di Rosanna Marsala – In “Nuova Antologia”, a. CLIII, fasc. 2286, aprile-giugno 2018, Firenze, Polistampa, pp. 277-288.


Accostare Luigi Sturzo e Piero Gobetti sembra, a primo approccio, un’operazione non semplice, non ortodossa. In effetti i due personaggi sono molto distanti per formazione, pensiero e azione politica. Eppure, fra i due esiste una sorta di “comunità spirituale”, per usare le parole che lo stesso Sturzo, parlando di Gobetti, ebbe a dire in una delle tante conversazioni avute con Gabriele De Rosa, a cui aggiungeva che “le sue cose migliori le aveva scritte mentre operava concretamente con i volumi editi da Gobetti”[1].
Certamente il sacerdote calatino e il giovane intellettuale torinese furono accomunati dall’antigiolittismo, da una strenua opposizione al deleterio fenomeno del trasformismo, al fascismo. Ma ciò che maggiormente li associa è la loro medesima idea di libertà e, conseguentemente, il “liberalismo inteso quale concretezza morale e politica della libertà”[2]. È quanto afferma Paolo Bagnoli in un suo recente libro dal significativo titolo Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà.
L’autore, profondo conoscitore di entrambi, non ha inteso scrivere un saggio su Sturzo e Gobetti, ma, come egli stesso tiene a precisare in premessa, ha voluto mettere in evidenza “la scoperta ‘critica’ che quest’ultimo fa del primo” ritenendo che “il giudizio di Gobetti sia ancora oggi fondamentale per parametrare il liberalismo sturziano”[3].
Luigi Sturzo si forma nel clima del conflitto tra Stato e Chiesa, una questione che va oltre il Risorgimento italiano, ma in seguito il contatto con ambienti cattolici più aperti e vivaci, fuori dalla Sicilia[4], e poi la pratica amministrativa permettono al giovane Sturzo di abbandonare progressivamente quegli elementi integralisti e temporalisti[5] che avevano caratterizzato le sue prime riflessioni.
Il periodo dell’esilio, seppur doloroso, gli consentirà di dare sistematicità alle sue teorie politiche[6] e, soprattutto, di portare a piena maturazione “l’incontro tra liberalismo e democrazia”[7]. È proprio negli anni del suo soggiorno forzato, prima a Londra e poi negli Stati Uniti, che Sturzo conoscerà e incontrerà autori di diversa estrazione ideologica, sostenitori delle più grandi correnti innovative, non legate al particolare campanilistico della vicenda nazionale, ma aperte a una visione più ampia.
Il ritorno in patria “con un animus nuovo, con un senso nuovo della libertà e della tolleranza, con una nuova concezione dei diritti dell’uomo”[8], si legge nel profilo che Spadolini fa di Sturzo e che Bagnoli richiama e condivide, pongono il sacerdote calatino tra le maggiori personalità della politica e della cultura che hanno attraversato la prima metà del secolo scorso, tanto da poter essere considerato oggi, a buon diritto, tra i classici del pensiero politico[9].
L’impalcatura del pensiero sturziano, come è noto, indica la libertà come valore supremo che trova nello Stato di diritto, non nello Stato etico di hegeliana e di gentiliana memoria, la sua forma di maggiore garanzia. Era il 12 aprile del 1923 quando Sturzo al quarto convegno nazionale del Partito Popolare, pochi mesi prima delle sue dimissioni da segretario del partito, pronuncia il suo discorso contro lo Stato etico, equivalente, nella concezione idealistica, allo Stato totalitario, all’interno del quale il cittadino è totalmente succube. Non ha libertà di iniziativa, né politica, né economica.

Combattiamo lo Stato quale primo etico e il concetto assoluto della nazione panteista e deificata che è lo stesso; […] esso (lo Stato) non sopprime, non annulla, non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe, dei comuni, della religione; soltanto li riconosce, li tutela, li coordina nei limiti della propria funzione politica. Per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà, la riconosce e ne limita l’uso, perché non degeneri in licenza. Noi vogliamo cooperare a che l’unità morale degli italiani si rifaccia sulla base intangibile delle libertà costituzionali e delle autonomie locali; nello sviluppo delle attività economiche, nella sintesi della vita nazionale, che è insieme sintesi statale, di ordine, di autorità e di rispetto all’interno e all’estero[10].

