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Antonio Simon Mossa
Turismo e architettura
IL MESSAGGIO DELLA TERRA
Spirito degli antichi capomastri: umiltà e misura!
Sardegna, Ottobre 1963
Nel cuore del nostro Mediterraneo pare esserci una costante che accomuna tutti i popoli che si affacciano sulle sue acque turchesi: sembra che questi popoli non abbiano la volontà per realizzare la nervosa palpitazione di idee tra loro condivise, come accade invece con il senso pratico dei nordici. E dicono (i saggi di oggi) che per questa ragione tutte le iniziative del nostro tempo in queste zone siano dovute solo ai biondi Dei del Nord.
Forse ci sono state cause storiche che hanno sempre impedito all'autentico spirito mediterraneo di manifestarsi liberamente in tutta la sua potenza (ci riferiamo in particolare agli ultimi due secoli), di fronte a queste nostre guide economiche del Nord, allo stesso tempo cassieri e clienti. E se oggi ci ritroviamo un gradino più in basso, domani saremo allo stesso livello degli altri.
Vorrei esprimermi in modo che tutti mi capiscano, siano architetti o no. Gli “uomini ricchi di denaro e di spirito d'iniziativa” stanno facendo una piccola rivoluzione nei nostri paesi; rivoluzione che non avrebbe troppa importanza per il nostro compito se non causasse un costante e duro pregiudizio, oltre a una confusione così grande nelle menti delle nostre genti semplici.
Linee tradizionali dell'architettura
Prima della rivoluzione industriale, nelle nostre terre (parlo della Sardegna ma il discorso è valido anche per la Spagna) e soprattutto nei nostri centri urbani, l'architettura percorreva un cammino tradizionale, in continuità con l'elaborazione secolare e spontanea degli esempi più illustri dei capoluoghi e delle città storiche. È chiaro che nei centri urbani e nei villaggi non c'erano né architetti né ingegneri; modesti capomastri e poveri muratori avevano, nella loro semplicità di concepire l'architettura pratica di ogni giorno, il senso “assoluto” della misura umana, della misura del paesaggio campestre; erano autori di un'architettura purissima, anonima e totale senza essere pienamente coscienti della loro forza intima, radicata nella spiritualità della loro terra. Tutto quello che ci resta nella campagna (ed è ancora molto) per noi che ci crediamo moderni (essendo solo cinici e superbi) è un insegnamento di profondo valore.
Ingegneri inglesi in Sardegna
La storia narra che un giorno arrivarono sulla nostra isola ingegneri delle ferrovie inglesi; essi chiamarono i lavoratori dei campi e iniziarono – con un certo ritardo, in confronto ad altri paesi europei – una rivoluzione che in nome del progresso avrebbe spezzato il flusso sonnolento di una vita senza tempo né luogo.
Capomastri e muratori, fino ad allora sacerdoti di una bellezza ancestrale, si trovarono sgomenti e incantati dai nuovi edifici di stazioni e guardiole, così diverse da quelle dei loro paesi. In seguito furono edificate le scuole, le caserme dei carabinieri, gli edifici istituzionali e le prime abitazioni dei continentali. Lo stile inusuale di queste costruzioni era così lontano dalla tradizione che ebbe la forza di una pugnalata. E nonostante fosse completamente esterno e alieno rispetto alla sensibilità locale, i capomastri e i muratori rimasero sconcertati, quasi pieni di vergogna per il proprio passato e le proprie origini.
In questo modo, i centri urbani isolani persero gradualmente la loro antica purezza, il loro spirito così autentico. Però il danno non fu eccessivo, dato che la ferrovia e la civilizzazione degli “ingegneri del Nord” erano passati abbastanza lontani dalla maggior parte dei centri urbani, dei villaggi e delle masserie dell'interno.
La misura umana e locale
Quasi tutti i capomastri conservarono le proprie qualità e la propria conoscenza riguardo la “misura umana e locale”. Però i giovani cominciavano già a spostarsi verso il capoluogo e studiavano nelle scuole tecniche, laddove l'insegnamento, così utile per le questioni della campagna e l'irrigazione, tralasciava completamente sia l'arte tradizionale del muratore che qualunque tipo di studio che riguardasse le forme e l'ambiente. I tecnici usciti dalla scuola e tornati nelle campagne agirono con un'inadeguatezza e una presunzione infinite.
I risultati? Si vedono già: tutta un'architettura minore di guardiole e piccole stazioni...
Però si poteva resistere, essendo i muratori testardi e legati all'insegnamento dei loro padri.
Viviamo nel mondo di oggi
Noi non rifiutiamo il progresso, né le tecnologie più avanzate. Viviamo nel mondo di oggi. Però vediamo ogni giorno sorgere foreste di cemento armato che sommergono le città, i piccoli centri e i villaggi, e invadono poco a poco la campagna, le colline, le spiagge e le coste. Questa nuova forma barbarica non possiede già più l'umile tradizione dei muratori. Il paesaggio torna quindi a perdere il suo fascino, la sua forza, la sua armonia, la sua pace.
Gli “iniziativisti” del Nord si lanciarono alla nuova conquista, cavando i soldi anche dai sassi, secondo la loro abitudine. Il “boom” fu così forte che i sardi per loro natura semplici, pieni di fiducia, indolenti (questo come imperativo storico) e teneri lasciarono che la rivoluzione si sviluppasse. Però i danni che le iniziative incontrollate fecero a partire dalle prime realizzazioni aprirono gli occhi a molti e anche (e questo è ciò che conta) al Governo e alle autorità dello Stato. Grazie a questo si giunse alla salvaguardia completa delle coste e di molti territori dell'interno.
La rotta, smarrita
Però, e questa è la responsabilità degli architetti, abbiamo smarrito la rotta da molto tempo. Come resistere alla marea di stupidità? Come comportarsi di fronte a questa febbre del “fare tanto per fare”, senza rifiutare le conquiste tecniche e senza cadere nel folklorismo?
Gli architetti non si sono mai trovati così perplessi davanti a un bivio. Bisogna prendere una strada. E non possiamo fermarci, né tornare indietro. Bisogna scegliere, e andare.
Dunque, cosa ci siamo fatti? Senza rifiutare la nostra cultura, anzi esaltandola, abbiamo dato un'occhiata all'ambiente, a quanto di questo ambiente produceva una sensazione nel nostro spirito. E senza rifugiarci poi in sogni o chimere, abbiamo indagato razionalmente la causa dell'equilibrio dello stesso ambiente, l'armonia tra architettura e paesaggio, così chiara nelle opere del tempo passato. Nelle righe precedenti credo di aver esposto chiaramente il mio pensiero e spero che i lettori abbiano captato l'essenza del nostro problema.
Umiltà e misura
Tutto questo può essere sintetizzato in due parole: umiltà e misura. L'umiltà è quella dei muratori, la misura è quella dell'uomo nel suo ambiente. In fondo Wright e Le Corbusier, pur facendo percorsi differenti, non giunsero entrambi a questo risultato e conquista?
Come potremmo prenderci cura dei nostri figli senza rispettare i nostri padri? Abbiamo svolto un'ampia indagine sul passato; abbiamo dedicato molto tempo ai capomastri del passato; abbiamo ascoltato con attenzione le loro parole e il loro profondo messaggio, sempre attuale e vivo perché viene dalla terra, da questa terra dolce e amara, baciata dalle onde eterne del Mediterraneo.
Artcolo pubblicato nel quotidiano valeciano Jornada.
Valencia, Sabato 9 Novembre 1963.
Traduzione dal castigliano a cura di Simone Censi.