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  1. #21
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    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    Non tutto quello che dice Vinciguerra mi convince e mi ha convinto. Comunque le sue analisi sono interessanti, precise e ragionate. Apre uno squarcio sul cosiddetto mondo neofascista, i suoi legami occulti e la strategia della tensione.

    Ottimo Avamposto per questi post.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  2. #22
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    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    É stato imprescindibile per togliere la maschera al mitizzato neofascismo.
    L'odio anti-comunista (come l'anti-fascista) alla fine serve per appoggiare, per rinforzare il sistema dominante.
    Per quel motivo alcuni appoggiamo la lotta trasversale contro il gran nemico.
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  3. #23
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    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    Vinciguerra è odiato dalla destra radicale perchè è stato un uomo di coraggio,si è accorto dell'inganno atlantista
    e ha parlato denunciando i capi,non è una spia come molti dicono,anzi ha premesso che mai avrebbe denunciato(e così ha fatto) i giovani camerati che sbagliando entrarono nei movimenti "eversivi"(i quali capi oggi vivono liberi come quelli del ultrasi(o)nistra).
    Quando sentii le sue tesi la prima volta lo presi per pazzo,avevo sempre creduto in un neofascismo contro lo stato.
    Poi seppi dell'appoggio ai colonelli greci(spacciati tuttoggi per antiamericani!!!!!),a Pinochet burattino della CIA,alla NATO.
    Seppi del MSI atlantista..etc etc etc
    E iniziai a riflettere.

  4. #24
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    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    Ovviamente ci vorrebbe un Vinciguerra pure per la si(o)nistra radicale.
    Tuttoggi strani individui di movimenti ambigui che puzzano di zolfo ci parlano di BR tutto sommato oneste
    e in buona fede(quindi contro lo stato) e tirano fuori
    assurde teorie di "fasi" delle BM(brigate mossad).
    E sufficiente vedere che fine hanno fatto i capoccia
    della sinistra c.d operaista e quelli che contavano,mentre
    i militanti tonti stanno in galera fine pena mai...
    Ha ragione chi disse che il terrorismo(quello italiano sopratutto) non ha mai torto un capello al sistema..anzi
    lo ha rafforzato.

  5. #25
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    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    Citazione Originariamente Scritto da ULTIMA LEGIONE Visualizza Messaggio
    Non tutto quello che dice Vinciguerra mi convince e mi ha convinto. Comunque le sue analisi sono interessanti, precise e ragionate. Apre uno squarcio sul cosiddetto mondo neofascista, i suoi legami occulti e la strategia della tensione.

    Ottimo Avamposto per questi post.
    Beh chiaramente non è il vangelo..