Sturzo non tratta della libertà in generale, ma della libertà sociale che presuppone la libertà dell’individuo naturalmente dotato di libero arbitrio razionale[11]. Ed è sulla base di questa idea di libertà che il sacerdote calatino interpreta la politica.
Negli anni del suo impegno nella natia Caltagirone, Sturzo si prodigò a realizzare una serie di iniziative tendenti a educare il popolo e a renderlo consapevolmente partecipe della vita civile e religiosa. Contrariamente ad altri esponenti del movimento cattolico, Sturzo era persuaso della contingenza del non expedit, che, in protesta contro lo Stato postunificazione, invitava i cattolici ad astenersi dalla vita politica con la formula “né eletti, né elettori”. Ma egli ritenne quasi provvidenziale il divieto pontificio, perché era “convinto che la fine dell’astensionismo avrebbe gettato il clero meridionale di nuovo nelle braccia delle clientele moderate e locali e, quindi, auspicava che tale legge rimanesse in vigore sino a che i cattolici non avessero maturato una propria coscienza politica autonoma”[12].
Dunque, fu “dentro il bozzolo del non expedit” che si formarono i presupposti culturali e ideologici di quella grossa operazione politica che culminò nella fondazione di un partito nazionale di cattolici. Un partito basato “sulla morale cristiana e sulla libertà”, ma con un programma aconfessionale e laico e con una netta distinzione tra politica e religione. “Ecco l’autentica ‘rivoluzione’ sturziana: - scriverà più tardi Giovanni Spadolini – il taglio netto fra clericalismo e cattolicesimo sociale, la rivendicazione perfino orgogliosa – da parte di un sacerdote – dell’autonomia dei cattolici nelle sfere della vita civile”[13].
La fermezza nella sua fede, il senso di ubbidienza, la fedeltà alla Chiesa non gli impedirono di ribadire in più occasioni, soprattutto nei confronti di coloro che avrebbero preferito un partito integralista operante all’ombra della gerarchia ecclesiastica, la linea della laicità e della aconfessionalità del partito. La partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana non poteva essere manifestazione diretta del loro cattolicesimo coinvolgendo così la Chiesa e la gerarchia ecclesiastica, ma espressione di una autonoma concezione politica seppur ispirata ai principi cristiani. Tale convinzione sfocerà nella costituzione del partito popolare[14].
Sturzo non si pose il problema della politica in una prospettiva teorica, ma avvertì sempre l’esigenza di collocare la politica attiva in una dimensione culturale che ne costituisse la legittimazione e ne indicasse di conseguenza gli ideali e i motivi ispiratori[15]. Dello stesso avviso fu Piero Gobetti.
Grande operatore di cultura, il giovane intellettuale torinese nei pochi anni della sua attività seppe tessere intorno alla sua casa editrice una fitta rete di rapporti culturali che gli consentirono un proficuo scambio di idee per maturare revisioni critiche e aperture anche nei confronti di posizioni diametralmente opposte. Sempre alla ricerca dell’unità tra pensiero e azione, Gobetti “storico del presente” cerca appunto nel presente le forze sociali sulle quali puntare per l’immediata rivoluzione[16] e la formazione di quella classe dirigente la cui carenza, secondo lui, “è la testimonianza del ritardo dell’Italia a configurarsi come un paese moderno”[17].
L’interesse di Piero Gobetti per il popolarismo e per Luigi Sturzo[18] che di esso fu l’anima, nasceva dalla sua costante riflessione su quei fenomeni politici che, all’indomani della grande guerra, si affacciavano sulla scena politica italiana e che “muovendo il processo storico secondo libertà […] – scrive Bagnoli – producono processi dialettici che spingono il Paese verso la conquista di una modernità storicamente deficitaria”[19].
In effetti l’editore torinese aveva già da qualche anno mostrato un certo interesse per il fermento culturale – e non solo – che stava maturando in tutto il mezzogiorno, tanto d’avere avviato una rete di contatti anche con i cattolici del sud e, in particolare, con i popolari[20]. Tutto ciò potrebbe apparire in contraddizione con i giudizi che Gobetti aveva espresso. È nota, infatti, la sua aspra critica nei confronti del cattolicesimo e di tutti i movimenti che ad esso si ispiravano. Egli addebitava alla Chiesa cattolica, indicata come la maggiore responsabile delle disfunzioni sociali, “un persistente tentativo di conservazione e una remora al progresso”[21].
