli istituti di piccole e medie dimensioni». Al contrario, le migliaia di miliardi di “prodotti derivati illiquidi” (ossia invendibili, carta straccia) in mano alle banche tedesche e francesi non costituirebbero un “problema sistemico”. Solo una bomba atomica…
    Ma la ciccia più interessante, dal punto di vista della popolazione italiana, è nell’indicazione di Bruxelles per «spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati. Intensificare gli sforzi per ridurre l’economia sommersa, in particolare potenziando i pagamenti elettronici obbligatori mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. Ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica al fine di creare margini per l’altra spesa sociale».
    Traduciamo, anche se forse non sarebbe necessario. a) L’aggiornamento dei valori catastali delle case di proprietà è immediatamente un aumento delle tasse sulla casa (Imu), delle dichiarazioni dei redditi e relativa tassazione, ecc; b) Il pagamento elettronico obbligatorio riduce certamente l’evasione fiscale, ma si trasforma automaticamente in un controllo totale della capacità di spesa dei cittadini; c) “Ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia” – quelle erogate quando proprio sei costretto per legge a uscire dal lavoro, oggi a 66 anni e 7 mesi – si può fare in molti modi: 1) aumentare ancora l’età pensionabile, 2) ridurre l’importo delle pensioni già erogate, ossia l’assegno mensile.
    Su quest’ultimo punto – chiaramente incostituzionale, a legislazione attuale – l’attuale governo sta lavorando con un’altra “arma di distrazione di massa”, ossia i vitalizi degli ex parlamentari. Da questi tireranno fuori, è stato calcolato, appena 40 milioni di euro l’anno. I miliardi di risparmio si faranno mettendo mano alle pensioni di milioni di poveracci.
    Come? Creando un precedente molto “popolare” di legge con effetti retroattivi (cosa vietata da tutte le Costituzioni liberali). Per ridurre di una fetecchia i vitalizi di poche migliaia di odiosi privilegiati si ammette la possibilità di “ricalcolare” un’intera carriera lavorativa con il più penalizzante “metodo contributivo” Ma siccome “la legge è uguale per tutti”, una volta fatta l’eccezione alla norma costituzionale, questa eccezione diventa la nuova regola. E dunque un governo può ridurre le pensioni già erogate a milioni di persone “ricalcolandole” con un altro metodo.
    Su questo sarà necessario tornare quanto prima ma, come si può agevolmente vedere, “l’invasione dei migranti” non è esattamente il primo dei problemi di questo paese. Un po’ come “il traffico” a Palermo…
    Anche sulla “sicurezza e difesa” sarà il caso di tornare con analisi specifiche. Basti però ricordare che la Ue – e la Nato – premono perché tutti i paesi spendano di più sul piano militare. Ed è quasi paradossale, oppure altamente istruttivo, visto che raccomandano di tagliare tutte le altre voci (sanità, welfare,scuola, ecc). Per dare una misura: l’Italia spende per la Difesa, attualmente, 68 milioni di euro al giorno. Con un solo giorno di riduzione si risparmiere quasi il doppio rispetto ai vitalizi, mentre con un solo milione in meno al giorno spederemmo 10 volte meno.

    Infine ma non per importanza, sono state proprogate di altri sei mesi le sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia che il governo italiano voleva rivedere, Senza mezza reciriminazione o tentativo di ridiscuterle.

    Così, per sapere di che si parla…


    Alessandro Avvisato

    L?Italia al vertice europeo. Racimolato qualcosa sull?immigrazione, ma tabula rasa sulle decisioni economiche e militari - EUROSTOP
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  3. #3
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    DOPPIO STANDARD SUI TRATTATI COMMERCIALI. PERCHÈ IL GOVERNO NON HA ALZATO IL TIRO SU BRUXELLES?

    di Stefano Porcari

    Il ministro del Lavoro e vicepremier Di Maio ha adottato una linea piuttosto contraddittoria in materia di trattati commerciali europei.

    Di Maio, nel corso della assemblea della Coldiretti aveva definito scellerato il CETA, il trattato di libero scambio tra Ue e Canada, aveva annunciato che il Parlamento non lo ratificherà e addirittura che sarebbero stati rimossi i funzionari dello Stato che sostengono il CETA.

    Sul CETA quindi ha tenuto duro, “Se rimane così il governo italiano non lo ratificherà, se invece si vuole avviare un monitoraggio per correggerlo allora siamo disponibili” aggiungendo poi che: “Noi valutiamo il Ceta nel suo complesso. Il Canada sta esportando grano trattato col glifosato e le loro carni sono piene di ormoni. C’è un problema di salute e uno riguardante la parte più debole della filiera che verrebbe massacrata dal trattato. Il CETA così com’è non passa in Parlamento”.

    Nel caso del CETA però, la ratificazione di un accordo commerciale, normalmente di stretta competenza degli organi europei (la politica commerciale non è decisa dagli stati nazionali), è stata devoluta ai parlamenti nazionali. Diversamente invece sta accadendo con il JEFTA ( il trattato di scambio commerciale tra Unione Europea e Giappone) dove il parlamento nazionale non ha potere decisionale. Contano invece le decisioni politiche dei governi e l’orientamento del parlamento europeo.

    Per non fare i conti con questo “dettaglio”, dopo qualche giorno lo stesso Di Maio ha infatti dato il via libera al JEFTA, dimostrando su questo come l’attuale governo sia in continuità con quelli precedenti. L’intesa sul JEFTA è stata firmata il 17 luglio scorso, dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk da un lato e dal premier giapponese Shinzo Abe.