  6. #26
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    LA ZONA GRIGIA




    Da sempre, nell'analisi della guerra politica italiana e nella ricostruzione degli avvenimenti che l'hanno contraddistinta è stato trascurato a torto il ruolo dell'amministrazione penitenziaria. Non sono mancati gli episodi eclatanti, dall'omicidio di Gaspare Pisciotta a quelli di Michele Sindona,Ermanno Buzzi, Carmine Palladino, solo per citarne alcuni, i più noti. Ma esistono mille e mille indizi sulla partecipazione dei carcerieri italiani, guidati - ed è bene ricordarlo - da magistrati, nella guerra sporca che lo Stato conduce contro i suoi avversari, specie se in grado di svelarne le responsabilità. I carcerieri, come i loro custoditi, non hanno senso morale e, men che meno, quello della legge, del diritto, del dovere compiuto nel rispetto delle regole ufficialmente stabilite dal Parlamento. Persuasi che in carcere valgono solo le loro regole e la loro legge che coincidono perfettamente con quelle della criminalità organizzata con la quale, difatti, hanno uno stabile e cordiale rapporto, i carcerieri hanno una sola preoccupazione ed un unico obiettivo: favorire chi comanda. Nel mondo circoscritto in cui vivono, protetti dall'ombra dell'anonimato di cui si avvalgono come mezzo di difesa, sono impermeabili alle critiche e, perfino, al disprezzo dell'opinione pubblica. Come amministrazione dello Stato guidata da magistrati, sanno di poter contare sulla copertura ad oltranza della magistratura inquirente, sempre attenta e vigile nel difendere un "decoro ed un prestigio" che sono solo teorici. Anche noi abbiamo sempre trascurato, colpevolmente, il ruolo della amministrazione penitenziaria nella sordida lotta che lo Stato e il regime hanno impegnato contro chi afferma verità non gradite, pericolose per chi detiene il potere. I carcerieri di Opera non sono dissimili dai loro colleghi di altri istituti di pena. In questo carcere, difatti, si ritrovano tutti gli elementi per confermare il ruolo dei carcerieri nella guerra politica ancora in corso. E' emblematico che in questo istituto sia ristretto,dal 1987, Mario Moretti. Il presunto capo delle Br. ha trovato nei fedeli esecutori di ordini ministeriali del carcere, coloro che lo hanno premiato per la codardia del suo comportamento. Così che un uomo che ha la responsabilità morale nella morte di alcune centinaia di persone e in quella di decine dei suoi compagni, che ha materialmente sparato su Aldo Moro, è stato servito con ossequio e deferenza dai carcerieri di Opera. Ristretto al centro clinico del carcere, benché di sana e robusta costituzione fisica, perché troppo importante per metterlo nelle sezioni comuni, Mario Moretti è stato omaggiato e riverito come si deve dai secondini del carcere, timorisissimi della sua ira, perché non andava importunato né provocato. I cosiddetti operatori civili del carcere, hanno redatto per lui relazioni in cui asserivano che meritava tutti i benefici: arrestato nell'aprile del 1981, il Moretti inizia ad andare in permesso premio nel 1993, quattro anni dopo otteneva la semi-libertà, il lavoro necessario aveva provveduto il carcere a procurarglielo inserendolo, con mansioni dirigenziali, nella Lombardia informatica, di cui è ancora oggi intoccato ed intoccabile dirigente, avendo risolto ogni suo problema, compreso quello della pensione. Si potrà obiettare che se agli ordini di favorire in tutti i modi Mario Moretti per premiarle la squallida omertà con lo Stato, si sono piegati i giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano, non potevano fare diversamente i secondini, ma il giudizio negativo rimane sui primi e sui secondi. Ad Opera, è stato ristretto anche Gilberto Cavallini, uno dei delinquenti dei Nar, pluricondannato all'ergastolo, arrestato nel 1983, indiziato per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, che ha instaurato con i carcerieri un rapporto ottimo. Certo, non ha avuto i privilegi concessi a Mario Moretti, si è degradato a fare ammenda delle sue colpe, ha chiesto perdono a tutti, ma è riuscito ad ottenere i benefici di legge nel giro di quindici anni. Per questi secondini di Opera, Cavallini era un "bravo ragazzo", che continuava a favorire con la sua dissociazione lo Stato e che, di conseguenza, meritava un trattamento corretto che gli consentisse di uscire dal carcere quanto prima possibile. Peccato, che Cavallini simulava la buona condotta, non per ragioni politiche, ma come tutti i delinquenti: per guadagnare, una volta scarcerato, le palanche necessarie a mantenere un alto livello di vita. Resta il fatto, provato dalle relazioni dei carcerieri che l'umile dissociato Cavallini, qui a Opera ha avuto vita facile e comoda. Dal 19 dicembre 1993, in questo carcere, chi scrive l'ultimo scontro verbale con un secondino l'ha avuto il 22 luglio 2010. Sì, perché da oltre sedici anni e mezzo è cura dei dirigenti del carcere aizzare i secondini