Di fronte al nuovo soggetto politico, il Partito popolare, il criterio di valutazione sostanzialmente non cambia[22]. Ma l’onestà intellettuale, la profondità di analisi non fermano il giovane intellettuale torinese al primo giudizio. Egli vuole capire, andare a fondo e, dopo una attenta e lunga riflessione, a partire dal 1922 torna ancora ad occuparsi dei popolari scrivendo una serie di articoli sulla sua rivista “La rivoluzione liberale”. Elementi nuovi e, per certi versi, inaspettati, inducono il giovane Gobetti ad iniziare un percorso che lo porterà infine a modificare la sua opinione iniziale. E procede “con tutta correttezza – scrive Guccione in prefazione al libro – da una documentata posizione di sospetto a un’altra ugualmente documentata di rispetto”[23].
“Il partito di Don Sturzo – spiega Gobetti nel maggio del 1922 – diventa nonostante tutte le intenzioni, il primo passo verso il mondo moderno; la scuola elementare, l’abbecedario della libertà e dell’eresia. […] I popolari abituano gli spiriti a uscire, per un momento almeno, per un metodo contingente, dalla sacra intolleranza del papato, dal mondo chiuso della intransigenza del dogma”[24].
In altri termini la nuova interpretazione che Gobetti dà del popolarismo si inserisce pienamente nel canone della rivoluzione liberale ossia, scrive Bagnoli, in “una valutazione della storia e dei suoi processi letta secondo il principio della libertà creatrice, di una moralità concreta che, ponendosi dal basso, si determina come soggetto politico autonomo e innovativo”[25].
Gobetti non è ancora pienamente consapevole di aver colto nel segno, di aver compreso, forse meglio di altri cattolici popolari, la concezione sturziana della politica.
L’intellettuale torinese seguirà con molta attenzione il dibattito interno al Partito popolare e, in particolare, le posizioni che via via Sturzo assumerà in qualità di segretario politico, differenziandosi da altri esponenti. La figura di un prete, siciliano, leader di un partito, suscita grande interesse in chi, come Gobetti, interpreta la storia nell’ottica della rivoluzione liberale.
“Divulgatore del problemismo salveminiano”[26], “un enigma di fronte ai tecnici della politica”[27], “messianico del riformismo”[28] sono soltanto alcune delle definizioni con cui Gobetti tenta di tratteggiare la complessa personalità di Luigi Sturzo. Secondo Bagnoli, Gobetti è attratto dalla modalità con la quale Sturzo intende con la sua azione politica “innescare un moto di cambiamento che nasca dal basso […] adottando proprio la duttilità che il cattolicesimo gli consente nel modo più spregiudicato possibile: “Fa sboccare il cristianesimo nella politica, scrive Gobetti, va al popolo attraverso il Vangelo”[29].
A quel punto, agli occhi di Gobetti, l’enigma Sturzo comincia a svelarsi pur nella costante oscillazione fra “speranza della palingenesi politica e i limiti della realtà politica”[30]. Se da un lato apprezza lo spessore morale, la capacità di svegliare le coscienze individuali come un liberale, dall’altra non può non evidenziare il limite intrinseco della posizione di Sturzo e del popolarismo, ossia non aver compreso il problema centrale della politica italiana che condiziona tutti gli altri: il problema delle forze capaci di creare e sostenere una classe dirigente.
La nascita del nuovo partito e la sua successiva affermazione come forza parlamentare aveva sollecitato l’interesse di altri intellettuali di parte laica. Tra costoro ricordiamo Antonio Gramsci. Questi, pur considerando la nuova formazione politica “il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento”, giungerà, in seguito, a definire il partito di Sturzo un “complice del fascismo”[31]. Gobetti, invece, pur addebitando ai popolari una certa ambiguità, in particolare ad alcuni esponenti come ad esempio Filippo Meda, e pur contestando l’inadeguatezza della politica sturziana[32] riuscirà a cogliere l’originalità del pensiero del sacerdote siciliano e a considerare la sua creatura, il popolarismo, un’idea che trascende “la dimensione del partito provvisorio, di transizione, nostalgico e di estrazione contadina”[33].