    All’inizio l’accordo riguarderà principalmente i prodotti alimentari – carne, formaggi, vino e cioccolato – e automobili, con marchi come Toyota e Honda che, con ogni probabilità dovrebbero diffondersi ancora di più mercato europeo.

    Il Jefta, così come il Ceta aprono la porta alla manomissione del controllo sulla qualità dei prodotti e alla liberalizzazione dei servizi, nonché ad un ulteriore colpo ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e alla economia delle piccole imprese. Altro che prima gli italiani qui siamo a prima le multinazionali!

    L’Intergruppo Parlamentare No CETA, costituitosi già nella scorsa legislatura e composto da deputati e senatori di tutti gli schieramenti, ha chiesto pubblicamente a Di Maio, di far sospendere la firma del Trattato UE-Giappone (JEFTA) e di riferire in Parlamento su un via libera rilasciato senza adeguata consultazione. La Campagna Stop TTIP/Stop CETA si è associata alla richiesta e rilancia la proposta di un incontro con il Ministro per ribadire le proprie preoccupazioni sugli effetti a catena di una eventuale approvazione del JEFTA.

    In base al Jefta, il Giappone cancellerà le tariffe su formaggi europei come Gouda e Cheddar (oggi al 29,8%), ma anche quelle sul vino, attualmente soggetto a dazi medi del 15%.

    Abolite anche le tariffe sulla carne di maiale (quella processata, su quella fresca si prevede una riduzione dei dazi), mentre quelle sulla carne bovina scenderanno dall’attuale 38,5% al 9%, nel corso di 15 anni. Secondo i calcoli di Bruxelles, l’export di carne e formaggio verso il Giappone dovrebbe salire in futuro del 170-180 per cento, per un valore complessivo di 10 miliardi di euro.

    Niente dazi nemmeno su sostanze chimiche, materie plastiche, tessili e cosmetici. Per le calzature invece l’imposizione calerà dal 30% al 21% subito, per poi arrivare alla definitiva soppressione nell’arco di un decennio. Nello stesso arco di tempo infine, verranno cancellati i dazi sui prodotti in cuoio.

    Questa vicenda dei trattati commerciali si presta a numerose considerazioni sugli interessi in gioco e le forze in campo in quella che abbiamo definito la competizione globale.

    1) In primo luogo questi trattati continuano a reggersi e ad alimentare il dominio del liberscambismo nelle relazioni commerciali. In pratica a blindare la cornice legale per lo strapotere delle multinazionali. Per imporre questa filosofia ultraliberista, si evoca sempre e subito lo spettro del protezionismo come rischio opposto. Non è così. La difesa del mercato interno (sia in termini di produzione che di salari e consumi) non è un orrore economico, anzi è un presupposto per relazioni commerciali internazionali più equilibrate e meno esposte allo strapotere dei più forti, in particolari delle multinazionali.

    2) Le oligarchie europee che spingono per la firma dei trattati commerciali con il Canada (CETA) o con il Giappone (JEFTA), la condiscono come una sfida al protezionismo di Trump che ha avviato i dazi contro l’Unione Europea e, come prevedibile, mandato in soffitta il TTIP (il trattato commerciale tra Usa e Ue). Quindi li usano come una leva della competizione globale e non certo per la tutela del mercato interno e delle condizioni di lavoratori, consumatori, piccole imprese strangolate dalla concentrazione intorno ai grandi gruppi multinazionali

    3) Viene dato per scontato il fallace presupposto che “dentro l’Unione Europea” tutti traggano vantaggio allo stesso modo dei benefici del libero scambio, in questo caso con Canada e Giappone. I fatti dicono che non è così. Se è vero che l’euro è la moneta comune europea, è anche vero che dentro l’Eurozona la divisione del lavoro sta arricchendo alcuni (es. la Germania e le sue multinazionali) e impoverendo altri (i paesi Pigs ad esempio). Al contrario, proprio il libero scambio con altre aree rispecchia e rispetta perfettamente questa gerarchia interna all’eurozona. E’ evidente che i lavoratori e i consumatori in paesi come l’Italia o la Spagna o la Grecia abbiano tutto da rimetterci.

    Conclusione: è meglio non sottoscrivere i trattati commerciali fondati sul libero scambio, né con il Giappone né con il Canada o gli Usa. Ma è meglio ancora far saltare la gabbia dell’eurozona per riscrivere completamente le relazioni economiche e internazionali del nostro e degli altri paesi “colonizzati” o fondatori che siano dell’Unione Europea.

    Doppio standard sui Trattati commerciali. Perchè il governo non ha alzato il tiro su Bruxelles? - EUROSTOP
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  4. #4
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    AUTOSTRADE. NAZIONALIZZARLE È IL MINIMO

    di Dante Barontini*

    Quando ci sono tragedie come quella di Genova è il momento di parlare, non di tacere. Il silenzio possono chiederlo solo i complici.
    Del ponte Morandi sappiamo tutto. Basta mettere in fila documenti e valutazioni che erano conosciute solo agli addetti ai lavori e a qualche amministratore con orecchie e occhi tappati. Stanno venendo fuori uno alla volta, come i difetti strutturali di un sistema costruito per far soldi facili. E’ l’Italia dei palazzinari a venir giù come un castello di cartone, e solo ora “si scopre” che buona parte delle grandi opere che hanno cementificato il paese e ingigantito i portafogli dei costruttori sono “a scadenza”.

