Guido De Ruggiero (Napoli, 1888 - Roma, 1948)
di Corrado Ocone – “Mondoperaio”, luglio-agosto 2018, pp. 85-91.
Nel 1924 sulla Critica Benedetto Croce recensisce un volume apparentemente minore di Guido De Ruggiero uscito quello stesso anno per le edizioni Principato: Problemi della conoscenza e della moralità ad uso delle scuole. Minore in modo apparente, il libretto di De Ruggiero: fosse anche solo per il fatto che esso è uno dei non molti esempi in cui colui che resta uno dei maggiori storici italiani della filosofia affronta in maniera diretta i più classici problemi teoretici e speculativi. Fu proprio questo aspetto ad interessare Croce: la curiosità di vedere come su “problemi particolari” e determinati della filosofia se la cavasse “uno dei migliori seguaci dell’ ‘idealismo attuale’, e forse anche il migliore”. Una filosofia, l’ “attualismo”, che Croce giudicava astratta, retorica, vuota. Pur condita di qualche apprezzamento di stima personale, la recensione crociana era una vera e propria stroncatura, una decostruzione delle idee o tesi fatte proprie dall’autore: “Dualismo di conoscenza scientifica e conoscenza storica; dualismo di soggetto e cose, di pensiero e di essere; verbalistico superamento del dualismo mercé l’escogitazione di un x, che sarebbe la radice comune del pensiero e dell’essere; psicologismo ed evoluzionismo, che annacqua senza sciogliere tutti i problemi, e anche quello così aspro dell’errore e del male; posizione, oltre la scienza e la storia, di una filosofia che adempirebbe l’ufficio di unificare non solo le scienze, ma tutte le attività dello spirito umano: chi non riconosce, in tutti questi tratti, sostanzialmente le soluzioni che si solevano esibire nelle dissertazioni e nei sistemi di filosofia del secolo decimonono, derivate da alcune parti del kantismo, e non senza l’influsso dello spencerismo? A questa che direi philosophia vulgaris o filosofia della media opinione, mi pare che si riduca, nel De Ruggiero, l’idealismo attuale, quando esce dal suo lungo prologo mistico, dal suo sacro ‘mistero’ dell’Atto e del Fatto”[1].
Non passa nemmeno un anno e sempre sulle pagine della Critica Croce usa ben altri toni, e dà ben diversi e positivi giudizi, su un nuovo e ben più importante libro che intanto De Ruggiero aveva pubblicato: Storia del liberalismo europeo. È una recensione, quella crociana, che è “un semplice annunzio” di un’opera appena uscita a cui però il filosofo napoletano non risparmia lodi. Croce intuisce tutto il valore del volume, che fra l’altro sarebbe stato tradotto nelle principali lingue europee e che ancora oggi conserva, a quasi un secolo di distanza, un posto nelle bibliografie. Ciò che ora Croce apprezza è il “tuffarsi nella storia” di De Ruggiero: il quale, aggiunge, ha trattato il tema del liberalismo “nella sua oggettività, coi fatti e la dialettica dei fatti; e si è guardato dal semplificare e schematizzare la storia che egli tratta, anzi si è studiato di esporla nelle sue future, nei suoi ondeggiamenti, nei suoi contrasti”. Ha osservato “accuratamente la distinzione fra quelle che sono posizioni categoriche o speculative, e quelle che sono concrete e cangevoli e viventi tendenze e istituti”.
De Ruggiero ha evitato, in altre parole, “la grossolana introduzione di astratti concetti filosofici nella storia”: “Con il che il lavoro del De Ruggiero è diventato più e non meno filosofico: filosofico nel senso buono che è (mi si condoni il bisticcio) quello del buon senso, e in guisa assai conforme all’ingegno dell’autore, il quale è più spiccatamente storico, e verso le discettazioni filosofiche concettuali ha mostrato sempre una certa impazienza, spacciandosene e giovandosene come di una generica orientazione (discutibile, come altra volta ho mostrato, in certe proposizioni), per correre verso la considerazione politica e storica, che fortemente lo attirava”[2].
