di Stefano Zurlo.

Una sedia vuota: la sua.
Giorni e settimane di silenzio. L’attesa di una parola e di un chiarimento. Invece, niente. Nemmeno ieri:
Gianfranco Fini era atteso dentro le mura della medievale San Gimignano. Sarebbe stato il suo rientro in pubblico, ma queste vacanze, che sembrano allungarsi come un elastico, non finiscono mai.
Se l’è cavata con un messaggio.
Comprensibile: il tema assegnato al presidente della Camera, il rapporto fra etica e politica, è di quelli più insidiosi. Specialmente di questi tempi, con la bufera della casa di Montecarlo che non accenna a passare.
Chissà, qualche cronista avrebbe posto domande ovvie e dunque scomode.
Così gli organizzatori hanno fatto sapere che il presidente «era impossibilitato a venire».

È da un mese ormai che il presidente «è impossibilitato».
Zero, o quasi, apparizioni, pochissime sortite, pure maldestre, comizi che non vanno oltre il perimetro dell’ombrellone di Ansedonia.
E che per pubblico hanno, al massimo, qualche turista in costume e ciabatte.
Il Fini subacqueo l’ha avuta vinta sul Fini terza carica dello Stato:
il presidente si è immerso in luglio e niente e nessuno l’ha fatto riemergere alla vita del paese.

Un atteggiamento anomalo.
Atteggiamento già evidente il 30 luglio scorso, quando Fini consegna ai cronisti la sua nuova creatura: il gruppo Futuro e libertà.
Insomma, l’embrione del nuovo partito che rende traballante la sedia di Silvio Berlusconi.
È un passaggio delicatissimo e controverso della vita del Paese, ma è anche un monologo.
Le domande non sono ammesse.
Il battesimo di Fli è una conferenza stampa unidirezionale.
Fini si chiude a riccio nel momento in cui prende il largo.

Paradossale.
I giorni successivi l’Italia dibatte la portata dello strappo e i giornali si interrogano sul futuro.
La maggioranza ha il fiato corto, ma Fini, il leader di quella costola della destra italiana, ha altro da fare.
Il suo armamentario si riduce a paletta e secchiello: gioca con le figlie, fa il bagno nelle acque di Ansedonia con la compagna Elisabetta, si immerge al largo di Giannutri.
Il quasi partito di Fini muove i suoi primi passi, ma la scena è tutta dei Briguglio, dei Bocchino, dei Granata: sono loro un giorno sì e l’altro pure a litigare con il Pdl, a respingere al mittente i cinque punti di Berlusconi, a proporre addirittura, con un surreale Bocchino, un allargamento dell’esecutivo ai moderati del Pd.
I giochi pirotecnici non smuovono il gran capo.
Lui è sempre sott’acqua.
Letteralmente.
Con la maschera e le bombole.
Anche se la sua formazione rischia di disintegrare la legislatura e rispedire gli italiani alle urne.
E pure se i finiani moderati sono perplessi, inquieti, disorientati.

Non importa.
Da Ansedonia arrivano cartoline piuttosto noiose: cappellini, formine, bikini.
Fini è in fuga. Doppia fuga.
Fugge dalla politica. Fugge anche dall’inchiesta del Giornale che giorno per giorno racconta l’affaire di Montecarlo, chiede chiarimenti e pone quesiti. L’ex leader di An sembra impermeabile a tutto e a tutti.
I giornali italiani trasformano Montecarlo in una dépendance e si lanciano sulle tracce di Giancarlo Tulliani, il cognato.
Lui tace.
O meglio, si affida alle dichiarazioni dei suoi avvocati, così come ha ceduto il partito ai suoi colonnelli scatenati.
Poi, dopo undici giorni, finalmente partorisce un comunicato in otto punti.

Otto punti che dovrebbero spegnere con l’idrante dell’autorevolezza la campagna del Giornale e invece assomigliano a un confuso balbettio.
Che si riassume in un concetto, anzi in due:
hanno affittato l’appartamento di Montecarlo a suo cognato e a sua insaputa.

Si vede che lo stile Scajola, che però si è dimesso da ministro, comincia a fare tendenza.
In più, il presidente silente pasticcia e confonde pericolosamente date e notai, guardandosi bene dal chiarire i piccoli, grandi misteri della proprietà, nascosta dietro il vetro scuro di una società off shore.
Più che un chiarimento è un oscuramento.
Infine il cofondatore ironizza con una frase che è già nella storia: «Se avessi comprato un portaombrelli sarei davvero nei guai».

Intorno a lui impazza la rumba dei vice: le calde notti di agosto sono un fuoco d’artificio di proclami, anatemi, rifiuti.
Perfino l’attore deputato Luca Barbareschi, denunciato per aver realizzato una piscina abusiva nella villa di Filicudi, invece di chinare il capo, riesce a prendersela con la cementificazione selvaggia, gli ecomostri e forse pure gli extraterrestri, con tutti fuorché se stesso.
È lo show perenne dei finiani, alcuni dei quali non hanno ancora smaltito la sbornia dell’uscita repentina del semianonimato in cui erano relegati.
Lui, invece, precipita sempre più nel suo silenzio.
Sempre più fragoroso.

Concede al protocollo istituzionale il minimo sindacale: una fugace apparizione per salutare il feretro di Francesco Cossiga, poi si rintana di nuovo ad Ansedonia e il massimo che si sa della sua ondeggiante linea politica è che ha il piede fasciato.
Fini è in fuga, come il cognato che gioca a nascondino con i giornalisti e balbetta a sua volta delucidazioni sulla casa di Montecarlo che poi vengono corrette e modificate.

Fini tace. Parlano i finiani, più finiani del capo.
Lui li asseconda, forse li carica come molle prima delle loro sortite, o li subisce, come i moderati di Fli che non vorrebbero quei toni apocalittici. Chissà.
Esternano loro ed esternano gli avvocati che a ogni puntata, o quasi, della nostra inchiesta annunciano querele. Querele su querele a rinforzare l’immagine del presidente dialogante.
Ieri, Fini era atteso a San Gimignano per rompere l’incantesimo.
Una parete di sesto grado, di questi tempi.
Il programma ufficiale parlava chiaro e prometteva molto, forse troppo: etica e politica.
L’avvistamento non c’è stato. E la sedia resta vuota.

dalla prima pg. del ilgiornale.it 27 08 2010

saluti