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  1. #11
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    Sant' Alessandro Nevskij, Granprincipe di Novgorod, Perejaslavl’-Zalesskij, Russia, 30 maggio 1220 – Gorodec, Russia, 14 novembre 1263 (30 agosto, 23 novembre)



    Alessandro Nevskij nacque in Russia nel 1220, figlio del Granduca di Vladimir Jaroslav II Vsevolodovic e della principessa Feodosia di Halic. Suo fratello maggiore Feodor Jaroslavic, erede del titolo e dei privilegi, morì precocemente all’età di soli quandici anni ed Alexander si trovò così principe di Novgorod nel 1245. Sposò la principessa Bassa di Potolsk, da cui ebbe quattro figli, di cui l’ultimogenito fu San Daniele di Mosca.
    Nessuno meglio di Alessandro può rappresentare la figura classica del “santo guerriero”, tipologia forse lontana dalla sensibilità contemporanea. Nel 1240 si trovò a dovere respingere un massiccio attacco degli svedesi che avevano invaso il suo principato. In questo frangente, chiamato a raccolta il suo piccolo esercito, si rivolse ai soldati con queste parole: “Dio non è nella forza ma nella verità. Alcuni confidano nei principi, altri nei cavalli, ma noi invocheremo il Signore Dio nostro!”. La notte che precedette lo scontro, sulla riva della Neva, un soldato di nome Filippo ebbe una visione: i santi principi martiri Boris e Gleb, si avvicinavano a bordo di una barca all’accampamento russo. Secondo la tradizione San Boris pronunciò queste parole: “Fratello Gleb, andiamo ad aiutare il nostro pari Alessandro!”. Il giorno successivo Alessandro ed il suo esercito riportarono una storica vittoria sul nemico. Da quel momento Alessandro fu soprannominato “Nevskij”, cioè “della Neva”, luogo della mirabile battaglia.
    La tradizione narra una lunga serie di successi e di vittorie che trasformarono il saggio principe Alessandro Nevskij nell’eroe russo più amato e popolare, paladino della Chiesa indigena. Le guerre, le incessanti attività e i lunghi viaggi minarono però la salute di Alessandro. Tornando da un lungo viaggio in oriente e sentendo la morte avvicinarsi, decise allora di vestire l’abito monastico presso il monastero di Gorodec, assumendo il nome di Alessio. Il novello schema-monaco morì il 14 novembre 1263.
    Nel 1547 Alessandro Nevskij fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Russa, che lo commemora il 23 novembre, giorno della sua sepoltura, ed il 30 agosto, giorno della traslazione delle sue reliquie presso la lavra a lui dedicata in San Pietroburgo.
    A Sant'Alessandro Nevskij è dedicata la Cattedrale sede dell'Arcivescovado per le Chiese Ortodosse Russe in Europa occidentale, situata a Parigi, in Rue Daru.
    Sto combattendo la Buona Battaglia, sto proseguendo la Corsa, sto tentando di conservare la Fede

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  2. #12
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    “Dio non è nella forza ma nella verità. Alcuni confidano nei principi, altri nei cavalli, ma noi invocheremo il Signore Dio nostro!”
    (Sant'Alessandro Nevskij prima della battaglia della Neva)
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  3. #13
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "Nessuno può mai confidarsi troppo devoto di Maria ; pero non deve esserlo al punto di credere cose contrarie alla verità sia della Sacra Scrittura che della fede cristiana, la quale deve precedere ogni nostra devozione tanto verso Dio che verso la Madre sua."
    "Come la caduta si realizzò nei due sessi, iniziando prima nella donna e poi compiendosi nell'uomo (Gn 3, 6); così nella riparazione la donna, credendo e concependo, doveva dare inizio nel segreto alla vittoria sul demonio e, dopo suo Figlio lo avrebbe vinto in modo manifesto... presso la croce."
    (San Bonaventura da Bagnoregio, "In III Sententiarum")