per mantenere, un costante clima di tensione con chi scrive che, peraltro, li ricambia come meritano. Se questo è il comportamento spicciolo, quello dei secondini di basso livello dal commissario in giù, raccontare quello che hanno fatto su altri piani sarebbe lungo. I reati commessi nell'arco di soli due anni, li vedono protagonisti di sottrazione di corrispondenza, falso, calunnia, interesse privato in atti di ufficio, abuso di autorità, omissioni in atti di ufficio ecc. ecc. Non si può dare verità al popolo italiano mantenendo l'omertà con lo Stato delinquente e terrorista e questa scelta, ovviamente, provoca la reazione dei secondini e di quanti li comandano. Le prove sono tante e tutte documentabili. Per limitarci all'ultimo periodo, è sufficiente ricordare che il direttore dell'istituto,Giacinto Siciliano, non ha concesso alla giornalista de "Il Messaggero" di Roma, Antonella Stocco, di venire a colloquio. Un rifiuto che non ha nemmeno motivato. Siciliano, difatti, si sente un secondino potente, tant'è che risulta indagato per aver cercato di favorire gli ufficiali del servizio segreto militare, in una indagine antimafia, a scapito dei funzionari della Direzione investigativa antimafia. Se il direttore è amico degli amici del servizio segreto militare, l'attuale direttore generale dell'amministrazione penitenziaria non è da meno. Franco Ionta, al Tribunale di Roma, ha sempre svolto inchieste delicate, nelle quali erano in qualche modo implicati i servizi segreti che dalle sue indagini non hanno mai subito danno alcuno. Quando, i dirigenti della procura della Repubblica affidarono proprio a Ionta l'incarico di condurre l'inchiesta sulla struttura segreta "Gladio", i suoi colleghi insorsero e pretesero che questa fosse svolta da un pool di magistrati. Franco Ionta sicuramente ricorda, perché lo ha scritto lui insieme ad altri, che a partire dal 6-7 agosto 1984, il Sismi ha distrutto decine di documenti classificati per neutralizzare le conseguenze derivanti dalle mie dichiarazioni. Ora che è direttore generale, Franco Ionta si preoccupa di impedire che io possa proseguire nella battaglia per la verità che tanto male fa allo Stato che lo ha premiato. Uno dei modi per guadagnarsi lo stipendio, Ionta lo ha fatto vedere qualche mese fa, quando un anonimo (per ora) funzionario del Dap ha rifiutato al giornalista Andrea Sceresini ed ai suoi colleghi, autori di un libro nel quale riportano le eclatanti dichiarazioni del generale Gianadelio Maletti (Piazza Fontana. Noi sapevamo - Aliberti editore - Roma), la possibilità di venireper un'intervista. La motivazione spiega tutto: "Non si ritiene opportuno consentire al detenuto di proseguire nelle rivelazioni sui fatti di cui è stato protagonista". Ma come, non è Giorgio Napolitano che ad ogni occasione afferma che lo Stato cerca la verità? Non sono Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Renato Schifani ad inviare telegrammi di solidarietà ai familiari delle vittime del "terrorismo"? Non sono Pierluigi Bersani ed i suoi compagni a dire che la verità sulla storia italiana è una priorità? Come si spiega, quindi, l'interesse di Franco Ionta e dei suoi subalterni ad ostacolare le "rivelazioni" sulla guerra politica? A parte il tono della sgangherata nota ministeriale che confonde le ricostruzioni storiche che tanto male hanno fatto ai servizi segreti militari e civili italiani,con "rivelazioni" che fanno intendere inesistenti intenti collaborativi che mai ci sono stati, è la prova del ruolo di Franco Ionta, oggi, e dell' amministrazione penitenziaria sempre, nell'ostacolare, a tutti i costi, l'accertamento della verità. Il mio nome è stato accostato, in questa nota, alla strage di piazza Fontana. Se la notizia troverà conferma, Ionta risponderà in prima persona del reato di calunnia, così gli altri suoi correi. In fondo, quello che è mancato per far conoscere all'opinione pubblica il ruolo dell'amministrazione penitenziaria contro la verità, la Nazione ed il popolo, è un processo pubblico. Se le cose stanno così, se si riuscirà a vincere le resistenze della magistratura, un bel processo per calunnia a Franco Ionta ed ai suoi secondini potrà servire allo scopo. Per ora, ci accontentiamo della prova fornita dall'arroganza di Ionta e colleghi, di come lo Stato cerchi in tutti i modi, leciti ed illeciti, di ostacolare l'accertamento della verità sui delitti che ha commesso durante la guerra politica. Questo, da solo, non può portare ad una condanna penale, ma il giudizio politico e morale si può pronunciare, utilizzando le prove che i secondini di alto e basso livello forniscono, convinti che mai saranno chiamati a rispondere del loro operato. Dinanzi ai Tribunali magari non ci finiranno mai, ma dinanzi a quel Tribunale che è l'opinione pubblica sì, con i loro nomi e cognomi perché i nemici della verità vanno conosciuti e denunciati, così che, in futuro, nessuno possa dire di non sapere.