Ora, il fatto che fra le due recensioni ci fosse stata la battaglia, a colpi di opposti “Manifesti”, fra gli intellettuali fascisti capeggiati da Gentile e quelli antifascisti guidati da Croce, e che De Ruggiero si fosse trovato nella lotta nettamente contro le idee di colui che aveva giudicato qualche anno prima il suo “unico maestro”, e cioè Gentile, è senza dubbio da considerare di importanza fondamentale (da questo momento fra i due ogni rapporto umano si interruppe)[3]. Che esso spieghi da solo una così vistosa palinodia da parte crociana, però, non corrisponde a verità: né farebbe onore, se così fosse, alla statura dei pensatori coinvolti in questa vicenda. Il fatto è che un accordo teoretico fra Croce e De Ruggiero, pur nella comune cornice idealistica in cui si muovevano (e in cui si muoveva Gentile), mai ci fu prima e mai ci sarà dopo il 1925. E che se un avvicinamento ci fu esso avvenne per motivi politici e fu sempre e solo un avvicinamento parziale.
Certo, opere di indiscutibile valore storiografico come la Storia di De Ruggiero non potevano che favorirla: Croce, di fronte ad un’opera eccelsa, mai sarebbe stato in silenzio. Tanto più che Robin George Collingwood, che aveva traslato in inglese il suo Vico e che egli considerava il suo “amico” in terra britannica, si era subito impegnato nella traduzione e fatto patrocinatore della pubblicazione dell’opera per i prestigiosi tipi della Cambridge University Press. Non si tratta solo del fatto che De Ruggiero riesce di più quando si “tuffa nella storia”. La questione è che De Ruggiero non ha mai aderito fino in fondo allo storicismo crociano, a suo modo di vedere troppo appiattito sull’immanenza e giustificatorio della realtà, senza tensione utopica e afflato etico. Vicino dapprima all’attualismo, se ne sarebbe via via allontanato proprio per l’incapacità che in esso riscontrava, per altra via rispetto a quella dello storicismo crociano, di pensare fino in fondo il momento etico. Gli anni a cavallo del ’25, quelli in cui Mussolini prende definitivamente il potere, si collocano in questa fase di passaggio.
Ma andiamo con ordine. De Ruggiero era entrato in contatto con Croce molto presto e aveva cominciato a collaborare alla sua rivista nel 1911[4]. Era il periodo in cui il rapporto di Croce con Gentile ancora reggeva, ed entrambi erano i principali redattori della Critica. I dissidi teoretici però cominciavano già, poco alla volta, a venire alla luce, concernendo in primo luogo il tema della distinzione e/o unità delle “forme allo spirito”[5]. De Ruggiero fece sostanzialmente sue le posizioni di Gentile, ritenendo che i “distinti” crociani non fossero giustificabili speculativamente: un residuo di “naturalismo” non tollerabile in un sistema idealistico. Ovviamente per Gentile l’unità dello spirito, garantita dalla filosofia che ne è la “forma” suprema, non era statica, ma dinamicamente realizzantesi attraverso la “dialettica degli opposti” che è la logica del reale. Di qui De Ruggiero, in maniera molto più spiccata rispetto a Gentile, ricava un interesse per il particolare e il concreto, per la storia, che sempre lo accompagnerà[6].