    "Come Abele e i suoi discendenti sono stati formati da Adamo e Eva, così da Cristo e dalla Chiesa è stato formato l'intero popolo cristiano. E come Eva è la madre di Abele e di tutti noi, così il popolo cristiano ha la Vergine come madre."
    (San Bonaventura da Bagnoregio, "De Donis Spiritus Sancti")

    "Gesù, avendo visto la Madre..." (Gv 19, 25). La vide alla maniera di uno che è premuroso, come si legge in 1 Tm 5, 8: "Se qualcuno non ha cura dei suoi, specialmente di quelli di casa...". Inoltre Giovanni Crisostomo afferma: "in questo momento il Signore manifesta un grande amore verso la Madre e la raccomanda al discepolo, allo scopo di insegnarci che dobbiamo avere tutta l'attenzione possibile, fino all'ultimo respiro, per coloro che ci hanno generato". Ed è scritto in Esodo 20, 12 : "Onora tuo padre e tua madre". Ciò che ha comandato, lo ha pure praticato. "Vide lì anche il discepolo che amava" ; e perciò poteva affidargliela familiarmente. Giovanni stava là ; non si era allontanato ; pertanto era tra quelli a proposito dei quali è detto in Lc 22, 28 : "Voi siete quelli che sono rimasti con me nelle mie tribolazioni." "Dice sua madre: Donna, ecco tuo figlio!". Ė come se dicesse : Abbi fiducia in lui come fosse tuo figlio."Poi dice al discepolo: Ecco tua Madre !" Ė Come se dicesse : Abbi cura di lei come se fosse tua madre." E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa, "in sua". Qui si osserva l'accoglimento della raccomandazione : prese cioè la Madre in casa sua per onorarla, custodirla e curarla, come fa un figlio verso la madre. Ma Agostino legge l'espressione all'accusativo plurale : in sua, e si chiede : Come mai dice in sua se non possiede nulla di proprio ? Risponde : In sua significa tra i suoi obblighi, i suoi doveri e i suoi beni, non nelle sue proprietà, che del resto non aveva."
    (San Bonaventura da Bagnoregio, "In Johannem")
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  4. #14
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "La devozione all'Eucaristia è la piú nobile perché ha per oggetto Dio; è la più salutare perché ci dà l'Autore della grazia; è la più soave perché soave è il Signore."
    (San Pio X)
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  5. #15
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "La Santa Messa è il Sacrificio che trattiene la giustizia divina, che regge tutta la Chiesa, che salva il mondo."
    (San Giovanni Battista Maria Vianney)
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  6. #16
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    Sant'Aristide Marciano di Atene, Apologista e Martire, II secolo, Atene (31 agosto, 3 ottobre)



    Martirologio Romano: Ad Atene, Sant’Aristide filosofo, che, insigne per fede e sapienza, indirizzò all’imperatore Adriano degli scritti sulla religione cristiana.