In effetti, l’escalation di giudizi, nei confronti del prete fondatore di un partito, da parte del giovane intellettuale torinese, giungono a piena maturazione quando questi riesce “in qualche misura a staccare Sturzo dal suo retroterra naturale, quello del popolarismo, per fermarlo in un profilo netto di palingenesi politica”[34]. Allo stesso modo si snoda l’inquadramento storico-politico effettuato da Bagnoli che, a nostro avviso, scopre Sturzo attraverso Gobetti.
L’avvio della collaborazione editoriale tra il fondatore del PPI e il giovane editore torinese, che porterà alla pubblicazione di alcuni dei volumi più significativi di Luigi Sturzo[35], coincide con l’inizio della fine per la fragile democrazia liberale che, in mano a una classe politica deficitaria, avrebbe lasciato spazio all’affermazione e al successo del fascismo. E furono proprio l’impatto frontale con il fascismo, la netta opposizione di Sturzo e di una parte del Partito popolare al nuovo regime a determinare in Gobetti il definitivo mutamento di giudizio.
Abbandonata la pregiudiziale anticlericale, Gobetti non ha problema a riconoscere il potenziale innovativo dei popolari, almeno di quelli rimasti fedeli e coerenti con le scelte del PPI e di manifestare solidarietà a colui che rappresentava, in quel momento, l’unico leader politico capace di mobilitare le masse, “a fare che il popolo credesse nella politica attraverso una pregiudiziale morale”[36].
Sturzo diventa così “il compagno di critica e di lotta”[37], “bandiera di intransigenza”[38] e il partito da lui fondato “uno dei primi partiti di democrazia moderna sorto in Italia”[39].
Il rapporto che si instaura fra i due va al di là del semplice rapporto fra editore e autore e ciò si evince sia dal carteggio sia dai successivi articoli di Gobetti. Tra i volumi di Sturzo pubblicati con la casa editrice torinese, Pensiero antifascista è, secondo Bagnoli, “quello più ‘gobettiano’ in quanto – continua l’autore – tutto pervaso dal senso della libertà e della democrazia e dal nesso inscindibile tra morale e politica”[40]. La disamina del testo ci consegna uno Sturzo “espressione di una concezione democratica ‘liberante e liberatrice’, laica e moderna del rapporto fra Stato e società, fra Stato e chiesa[41]. Si tratta di elementi presenti nel pensiero di Sturzo già a partire dal 1905, ma che adesso il precipitare degli eventi (l’affermazione di un regime totalitario, l’alleanza tra Chiesa e Stato) rende urgente ribadire con forza. Sturzo tiene a precisare che il partito popolare non è una forza clericale, uno strumento di conservazione atto a mantenere lo status quo; è sì un’organizzazione politica che ha le proprie radici nel cristianesimo, ma è estraneo a quei tatticismi e a quelle strategie di una Chiesa, quale istituzione politico-religiosa, che di fatto ha accettato, forse per la sua stessa sopravvivenza, un governo fascista le cui idee ispiratrici sono agli antipodi di quelle su cui poggia il popolarismo sturziano, “in virtù di una concezione della democrazia politica laica fondata sulla libertà”[42]. Sturzo è ormai consapevole, come del resto lo stesso Gobetti, che la lotta contro il fascismo non avrà un esito positivo immediato. Di lì a breve Sturzo dovrà lasciare la segreteria del Partito e sarà costretto ad andare in esilio. Il suo Partito sarà spazzato via. Il suo tenace antifascismo diventa così movente per consegnare alla storia non solo l’esperienza dei popolari quale forza politica innovativa, ma anche, e soprattutto, del popolarismo quale pensiero politico che trascende il periodo cui venne concepito e diventa “proposta politica” con precise peculiarità.
Sturzo rivendica al popolarismo il suo essere “movimento della democrazia e della libertà”. Con esso il sacerdote calatino riesce a trasformare “in una vivente realtà l’aspirazione del cattolicesimo liberale”[43], rompe definitivamente con ideali e convinzioni che erano profondamente radicate nella politica della chiesa e soprattutto con il temporalismo, liberandola per quanto riguarda la coscienza dei cattolici dai pesanti condizionamenti e dalle laceranti contraddizioni determinate dalla sua partecipazione alle vicende politiche[44].