    Sappiamo che le strutture portanti del ponte Morandi – dal nome dell’architetto che l’ha disegnato – sono state costruite in cemento armato e non in acciaio, come il “fratello” ponte di Brooklyn, costruito 60 anni prima. E così quasi tutta la rete autostradale italiana.

    Sappiamo che “negli anni Sessanta non si metteva in conto che il calcestruzzo si degrada e poi collassa. Cinquant’anni fa c’era una fiducia illimitata nel cemento armato. Si credeva fosse eterno. Invece si è capito che dura solo qualche decennio”. E anche quel geniale architetto non aveva calcolato i carichi che l’aumento esponenziale del traffico avrebbe modificato negli anni. “Quello di cui non si teneva in conto all’epoca è che, con le continue vibrazioni del traffico, il cemento si microfessura, e lascia passare l’aria, che raggiunge la struttura interna di metallo e la fa ossidare. Viene quindi meno la funzione originaria del cemento, che dovrebbe proteggere l’acciaio. Il ponte per questa ragione ha sempre richiesto grossi lavori di manutenzione. Era molto costoso da gestire”.

    Ci può stare, anche la conoscenza della struttura dei materiali evolve col tempo e gli studi. Ma ci sono stati almeno 20 anni per cominciare a rivedere – e rifare con altre tecniche e materiali – perlomeno le strutture portanti più impegnative o pericolose.

    Sappiamo però che nel 1999 ci fu “una lenzuolata di privatizzazioni e liberalizzazioni”, in cui tutta la rete autostradale italiana fu consegnata “in concessione” a società private. Si diceva che avrebbero gestito meglio dello Stato, con più efficienza e costi minori. La parte del leone la fece Benetton, famiglia di imprenditori fin lì nota per la sua linea di abbigliamento, capace di farsi una pubblicità liberal (“united colors of Benetton”) mentre sfruttava e faceva massacrare dai gorilla alcune popolazioni da cui traeva le materie prime.

    Sappiamo che le tariffe autostradali aumentano ogni anno, a un tasso diverse volte superiore a quello dell’inflazione. “Adeguamenti” che i “gestori” autostradali chiedono ai governi e che tutti i governi puntualmente concedono. In Germania e Gran Bretagna – certamente paesi “non arretrati” – le autostrade sono gratuite; in tutti gli altri paesi c’è il sistema del “bollino” per cui si paga in base al tempo (settimane, mesi, anno), con il record del prezzo più alto detenuto dall’Austria (meno di 80 euro… l’anno).

    Sappiamo che il profitto netto annuale di queste società è superiore al “prezzo” che hanno pagato allo Stato per avere la concessione.

    Sappiamo che la manutenzione è a loro carico e dunque è loro responsabilità qualsiasi inconveniente. E questo, nella foto, è lo stato di altri piloni dell’A10, nei pressi di Sestri Levante.

    Sappiamo che in tutta Europa la gestione è pubblica, com’è ovvio che sia per un monopolio naturale su cui non è possibile alcun tipo di concorrenza (quale privato costruirà mai un’autostrada alternativa ad una esistente?).

    Sappiamo che il sistema delle “grandi opere” rappresenta un business colossale in cui si mettono soldi pubblici – nazionali ed europei – per realizzare infrastrutture qualche volta necessarie, altre volte completamente inutili (la Tav Torino-Lione è la più famosa), in cui l’interesse principale è quello delle società costruttrici.

    Sappiamo insomma che la rete autostradale è stata pagata con i nostri soldi, gestita dallo Stato fin quando non è stata grosso modo completata e quindi regalata ai “privati” perché potessero comodamente far soldi con i pedaggi, come moderni Ghino di Tacco autorizzati dallo Stato.

    Un sistema che colloca i costruttori (dai palazzinari a Impregilo) come vero architrave del governo di questo paese.

    Giustamente Potere al Popolo, nell’immediatezza della notizia, ha parlato della necessità di nazionalizzare la rete autostradale.

    Sappiamo che questo non sarebbe ancora la soluzione del problema della sicurezza, perché tutte le strutture amministrative pubbliche costruite intorno al “business autostrade” sono completamente infettate dalla corruzione.

    Ma nazionalizzare è la precondizione minima indispensabile per restituire al pubblico – all’interesse collettivo – il controllo delle infrastrutture, la manutenzione, la sostituzione ove necessario.

    In queste ore il governo dice di aver avviato le procedure per il ritiro della concessione alla Società Autostrade (ora Atlantia). E’ la solita presa in giro per tutelare e perpetuare un sistema criminale. Ritirare la concessione e affidarla a qualcun altro non cambia assolutamente nulla.

    Se il profitto è l’unica stella polare di qualsiasi impresa, allora è del tutto indifferente se l’impresa chiamata a gestire tratti di rete autostradale si chiami in un modo o in un altro. Il suo atteggiamento verso “la cosa” sarà identico, perché vede il momento del pagamento del pedaggio come l’unico obbiettivo da assicurare.

    Nazionalizzare, insomma, significa cambiare completamente l’ordine delle priorità e degli interessi sociali.

    Non sono questi “i politici” che possono o vogliono farlo.

    * da Contropiano.org

    http://www.eurostop.info/autostrade-...e-e-il-minimo/
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  5. #5
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    Citazione Originariamente Scritto da Lord Attilio Visualizza Messaggio
    AUTOSTRADE. NAZIONALIZZARLE È IL MINIMO

    di Dante Barontini*

    Quando ci sono tragedie come quella di Genova è il momento di parlare, non di tacere. Il silenzio possono chiederlo solo i complici.
    Del ponte Morandi sappiamo tutto. Basta mettere in fila documenti e valutazioni che erano conosciute solo agli addetti ai lavori e a qualche amministratore con orecchie e occhi tappati. Stanno venendo fuori uno alla volta, come i difetti strutturali di un sistema costruito per far soldi facili. E’ l’Italia dei palazzinari a venir giù come un castello di cartone, e solo ora “si scopre” che buona parte delle grandi opere che hanno cementificato il paese e ingigantito i portafogli dei costruttori sono “a scadenza”.

