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    Predefinito la questione storica dell Alto Adige e dell'Italia

    Fonte e diritti riservati: Limes

    Dario Fabbri

    1. L’Italia non può abbandonare l’Alto Adige. Ne va della sua realizzazione strategica. Giunta nel 1919 sulla cima delle Alpi Retiche, in seguito alla sconfitta subita nella seconda guerra mondiale ha dovuto accettare un compromesso al ribasso che le consentisse di mantenere il territorio. Da allora Roma possiede la regione ma non può annetterne la popolazione. Perché qui vive una comunità in larga parte allogena, refrattaria all’italianizzazione, culturalmente intrinseca alla confinante Austria. Incompiutezza derivata dalla dimidiata sovranità di cui dispone il Bel Paese, incongruenza che ne che mina l’integrità territoriale. Eppure condizione irrinunciabile. Non solo per ragioni geografiche, che attribuiscono il Sud Tirolo alla sfera di influenza italiana. Sebbene non possa contare sulla fedeltà della comunità locale, qui Roma registra la sua massima estensione settentrionale, nonché la migliore condizione difensiva. Come previsto dalla grammatica militare, che impone l’acquisizione delle sommità orografiche. Come richiesto dal momento attuale, segnato dal deterioramento delle relazioni intraeuropee. Adesso che Vienna prova a sfruttare la situazione per rilanciare il proprio irredentismo e negare all’Italia il passo del Brennero. In un insidioso gioco a somma zero.

    2. Nel seminale Sunzi Bingfa (Il metodo militare del Maestro Sole), il polemologo cinese Sun Tzu postulava la necessità per le grandi potenze di conquistare la massima altitudine di una catena montuosa. Palesi le motivazioni tattiche di tanto proposito. Attaccare il nemico dall’alto garantisce una migliore visibilità, consente di stancarsi meno e di leggere in anticipo ciò che avviene a valle. Per questo ogni soggetto geopolitico persegue la superiorità orografica. La Russia possiede Cecenia, Inguscezia e Daghestan per sovrastare il Gran Caucaso. La Cina controlla il Tibet per governare l’Himalaya. La Romania ha strappato l’altopiano transilvanico all’Ungheria per scongiurare attacchi provenienti da ovest.

    Per l’Italia l’Alto Adige riveste una duplice rilevanza. Esiste nel suo spazio geo­grafico, ovvero sul versante meridionale delle Alpi, strumento essenziale del compimento territoriale della nazione. Inoltre, consente a Roma di accrescere la propria capacità militare, con il vantaggio di affrontare da posizione elevata eventuali offensive lanciate da nord. Al contempo, determinante fattore di consistenza unitaria e necessario traguardo strategico. Rilevanza oggi dimenticata dall’opinione pubblica e dal governo italiano, come lo era stata fino alla Grande guerra. Così in pieno irredentismo post-unitario i patrioti italiani reclamavano il Trentino (oltre che Trieste) per ragioni di appartenenza geografica e culturale, con il proposito di acquisire territori omofoni. Ma misconoscevano l’impellenza di giungere al Brennero. Influenti nazionalisti si dicevano favorevoli a spostare la frontiera alla Chiusa di Salorno, frazione della valle dell’Adige che al tempo segnava il passaggio tra gli spazi italofono e germanofono. Convinti che il Brennero fosse troppo tedesco per essere annesso. In barba a qualsiasi ragionamento geopolitico. Soltanto Cesare Battisti, autore di Il Trentino, definì «militarmente formidabile» la possibilità di conquistare l’attuale provincia di Bolzano.

    Fu l’esplodere del primo conflitto mondiale a mostrare la strategica urgenza di dominare le Alpi Retiche. Solo allora il governo italiano comprese che per ottenere tale risultato doveva rompere con l’Austria-Ungheria, padrona delle Alpi orientali. Nella primavera del 1915 il Regno d’Italia abbandonò gli Imperi centrali in favore della Triplice intesa e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino ottenne dai nuovi alleati la promessa di annessione del Tirolo cisalpino, scolpita nell’articolo 4 del patto di Londra. Quanto riconosciuto al termine della guerra dal trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919), nonostante la vittoria mutilata. La Venezia Tridentina, dizione coniata nel secolo precedente dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli, diveniva ufficialmente italiana. Il Regno si spingeva perfino oltre lo spartiacque alpino attraverso il possesso del Comune di San Candido, presso le sorgenti del fiume Drava, affluente del Danubio.

