Dal PRC al marxismo-leninismo

Pubblichiamo la lettera di Alessandro Pascale al PRC allegando anche la bozza del documento due (dell'ultimo congresso del PRC), scritta dallo stesso Pascale, prima della sua modifica.

[Quella che segue è la lettera di dimissioni da ogni incarico dirigente ricoperto nel Partito della Rifondazione Comunista, con conseguente mia uscita dall'organizzazione]

Milano, 14 settembre 2018

Per spiegare le ragioni che mi portano a lasciare il Partito della Rifondazione Comunista vorrei approfittare per tracciare il più brevemente possibile il mio percorso politico e formativo, al fine di offrire uno stimolo di riflessione sulle modalità con cui un giovane di provincia sia potuto passare da una generica appartenenza alla “sinistra” alla coscienza della necessità di recuperare il marxismo-leninismo.


Sono nato e cresciuto in Valle d'Aosta, una realtà periferica, distante dai centri politici e sociali dell'Italia e caratterizzata molto dalle problematiche locali, principalmente la difesa dell'autonomia regionale con i suoi annessi privilegi economici. Il fatto di essere cresciuto in una famiglia progressista, con mio padre quadro dirigente del Partito Socialista Italiano, ha sicuramente favorito l'assorbimento di una morale laica e progressista, improntata anzitutto all'educazione ai valori di uguaglianza, rispetto, solidarietà, giustizia e libertà. Ho sempre provato noioso e odioso andare al “catechismo” e frequentare l'ora di religione a scuola. Una imposizione a cui mi sono ribellato a 14 anni, a cresima già avvenuta. Gli anni successivi sarebbero stati caratterizzati da un anticlericalismo e ateismo spesso sfoggiati con impudenza e sfottò. Ho maturato l'appartenenza sentimentale al comunismo negli anni del liceo (scientifico), durante il cui periodo non sono mai venuto a contatto con organizzazioni politiche, ma ho avuto la fortuna di leggere e studiare molto, provando amore per la storia e un certo disinteresse per la filosofia, che mi sembrava spesso incomprensibile nelle sue astruserie. È in questo periodo che ha iniziato a formarsi in me una sensibilità marxista, seppur ancora abbozzata, immatura e “idealista”.

Terminato il liceo ho preso l'ardita scelta di intraprendere gli studi storici, motivo di contestazione in famiglia, che avrebbe preferito in un'ottica lavorativa una facoltà di economia o di informatica. Ho disobbedito ai consigli pressanti, seguendo la mia passione più profonda per gli studi applicati alla letteratura e alle scienze umane e sociali. In quel periodo la militanza non era ancora un'opzione esistente nel mio cervello, seppur iniziavo a frequentare alcuni ambienti di sinistra, constatandovi una profonda ignoranza delle basi del marxismo. D'altronde frequentavo un'università privata, la Cattolica. Essendo riuscito a spuntarla in famiglia sulla scelta professionale futura (l'insegnante, cosa che sono diventato), non me l'ero sentita di obiettare al paterno “già fai una facoltà di merda, almeno la fai bene”. Mio padre usava parolacce assai di rado, ossia le rare volte in cui perdeva una santa pazienza. Mi ritrovai quindi in una delle casematte del Vaticano, quell'università fondata dal fascista Gemelli. Sballottato tra preti e studenti di “Comunione e Liberazione” cercai di sopravvivere concentrandomi su uno studio diligente e tornare il più possibile in Valle d'Aosta, dove mantenevo la gran parte delle relazioni personali.