    Vincenzo Vinciguerra, Opera 11 agosto 2010 (DATA DI PUBBLICAZIONE)



    La zona grigia

  7. #27
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    STATO DI POLIZIA



    Si parla molto di legalità, in un periodo in cui è stato obbligato, a dimettersi il ministro Claudio Scajola, poi il ministro Brancher, infine il sottosegretario Cosentino. Il tradimento di Gianfranco Fini nei confronti di Silvio Berlusconi, lo ha condotto a riscoprire strumentalmente la questione morale ma non a prendere le distanze, per esempio, da Marcello Dell'Utri, cofondatore del partito in cui milita, condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Fra tanto tuonare di voci indignate per il dilagare della corruzione in politica, che poi rappresenta un problema presente fin dalle origini della Repubblica, nessuno si è accorto,o meglio tutti hanno fatto finta di non accorgersi che i corpi di polizia dello Stato hanno ormai raggiunto un potere superiore a quello della stessa classe dirigente politica. L'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, il 17 giugno è stato condannato dalla Corte di appello di Genova ad 1 e 4 mesi di reclusione per aver indotto l'ex questore Francesco Colucci a dichiarare il falso in fatti relativi agli incidenti verificatisi nel luglio del 2001, durante il G.8. Qualche settimana dopo, il generale dei carabinieri Giampaolo Ganzer è stato condannato a 14 anni di reclusione per reati vari, compreso il traffico di stupefacenti. De Gennaro è, attualmente, ai vertici dei servizi di sicurezza, Ganzer è il comandante dei reparti operativi speciali dei carabinieri, tutti e due sono rimasti al loro posto. Neanche nelle dittature sudamericane, appartenenti ai corpi di polizia rimanevano al loro posto se condannati da un Tribunale, per la semplice ragione che le sentenze della magistratura non possono essere disattese, che esse esigono rispetto che dovrebbe essere maggiormente avvertito da quanti, come i poliziotti, sono rappresentanti della stessa legge per la cui violazione sono stati prima rinviati a giudizio, e poi condannati, anche se non ancora con sentenza passata in giudicato. In un Paese in cui la detenzione preventiva dimostra come per i cittadini italiani la "presunzione d'innocenza" sia solo retorica, il fatto che essa debba valere solo per i politici, gli esponenti della finanza, gli amici e gli amici degli amici, ed ora anche per dirigenti della polizia e dei carabinieri, è offensivo per quanti si illudono che la legge sia uguale per tutti. Non lo è, lo sappiamo. Non potrà mai esserlo se dinanzi a due sentenze di condanna, gli imputati rimangono al loro posto protetti e coperti dai Corpi di appartenenza e da una classe politica, per una volta compatta nell'esibizione dell'arroganza e dell'ingiustizia. Viene da pensare che questa classe politica, tutta, senza eccezioni, è sotto il ricatto dei Corpi di polizia che hanno visto accrescere, nel tempo, il loro potere fino a divenire i giudici di sé stessi. A che serve ormai mantenere un ordine giudiziario che riesce ad esercitare il suo potere solo sui ladri di polli? Il grottesco di assistere allo spettacolo dei trafficanti di stupefacenti arrestati da un condannato a 14 anni di reclusione per traffico di stupefacenti non lo coglie nessuno? Il Comando generale dell'Arma dei carabinieri non è una Corte di appello, non ancora almeno. Crede nell'innocenza del generale Giampaolo Ganzer, ma la sua fiducia non fa testo dinanzi ad una condanna a ben 14 anni di reclusione. Gianni De Gennaro e Giampaolo Ganzer avrebbero già dovuti essere allontanati dai loro incarichi se non proprio quando sono stati indagati (come sarebbe stato giusto), almeno quando sono stati rinviati a giudizio. Invece, rimangono al loro posto perfino dopo essere stati condannati rispettivamente, in appello e in primo grado. C'è guanto basta per giudicare come la "questione morale" sia un problema sul quale nessuno fra i politici e i rappresentanti di questo Stato possa ancora parlare ed essere creduto. In un Paese in cui è stato fatto un condono solo per far uscire dalla galera Cesare Previti, in cui i mafiosi fanno le leggi anti-mafia, i secessionisti sono installati al vertice del ministero degli Interni, i carabinieri condannati per droga arrestano drogati, le parole non bastano più. Serve un'azione politica che parta dal basso, dai cittadini comuni, tassati, vessati, beffati, derisi ed oppressi, che mandi a casa politici e capi della polizia, amministratori e generali dei carabinieri.
    A casa o in galera.