    Sappiamo che le strutture portanti del ponte Morandi – dal nome dell’architetto che l’ha disegnato – sono state costruite in cemento armato e non in acciaio, come il “fratello” ponte di Brooklyn, costruito 60 anni prima. E così quasi tutta la rete autostradale italiana.

    Sappiamo che “negli anni Sessanta non si metteva in conto che il calcestruzzo si degrada e poi collassa. Cinquant’anni fa c’era una fiducia illimitata nel cemento armato. Si credeva fosse eterno. Invece si è capito che dura solo qualche decennio”. E anche quel geniale architetto non aveva calcolato i carichi che l’aumento esponenziale del traffico avrebbe modificato negli anni. “Quello di cui non si teneva in conto all’epoca è che, con le continue vibrazioni del traffico, il cemento si microfessura, e lascia passare l’aria, che raggiunge la struttura interna di metallo e la fa ossidare. Viene quindi meno la funzione originaria del cemento, che dovrebbe proteggere l’acciaio. Il ponte per questa ragione ha sempre richiesto grossi lavori di manutenzione. Era molto costoso da gestire”.

    Ci può stare, anche la conoscenza della struttura dei materiali evolve col tempo e gli studi. Ma ci sono stati almeno 20 anni per cominciare a rivedere – e rifare con altre tecniche e materiali – perlomeno le strutture portanti più impegnative o pericolose.

    Sappiamo però che nel 1999 ci fu “una lenzuolata di privatizzazioni e liberalizzazioni”, in cui tutta la rete autostradale italiana fu consegnata “in concessione” a società private. Si diceva che avrebbero gestito meglio dello Stato, con più efficienza e costi minori. La parte del leone la fece Benetton, famiglia di imprenditori fin lì nota per la sua linea di abbigliamento, capace di farsi una pubblicità liberal (“united colors of Benetton”) mentre sfruttava e faceva massacrare dai gorilla alcune popolazioni da cui traeva le materie prime.

    Sappiamo che le tariffe autostradali aumentano ogni anno, a un tasso diverse volte superiore a quello dell’inflazione. “Adeguamenti” che i “gestori” autostradali chiedono ai governi e che tutti i governi puntualmente concedono. In Germania e Gran Bretagna – certamente paesi “non arretrati” – le autostrade sono gratuite; in tutti gli altri paesi c’è il sistema del “bollino” per cui si paga in base al tempo (settimane, mesi, anno), con il record del prezzo più alto detenuto dall’Austria (meno di 80 euro… l’anno).

    Sappiamo che il profitto netto annuale di queste società è superiore al “prezzo” che hanno pagato allo Stato per avere la concessione.

    Sappiamo che la manutenzione è a loro carico e dunque è loro responsabilità qualsiasi inconveniente. E questo, nella foto, è lo stato di altri piloni dell’A10, nei pressi di Sestri Levante.

    Sappiamo che in tutta Europa la gestione è pubblica, com’è ovvio che sia per un monopolio naturale su cui non è possibile alcun tipo di concorrenza (quale privato costruirà mai un’autostrada alternativa ad una esistente?).

    Sappiamo che il sistema delle “grandi opere” rappresenta un business colossale in cui si mettono soldi pubblici – nazionali ed europei – per realizzare infrastrutture qualche volta necessarie, altre volte completamente inutili (la Tav Torino-Lione è la più famosa), in cui l’interesse principale è quello delle società costruttrici.

    Sappiamo insomma che la rete autostradale è stata pagata con i nostri soldi, gestita dallo Stato fin quando non è stata grosso modo completata e quindi regalata ai “privati” perché potessero comodamente far soldi con i pedaggi, come moderni Ghino di Tacco autorizzati dallo Stato.

    Un sistema che colloca i costruttori (dai palazzinari a Impregilo) come vero architrave del governo di questo paese.

    Giustamente Potere al Popolo, nell’immediatezza della notizia, ha parlato della necessità di nazionalizzare la rete autostradale.

    Sappiamo che questo non sarebbe ancora la soluzione del problema della sicurezza, perché tutte le strutture amministrative pubbliche costruite intorno al “business autostrade” sono completamente infettate dalla corruzione.

    Ma nazionalizzare è la precondizione minima indispensabile per restituire al pubblico – all’interesse collettivo – il controllo delle infrastrutture, la manutenzione, la sostituzione ove necessario.

    In queste ore il governo dice di aver avviato le procedure per il ritiro della concessione alla Società Autostrade (ora Atlantia). E’ la solita presa in giro per tutelare e perpetuare un sistema criminale. Ritirare la concessione e affidarla a qualcun altro non cambia assolutamente nulla.

    Se il profitto è l’unica stella polare di qualsiasi impresa, allora è del tutto indifferente se l’impresa chiamata a gestire tratti di rete autostradale si chiami in un modo o in un altro. Il suo atteggiamento verso “la cosa” sarà identico, perché vede il momento del pagamento del pedaggio come l’unico obbiettivo da assicurare.

    Nazionalizzare, insomma, significa cambiare completamente l’ordine delle priorità e degli interessi sociali.

    Non sono questi “i politici” che possono o vogliono farlo.