    Noto dalle notizie tramandate da Eùsebio e da San Girolamo, Aristide fiorì sotto l'impero di Adriano e di Antonino Pio ( 138-161). Vissuto ad Atene intorno al 140, la lettura delle Sacre Scritture lo portò al Cristianesimo, nel quale continuò a professare la filosofia, riscuotendo l'ammirazione di molti per la sua eloquenza.
    Ingiuste sollevazioni popolari contro i cristiani lo spinsero a scrivere, contemporaneamente a Quadrato, una Apologia (la più antica a noi pervenuta e sua unica opera conosciuta), intessuta di dottrine filosofiche, indirizzata all'imperatore Adriano, come risulta dalla prima inscriptio siriaca e dalla inscrittio del frammentario testo armeno. Ad Aristide si offrì l'opportunità di presentare il suo scritto all'imperatore, probabilmente quando questi, attraversando la Grecia, svernò ad Atene e si fece iniziare ai misteri eleusini. Tale circostanza dovette eccitare il fanatismo religioso dei pagani, i quali infuriarono maggiormente contro i cristiani. Per reprimere questo sconsigliato impeto si adoperò Aristide, la cui opera indusse Adriano a scrivere al proconsole dell'Asia, Minucio Fundano, per porre termine alle angherie a cui erano sottoposti i cristiani ed impedire che essi fossero denunciati e condannati senza formali e fondate accuse. Alcuni critici vogliono riportare ad una età più recente la presentazione dell'Apologia, ritenendone destinatario Antonino Pio, che è menzionato nella seconda inscriptio siriaca. Ma a tale cronologia si oppone sia la testimonianza della prima inscriptio siriaca e dell'inscriptio armena che il tono arcaico dell'Apologia, i cui accenni alle classiche accuse contro i cristiani, ampiamente trattate nelle apologie posteriori, suppongono un ambiente diverso. Inoltre nelle inscrittiones non si menziona il nome di Marco Aurelio, associato all'impero nel 147; quindi l'Apologia deve essere anteriore a tale data. Le circostanze descritte da Eusebio ed alcuni accenni a catastrofi avvenute nell'impero, presenti nell'Apologia, non consentono di collocare lo scritto durante l'impero di Antonino Pio.
    L'Apologia di Aristide ebbe una singolare vicenda. Fu conosciuta da Eusebio e da Girolamo e fu ricordata da quegli scrittori che dipesero da tali fonti. Essa non fu citata da nessuno scrittore cristiano antico. Il Ceillier secondo cui alcuni monaci si vantavano di avere ancora tale Apologia nella Biblioteca del monastero di Medelli a dieci miglia da Atene. Nel 1878 i Mechitaristi di Venezia scoprirono un frammento armeno dell'Apologia, seguiti poi nel ritrovamento dello stesso testo, sempre in armeno, dal Conybeare e dall'Eemin. Una scoperta più fortunata toccò a J. Rendell Harris che nel 1889 rinvenne nella Biblioteca del Monastero di Santa Caterina del Sinai un codice siriaco contenente la traduzione dell'Apologia. In base a questo documento, J. A. Robinson individuò il testo greco inserito, con adattamenti, nel romanzo greco di Barlaam e Ioasaph, attribuito a San Giovanni Damasceno. Infine nel 1922 e nel 1923 furono scoperti dei frammenti greci su papiri, notevoli per la conoscenza del testo primitivo dell'opera.
    L'Apologia è stata divisa in 17 brevi capitoli. Dopo un proemio sulla conoscenza, esistenza, natura ed attributi divini (cap. 1), vi è l'esposizione dell'origine delle quattro principali religioni (cap. 2) che sono trattate nei capitoli seguenti: la religione dei barbari (caldei, secondo il testo greco) capp. 3-7; quella dei greci (ed egiziani), capp. 8-12 (13); quella dei giudei, cap. 14, e quella dei cristiani, capp. 15-17. In realtà, la trattazione è l'esposizione del contrasto che vi è tra la religione dei greci e la religione dei cristiani; e quindi si comprende facilmente l'intonazione morale che viene data all'opera. Interessante è soprattutto l'esposizione della primitiva vita cristiana, che si svolge nell'esercizio dei precetti del Signore, che i fedeli portano scolpiti nei loro cuori. E' messa in evidenza l'assiduità nella preghiera per gli amici e per i nemici, per i vivi e per i defunti; la carità verso tutti, I'opera di assistenza per i viandanti e per i condannati per il nome di Cristo; la cura per la conversione dei pagani; la santità della vita domestica; la purezza dei costumi. Questi argomenti sono trattati con devota mestizia, che non toglie la gioia del cuore nell'attesa della seconda venuta di Cristo, ehe, secondo i meriti, premierà i buoni e punirà i cattivi. Notevoli sono pure due brevi accenni, che possono riferirsi al battesimo ed alla penitenza. Questa è l'unica opera completa che sia pervenuta degli scritti di Aristide. Si conservano brevi frammenti di discorsi, editi dai Mechitaristi. Null'altro si conosce sugli scritti o sulla persona dell'apologeta. La tradizione vuole che egli morisse martire. Di ciò si conserva me moria in vari martirologi. Il Vetus Romarrum e i martirologi di Beda, Usuardo e Baronio, ne celebrano la memoria al 31 agosto; il Vetus Romanum, Adone e Usuardo lo ricordano anche al 3 ottobre.