    Vincenzo Vinciguerra, Opera 9 agosto 2010 (DATA DI PUBBLICAZIONE)



    Stato di polizia

  8. #28
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    SANGUE E SOLDI




    E' un binomio che sorge con la democrazia e la Repubblica. E con esso l'uso politico della verità per ricattare questo o quel gruppo avversario perché si pieghi ad un compromesso o accetti uno scambio. La vicenda dell' "oro di Dongo" è emblematica del metodo adottato dagli uomini della Democrazia cristiana per costringere i loro avversari ad accettare le loro imposizioni. Anche l' "oro di Dorigo" rimane uno dei misteri italiani mai risolti, mai chiariti e destinati per chissà quanti ancora a restare oscuri, relegati in quel mondo di ombre che è la Repubblica italiana. parte i morti fascisti,da Benito Mussolini e Claretta Petacci a tutti i componenti del governo della Rsi catturati da Dongo, ci sono i partigiani assassinati perché sapevano troppo sulla fine del tesoro mussoliniano caduto nelle mani dei "garibaldini", insieme a documenti scomparsi per sempre. In un momento in cui il contrasto del Pci era prioritario per la Democrazia cristiana, viene avviata un'inchiesta da parte della procura militare per fare luce su quel mistero che, se risolto, potrà avere conseguenze negative devastanti per il Partito comunista ed il suo segretario nazionale, Palmiro Togliatti. Quando si votò all'Assemblea costituente per l'inserimento del Concordato fra Stato e Chiesa, voluto dal regime fascista l'11 febbraio 1929, Palmiro Togliatti impose ai suoi compagni di votare a favore, cosa che fecero quasi tutti solo per disciplina di partito. Si parlò subito di uno scambio fra Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti che qualcuno indicò esplicitamente in un "Dongo ut des", il voto a favore dell'inserimento del Concordato nella Costituzione in cambio della chiusura dell'inchiesta avviata dalla procura militare. Il leader democristiano, De Gasperi, ha sempre negato con decisione che ci sia stata una trattativa con Togliatti sul punto e, tantomeno, che ci sia stato un accordo relativo all'inchiesta sul "tesoro di Dongo". Ma, rimane incontestabile il fatto che l'ufficiale incaricato di condurre l'inchiesta venne rimosso dal suo incarico, il giorno successivo alla votazione a favore dell'inserimento del Concordato, e che dell'inchiesta sul "tesoro di Dongo" non se ne parlò più. Come non ricordare, poi, il caso della morte di Wilma Montesi utilizzata per una faida interna alla Democrazia cristiana e colpire uno dei suoi maggiori esponenti, Attilio Piccioni? Non può, quindi,sorprendere che su quanto accaduto nel corso della guerra politica scatenata in Italia dal regime democristiano e dai suoi alleati, nell'ambito di una strategia imposta dagli Stati uniti e dall' Alleanza atlantica, il sangue sia divenuto merce di scambio e di ricatti all'interno dello schieramento politico. La magistratura italiana ha sempre escluso, a priori, la conoscenza da parte dei politici italiani intruppati nei partiti rappresentati in Parlamento della verità sulla guerra politica e sui più sanguinosi episodi che l'hanno contraddistinta. I fatti l'hanno smentita. L'ex ministro degli Interni e della Difesa, Paolo Emilio Taviani, ha dimostrato di conoscere la verità sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e su quella dell'Italicus, del 4 agosto 1974, di cui fa cenno, riferendosi a quest'ultima, nel suo libro di memorie fatto pubblicare post mortem. Sulla conoscenza da parte di Arnaldo Forlani della verità sul massacro del 12 dicembre 1969, la testimonianza resa dal generale Gianadelio Maletti al giornalista Andrea Sceresini ed ai suoi colleghi, pubblicata nel loro libro, "Piazza Fontana.Noi sapevamo", fuga ogni dubbio. La decisione di negare l'appartenenza al Sid di Guido Giannettini, giornalista de "Il Secolo d'Italia", fu presa dai vertici politici nel corso di una riunione dapprima affermata e, poi, negata da Giulio Andreotti. E sarà proprio quest'ultimo, degno allievo di Alcide De Gasperi, a dichiararsi favorevole all'abolizione del segreto di Stato, per dare modo agli imputati e agli "imputandi" nel processo per la strage di piazza Fontana di difendersi meglio. Una minaccia esplicita, un ricatto che solo chi conosce la verità in ogni suo particolare può fare. Romano Prodi viene a conoscenza del "covo" delle Br, in via Gradoli a Roma, nei primi giorni di aprile del 1978, ma s'inventa una seduta spiritica per coprire l'identità del suo informatore. E quando il suo collega di partito, Francesco Cossiga, manda le forze di polizia nel paese di Gradoli, invece che in via Gradoli dove il servizio segreto civile ha addirittura uffici coperti, Prodi tace, perché comprende che Aldo Moro deve morire. E continuerà sempre a tacere, sempre la sua colpevole omertà ostacoli una brillante carriera politica che lo vedrà giungere fino alla presidenza del Consiglio.Enrico Berlinguer, Gian Carlo Pajetta, Paolo Bufalini, altri dirigenti nazionali e periferici del Pci vengono a conoscenza di quella che sarà la strage di via Fatebenefratelli, a Milano, il 17 maggio 1973, con due giorni di anticipo.
    Fanno i loro passi per evitarla rivolgendosi ai loro interlocutori istituzionali nella magistratura e nel ministero degli Interni, ma quando la strage avviene egualmente non avvertiranno la necessità morale e civica di rivelare quanto hanno saputo, proteggendo con il loro silenzio mandanti, organizzatori ed esecutori materiali.Giorgio Almirante, Pino Rauti, Mario Tedeschi vengono a conoscenza della verità sull'attentato di Peteano di Sagrado nell'ottobre del 1972, ma non la diranno mai. Mario Tedeschi ed altri esponenti di "Democrazia nazionale", come abbiamo visto in un precedente articolo, la utilizzeranno a fini di ricatto nei confronti di Giorgio Almirante nel 1978 in accordo con quei dirigenti democristiani che, unici, potevano ordinare al direttore del Sismi, generale Giuseppe Santovito, di far riaprire l'inchiesta. Franco Maria Servello, Ignazio Larussa ed altri dirigenti nazionali e milanesi del Msi sono i protagonisti dell'aprile di sangue del 1973, a Milano. Reiterando lo schema operativo adottato il 12 dicembre 1969, il missino Giancarlo Rognoni predispone una strage, questa volta sul treno Torino-Roma, il 7 aprile 1973, da attribuire a "Lotta continua" per motivare i violenti incidenti programmati per la manifestazione nazionale del Msi, a Milano, indetta per il 12 aprile 1973. La strage fallisce per l'incapacità di Nico Azzi, gli incidenti provocano la morte di un agente di Ps, ma "Il Secolo d'Italia", il giorno successivo scriverà che erano stati provocati da "infiltrati" comunisti nella manifestazione missina. Tutto questo si verifica nell'ambito del Msi di Milano. Ancora una volta, la magistratura escluderà la responsabilità dei politici missini nell'intera operazione circoscrivendola ai soli manovali (Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Maurizio Murelli ecc.) ma il dubbio è doveroso. Tanto più che quando muore il mancato stragista Nico Azzi, a rendergli omaggio, presentandosi ai suoi funerali,ci sarà proprio Ignazio La Russa, ormai antifascista, ma evidentemente grato al suo "camerata" di un tempo. Francesco Cossiga, il "picconatore" della "Repubblica, si è degnato di parlare della strage di Ustica del 27 giugno 1980, solo dopo che è passata in giudicato la sentenza assolutoria nei confronti dei generali dell'Aeronautica accusati di aver depistato le indagini. Ma, da quanto tempo Francesco Cossiga conosceva questa verità che attribuisce ad aerei militari francesi la responsabilità di aver abbattuto un aereo civile, con 81 persone a bordo, nello spazio aereo italiano? Ministri degli Interni e della Difesa, segretari nazionali di partito, presidenti del Consiglio e della Repubblica hanno dimostrato di conoscere la verità sulla guerra politica italiana in ogni suo dettaglio, ma nessuno di loro ha mai sentito il bisogno di testimoniare dinanzi ad un Tribunale o alla Storia per raccontare ciò che conosce. La classe dirigente italiana non potrà mai confessare le sue colpe, ma questo popolo che ha massacrato, turlupinato e tradito potrà portarla,anche prescindendo da una magistratura asservita, sul banco degli imputati per emettere a suo carico, dinanzi al Tribunale della storia, una condanna senza appello.


    Vincenzo Vinciguerra, Opera 3 agosto 2010 (DATA DI PUBBLICAZIONE)



    Sangue e Soldi

  9. #29
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    TERRORISMO DI STATO