Intanto, nel 1916, in una lettera a Armando Carlini, egli sintetizza il suo rapporto con i due “maestri” del neoidealismo italiano. “Scolaro” si riconosceva solo di Gentile, ma, aggiunge, “nel senso che da lui ho avuto l’intuizione della via da seguire: Spaventa e la sintesi apriori kantiana, lo sviluppo delle idee è invece avvenuto in me in modo del tutto laterale”, avendo di mira una “filosofia come finalità che trascende infinitamente in valore i mezzi e i momenti in cui si attua (e che pur la riconoscono a sé immanente). Sistema aperto, sempre in via di organizzarsi, il cui valore è dato appunto dalla forza formatrice che il pensiero acquista grado a grado nel suo lavoro, e non già nei momenti preferiti e preferibili di esso”[7]. Il richiamo a Spaventa serve qui a De Ruggiero per ribadire quelli che saranno sempre due punti fermi della sua impostazione: il richiamo all’unità dello spirito e il primato della filosofia. Si tratta di due elementi che lo hanno sempre differenziato da Croce, anche nei momenti di amicizia e stretta collaborazione. Il viaggio in Inghilterra del 1920 e 1921 e l’amicizia lì stretta con Collingwood, con il quale era già in contatto, al di là delle reciproche influenze doveva rinforzare questa visione unitaria dello spirito “adeguata” dalla filosofia: che nel filosofo inglese trova compiuta espressione nell’opera che proprio in quegli anni va elaborando e che è la sua più importante da un punto di vista speculativo (Speculum Mentis. A Map of Knowledge, Clarendon Press, Oxford 1924).
Questa differenza di fondo verrà ben sintetizzata, qualche anno dopo, sempre sulle pagine della Critica, da De Ruggiero stesso: “Diversamente dal Croce, egli ritiene che il nesso delle attività spirituali risulti da una dialettica di opposti e non di distinti; su questo punto egli aderisce alla veduta del Gentile, o meglio, rendendo a Cesare quel ch’è di Cesare, dello Hegel, senza per altro accettare la triade hegeliana – arte, religione, filosofia – che costringe le attività spirituali in un letto di Procuste, annullando alcuni caratteri peculiari e differenziali di esse: p. es. l’autonomia della scienza naturale. E dell’opposizione dialettica il Collingwood ha, come pochi altri, il sentimento profondo, aderente alla ricchezza e varietà delle forme dell’esperienza umana. Leggendo il suo libro, noi non c’imbattiamo mai in quel mero formalismo in cui ha finito con l’adeguarsi beatamente il Gentile che, condito di retorica, serve spesso a dissimulare l’aridità e il vuoto mentale”[8].
D’altronde Croce stesso aveva attestato, recensendo Speculum Mentis, che “il problema dal quale il Collingwood prende le mosse” è “il problema dell’unità, dell’ordine, della gerarchia, della stabilità nel mondo moderno”. È un problema che egli non giudica vano, tanto che lui stesso ha “più volte scritto che il problema del mondo moderno è tutto nella elaborazione di una nuova fede”. Ma è un problema che però, a suo avviso, lo fa persuaso che “la nuova fede non potrà mai essere un’imitazione di quella medievale”. Infatti “come fede, darà unità e pace interiore; ma sarà l’unità e la pace di chi unifica le differenze facendole valere nella loro discorde concordia, di chi pacifica la lotta accettandola e combattendola. Nell’età moderna la vita non scorre più idilliaca e sulla terra ferma; ma sul mare, e drammatica. E non è detto che chi naviga fendendo le onde, non possa godere anch’esso, a suo modo, la pace interiore e sentirsi congiunto con Dio”[9].
Passo, questo crociano, altamente significativo, che permette forse di entrare nel nucleo più profondo della logica crociana. Esso infatti introduce nell’unità e compattezza dell’Essere classicamente inteso, e del pensiero (filosofico) che gli corrisponde, una spaccatura strutturale che fa pensare l’uno nei molti in un modo a cui forse solo Isaiah Berlin si è approssimato con altrettanta radicalità (anche se nel pensatore oxoniense, che non era propriamente un filosofo speculativo, il livello si mantiene ad un livello quasi esclusivamente empirico)[10].
Dalla parte (teoreticamente parlando) non di Croce, ma di Collingwood e Gentile, ma con una più spiccata sensibilità per il concreto rispetto al primo (che pur l’aveva) e soprattutto rispetto al secondo, De Ruggiero si allontanò in un primo momento dal “maestro” per motivi politici. Contestualmente si riavvicinò, sempre per gli stessi motivi, a Croce: con il quale, pur nell’ottica del comune antifascismo, non c’era però una completa corrispondenza dal punto di vista della concezione politica. Dopo la firma del Manifesto e la positiva recensione crociana alla Storia, De Ruggiero ricominciò a collaborare alla Critica nel novembre 1927[11]. Egli però inizia, suppergiù in quello stesso periodo, una “revisione”, come lui stesso la chiama, dell’attualismo, che però non lo porta né ad abbandonare l’esigenza di unità e unitarietà dello spirito che esso affermava, né d’altra parte a far proprie fino in fondo le ragioni dello “storicismo assoluto” crociano.