    * da Contropiano.org

    Autostrade. Nazionalizzarle è il minimo - EUROSTOP
    Rete dei comunisti, quindi, sono legati a "contropiano". A quale corrente appartengono? Eurocomunismo (non mi pare), marxismo leninismo o post-autonomia?
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  6. #6
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Rete dei comunisti, quindi, sono legati a "contropiano". A quale corrente appartengono? Eurocomunismo (non mi pare), marxismo leninismo o post-autonomia?
    Contropiano è il giornale della Rete dei Comunisti. Sono praticamente gli animatori di Eurostop. Oscillano tra posizioni intelligenti in politica estera e una certa influenza di centri sociali e trozkismo che li rovina (infatti hanno appoggiato Potere al Popolo). Da quel che ho capito Cremaschi per esempio è uno di loro.

    Qui te lo spiegano loro Rete dei Comunisti - chi siamo
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  7. #7
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    CONTRO SALVINI E ORBAN, MA NESSUNO SCONTO ALL’UNIONE EUROPEA E CHI LA DIFENDE

    di Giorgio Cremaschi

    …e ricordiamo Brecht che scrisse: “Il nemico è alla testa del mio corteo“

    Oggi a Milano l’autonominatosi capo del governo Matteo Salvini incontra il capo del governo ungherese Victor Orban. È un incontro di partito trasformato in vertice tra Stati e già questo è scandaloso, nonostante le proteste del “povero” Di Maio. Che non ha potuto fare a meno di considerare che se la linea del governo è quella di condividere i migranti con tutti i paesi europei, il governo ungherese è il primo avversario e non il primo alleato di quello italiano.

    Ma questo Salvini lo sa benissimo, egli infatti prepara la sua campagna elettorale europea e forse italiana sul respingimento e sul razzismo verso i migranti, come del resto ha fatto e fa Orban.

    Salvini e Orban non vogliono la rottura della UE, la vogliono riorganizzare a dimensione della loro idea di società. Essi non mettono in discussione le politiche di austerità, il liberismo economico, le ingiustizie sociali, che sono alla base della costruzione europea, semplicemente le coprono con l’europeismo xenofobo.

    La loro UE è una fortezza che si chiude ferocemente alla solidarietà verso l’esterno per poter continuare a distruggerla al proprio interno.

    Ma le politiche di austerità e la ferocia verso i migranti non le hanno inventate Salvini ed Orban, ma i governi di centrodestrasinistra che hanno governato la UE in questi venti anni e che ancora ne definiscono gli indirizzi principali, a partire dalla Germania.

    Così come Salvini è figlio di Monti, Orban è l’ultimo prodotto delle politiche economiche di Merkel. La distruzione della solidarietà sociale, da cui emerge la guerra tra poveri che alimenta la destra, è il risultato voluto di venti anni di politiche di austerità e privatizzazioni, e noi a Genova abbiamo tragicamente provato a quale disastro quelle politiche ci conducano.

    D’altra parte respingimenti e la ferocia poliziesca contro i migranti, assieme alle politiche di guerra e sfruttamento che provocano le migrazioni, sono patrimonio di tutti i governi europei liberali. Macron lascia morire i migranti sulle Alpi, Minniti li ha consegnati ai tagliagole libici, Merkel rifiuta di condividere le poche migliaia di persone che sbarcano sulle nostre coste.

    Tutta la UE è un concentrato di ipocrisia e ferocia sociale, nella quale Salvini e Orban fanno bandiera e guadagno di ciò che tutti gli altri governanti fanno di nascosto.

    Per questo se si contesta, giustamente, quei due bisogna farlo anche con il PD, con Monti, con tutta la compagnia dell’austerità europea. Sono due facce della stessa medaglia; una medaglia da buttar via. Lo dico anche per chi manifesta oggi a Milano, ricordatevi di Bertold Brecht che scrisse: “Il nemico marcia alla testa del mio corteo“.

    Contro Salvini e Orban, ma nessuno sconto all'Unione Europea e chi la difende - EUROSTOP
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  8. #8
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    I PUNTI PER LA DISCUSSIONE NELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DI EUROSTOP

    Dall’assemblea costitutiva di Eurostop (luglio 2017) è passato poco più di un anno, ma questi mesi sono stati pieni di novità e cambiamenti che richiedono una messa a fuoco politica e generale dell’azione della Piattaforma Eurostop.
    Nell’anno trascorso abbiamo tenuto due assemblee nazionali di messa a punto politica, la prima a dicembre 2017 (a Roma) per discutere il rapporto con l’allora nascente esperienza di Potere al Popolo, la seconda a marzo 2018 (Bologna) per discutere la situazione dopo le elezioni e definire le campagne politiche (legge di iniziativa popolare per il referendum sui Trattati europei).

    1) Rispetto all’assemblea costituiva sono intervenuti cambiamenti sia nello scenario politico che nel ruolo soggettivo di Eurostop. Alcuni compagni ci hanno lasciato in dissenso con la scelta di partecipare alle elezioni con Potere al Popolo, Altri si sono avvicinati proprio grazie a questa scelta. Altri ancora hanno deciso di continuare la loro partecipazione alla Piattaforma Eurostop ma di non essere interni all’esperienza di Potere al Popolo.
    La decisione di aderire a Potere al Popolo e condividerne il percorso presa nell’assemblea di dicembre 2017 e confermata in quella di marzo 2018, è stata riaffermata anche nelle riunioni del Coordinamento Nazionale tenutesi nei mesi scorsi, inclusa quella di sabato 1 settembre.
    Il bilancio complessivo che facciamo di questa decisione continua ad essere positivo e stiamo dando un contributo fattivo alla definizione di Potere al Popolo come soggetto politico che assuma con forza la sfida della rappresentanza politica del blocco sociale antagonista nel nostro paese.