La laicità della politica è un punto fermo per Sturzo, essa però non può prescindere da giudizi di valore in quanto si identifica con la libertà che fonda e legittima ogni possibile scelta. La laicità della politica reclama il riconoscimento del primato della libertà che per Sturzo significa ulteriormente la partecipazione di tutti alla vita politica, alla determinazione delle scelte politiche che dovranno essere attuate dagli organi di governo. In definitiva essa si realizza mediante la democrazia.
Ora la libertà diventa un principio operante nell’ambito della organizzazione politica della società per tramite dello Stato di diritto. “La democrazia politica implica lo Stato di diritto”[45]. Soltanto mediante il diritto è possibile attuare un efficace controllo su chi detiene il potere, definire e far valere i limiti nell’ambito dei quali deve attuarsi sia l’attività dei singoli cittadini, che quella dei pubblici poteri, e dare pratica attuazione al sistema delle libertà civili e politiche[46].
All’interno dello Stato di diritto la libertà non può essere concepita soltanto come libertà dell’individuo, in questo caso si cadrebbe in quella libertà individualistica su cui si fonda in sostanza il liberalismo di ispirazione laicista; ad essa Sturzo contrappone la libertà organica che si risolve in libertà finalistica. “La libertà finalistica è la partecipazione cosciente ai fini sociali; solo il cosciente è libero”. Altrimenti non sarebbe un vivente sociale, ma un vissuto; non un soggetto, attivo; ma un oggetto, inattivo[47].
“Il popolarismo cosciente di ciò – puntualizza Bagnoli – fornisce un ruolo preciso ai cattolici […] e mette nel campo dello scontro politico per l’Italia del futuro un’idea storico-politica e cultural-dottrinaria, sul modo di pensare lo Stato democratico e, quindi, implicitamente, del perché rispetto al fascismo il posto dei cattolici militanti sia naturalmente quello di opposizione al regime”[48].
Gobetti, che curò personalmente l’edizione di Pensiero antifascista, certamente aveva compreso la grande lezione sturziana sul tema della libertà e della democrazia, che in quel momento era connesso alla lotta antifascista, ma di fatto avrebbe potuto rappresentare il programma politico su cui rifondare, una volta sconfitto il fascismo, “l’idea stessa dell’Italia e del suo essere democratica”[49].
Intanto però la posizione di Sturzo era divenuta insostenibile a causa delle dure critiche indirizzategli dalla corrente di destra del suo partito e dalla Curia romana e a causa degli attriti con i fascisti[50].
“L’uomo dall’abito nero”, così era chiamato Sturzo ironicamente dai suoi avversari, si trovò di fronte al “Cesare con la camicia nera”[51]. E in questo scontro Sturzo ebbe la peggio. Quanti speravano che un allontanamento di Sturzo dal territorio italiano potesse servire a far tacere la voce di chi, senza mezzi termini, condannava il regime, avevano riposto male le proprie speranze. Egli dall’esilio continuò a combattere, meglio e più di prima, il fascismo e, in seguito, anche le altre dittature che si erano instaurate in Europa. Anzi, la sua condizione di esiliato fu cassa di risonanza di tutte le iniziative prese a difesa della democrazia italiana ed europea.
L’integrità morale, la battaglia per la libertà pongono i due personaggi sullo stesso terreno d’azione tanto da far dire all’esiliato Sturzo, rivolgendosi a Gobetti, che “le sue speranze sono le mie per l’avvenire della patria”[52]. Entrambi, “nel nome della libertà cercavano di cambiare un’Italia conformista e collaborazionista”; entrambi “sapevano […] guardare alla politica come una sfida che non si consuma nell’immediato e volge sui tempi più lunghi della storia”[53].
Il periodo dell’esilio (1924-1946) permise a Sturzo di ripensare gli avvenimenti di cui era stato testimone: la crisi dello Stato parlamentare e degli altri ordinamenti democratici, la violenza fascista che aveva posto fine in Italia allo Stato liberale. Ma soprattutto di dare una legittimazione ideale e culturale al programma del PP e alle esigenze di libertà e di democrazia di cui si era fatto portatore, sviluppando così ulteriormente la sua idea che l’attività politica deve essere sempre preceduta e legittimata da chiare premesse teoriche e programmatiche[54].
Non meno sofferto del periodo dell’esilio fu il suo rientro in patria da molti auspicato, da parecchi temuto, soprattutto perché la tesi del fondatore del P.P.I. sulla opportunità di eliminare la monarchia e optare per la repubblica si pensava potesse produrre sconcerto e disorientamenti nella D.C.