    Nell’Apologia, Aristide dà prova di profonda conoscenza delle dottrine filosofiche nel replicare alle ingiuste accuse dei pagani trattando le differenze tra il cristianesimo e le religioni dei barbari, dei greci e dei giudei e sostenendo che i cristiani avrebbero contribuito, con la loro fede e il loro esempio, alla coesione dello Stato e alla concordia tra i cittadini. Secondo Aristide, i barbari adorano gli elementi di cui si compone la natura visibile (cielo, terra, acqua, fuoco, uomo) e, quindi, si rivolgono alle opere di Dio e non a Dio stesso. I greci attribuiscono agli dèi comportamenti simili a quelli degli uomini, con le loro debolezze e le loro colpe. I giudei adorano il vero Dio, ma il loro culto apprezza molto più l’esteriorità che la spiritualità. Soltanto il cristianesimo afferma l’idea e l’esistenza di Dio tramite la vita pura e l’armonia con il prossimo: i cristiani pregano per gli amici e i nemici, professano la carità verso chiunque, assistono i viandanti e i condannati per il nome di Cristo, si prodigano per la conversione dei pagani, la santità della vita domestica e la purezza dei costumi, aspettano con gioia la seconda venuta di Cristo che, secondo i meriti, premierà i buoni e punirà i cattivi…
    Probabilmente Aristide ebbe occasione di consegnare personalmente la propria lettera ad Adriano quando questi, attraversando al Grecia, svernò ad Atene e, rendendosi conto del feroce odio dei pagani contro i cristiani, scrisse al proconsole dell’Asia, Minucio Fundano, di porre fine alle repressioni e alle condanne contro i cristiani se non c’erano fondate prove della loro colpevolezza.
    Aristide di Atene è uno dei primi pensatori cristiani che ebbe il coraggio di presentare Gesù Cristo agli uomini del suo tempo. Nella sua Apologia indirizzata all'imperatore Adriano (117-138), presenta in maniera concisa la nascita del Figlio di Dio Altissimo: "...discese dal cielo e prese carne da una vergine ebrea; e abitò in una figlia dell'uomo il Figlio di Dio".
    Nella storia della salvezza la maternità verginale è uno dei segni salvifici mandati da Dio agli uomini. Il titolo "una figlia dell'uomo" è particolarmente significativo perché strettamente collegato con il titolo cristologico: "Figlio dell'uomo".
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  7. #17
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "I cristiani...non adorano dei stranieri; sono dolci, buoni, pudichi, sinceri, si amano fra loro; non disprezzano la vedova; salvano l'orfano; colui che possiede dà, senza mormorare, a colui che non possiede. Allorché vedono dei forestieri, li fanno entrare in casa e ne gioiscono, riconoscendo in essi dei veri fratelli, poiché così chiamano non quelli che lo sono secondo la carne, ma coloro che lo sono secondo l'anima...Osservano esattamente i comandamenti di Dio, vivendo santamente e giustamente, così come il Signore Iddio ha loro prescritto; gli rendono grazie ogni mattina e ogni sera, per ogni nutrimento o bevanda e ogni altro bene...Queste sono, o imperatore, le loro leggi. I beni che devono ricevere da Dio, glieli domandano, e così attraversano questo mondo fino alla fine dei tempi: poiché Dio ha assoggettato tutto ad essi. Sono dunque riconoscenti verso di Lui, perché per loro è stato fatto l'universo intero e la creazione. Di certo questa gente ha trovato la verità."
    "Il Figlio del Dio Altissimo...discese dal cielo e prese carne da una vergine ebrea; e abitò in una figlia dell'uomo il Figlio di Dio"
    (Sant'Aristide Marciano di Atene, "Apologia")
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    San Cipriano di Cartagine, Vescovo, Padre della Chiesa e Martire, Cartagine, circa 210 - 14 settembre 258 (31 agosto, 15 e 16 settembre)