    2) Nel contempo è cambiato lo scenario politico con cui ci troviamo a fare i conti. E’ cambiato sul piano internazionale con lo scatenamento delle guerre commerciali, anche tra Stati Uniti ed Unione Europea, con il manifestarsi di spinte alla rottura del monopolio statunitense nelle transazioni e nelle relazioni economiche internazionali, con il riaffacciarsi di crisi finanziarie (per ora nella periferia come Turchia e Argentina), con una acutizzazione delle tensioni internazionali in molti teatri di crisi.
    Anche dentro l’Unione Europea si assiste ad una crescente tensione interna, accentuatasi dopo la Brexit. Sta emergendo un europeismo di stampo nazionalista e reazionario che non mette in discussione la struttura ma la declina in chiave euronazionalista. Questa componente viene liquidata come sovranista e populista dalle agenzie di comunicazione mainstream e viene utilizzata come spauracchio dalle forze europeiste liberali ancora egemoni nel nucleo duro dell’Unione Europea (Francia, Germania) per mantenere la struttura di comando attuale e anzi rafforzarne il carattere coercitivo interno e quello imperialista sul piano internazionale, ormai anche sul piano militare.

    3) Dentro questa contraddizione, nelle elezioni in Italia hanno prevalso forze diverse da quelle liberali ed europeiste tradizionali (Pd, Forza Italia) e si è formato un nuovo governo che le ha escluse. Il governo “a tre” (M5S,Lega, professori) segna indubbiamente una discontinuità con i governi precedenti e la declina sia in modo apertamente reazionario sia anti-establishment, con i professori che hanno il ruolo di cercare continuamente i punti di connessione e compromesso con i diktat dell’Unione Europea evitando ogni seria rottura.
    In questo contesto gli scenari sono almeno due:

    a) se il governo va in crisi per le pressioni esterne che già si stanno manifestando (spread, ingerenze della Ue e della finanza) e per le contraddizioni interne tra Lega e M5S, si riapre la partita tra le vecchie classi dirigenti e quelle emerse con queste elezioni.

    b) Se il governo supera il passaggio della Legge di Stabilità, mangia il panettone e arriva alle elezioni europee, significa che una nuova classe dirigente ha soppiantato quella vecchia, come avvenuto nel 1992 con Tangentopoli che portò alla fine della Dc, del Psi e, diversamente, del Pci che si era sciolto per motivi diversi. Nelle elezioni europee, le maggioranze interne al governo potrebbero cambiare, consegnando alla Lega il ruolo di azionista di maggioranza rispetto al M5S.
    Eurostop, e a nostro avviso Potere al Popolo, devono attrezzarsi in presenza di entrambi gli scenari, perseguendo la costruzione di un polo politico indipendente e rifiutando ogni richiamo della foresta del Pd, de La Repubblica etc. a ricomporre la “sinistra” come massa di manovra utile per riportare al governo questo ceto politico responsabile di misfatti e disastri sociali indicibili. I diciassette anni di “antiberlusconismo” hanno prodotto misure antipopolari e governi subalterni ai diktat dell’Unione Europea (Prodi, Monti, Renzi), che hanno azzerato la sinistra e l’hanno resa invisa e odiosa ai settori popolari.

    La strumentalizzazione dell’antirazzismo da parte del Pd come terreno di ricomposizione della sua massa di manovra elettorale va denunciata e contrastata. L’antirazzismo, come l’antifascismo, è una pratica militante che ha possibilità di diventare popolare solo se viene coniugato con la lotta contro i poteri forti. Al contrario il Pd e la “sinistra” sostengono che i poteri forti (l’Unione Europea, le imprese e le banche) sono una garanzia per la tenuta di un sistema liberale capace di tutelare i diritti civili anche se affossa sistematicamente i diritti sociali.
    In questo sta anche la “questione sindacale”. Da un lato i sindacati che hanno svenduto e capitolato su tutto (ultimo in ordine di tempo il welfare aziendale) si ributtano nella mischia come se non avessero alcuna responsabilità, dall’altro sta invece entrando in campo un sindacalismo di classe intorno all’Usb che lavora efficacemente alla ricomposizione dei settori sociali portandoli al conflitto su tutti i terreni, incluso quello della discriminazione razziale, ma legandola e non separandola dalla condizione di classe complessiva e dalla dimensione generale dello scontro.
    La polarizzazione tra “liberali” e “nazionalisti” avanzata da Macron, ma anche dalla sinistra italiana, va rifiutata perseguendo la strada di un percorso politico indipendente e orientato a ricostruire l’identità e l’organizzazione dei settori popolari che hanno affidato a Lega e M5S le loro aspettative. Nell’assemblea nazionale del Dicembre 2017 abbiamo decretato la nostra alterità ed estraneità con la “sinistra” residuale in Italia. Riteniamo che questa rottura di identità, cultura politica e contenuti vada riaffermata anche in questo scenario.
    Ma la contraddizione colta con la nascita della Piattaforma Eurostop, quella della rottura con l’Unione Europea come presupposto per una alternativa di sistema, oggi sta emergendo anche a livello delle forze popolari e progressiste in Europa. L’accelerazione sulla proposta del “Piano B” da parte della France Insoumise di Melenchon, sta scompaginando le ambiguità della sinistra europea che continua a gingillarsi su una vaga dimensione antiliberista dell’opposizione. L’esperienza negativa del governo Tsipras ha funzionato un po’ da parametro sulle strade da non perseguire per opporre un progetto alternativo ai diktat della Ue e delle classi dominanti in Europa. Il dibattito che si è aperto intorno al Piano B come punto su cui aggregare e ricostruire un movimento popolare, di classe e internazionalista nei vari paesi europei è di straordinario interesse e potenzialità. Ad esso guardiamo con interesse, anche in previsione delle elezioni europee.