Il rimpatrio fu differito per più di un anno anche per espressa volontà della S. Sede, che continuava a tenere nei confronti di Sturzo un atteggiamento di incomprensione, intolleranza e, per certi versi, di diffidenza. Al suo rientro in Italia, nonostante le ripetute prove di rigorosa osservanza del voto di ubbidienza e dell’affetto filiale per la Chiesa, Sturzo fu “confinato” in un “cantuccio romito di periferia, una sorta di simbolico parcheggio off limits”, almeno così parve agli occhi di Rodolfo De Mattei il luogo dove il sacerdote trascorse gli ultimi anni della sua vita. Ciò non impedì a Sturzo di continuare la sua attività di pubblicista e di intervenire puntualmente in ogni aspetto della vita politica italiana, combattendo in particolar modo lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico. Ma ciò che più lo assillava e che era stata al centro dell’attenzione per tutta la sua esistenza era la questione morale, intimamente subordinata ai valori religiosi. Le battaglie che egli condusse, sino a pochi giorni prima della morte, furono fondamentalmente battaglie per la libertà, che è poi il titolo della raccolta completa degli articoli scritti da Sturzo e pubblicati su “Il Giornale d’Italia” dal 1952 al 1959.
Divenne, ben presto, la coscienza critica della D.C. e i continui richiami nei confronti di un partito che si sentiva erede del P.P.I., gli procurarono l’infastidito risentimento di amici vecchi e nuovi che lo giudicavano ormai un sorpassato, o un nemico della repubblica e della democrazia o uno che poteva minare in qualche misura l’unità dei cattolici. “L’Italia del secondo dopoguerra trovò in lui un censore severo della classe politica nazionale, un profeta disarmato e scomodo, una, come egli amava definirsi, Cassandra inascoltata”[55]. Svolse questo ruolo con grande senso di responsabilità e libertà sempre e soltanto nell’interesse del bene comune. Una caratteristica che già in vita gli fu riconosciuta: “quello dell’indipendenza di giudizio è un suo abito su misura, ed è il suo grande unico lusso” scriverà Rodolfo De Mattei in un articolo apparso il 19 aprile 1958 sul “Giornale d’Italia”.
Il liberalismo che Gobetti aveva colto nel pensiero e nell’agire di Sturzo già a partire dagli anni Venti, “emerge in modo [ancora più] nitido” nell’Italia repubblicana e democratica degli anni ’50. Un liberalismo che, scrive Bagnoli, va “oltre lo schema dottrinario classico della liberal democrazia”[56].
Non vi è dubbio che per Sturzo la democrazia debba fondarsi sulla libertà “che ha significato morale e sociale”[57] […], nel senso che deve salvaguardare i valori della persona umana in quanto individuo volto naturalmente al sociale e ricollocarlo “al centro della riflessione collettiva ritenendo che la politica democratica è, e richiede un’azione collettiva”[58]. Naturalmente ricordando sempre che “fuori della ‘sfera etica’ la politica diviene impolitica, e lo Stato perde la sua stessa ragione di essere, la sua razionalità di forma sociale primaria e fondamentale”[59].
La diagnosi infausta della giovane democrazia italiana condotta da Sturzo nell’ultimo settennio della sua vita, purtroppo, si è rivelata esatta, e i mali da lui individuati e criticati (lo statalismo, la commistione fra economia e politica, lo strapotere dei partiti, lo sperpero del denaro pubblico, la corruzione a tutti i livelli) non sono stati curati, ma anzi sembrano ormai essersi cronicizzati.
La lettura di quest’agile, ma intenso saggio ci offre numerosi spunti di riflessione per il nostro presente caratterizzato da una costante crisi di valori e dalla incertezza politica.
Attingere a uomini come Piero Gobetti e Luigi Sturzo, che della correttezza morale e della libertà hanno fatto la loro bandiera esistenziale, non deve essere un’operazione di revival culturale da utilizzare a sostegno delle parti e delle tesi più disparate. Deve essere, piuttosto, motivo di serio ripensamento, al di là di storici steccati tra cultura cattolica e laica, per chi ha veramente a cuore il bene comune. Ancora una volta, Paolo Bagnoli, animato da grande passione civile, induce a confrontarci con pensatori che sentivano forte l’esigenza di rifondare e rimettere l’uomo al centro della questione politica.