    Durante il ventennio fascista, Roma provò a trasformare in strategica l’acquisizione territoriale. Benito Mussolini decise la forzata e dolorosa assimilazione dei germanofoni dell’Alto Adige. Obiettivo ultimo era controllare la regione e la popolazione che vi abitava, ponendo un concreto diaframma tra la transalpina area germanica e il resto del paese. Attraverso imposizioni di natura linguistica, culturale, nonché l’indotta immigrazione di italofoni. La questione rimase aperta fino al 1939, quando Roma giunse a un passo dal realizzare il suo progetto. In seguito all’Anschluß, Hitler pensò di concordare con l’alleato italiano una soluzione duratura al problema e nel maggio del 1939 fu approvato il cosiddetto sistema delle opzioni (Option in Südtirol). Agli altoatesini germanofoni fu imposto di scegliere: diventare cittadini tedeschi trasferendosi nel Reich, oppure restare italiani rinunciando a qualsiasi tutela della propria alterità, in vista dell’ineludibile assimilazione. Forte della profondità difensiva acquisita con l’annessione dell’Austria, nel frattempo declassata da Österreich (impero dell’Est) a Ostmark (marca dell’Est), la Germania concedeva all’Italia il fattuale possesso del Sud Tirolo. Addirittura Berlino si spese per convincere i compatrioti d’Oltralpe che il regime fascista avrebbe trasferito in Sicilia chi di loro fosse rimasto a sud del Brennero. Scenario spaventoso, capace di persuadere il 69% degli altoatesini (in tedesco, Optanten) ad abbandonare la terra natale per migrare nell’impero nazista.

    Roma poteva concretamente disporre dell’Alto Adige. Nel novembre del 1939 Mussolini volle sfruttarne appieno l’inedito potenziale militare, ordinando la costruzione di un sistema di fortificazioni (Vallo Alpino del Littorio) che scongiurasse un’invasione da nord, anzitutto tedesca, nonostante il Patto d’Acciaio siglato pochi mesi prima. In meno di due anni furono eretti 351 bunker e 80 opere in caverna, a difesa del passo Resia, del Brennero e della Val Pusteria. Tra la disperazione dei germanofoni rimasti (Dableiber), espropriati di privati terreni per distanziarli definitivamente dai loro confratelli tedeschi. Finché l’inizio della seconda guerra mondiale interruppe sia la migrazione dei sudtirolesi che la realizzazione del cordone difensivo. La Germania occupò il Nord Italia, ponendo fine al sistema delle opzioni e appropriandosi del vallo. Inevitabilmente al termine del conflitto la questione altoatesina tornò di drammatica attualità.

    3. Entrambe sconfitte, nel 1946 Italia e Austria cercarono di volgere a proprio favore l’assetto della regione. Ancora sotto occupazione alleata, Vienna sperava di tornare alla chiusa di Salorno, annettendo la popolazione italofona presente in loco come ai tempi dell’impero asburgico. Roma, invece, si batteva per conservare l’acquisizione del 1919, mentre nella provincia di Bolzano era rientrata la maggioranza degli Optanten. Sulle reciproche rivendicazioni gravava la volontà di Stati Uniti e Unione Sovietica, contrarie a un’ulteriore amputazione del territorio italiano dopo la perdita dell’Istria, ma divise sul destino dei germanofoni. Mosca intendeva confermare in Italia le espulsioni di massa delle popolazioni germanofone approvate in Europa centro-orientale, per impedire al futuro Stato tedesco di utilizzare la diaspora come vettore di influenza. Al contrario Washington voleva prevenire l’ulteriore migrazione di cittadini germanici, così da assurgere a paladina della loro causa. Alla fine la spuntarono gli americani e l’intesa tra le due superpotenze fu convertita in accordo formale il 5 settembre 1946 dai ministri degli Esteri Karl Gruber e Alcide De Gasperi.