    Martirologio Romano: Memoria dei Santi Martiri Cornelio, Papa, e Cipriano, Vescovo, dei quali il 14 settembre si ricordano la deposizione del primo e la passione del secondo, mentre oggi il mondo cristiano li loda con una sola voce come testimoni di amore per quella verità che non conosce cedimenti, da loro professata in tempi di persecuzione davanti alla Chiesa di Dio e al mondo.

    E' il primo Vescovo che in Africa conseguì la corona del martirio. In pari grado la sua fama – come attesta il diacono Ponzio, che per primo ne scrisse la vita – è legata alla produzione letteraria e all’attività pastorale dei tredici anni che intercorrono fra la sua conversione e il martirio (Vita 19,1; 1,1)
    Di Cipriano giovane sappiamo che è nato pagano in una ricca famiglia di Cartagine intorno al 210. E' battezzato verso il 245 dopo una vita dissoluta; egli stesso racconta il suo itinerario spirituale: «Quando ancora giacevo come in una notte oscura», scrive alcuni mesi dopo il Battesimo, «mi appariva estremamente difficile e faticoso compiere quello che la misericordia di Dio mi proponeva ... Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata, e non credevo di potermene liberare, tanto assecondavo i vizi e favorivo i miei cattivi desideri ... Ma poi, con l’aiuto dell’acqua rigeneratrice, fu lavata la miseria della mia vita precedente; una luce sovrana si diffuse nel mio cuore; una seconda nascita mi restaurò in un essere interamente nuovo. In modo meraviglioso cominciò allora a dissiparsi ogni dubbio ... Comprendevo chiaramente che era terreno quello che prima viveva in me, nella schiavitù dei vizi della carne, ed era invece divino e celeste ciò che lo Spirito Santo in me aveva ormai generato» (A Donato 3-4).
    Subito dopo la conversione, Cipriano – non senza invidie e resistenze – viene eletto all’ufficio sacerdotale e alla dignità di Vescovo: è il 249. Nel breve periodo del suo episcopato affronta le prime due persecuzioni sancite da un editto imperiale, quella di Decio (250) e quella di Valeriano (257-258).
    Nel 250 l’imperatore Decio ordina che tutti i sudditi onorino le divinità pagane (offrendo sacrifici, o anche solo bruciando un po’ d’incenso) e ricevano così il libello, un attestato di patriottismo. Per chi rifiuta, carcere e tortura. O anche la morte: a Roma muore martire Papa Fabiano. A Cartagine, Cipriano si nasconde, guidando i fedeli come può dalla clandestinità. Cessata la persecuzione (primavera 251) molti cristiani, che hanno ceduto per paura, o che non hanno tenuto un contegno corretto dinanzi la prova, vorrebbero tornare nella Chiesa: erano i cosiddetti "lapsi", i "caduti", chiamati anche "traditores", poichè avevano "consegnato" ai persecutori pagani i libri e gli arredi sacri. Ma quelli che non hanno ceduto si dividono tra indulgenti e rigoristi. Cipriano è più vicino ai primi, e con altri Vescovi d’Africa indica una via più moderata, inimicandosi i fautori dell’epurazione severa. Cipriano rivelò elette doti di governo: fu severo, ma non inflessibile con i 'lapsi' accordando loro la possibilità del perdono dopo una penitenza esemplare; fu umanissimo e pervaso dal più autentico spirito evangelico nell'esortare i cristiani all'aiuto fraterno dei pagani durante la pestilenza (che tra l'altro pose interrogativi teologici angosciosi sia all'interno della comunità cristiana sia nel confronto con i pagani); seppe tenere la giusta misura nel ricordare ai fedeli – troppo timorosi di perdere la vita e i beni terreni – che per loro la vera vita e i veri beni non sono quelli di questo mondo; fu irremovibile nel combattere i costumi corrotti e i peccati che devastavano la vita morale, sopratutto l'avarizia.