    Un poco alla volta, con lentezza estrema ma in modo inesorabile, il muro di fango eretto dal regime e dallo Stato per impedire alla verità sulla guerra civile italiana di emergere, si sfalda così che da un breccia si possa guardare all'interno e trovare conferma a quanto già si conosce.
    Perchè, in realtà, sono poche le zone d'ombra da illuminare sulla storia italiana degli anni Sessanta e Settanta e riguardano solo qualche episodio specifico,il nome di qualche "portatore di valigia", qualche organizzatore, poca cosa in fondo rispetto alle certezza che si sono raggiunte.
    Esiste una verità storica nettamente contrapposta a quella giudiziaria, volutamente circoscritta alla ricerca, individuazione e condanna dei responsabili materiali degli episodi più eclatanti e sanguinosi, che s'impone nonostante tutti gli ostacoli e fa,essa sì,giustizia, della pretesa che una parte dello Stato (la magistratura) possa e voglia, trovare le prove della responsabilità dello Stato negli "anni di piombo".
    Mezzo secolo non è stato sufficiente per obbligare il regime e lo Stato a riconoscere l'infamia di quanto hanno compiuto contro un popolo che avrebbero dovuto proteggere.
    Eppure, le prove ci sono da sempre, bastava non ignorarle e calpestarle com'è stato fatto per evitare che, oggi, il Paese sia ancora nelle mani dei responsabili di quel massacro, dei loro complici, dei loro eredi.
    Non c'era, invero, bisogno di attendere che il generale Gianadelio Maletti, ex responsabile dell'ufficio "D" del Sid, si decidesse a confermare che Ordine nuovo era una struttura alle dipendenze del Servizio segreto militare, perchè esistevano già, pubblici, tutti gli elementi per affermarlo e dimostrarlo.
    Le parole di Maletti confermano quello che da un quarto di secolo, senza pausa, andiamo affermando: non è esistito, in questo Paese, un "terrorismo nero" che si è contrapposto allo Stato in concorrenza con quello "rosso".
    Sono, viceversa, esistiti un terrorismo di Stato callidamente camuffato da "neofascismo", e un "terrorismo rosso" massicciamente infiltrato e largamente strumentalizzato dai servizi segreti italiani e stranieri.
    Stiamo provando,da queste pagine, che anche sul piano ideologico gli Evola, gli Almirante, i Rauti,i Borghese nulla avevano a che fare con il fascismo; che,sul piano storico, erano gli eredi di quella parte della classe dirigente del regime fascista che il 25 luglio ritenne di dover liquidare il regime per salvare la monarchia; che la destra è all'antitesi del fascismo e che il Movimento sociale italiano e le organizzazioni collegate (nessuna esclusa) hanno solo usato strumentalmente i simboli del passato regime per ragioni elettoralistiche e strumentali.
    Non ci illudiamo sul fatto che le "rivelazioni" del generale Gianadelio Maletti possano essere decisive per consolidare la verità, perchè la controffensiva dello Stato e del regime è già iniziata, utilizzando come al solito quello strumento d'infamia che è il potere mediatico e, manco a dirlo, la solita magistratura che è già pronta a incanalare, ancora una volta, la verità (che, peraltro,ha sempre negato) verso i lidi più favorevoli allo Stato e al regime.
    Maletti conferma quanto da noi sempre affermato e, cioè, che l'operazione del 12 dicembre 1969 non fu opera di un Franco Freda o di uno Stefano Delle Chiaie, bensì un'operazione complessa che ha coinvolto i vertici del Movimento sociale italiano, quelli del Fronte nazionale e di Ordine nuovo sotto la regia dei servizi di sicurezza impegnati a favorire i piani di quello schieramento politico antifascista ed anticomunista che era rappresentato dal presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.
    Verità difficile da far trionfare perchè abbiamo dinanzi due Italie che ad essa si contrappongono e che, a piazza Fontana, a Milano lo scorso 12 dicembre si sono chiaramente evidenziate: la prima che ha una sincera ansia di verità ma che la nega nel momento in cui insiste nel rifiutarsi di accettare che le stragi e il "terrorismo nero" portano il marchio dell'antifascismo di Stato e del regime; e l'altra che si esibisce alle commemorazioni promettendo ritualmente che lo Stato non cesserà mai di cercare la verità per rispetto alle vittime del "terrorismo",ovviamente "nero".
    Avrebbe potuto, e a nostro avviso dovuto, esserci una terza Italia, quella di coloro che del terrorismo di Stato sono state le vittime ma, siccome i morti non hanno parola, i loro familiari vivi hanno scelto di stare dalla parte dello Stato assassino e stragista fingendo di credere che da esso e dalla sua magistratura possano venire fuori le piccole verità relative agli esecutori materiali degli attentati.
    Quando anche avessero i nomi (e alcuni li hanno) e alcune condanne, sarebbero ipocriti a gridare di aver ottenuto giustizia e verità, perchè i mandanti sono gli stessi che ufficialmente li sostengono e li appoggiano: sono nel Parlamento italiano, ai vertici dello Stato che guida i servizi di sicurezza, dello Stato maggiore difesa, della Nato e così via.
    Sono gli stessi che, ancora oggi,proteggono Franco Freda, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie e i loro amici e colleghi, perchè lo Stato non si può consentire di abbandonare al loro destino gli organizzatori e gli esecutori materiali degli attentati più sanguinosi.
    Lo Stato ed il regime, insieme al potere mediatico e giudiziario, organizza e conduce una sola battaglia: quella di coprire la verità anche attraverso il linciaggio morale e fisico di chi la verità la dice senza secondi fini.
    Non è certo un caso che a questo linciaggio si siano prestati anche familiari delle vittime delle stragi.
    L'attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, era componente della direzione nazionale del Partito comunista nel dicembre del 1969, ma nulla ha mai detto su quello che i vertici comunisti di allora, collegati ai servizi segreti sovietici e quindi in grado di avere informazioni preziose ed importanti, hanno saputo.
    Giorgio Napolitano era ai vertici del Partito comunista, quando Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta e Paolo Bufalini vennero informati che gli stragisti veneti avevano preparato un attentato contro Mariano Rumor il 17 maggio 1973.
    Il Partito comunista non fece nulla per impedire quella strage. Fece di peggio: depistò le indagini tacendo ciò che aveva saputo e garantendo impunità agli organizzatori e ai mandanti di Gianfranco Bertoli.
    Certo, non esistono elementi per affermare che Giorgio Napolitano sia venuto a conoscenza del retroscena di quella strage prima che avvenisse e successivamente, ma non è certo una coincidenza che lui i familiari delle vittime di quella strage non li ha voluti incontrare.
    Quando nel 2008, il 17 maggio, incontrò nel cortile della Questura di Milano Gemma Calabresi per consegnarle la medaglia d'oro alla memoria del marito, il commissario di Ps Luigi Calabresi, la cerimonia per ricordare le vittime della strage compiuta dal confidente del Sid Gianfranco Bertoli la fece svolgere nel pomeriggio, provando che per lui esistono morti di serie "A" e di serie "B".
    Non li ha incontrati, non ha chiesto loro perdono a nome dei suoi compagni di partito che non avevano fermato la mano assassina e, poi, avevano per sempre taciuto la verità che ben conoscevano. E questo sarebbe l'uomo, il politico, il presidente della Repubblica che auspica il trionfo della verità su piazza Fontana? E' stato ministro degli Interni e a chi si era illuso che un comunista potesse fare a favore della verità quello che i ministri democristiani non avevano mai fatto, Giorgio Napolitano disse: "Non sono qui per aprire armadi".
    E' ovvio che hanno fatto proprio lui presidente della Repubblica. Lunga, quindi, è ancora la battaglia per giungere alla verità sul terrorismo di Stato, camuffato da "terrorismo nero", perche è in gioco la sopravvivenza stessa del regime, la solidità delle sue alleanze internazionali con gli Stati uniti, la Nato ed Israele.
    Abbiamo sempre detto che la vera questione morale dell'Italia era proprio quella relativa agli anni cosiddetti di piombo ed al ruolo in esso rivestito dallo Stato e dal regime.
    Lo ribadiamo, ancora volta, una volta di più.