    L’Austria rinnegava la perseguita riconquista del territorio – solo pochi mesi prima circa 150 mila altoatesini avevano firmato una formale richiesta di annessione a Vienna – ma si accreditava quale tutrice dei sudtirolesi, privando il vicino dell’anelato controllo territoriale. L’Italia manteneva formalmente l’Alto Adige ma rinunciava ad assimilare la locale comunità allogena, cui era riconosciuto il diritto di restare distinta dal resto della popolazione, ancorché stanziata al fatidico confine. Nello specifico Roma si impegnava a garantire legislazione autonoma, fiscalità separata, istruzione indipendente.

    Si palesava plasticamente l’attuale incompiutezza territoriale del Sud Tirolo. Condizione ritenuta inaccettabilmente sfavorevole dal governo italiano, che per anni si sarebbe rifiutato di applicare gli accordi, provocando la violenta reazione di una parte della popolazione germanofona. In particolare, tra il 1961 e il 1967 il Befreiungsausschuß Südtirol (Comitato per la liberazione del Sudtirolo, BAS), portò numerosi attentati contro simboli dell’italianità, civili e forze dell’ordine, provocando la morte di 15 tra carabinieri, poliziotti, finanzieri e militari. Animato in larga parte da Optanten tornati nella regione nel dopoguerra, il BAS beneficiò del sostegno di parte dell’opinione pubblica locale e austriaca.

    Intanto Vienna persuadeva l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a pronunciarsi due volte sul tema, intimando a Roma di mantenere le promesse. Quanto avvenne nel 1969, con il cosiddetto pacchetto per l’Alto Adige (Südtirol-Paket) elaborato dal ministro degli Esteri italiano Aldo Moro e dal suo collega austriaco Kurt Waldheim. Documento minuzioso, inserito nel 1972 nel secondo statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che riconosceva amplissima autonomia alla Provincia di Bolzano, con capacità pressoché assoluta di legiferare e il mantenimento in loco di 9/10 delle tasse riscosse. Si affermava l’attuale status quo. Sparuti episodi terroristici si sarebbero registrati anche negli anni Ottanta, ma la fine della guerra fredda migliorò le relazioni austro-italiane. Benché formalmente neutrale, allora Vienna pensò di aderire definitivamente allo spazio di influenza statunitense, ossia alla costruzione europea. Così per superare il veto di Roma in ambito comunitario, nel 1992 il governo austriaco rilasciò la cosiddetta «quietanza liberatoria» (Streitbeilegungserklärung) che chiudeva la disputa in sede onusiana. Tre anni più tardi il paese alpino divenne membro dell’Unione Europea.

    Nel periodo successivo la post-storica illusione della fine degli Stati, propagandata dagli americani e accolta con entusiasmo dagli europei, convinse soprattutto gli italiani che la questione altoatesina si fosse estinta. Qualcuno vide nella macroregione Tirolo-Alto Adige-Trentino, inventata nel 1995, il definitivo superamento delle rivendicazioni austriache. Quasi le esigenze strategiche e le percezioni identitarie potessero svanire per pura determinazione politica, con diverse gradazioni di dolo e ingenuità da parte dei soggetti coinvolti. Fino al rilancio negli anni Duemila dei dossier interstatali a causa della volontà americana di colpire la costruzione comunitaria. Con inevitabile riaccendersi della vicenda altoatesina. Dopo l’illogico tentativo di serrare la frontiera del Brennero per impedire il passaggio ai migranti, che avrebbe nuovamente creato uno iato tra i germanofoni e la loro madrepatria, nel 2017 il governo austriaco è tornato a sostenere la natura irredenta del Sud Tirolo.