    «Passava così le sue giornate», racconta a questo punto il diacono Ponzio, «quand’ecco che – per ordine del proconsole – giunse improvvisamente alla sua villa il capo della polizia» (Vita 15,1). In quel giorno il santo Vescovo fu arrestato, e dopo un breve interrogatorio affrontò coraggiosamente il martirio in mezzo al suo popolo.
    A questo punto le sue vicende s’intrecciano con quelle di Cornelio, un presbitero romano d’origine patrizia. Eletto Papa a 14 mesi dal martirio di Fabiano, si trova di fronte a uno scisma provocato dal dotto e dinamico prete Novaziano, che ha retto la Chiesa romana in tempo di sede vacante. Novaziano accusa di debolezza Cornelio (che è sulla linea di Cipriano) e dà vita a una comunità dissidente che durerà fino al V secolo.
    Da Cartagine, Cipriano affianca Cornelio e si batte contro Novaziano, affermando l’unità della Chiesa universale. Non è solo sintonia personale con Papa Cornelio: Cipriano parte dall’unità dei cristiani innanzitutto con i rispettivi Vescovi, e poi dei Vescovi con Roma quale sede principalis, fondata su Pietro capo degli Apostoli. Ucciso in guerra l’imperatore Decio, il suo successore Treboniano Gallo è spinto a perseguitare i cristiani perché c’è la peste, e la “voce del popolo” ne accusa i cristiani, additati come “untori” in qualunque calamità. Si arresta anche Papa Cornelio, che muore in esilio nel 253 a Centumcellae (antico nome di Civitavecchia). E viene definito “Martire” da Cipriano, che appoggia il suo successore Lucio I contro lo scisma di Novaziano. Lucio muore però dopo un anno (254). Gli succede Stefano I, e durante il suo pontificato c’è uno strappo con Cartagine, per il battesimo amministrato da eretici e scismatici, che è valido per Stefano e nullo per Cipriano.
    Questi poi accusa Stefano di considerare ingiustamente il primato di Pietro come un diritto all’ingerenza continua nella vita delle singole Chiese. Il dissidio si estende pericolosamente, ma nell’agosto 257 Papa Stefano muore, e intanto l’imperatore Valeriano ordina un’altra persecuzione. Cipriano viene mandato in esilio, dove apprende che il nuovo Papa Sisto II è morto martire a Roma, col diacono Lorenzo. Liberato, può far ritorno a Cartagine; ma nel settembre 258 lo arrestano di nuovo, poichè era tornato dai suoi fedeli dalla clandestinità appena saputa la notizia della sua condanna capitale in contumacia, e il giorno 14 muore decapitato. In questo stesso giorno Cornelio e Cipriano sono ricordati per sempre insieme dalla Chiesa.
    Cipriano compose numerosi trattati e lettere, sempre legati al suo ministero pastorale. Poco incline alla speculazione teologica, scriveva soprattutto per l'edificazione della comunità e per il buon comportamento dei fedeli.