    Vincenzo Vinciguerra, Opera 14 dicembre 2009


    Terrorismo di Stato

  10. #30
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Vincenzo Vinciguerra - Ergastolo per la Liberta'

    LA POLITICA DEI SERVI




    Nessuno mette in dubbio il livello culturale di Julius Evola, il valore di certe sue opere, ma proprio la sua vastissima erudizione lo conduce sul banco degli imputati in quello che è un processo che la storia farà a quanti, pur proclamandosi eredi del fascismo, sia pure con le riserve espresse dallo stesso Evola, invece di condurre una battaglia politica intesa a restituire all'Italia la libertà e la sovranità che erano andate perdute con la sconfitta militare e l'armistizio dell'8 settembre 1943, ne ha fatta una di segno contrario, finalizzata cioè ad asservire sempre di più l'Italia alla potenza egemone ed ai suoi alleati.
    Non si può scindere la responsabilità di Evola da quella degli Almirante, dei Michelini, dei Borghese, dei De Marsanich, solo perchè questi erano impegnati nella vita politica attiva e lui era l'intellettuale del gruppo.
    Evola assume le caratteristiche di un ideologo, quindi ha pari se non maggiori responsabilità in quella che è stata la lenta, sistematica mistificazione della storia e delle idee del fascismo ad uso e consumo del regime e dello Stato antifascisti.
    Evola ha anche la colpa di aver creato l'illusione che lo Stato fosse qualcosa di diverso e di separato dal regime politico, al punto di auspicare, addirittura, la creazione di "forze a disposizione" da inserire nelle strutture segrete dello Stato per fronteggiare un pericolo che il patto di Yalta ha sempre escluso, per 1' Italia.
    All'agente del Sifar, poi Sid, quindi Sismi ecc. Giuseppe Rauti, detto "Pino", e a tutti quelli che come lui hanno ritenuto di "combattere" il comunismo inserendosi nelle strutture segrete dello Stato non in veste di ufficiali bensì di confidenti ed informatori e di manovalanza per le operazioni sporche, l'alibi lo ha fornito anche Julius Evola.
    Lo scomposto e volgare attacco di Julius Evola a Giorgio Pini nella primavera del 1971 trae origine e motivazione nel fatto che la Federazione nazionale combattenti della Rsi, di cui Pini era presidente, è stata la sola organizzazione a denunciare, prima che questa avvenisse l'operazione del dicembre 1969 e, successivamente, 1'avvenuto tentativo di "golpe" del dicembre 1970.
    Evola esprime il rancore ed il livore di un ambiente che fingeva di credere che la creazione di uno "Stato forte" contro il comunismo potesse rappresentare per l'Italia la soluzione per ogni suo male.
    Nella denuncia della Federazione nazionale combattenti della Rsi, nel novembre del 1969, della preparazione di un "colpo di Stato reazionario" ed il suo appello a non aderirvi, e nella reiterata richiesta di Julius Evola di mettersi a disposizione dello Stato maggiore della Difesa e delle Forze armate dello Stato antifascista, vi è la contrapposizione netta fra due mondi e due scelte che gli scritti di Evola non possono e non debbono cancellare.
    Se 1'Italia ha conosciuto episodi sanguinosi come la strage di piazza Fontana lo deve all'antifascismo al potere e agli "evoliani" alla Rauti che, con la benedizione del "maestro", se ne stavano intruppati negli organismi segreti dello Stato.
    Oggi che, finalmente, un personaggio come il generale Gianadelio Maletti, ex responsabile dell'Ufficio "D" (sicurezza interna) del