    4) Eurostop in questi mesi ha lanciato delle campagne politiche e di massa che possono sparigliare sia le ambiguità della sinistra che quelle del M5S e collocare l’opposizione alle forze reazionarie su un terreno efficace.
    In primo luogo la Legge di Iniziativa Popolare per ottenere i referendum sui Trattati Europei e quella per l’abolizione dell’art.81 imposto alla Costituzione dal governo Monti e dalla Bce.
    Su entrambe le leggi di iniziativa popolare dobbiamo riuscire a raccogliere le firme necessarie, consegnarle in Parlamento e farne un fatto politico, non solo per i loro contenuti dirompenti ma anche perché la “sinistra” o le ha osteggiate (il referendum) o le ha abbondonate perché non ha più la “forza delle gambe degli uomini e delle donne per far marciare le idee”. Non solo. Probabilmente è intervenuto anche un elemento di opportunismo che ha fatto rinunciare alla campagna sull’art.81 quando, dopo le elezioni, questo terreno è stato ritenuto troppo contiguo ad alcune delle dichiarazioni del nuovo governo (il M5S ha presentato un disegno di legge per abolire l’art.81). Una logica questa radicalmente diversa dalla nostra che invece riteniamo che le contraddizioni vadano colte e accentuate ma non esorcizzate.
    Questa campagna su referendum e art.81 è una questione di democrazia ma anche una indicazione del nemico principale e una visione alternativa sull’Unione Europea. Abbiamo affermato che la Ue non è riformabile, quindi va combattuta e smontata mettendo in campo una alternativa di integrazione regionale sganciata dai parametri ordoliberisti e dalle ambizioni coloniali verso i paesi del Mediterraneo sud. E’ una ipotesi che recupera molto dalla elaborazione di un marxista e anticolonialista come Samir Amin, scomparso recentemente e ostracizzato proprio dalla sinistra italiana ed europea per le sue tesi sullo “sganciamento” dal mercato mondiale come alternativa. Nasce da questo la proposta di un’Area Alternativa Euromediterranea, indicata come ipotesi anche nel “Piano B”, che presenteremo pubblicamente nelle prossime settimane.
    Infine, ma non per importanza, la sfida sulle contraddizioni interne al nuovo governo e tra governo e settori popolari che gli hanno affidato le loro aspettative, va giocata anche su un nodo politico ben presente nel programma di Eurostop: il ruolo dello Stato e le nazionalizzazioni.
    Su questo si apre una battaglia a tutto campo contro le conseguenze della svendita dei beni pubblici avvenuta sistematicamente dagli anni ’90 in poi con una perfetta sincronia tra governi di centro-sinistra e di centro-destra. Le privatizzazioni e le migliaia di concessioni ai “prenditori privati”, hanno rafforzato un capitalismo bollettaro e parassitario che vive di zero rischi di impresa, ha la remunerazione assicurata dalle concessioni e in nome del profitto mette a rischio le condizioni di vita e la sicurezza della popolazione. Il crollo del Ponte di Genova ha reso questa vergogna palese a tutti.
    E’ evidente che solo lo Stato o comunque un soggetto pubblico ha la possibilità di gestire i beni collettivi. Sulla primazia degli interessi collettivi rispetto a quelli privati anche la Costituzione è esplicita. Questo apre il terreno per una battaglia generale sulle nazionalizzazioni dei settori strategici dell’economia e per le reinternazionalizzazioni nei servizi che in questi anni hanno esteso enormemente la precarietà del lavoro e la distruzione del welfare. Le mobilitazioni di autunno stanno mettendo al centro questo tema – a cominciare dalla manifestazione nazionale del prossimo 20 ottobre – insieme a quello dell’antirazzismo di classe e dell’antifascismo militante.

    I punti per la discussione nell?assemblea nazionale di Eurostop - EUROSTOP
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  9. #9
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    REFERENDUM CONTRO I TRATTATI EUROPEI E ART.81, RILANCIAMO LA RACCOLTA DI FIRME SULLE LEGGI DI INIZIATIVA POPOLARE