    Di fatto, la Chiesa è il tema che gli è di gran lunga più caro. Distingue tra 'Chiesa visibile', gerarchica, e 'Chiesa invisible', mistica, ma afferma con forza che la Chiesa è una sola, fondata su Pietro. Non si stanca di ripetere che "chi abbandona la Cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa".
    Cipriano è convinto, e lo ha formulato con parole forti, che «fuori della Chiesa non c'è salvezza» (Epistola 4,4 e 73,21), e che «non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre» (L’unità della Chiesa cattolica 4).
    Caratteristica irrinunciabile della Chiesa è l'unità, simboleggiata dalla tunica di Cristo senza cuciture: unità della quale dice che trova il suo fondamento in Pietro e la sua perfetta realizzazione nell'Eucaristia.
    «Vi è un solo Dio, un solo Cristo», ammonisce Cipriano, «una sola è la sua Chiesa, una sola fede, un solo popolo cristiano, stretto in salda unità dal cemento della concordia: e non si può separare ciò che è uno per natura» (L’unità della Chiesa cattolica 23).
    Non si deve trascurare l'insegnamento di San Cipriano sulla preghiera, specialmente nel meraviglioso "Trattato" sul Padre Nostro, dove snsegna come proprio nel Padre Nostro è donato al cristiano il retto modo di pregare e sottolinea che il Padre Nostro è dato al plurale, affinché colui che prega non preghi unicamente per sé. "La nostra preghiera - scrive - è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola."
    "Il cristiano - sottolinea - non dice 'Padre mio', ma 'Padre nostro', fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo”.
    «Preghiamo dunque, fratelli amatissimi», scrive il Vescovo di Cartagine, «come Dio, il Maestro, ci ha insegnato. E’ preghiera confidenziale e intima pregare Dio con ciò che è suo, far salire alle sue orecchie la preghiera di Cristo. Riconosca il Padre le parole del suo Figlio, quando diciamo una preghiera: Colui che abita interiormente nell’animo sia presente anche nella voce ... Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce ... E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore».
    Si tratta di parole che restano valide anche oggi e ci aiutano a celebrare bene la Santa Liturgia.
    In definitiva, Cipriano si colloca alle origini di quella feconda tradizione teologico-spirituale che vede nel 'cuore' il luogo privilegiato della preghiera. Stando alla Bibbia e ai Padri, infatti, il cuore è l'intimo dell'uomo, il luogo dove abita Dio. In esso si compie quell'incontro nel quale Dio parla all'uomo, e l'uomo ascolta Dio. L’uomo parla a Dio, e Dio ascolta l’uomo: il tutto attraverso l’unica Parola divina. Precisamente in questo senso – riecheggiando Cipriano – Smaragdo, abate di San Michele alla Mosa nei primi anni del nono secolo, attesta che la preghiera «è opera del cuore, non delle labbra, perché Dio guarda non alle parole, ma al cuore dell’orante» (Il diadema dei monaci l).
    Facciamo nostro questo 'cuore in ascolto', di cui ci parlano la Bibbia (1 Re 3,9) e i Padri: ne abbiamo tanto bisogno! Solo così potremo sperimentare in pienezza che Dio è il nostro Padre, e che la Chiesa, la santa Sposa di Cristo, è veramente la nostra Madre.
    Sto combattendo la Buona Battaglia, sto proseguendo la Corsa, sto tentando di conservare la Fede