    Sid riconosce che Ordine nuovo era una struttura alle dipendenze del servizio segreto militare, le esortazioni di Julius Evola divengono a suo carico atti di accusa che i suoi libri non potranno mai cancellare.
    L'Italia dovrà, un giorno, riconoscere che, se nell'estate del 1969, a lanciare l'allarme su un possibile colpo di Stato conservatore è stato l'editore Giangiacomo Feltrinelli, qualche mese più tardi lo fecero i reduci della Repubblica sociale italiana, fascisti senza aggettivi o virgolette.
    La colpa è di chi fece cadere quell'appello nel vuoto, prima, e lo ha sempre ignorato per non dover ammettere che a porsi contro la strategia delle stragi erano i fascisti, mentre gli altri i fautori dei "colonnelli" erano solo i servi dell'antifascismo, strumentalmente camuffati da "nazisti" et similia.
    E sarà ancora la Federazione nazionale combattenti della Rsi a rivelare l'avvenuto "golpe" del 7/8 dicembre 1970, diretto da Junio Valerio Borghese con 1'assenso e la benedizione degli Stati uniti e di Israele.
    Sì, proprio Israele aveva, garantito l'immediato riconoscimento diplomatico al governo che sarebbe sorto dal "golpe" della"notte della Madonna", a conferma che di fascista in quel tentativo non c'era proprio niente.
    L'attenzione verso l'ambiente militare mostrata da Julius Evola è semplicemente grottesca. Se forza nazionale ha tradito ogni dovere e la Nazione queste sono state proprio le Forze armate italiane i cui vertici, l'8 settembre 1943, ebbero solo la preoccupazione di scappare come conigli e, dopo la fine della guerra, di evitare in ogni modo e ad ogni costo di essere estradati nei paesi come la Jugoslavia, la Grecia, l'Albania, l'Unione sovietica, dove li attendeva un cappio al collo e, se andava bene, un plotone di esecuzione.
    Non sappiamo ancora quale fu il prezzo che le gerarchie militari pagarono per salvarsi la vita, ma sappiamo che, in questo Paese, se c'è forza inaffidabile per riprenderci sovranità nazionale e libertà queste sono proprio le Forze armate e i corpi di sicurezza dello Stato che sulla "doppia fedeltà" all'Italia e alla Nato pongono l'accento su quest'ultima che, unica, garantisce stipendi e carriera.
    Quando Julius Evola straparlava dei "paras", la Brigata "Folgore" era comandata dal generale Alberto Li Gobbi, medaglia d'oro al V.m. della Resistenza, componente dell'organizzazione spionistica "Franchi" diretta da Edgardo Sogno, il cui fratello Aldo era stato ucciso dai tedeschi.
    Doveva essere il generale Li Gobbi, in nome ed in memoria di suo fratello, a portare al governo i "fascisti" alla Borghese e alla Rauti?
    L'Italia è terra di cultura. Tanti sono gli italiani che, nei secoli, hanno brillato per ingegno ma quanti hanno posto la loro intelligenza al servizio di una giusta causa e quanti, viceversa, se ne sono serviti per raggiungere scopi personali, per adulare i potenti di turno, per motivazioni tutt'altro che nobili?
    Ecco, Julius Evola è stato un uomo d'ingegno che sarebbe stato rispettabile se si fosse dedicato solo ai suoi studi.

    Non lo ha fatto. E' sceso nel campo politico con il compito di convincere i giovani che, finita l'esperienza del fascismo, la stella polare era lo Stato che, però, è una macchina burocratica che assume il colore di chi comanda. E dal 25 aprile 1945 a comandare in Italia è l'antifascismo in tutte le sue forme, quindi Evola ha fatto tanto per mettere i giovani a disposizione dello Stato che non hanno servito come antifascisti, bensì come "fascisti" perchè al regime,di cui lo Stato è servitore,serviva creare la leggenda degli "opposti estremismi": il "nazista" Rauti, da un lato, il "compagno" Sofri, dall'altro.
    Oggi sappiamo che Rauti era uno spione e che a Sofri il prefetto Umberto Federico D'Amato, direttore del servizio segreto civile, andava a proporre (chissà perchè proprio a Sofri?) di ammazzare i compagni dei Nap.
    La distinzione fra lo Stato e il regime, con il primo contrapposto al secondo, è falsa. Poteva non saperlo un uomo di così elevata cultura come Julius Evola?
    Lo sapeva, ed ha mentito e consapevolmente ingannato quanti, giovani, credevano in lui, che comunque, sia chiaro, tanto bene hanno appreso gli insegnamenti del "maestro" che l'unico evoliano che resterà nella cronaca italiana è Angelo Izzo, dinanzi al quale si sono inchinati tanti ammiratori del "maestro" riconoscendo in lui lo "spirito libero" di evoliana ispirazione.
    Aveva ragione Hermann Goering.


    Vincenzo Vinciguerra, Opera 17 dicembre 2009


    La politica dei servi

 

 
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