Rosanna Marsala


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[1] Cfr. G. DE ROSA, Presentazione a Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, a cura di Bartolo Gariglio, Milano, FrancoAngeli, 1997, p. 11.

[2] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, prefazione di Eugenio Guccione, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2016, p. 13.

[3] Ivi, p. 5.

[4] Secondo G. De Rosa “Senza l’innesto romano probabilmente l’esperienza di Sturzo non avrebbe superato l’ambito della Sicilia, sarebbe rimasta limitata a una esperienza locale, che, per quanto si possa immaginare aperta e coraggiosa, non sarebbe andata molto più in là della storia di un sindaco esemplare, di un capace organizzatore economico, di un leghista bianco”. G. DE ROSA, L’utopia politica di Luigi Sturzo, Brescia, Morcelliana, 1975, p. 18.

[5] Il punto di svolta è unanimemente considerato il Discorso di Caltagirone del 24 dicembre 1905 in cui Sturzo appare già proiettato verso una concezione più moderna e laica dell’impegno politico dei cattolici. Il discorso è stato più volte ristampato. L’edizione da noi tenuta in considerazione è quella riprodotta da DE ROSA, “La Croce di Costantino”. Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolica e sulle autonomie comunali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1958, pp. 233-259.

[6] L. STURZO, Italia e fascismo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, [1926], 2001; L. STURZO, Miscellanea londinese (1925-1930), I, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, [1926], 2003(2); L. STURZO, Miscellanea londinese (1931-1933), II, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003(2); L. STURZO, La comunità internazionale e il diritto di guerra, Bologna, Zanichelli, [1929], 1954.

[7] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 12.

[8] G. SPADOLINI, Gli uomini che fecero l’Italia, Milano, Longanesi, 1993, p. 819.

[9] Cfr. E. GUCCIONE, Luigi Sturzo, Palermo, Flaccovio, 2010; P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., pp. 14-15.

[10] F. MALGERI (a cura di), Atti dei congressi del Partito popolare italiano, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 395. Sul tema della libertà cfr. anche L. STURZO, Problemi spirituali del nostro tempo, Bologna, Zanichelli, 1961, p. 207; L. STURZO, Politica e morale, Bologna, Zanichelli, 1972, p. 321 e ss.

[11] Cfr. A. DI GIOVANNI, La concezione organica come esigenza politico-morale, in AA.VV., Politica e sociologia in Luigi Sturzo, Milano, editrice Massimo, pp. 79-80.

[12] R. MARSALA, Popolarismo e costituzionalismo in Filippo Meda. Lettere a Giuseppe Toniolo 1890-1917, 2007, p. 39.

[13] G. SPADOLINI, Il Tevere più largo da Porta Pia ad oggi, in Dieci illustrazioni, Milano, Longanesi & C., 1970.

[14] Cfr. M. D’ADDIO, Libertà e democrazia, in AA.VV., Politica e sociologia in Luigi Sturzo, Milano, editrice Massimo, 1981, p. 151.

[15] Cfr. ivi, p. 150.

[16] Cfr. A. IANNAZZO, Gobetti e gli intellettuali siciliani, in P. POLITO (a cura di), Piero Gobetti e gli intellettuali del sud. Seminario Roma, 28-29 aprile 1993, Napoli, Bibliopolis, 1995, p. 222.

[17] P. BAGNOLI, Piero Gobetti e Luigi Sturzo, in E. GUCCIONE (a cura di), Luigi Sturzo e la democrazia nella prospettiva del terzo millennio, II, Firenze, Oschki, 2004, p. 912.

[18] Cfr. M. MUSTÈ, Luigi Sturzo e il popolarismo nel giudizio di Piero Gobetti, in Luigi Sturzo e la democrazia europea, a cura di G. De Rose, Bari, Laterza, 1990, pp. 351-365.

[19] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 19.