    Lo scorso dicembre il primo ministro Sebastian Kurz ha annunciato l’intenzione di consegnare il passaporto austriaco agli altoatesini germanici (e ladini) che ne facessero richiesta e promesso loro assistenza consolare nel caso si trovassero all’estero. Evidente il tentativo di tramutare la provincia di Bolzano in un territorio abitato in prevalenza da stranieri, sottraendolo alla sovranità italiana. Giacché il 62% della popolazione locale si dichiara di madrelingua tedesca e potrebbe ottenere la cittadinanza austriaca. In tal caso, l’impossibilità per Roma di annettersi culturalmente la provincia si tramuterebbe in una cessione de facto. Prospetto esiziale per la sicurezza dello Stato italiano, che rischia di perdere la sommità delle Alpi Retiche, nonché di amministrare una popolazione appartenente a uno Stato straniero. Esito cui Roma nei prossimi anni si opporrà vigorosamente. Provando a magnificare le ripercussioni che potrebbe avere la disputa bilaterale sul benessere locale, oppure minacciando gli altoatesini di perdita dell’autonomia amministrativa. Nella consapevolezza che la questione identitaria potrebbe comunque imporsi sui calcoli economici. Nel tentativo di conservare l’intera valle dell’Adige.

    4. Le nazioni che ne hanno possibilità si spingono oltre le frontiere naturali. In circostanze favorevoli, si appropriano di territori estranei all’ancestrale spazio geografico per accrescere la loro profondità difensiva. Per questo la Gran Bretagna dispone dell’Irlanda del Nord, la Francia della Corsica, il Giappone di Okinawa. Per la stessa ragione gli Stati Uniti possiedono Guantánamo e la Russia ha bisogno di governare l’Ucraina. Non solo l’Italia non dispone di alcun territorio posto al di là dei suoi confini, né occupa alcuna sponda opposta alle sue coste (a esclusione della Sardegna) – sicché in caso di attacco sarebbe costretta a difendersi direttamente sul proprio ventre, senza margine di errore. Non riesce neppure a dominare le catene montuose che limitano il territorio nazionale. Dopo aver accettato di possedere formalmente il Sud Tirolo senza poterne assimilare la popolazione, ora rischia di perderne nuovamente il controllo. A causa di un’offensiva austriaca dettata dalle medesime esigenze difensive, da realizzare attraverso la diaspora germanica. Manovra che nel medio periodo costringerà il Bel Paese a una battaglia di retroguardia. Per mantenere la posizione faticosamente raggiunta, senza scivolare a valle. Per resistere sul fronte settentrionale, senza regredire sul piano strategico. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica e del governo nazionale, ignari di quanto può capitare tra Salorno e il Brennero. E del perché l’Italia necessita di guardare all’Europa dall’alto.

    Note:

    Noto in Italia come L’arte della guerra, VI-V sec. a.C.

    Cfr. C. Battisti. Il Trentino: saggio di geografia fisica e di antropogeografia, Trento 1898, Zippel.

    Cfr. M.V. Rubatscher, Le opzioni del 1939 in Alto Adige: una testimonianza per la storia, Trento 1986, Manfrini.

    Cfr. H.K. Peterlini, Feuernacht. Südtirols Bombenjahre, Bolzano 2011, Raetia.

    Cfr. Istat, Censimento 2011.

  2. #2
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    Predefinito Re: L'Italia non può rinunciare all'Alto Adige

    Il Sud Tirolo è austriaco e prima o poi tornerà con la madrepatria Austria.

  3. #3
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    Predefinito Re: L'Italia non può rinunciare all'Alto Adige

    Ho vissuto 15 anni a Bolzano e dintorni...E nessuno di loro ha la minima intenzione di staccarsi dall'Italia...Compresi quelli che vivono nelle valli più vicine al confine...
    Primo Ministro di TPol...[MENTION]
    Proudly member of the Bilderberg Group-Chtulhu Section..

  4. #4
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    Predefinito Re: L'Italia non può rinunciare all'Alto Adige

    Citazione Originariamente Scritto da lanzichenecco Visualizza Messaggio
    Il Sud Tirolo è austriaco e prima o poi tornerà con la madrepatria Austria.
    No, è Italia.

 

 

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