    Sono un clandestino nel Regno dei Cieli

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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "-Perseveri in questo? -Una buona volontà che conosce Dio non può essere cambiata. -Vuoi, quindi, andare in esilio a Curubis? -Vado."
    (dialogo tra San Cipriano e il Proconsole di Cartagine)

    "La Messa è medicina per sanare le infermità ed olocausto per pagare le colpe"
    "Il Battesimo è impartito in Nome di Cristo...il suo effetto è dovuto alla Maestà del Suo Nome"
    "Il mondo è intriso di sangue. Quando le persone commettono omicidi è un crimine ma ciò è chiamato virtù quando è fatto in nome dello Stato...L’uomo viene ucciso per il piacere dell’uomo, ed essere in grado di uccidere è una competenza, è un lavoro, è un arte. Questo crimine non è solo commesso, ma insegnato. Cosa può essere chiamato più inumano, cosa più ripugnante? Si viene formati per essere in grado di uccidere, e la vittima è considerato un trofeo … di cui adornarsi. Miserabili, si gloriano perfino delle loro azioni malvagie."
    (dalle opere di San Cipriano di Cartagine)

    "Quando ancora giacevo come in una notte oscura, mi appariva estremamente difficile e faticoso compiere quello che la misericordia di Dio mi proponeva ... Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata, e non credevo di potermene liberare, tanto assecondavo i vizi e favorivo i miei cattivi desideri ... Ma poi, con l’aiuto dell’acqua rigeneratrice, fu lavata la miseria della mia vita precedente; una luce sovrana si diffuse nel mio cuore; una seconda nascita mi restaurò in un essere interamente nuovo. In modo meraviglioso cominciò allora a dissiparsi ogni dubbio ... Comprendevo chiaramente che era terreno quello che prima viveva in me, nella schiavitù dei vizi della carne, ed era invece divino e celeste ciò che lo Spirito Santo in me aveva ormai generato"
    (San Cipriano di Cartagine, "Ad Donatum")

    "Il Padre Nostro...la preghiera del Signore"
    "Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio."
    "La nostra preghiera è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola."
    "Il cristiano non dice 'Padre mio', ma 'Padre nostro', fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo.”
    "Preghiamo dunque, fratelli amatissimi, come Dio, il Maestro, ci ha insegnato. E’ preghiera confidenziale e intima pregare Dio con ciò che è suo, far salire alle sue orecchie la preghiera di Cristo. Riconosca il Padre le parole del suo Figlio, quando diciamo una preghiera: Colui che abita interiormente nell’animo sia presente anche nella voce ... Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce ... E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore"
    "« Con la misura con la quale misurate, sarete misurati » (Mt 7:2). Quel servo che, pur avendo avuto dal padrone il condono di tutto il suo debito non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno, venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse la grazia fattagli dal Signore (Mt 18:23). Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice : « Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati » (Mc 11:25). Dio vuole che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali vuole che perseveriamo, cioè come rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio ; e coloro che hanno un solo Spirito, abbiano pure un cuor solo e un’anima sola. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall’altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo."
    (San Cipriano di Cartagine, "De Dominica Oratione")

    "Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre"
    "La Chiesa di Roma è radice e madre di tutte le Chiese...Chi abbandona la Cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa"
    "Vi è un solo Dio, un solo Cristo, una sola è la Sua Chiesa, una sola fede, un solo popolo cristiano, stretto in salda unità dal cemento della concordia: e non si può separare ciò che è uno per natura"
    (San Cipriano di Cartagine, "De Catholicae Ecclesiae Unitate")

    "Non dobbiamo fare la nostra volontà, ma quella di Dio. E' una grazia che il Signore ci ha insegnato a chiedere ogni giorno nella preghiera. Ma è una contraddizione pregare che si faccia la volontà di Dio, e poi, quando egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà! Ci impuntiamo e ci tiriamo indietro come servitori caparbi. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia!
    Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell'animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?
    Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Giovanni in una sua lettera grida per esortarci a non amare il mondo, andando dietro ai desideri della carne. «Non amate né il mondo», ci dice, «né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1 Gv 2, 15-17). Piuttosto, fratelli carissimi, con mente serena, fede incrollabile e animo grande, siamo pronti a fare la volontà di Dio. Cacciamo la paura della morte, pensiamo all'immortalità che essa inaugura. Mostriamo con i fatti ciò che crediamo di essere.
    Dobbiamo considerare e pensare spesso che noi abbiamo rinunziato al mondo e nel frattempo dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!
    Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l'esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti. Affrettiamoci con tutto l'entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente."
    (San Cipriano di Cartagine, "De mortalitate")

    "Al di fuori della Chiesa non vi è salvezza"
    (San Cipriano di Cartagine, "Epistula 4" e "Epistula 73")
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    Sono un clandestino nel Regno dei Cieli

  10. #20
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    Predefinito Rif: La Voce dei Padri e dei Dottori II

    "Gli artefici di errori non cerchiamoli, oggi, tra i nemici dichiarati. Essi si nascondono nel seno e nel cuore della Chiesa!"
    (San Pio X)
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