    di Michele Franco

    Dopo la pausa estiva – anche se in alcune località dove si sono tenute feste e momenti di discussione pubblica non è mancata la presenza dei nostri banchetti – è ripresa la raccolta di firme per richiedere il diritto di espressione popolare sui Trattati imposti dall’Unione Europea tramite referendum e per togliere l’ Articolo 81 (ossia il famigerato “pareggio di bilancio”) dalla Costituzione.
    Continua – dunque – l’iniziativa lanciata dalla Piattaforma Sociale Eurostop la quale vuole rilanciare l’opposizione ad alcuni fondamentali snodi del processo di governance prodotti dall’odiosa gabbia dell’Unione Europea.
    Una campagna di controinformazione e di raccolta firme che – a partire dai prossimi giorni – si articolerà nei posti di lavoro e nei territori fino al raggiungimento dell’obiettivo del quorum necessario del numero di firme occorrenti previsto dalle leggi di iniziativa popolare.
    Una campagna politica (ma anche culturale) che vuole affermare – finalmente – una verità che è sempre stata sottaciuta o distorta nella narrazione corrente dell’informazione dominante.
    Oltre 25 anni di adesione dell’ Italia all’Unione Europea ed all’insieme dei suoi trattati e dispositivi legislativi, hanno prodotto lo smantellamento del sistema dei servizi sociali, la cancellazione dell’istituto della previdenza pubblica, del diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro e salari dignitosi ed una pesante involuzione autoritaria sul versante degli ordinamenti amministrativi e dei “tassi di democrazia” nel paese.
    Se fino a qualche anno fa la discussione sulla natura antisociale dell’Unione Europea era appannaggio di ristretti gruppi sociali, la dura quotidianeità si è incaricata di far percepire questa condizione materiale a settori sempre più larghi di popolazione colpiti, a vario titolo, dalle politiche di austerity, di impoverimento e svalorizzazione della forza lavoro.
    Enormi risorse sono state drenate dai redditi dei lavoratori verso le grandi banche, in direzione dell’aumento delle spese militari e per rafforzare i settori dominanti della borghesia europea impegnati nel gorgo di una accresciuta competizione internazionale tra potenze.
    Una gigantesca operazione di rapina che ha fortemente intaccato gli standard di qualità della vita dei ceti popolari e – particolarmente nei paesi del Sud Europa – ha rideterminato fenomeni di mobilità sociale (come l’emigrazione dei giovani disoccupati verso i paesi del Nord del Continente) che credevamo superati nel tempo.

    Una battaglia a tutto campo senza equivoci
    Mentre la Legge di Iniziativa Popolare per il referendum sui Trattatii europei è stata lanciata dalla Piattaforma Eurostop a marzo, la raccolta di firme per togliere l’Articolo 81 dalla Costituzione era stata avviata, nei mesi scorsi, da un arco di forze che comprendeva parte di quella “sinistra” che aveva contribuito alla vittoria del NO nel Referendum costituzionale contro l’allora governo Renzi.
    Successivamente, con motivazioni varie, questa “sinistra” ha scelto di abbandonare il campo, di fermare la raccolta di firme (quelle raccolte alla luce della dismissione di ogni carattere militante del loro agire politico organizzato) e di dichiarare il forfait di questa campagna.
    A fronte di questa decisione politicamente scellerata, che, indubbiamente, avrebbe anche comportato un contraccolpo negativo e demotivante tra i compagni e gli attivisti, la Piattaforma Sociale Eurostop e l’Usb hanno deciso di assumersi – con coraggio – una grossa responsabilità politica ed organizzativa di rilanciare, per ora sostanzialmente da sole, la raccolta di firme sulle due leggi di iniziativa popolare.
    Certo tante compagne e compagni stanno manifestando adesione e consenso a questa decisione, ma non nascondiamo le difficoltà che sussistono per una intrapresa che – tra l’altro – si sta configurando nel silenzio totale dei media, tra ostacoli burocratici immani e senza risorse finanziarie da poter investire per propagandare e supportatre adeguatamente la campagna di raccolta firme.
    In questo contesto di vera e propria sfida politica che avanziamo – come al solito in modalità controcorrente – si colloca l’Assemblea Nazionale di Eurostop per il prossimo sabato 15 settembre presso il Centro Sociale Intifada a Roma la quale – tra i diversi punti all’ordine del giorno della discussione – avrà il tema delle due campagne e il rilancio della raccolta firme, la definizione di alcuni momenti di mobilitazione pubblica e gli step concreti da raggiungere per assicurarci il quorum necessario e – quindi – gli ulteriori passaggi in avanti di questa battaglia.
    Un appuntamento, dunque, quello di sabato 15/9 a Roma che si intreccerà le campagne politiche di Eurostop (la raccolta firme, le mobilitazioni sociali dell’autunno con al centro la manifestazione a favore delle Nazionalizzazioni del prossimo 20 ottobre) con il piano della discussione programmatica e, quindi, del contributo che la Piattaforma Sociale Eurostop offre alla costruzione del soggetto politico Potere al Popolo.
    Con questa attitudine facciamo appello affinchè a partire dai prossimi giorni, in tutte le città del paese, si organizzino banchetti, assemblee e dibattiti su questi temi, sit/in ai giornali per reclamare un sacrosanto spazio di informazione su questa nostra iniziativa e per raccogliere il maggior numero di firme possibili da consegnare sulle due proposte di legge al Parlamento.
    La lotta all’Unione Europea, all’insieme delle sue politiche finanziarie, economiche e militari necessita, sempre più, anche alla luce dell’attuale fase politica, di un movimento di lotta, ampio ed articolato, incardinato ad una prospettiva anticapitalista, antiliberista e con connotati fortemente popolari.
    Sappiamo bene che la raccolta firme non è un atto taumaturgico che surroga e supera le difficoltà che affrontiamo nella nostra funzione politica che esercitiamo ma – e vogliamo ribadirlo convintamente – è, di fatto, un prezioso strumento per interloquire con ampi settori del nostro blocco sociale di riferimento, per agitare temi e questioni su cui riteniamo promuovere una mobilitazione politica, sociale e sindacale e per aprire spazi di agibilità e fruizione dei nostri contenuti.

    Referendum contro i Trattati europei e art.81, rilanciamo la raccolta di firme sulle leggi di iniziativa popolare - EUROSTOP
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  10. #10
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    Predefinito Re: Rete dei Comunisti - Eurostop

    Evitiamo battute stupide, per favore. Si può anche criticare, ovviamente, ma seriamente...
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