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[1] La Critica, a. 22 (1924), pp. 229-232.
[2] La Critica, a. 23 (1925), pp. 305-306.
[3] Giovanni Gentile si fece promotore di un Manifesto degli intellettuali fascisti che uscì su molti quotidiani italiani il 21 aprile 1925. Fra i firmatari: Gabriele D’Annunzio, Salvatore Di Giacomo, Curzio Malaparte, Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Pirandello, Ardengo Soffici, Ugo Spirito, Giuseppe Ungaretti e Gioacchino Volpe. Benedetto Croce rispose con un controappello, il Manifesto degli intellettuali antifascisti, che fu pubblicato il primo maggio dello stesso anni su Il Mondo. Lo firmarono, fra gli altri: Luigi Albertini, Corrado Alvaro, Giovanni Amendola, Antonio Banfi, Piero Calamandrei, Guido De Ruggiero, Luigi Einaudi, Guglielmo Ferrero, Giustino Fortunato, Rodolfo Mondolfo, Eugenio Montale, Gaetano Mosca, Gaetano Salvemini. I testi dei due appelli si leggono in: B. CROCE – G. GENTILE, 1925. I due Manifesti. Il Manifesto degli intellettuali fascisti e il Manifesto degli intellettuali antifascisti, a cura di A.M. Carena, Aragno, 2016.
[4] Il primo saggio che De Ruggiero pubblicò sulla Critica fu una recensione a Substanzbegriff und Funktionbegtrifff. Untersuchungen Uber die Grundfragen der Erkinntnsskritik di Ernst Cassirer. Sempre nel 1911 uscirà, sulla rivista di Croce, in due parti, un altro saggio di De Ruggiero: La filosofia dei valori in Germania (pp. 369-384 e pp. 441-448).
[5] Tali dissidi presero forma pubblica sulle pagine de La Voce di Prezzolini nel 1913, attraverso una serie di articoli che i due filosofi scrissero in ideale dialogo. La “polemica fra filosofi amici”, come Croce ebbe allora a chiamarla, costituisce, probabilmente, uno dei punti più alti raggiunti dalla filosofia italiana nel Novecento. Tutti i materiali si trovano in : M. LANCILLOTTI, Unità e distinzione dello spirito, Studium, 1988.
[6] In verità anche Gentile fu storico eccellente, soprattutto delle idee e della filosofia, ma non ebbe mai quella spontaneità di immergersi completamente nella storia senza più tenere conto delle movenze speculative del suo pensiero. Quando Croce, nella citata recensione alla Storia di De Ruggiero (1925) dirà che la sensibilità dell’autore era più storica che teoretica coglierà nel segno. Meno quando però esalterà la Storia per non aver introdotto concetti speculativi nella narrazione: un vizio, quest’ultimo, che non fu mai proprio, almeno non in modo evidente, di De Ruggiero.
[7] I passi citati della lettera di De Ruggiero a Carlini, datata 24 gennaio 1916, sono riportati nella voce a De Ruggiero dedicata da Renzo De Felice nel Dizionario biografico degli italiani, volume 39, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991.
[8] La Critica, vol. 26 (1928), pp. 407-417.
[9] La Critica, pp. 55-59.
[10] Cfr. M. MAGGI, La logica di Croce. E, per quel che concerne Berlin, C. OCONE, Isaiah Berlin, il liberalismo come pluralismo in Il liberalismo nel Novecento. Da Croce a Berlin, Rubbettino, 2016, pp. 121-154.
[11] La collaborazione, iniziata nel 1911, si era interrotta nel luglio 1915. Durò ora altri 10 anni. Fino a quando, nel 1938, non intervennero dissidi intellettuali ormai non più componibili.