L’Italia si sta suicidando per proteggere la sua mediocrità
Importiamo braccia, esportiamo cervelli: fa male dirlo, ma il declino del Belpaese si fonda su questo scambio. A sua volta indotto dalla nostra incapacità di valorizzare il merito. E dalla nostra difesa a oltranza del parassitismo e delle rendite di posizione
di Michele Boldrin

30 Agosto 2017 - 080


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L’editoriale di Francesco Cancellato mi induce ad ulteriori riflessioni. Non, questa volta, in contraddizione con le sue ma in aggiunta. Sono convinto da decenni che i flussi umani da/per l’Italia siano, al contempo, il miglior indicatore del declino (come lo chiamammo su noiseFromAmerika dal 2006 in avanti) ed uno dei suoi motori principali.

Francesco riporta una frase del president del Ciad: «Perdiamo persone, perdiamo braccia valide» notando che Gentiloni avrebbe potuto dire altrettanto. Vero, ma con un distinguo importante: avrebbe dovuto sostituire “braccia” con “cervelli”. Ed è lì che sta il punto: l’Italia importa braccia ed esporta cervelli. Dove, meglio chiarirlo subito, con “cervelli” non si intende solo (neanche principalmente) ricercatori o aspiranti professori universitari ma, invece, persone dotate di capacità professionali e motivazioni superiori alla media in ogni campo di attività, dalla medicina all’architettura, dalla ristorazione all’ingegneria e financo al giornalismo, passando ovviamente per l’accademia.

I “quantificatori” vanno usati con cura in questa discussione. Non è vero che tutti gli eccellenti emigrano: in ogni data professione molti, o alcuni, rimangono. Ma son sempre meno e, in certi campi, sono oramai una minoranza. Non è nemmeno vero che importiamo solamente “braccia con poco cervello”: fra gli immigrati, che invece di transitare per l’Italia alla ricerca di più verdi pascoli vi son rimasti, ci sono anche moltissimi capaci che hanno contribuito professionalità ed imprenditorialità al nostro paese. Ma sono una minoranza e, in assenza di statistiche su cui confidare, sono troppi gli indizi che segnalano la loro diminuzione in percentuale degli immigrati che rimangono. Insomma, l’Italia esporta skilled emigrants ed importa unskilled immigrants: proviamo a chiederci perché e quali effetti questo abbia.

Per farlo adotto una metafora economica – quella della funzione aggregata di produzione – che, quando usata con un po’ di disciplina, può essere utile. Pensate al Pil italiano come al frutto di un mischiarsi di milioni di fattori di produzione: le macchine, i terreni, le professionalità individuali, le conoscenze tecnologiche, il lavoro puro e semplice, eccetera. Tale complessa “convoluzione” avviene secondo regole legali, norme culturali, istituzioni ed altri criteri che definiscono il “sistema economico” e ne caratterizzano l’efficienza oltre che distribuirne il prodotto a questo o quell’altro fattore. È abbastanza intuitivo pensare che l’insieme delle regole socio-economiche e le caratteristiche dei fattori di produzione preponderanti determinino effetti di complementarietà o attrazione verso certi fattori e di repulsione verso altri. Un paese con tanti campi fertili attira agricoltori, uno con tante buone università attira aspiranti ricercatori ed uno con tanti anziani sussidiati attira ... badanti. D’altro canto, un paese dove il merito non viene compensato e dove chi chiede d’esserlo più della media – perché fa e produce sopra di essa – viene guardato malamente, tenderà ad allontanare questo tipo di persone. Insomma, è la parte centrale della distribuzione delle capacità (quella di gran lunga maggioritaria) che – assieme alle regole del gioco ed ai criteri di compensazione individuale – determina chi viene e chi va in un sistema economico.

L’italiano medio (l’80% della popolazione se devo dare ascolto ad inchieste, intenzioni di voto e programmi dei partiti) ha deciso di costruire e difendere un sistema che espelle ed espellerà le eccellenze in praticamente tutti i campi, premiando invece le mediocrità. Questo processo ha il suo motore immobile nella politica: mai, credo, si era vista in parlamento una peggior masnada di incompetenti, chiacchieroni, arruffoni, faccendieri, svitati, ignoranti, bugiardi, arrampicatori sociali e megalomani. Costoro non sono stati scelti né da Merkel né da occulte potenze straniere ma dalla maggioranza del popolo italiano che, evidentemente, in essi si riconosce.

Questa la realtà con cui l’italiano medio si rifiuta di fare i conti: se, per proteggere te stesso e la tua scarsa voglia o capacità di competere, premi ovunque e sempre mediocrità, fancazzismo e parassitismo diffuso, la minoranza che fancazzista e mediocre non è cercherà di andarsene mentre i furbetti, i fancazzisti ed i mediocri che stanno fuori accoreranno all’Eldorado
E siccome la mediocrità riproduce e premia se stessa, quella politica, da “sopra”, e quella dell’elettorato, da “sotto”, hanno concorso in questi decenni ad imporsi in ognuna delle professioni che determinano l’immagine verso l’estero ed il funzionamento interno del paese: dal giornalismo all’accademia, dalla burocrazia pubblica all’imprenditoria privata sino alla produzione culturale ed alle professioni. Mediocrità, disdegno per la competenza, parassitismo congenito e ricerca di favori sulla base di connessioni politiche o familiari sono le regole che dominano quella “convoluzione” dei fattori di produzione che menzionavo prima e ne seleziona, quindi, natura e qualità.

È dell’altro ieri l’ennesima imbarazzante affermazione del presidente di Confindustria – uno che dovrebbe dedicarsi a fomentare innovazione, concorrenza, iniziativa imprenditoriale, lungimiranza e propensione al rischio – il quale chiede 10 miliardi di sussidi pubblici per creare 900mila posti di lavoro! Chissà da quale cappello politico ha estratto quel numero, non poteva chiedere 11 e fare conto tondo imitando la sparata berlusconiana d’un ventennio fa? Ma questo è solo un esempio fra i mille possibili. Ho scoperto da poco che, nel programma ministeriale per dare una piccola mancia ai dipartimenti universitari eccellenti esiste la clausola di salvaguardia della mediocrità diffusa: ogni singola sede universitaria ha per definizione almeno un dipartimento da premiare come “eccellente” sul piano nazionale! Folle? Evidentemente non per il parlamentare, funzionario e docente universitario medio italiano: la regola sta lì da tempo e nessuno protesta.

Questa la realtà con cui l’italiano medio si rifiuta di fare i conti: se, per proteggere te stesso e la tua scarsa voglia o capacità di competere, premi ovunque e sempre mediocrità, fancazzismo e parassitismo diffuso, la minoranza che fancazzista e mediocre non è cercherà di andarsene mentre i furbetti, i fancazzisti ed i mediocri che stanno fuori accoreranno all’Eldorado. Tutto questo non lo risolvi di certo con gli incentivetti fiscali per il ritorno dei cervelli (!) né imprecando contro questi immigranti di m.... che così tanto ti assomigliano!

Tutto questo, caro concittadino medio, lo puoi risolvere, nei decenni a venire, solo mettendo da parte i mediocri per lasciar spazio agli eccellenti. Comincia ora, comincia da te che forse è già troppo tardi.


https://www.linkiesta.it/it/article/...iocrita/35347/