[20] Cfr. P. POLITO (a cura di), Piero Gobetti e gli intellettuali del sud. Seminario Roma, 28-29 aprile 1993, Napoli, Bibliopolis, 1995. In particolare si veda B. GARIGLIO, Gobetti, Sturzo e i cattolici meridionali, pp. 169-195; A. IANNAZZO, Gobetti e gli intellettuali siciliani, pp. 217-222. Sulle attività culturali e politiche portate avanti da Gobetti in quel periodo cfr. P. BAGNOLI, Piero Gobetti: cultura e politica in un liberale del Novecento, Firenze, Passigli, 1984.

[21] E. GUCCIONE, Cattolici e democrazia. Ventura, Murri, e Sturzo e le critiche di Gobetti, Palermo, La Palma, 1988, pp. 55-73.

[22] Cfr. La Rivoluzione italiana. Discorso ai collaboratori di “Energie nuove”, 30 novembre 1920, ora in Piero Gobetti, Scritti politici [SP], a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, p. 189.

[23] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 7.

[24] P. GOBETTI, Gli ultimi conservatori, in “La Rivoluzione liberale” a. I, n. 15, 28 maggio 1922; SP, pp. 366-371.

[25] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 20.

[26] P. GOBETTI, Esperienza liberale, in “La Rivoluzione liberale”, a. I, n. 18, 18 giugno 1922; SP, p. 379.

[27] P. GOBETTI, Don Sturzo, in “La Rivoluzione liberale”, a. I, n. 20-21, 2-9 luglio 1922; SP, p. 384.

[28] Ibidem.

[29] Ivi, p. 386.

[30] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 26.

[31] A. GRAMSCI, I cattolici italiani, in “Avanti!”, 22 dicembre 1918, ora in Scritti politici I, a cura di P. Spriano, Roma, Editori riuniti, 1973, pp. 224-228.

[32] N. ANTONETTI, Sturzo, i popolari e le riforme istituzionali del primo dopoguerra, Brescia, Morcelliana, 1988, p. 130.

[33] G. DE ROSA, Presentazione a Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, cit., p. 10.

[34] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 31.

[35] Dalla collaborazione con Gobetti nacquero alcuni dei volumi più significativi di Sturzo come Popolarismo e fascismo, Pensiero antifascista, La libertà in Italia, certo i più importanti degli anni del dopoguerra. Cfr. B. GARIGLIO, Gobetti, Sturzo e i cattolici meridionali, p. 173.

[36] G. DE ROSA, Presentazione a Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, cit., p. 10.

[37] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 28.

[38] Ivi, p. 30.

[39] Ivi, p. 28.

[40] Ivi, p. 33.

[41] G. DE ROSA, Presentazione a Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, cit., p. 10.

[42] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 35.

[43] M. D’ADDIO, Libertà e democrazia, cit., p. 155.

[44] Ibidem.

[45] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 40.

[46] Cfr. M. D’ADDIO, Libertà e democrazia, cit., pp. 157-158.

[47] A. DI GIOVANNI, La concezione organica come esigenza politico-morale, cit., p. 85.

[48] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 43.

[49] Ivi, p. 38.

[50] Cfr. E. GUCCIONE, Luigi Sturzo, cit., pp. 58-66.

[51] L. GIULIANI, Don Luigi Sturzo grande evangelizzatore della politica e della società, Roma, CISS, 2006, p. 17.

[52] L. Sturzo a P. Gobetti, Londra 29 novembre 1925, ora in Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, cit., p. 258.

[53] P. BAGNOLI, Piero Gobetti e Luigi Sturzo, in E. GUCCIONE (a cura di), Luigi Sturzo e la democrazia nella prospettiva del terzo millennio, cit., p. 920.

[54] Cfr. M. D’ADDIO, Aspetti del pensiero politico-sociale di Luigi Sturzo nel periodo dell’esilio, in A. DI GIOVANNI, A. PALAZZO (a cura di), Luigi Sturzo teorico della società e dello Stato, Milano, Massimo editore, 1989, pp. 11-25.

[55] M. BALDINI, Un profeta disarmato, scomodo e inascoltato, in “Rinascimento popolare”, n. 4, luglio-agosto 2000, p. 20.

[56] P. BAGNOLI, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due opposte radici e una stessa idea di libertà, cit., p. 47.

[57] Ivi, p. 58.

[58] Ivi, p. 61.

[59] Cfr. A, DI GIOVANNI, La concezione organica come esigenza politico-morale, cit., p. 47.