Mi sono laureato in Scienze Storiche all'Università Cattolica di Milano con due tesi su “Berlinguer e il compromesso storico” (triennale nel 2008) e “Popular Music politica. Un'analisi storico-sociale sul contesto italiano” (specialistica nel 2010), entrambe valutate con il massimo dei voti. Durante gli anni universitari ho iniziato ad apprezzare gli studi filosofici, sviluppando maggiormente una coscienza politica critica e comunista, seppur ancora molto “eterodossa”, spaziando tra le opere di Marx ed Engels e un filone saggistico piuttosto variegato che accoglieva autori come Harvey, Bauman, Burgio, Zizek, oltre ad opere di taglio storico e politico vario. In quel periodo i miei interessi principali non erano rivolti alla politica nazionale: certamente mi tenevo informato, tifando il PRC di Bertinotti (cosa di cui mi sono poi pentito a posteriori) ma non ero minimamente a conoscenza dell'esistenza di correnti interne, né avevo mai sentito parlare dell'azione svolta dal gruppo dell'Ernesto. Come molti imputavo le sconfitte a fattori esterni e non agli errori politici del partito. Mi interessava però molto di più il mondo musicale e cinematografico, svolgendo un lavoro estetico di critica militante che partiva dal rifiuto delle dinamiche dell'industria culturale. Fu un'occasione per studiare a fondo Adorno, introducendomi al non pienamente soddisfacente, eppur carico di spunti, “marxismo occidentale” della Scuola di Francoforte. Scrivendo contributi per alcuni siti, cercavo di fornire analisi critiche e marxiste del cinema moderno e contemporaneo, mentre sulla musica avevo pubblicato tra le altre cose gli estratti più “politici” della mia seconda tesi. Tornato in Valle d'Aosta a inizio 2010, ho lavorato per 6 mesi come tutor per Cepu-Grandi Scuole, il cui dirigente locale ha ritenuto meglio non rinnovarmi il contratto per l'anno successivo, probabilmente perché mi ero permesso di pretendere il pagamento regolare degli stipendi per tutti i lavoratori. Mi sono arrangiato facendo il barista a chiamata per due anni, iniziando la gavetta nel mondo della scuola pubblica con le prime brevi supplenze. Nel 2012 iniziai un po' per caso una collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza della Valle d'Aosta, portando a termine nel giro di circa un anno la stesura del volume “La Soie di Châtillon. Vita, lavoro e lotta di classe”, pubblicato nel 2017 da End Edizioni.

Svolsi a al riguardo un intenso lavoro di ricerca e studio su un settore di cui sostanzialmente ignoravo pressoché ogni cosa; passavo le giornata nella Biblioteca di Aosta a saccheggiare qualsiasi libro che mi potesse tornare minimamente utile; fu l'occasione per conoscere intensamente non solo le dinamiche di uno specifico ramo industriale, ma anche in maniera più approfondita, seppur ritengo ancora ad un livello piuttosto superficiale, le dinamiche economiche internazionali, nazionali e i lineamenti principali della storia contemporanea della Valle d'Aosta, fino agli anni '70 la regione percentualmente più industrializzata d'Italia. Sono comunque orgoglioso del testo finale. Nonostante qualche inevitabile difetto presente qua e là esso rappresentava il mio primo tentativo di applicazione del materialismo storico ad una porzione, seppur minima e settoriale, dell'epoca contemporanea. “La Soie di Châtillon” è stata da questo punto di vista la mia personale palestra pratica di verifica delle idee marxiste su un ambito molto concreto e attuale riguardante il mio territorio di origine.

Dal punto di vista politico la mia militanza inizia davvero nell'estate 2008 nel Partito della Rifondazione Comunista, stimolato da una doppia necessità: riportare il prima possibile i comunisti in Parlamento e sostenere la linea Ferrero rispetto alla proposta liquidazionista del comunismo di Vendola. Nel periodo “valdostano” sono sostanzialmente stato un ferreriano, sostenendo le tesi dell'unità della sinistra, pur mantenendo un'organizzazione comunista capace di egemonizzarla. Tali tesi si conciliavano bene con la mia coscienza politica, ancora molto arretrata, che avevo fin lì acquisito. Ricordo che in quel periodo sono stato abbonato per un anno a “Il Manifesto”, seguivo “Le Monde Diplomatique”, compravo libri di Derive Approdi (da Liguori a Ferrero, da Polo a Cremaschi), passando anche per il “Bentornato Marx” di Fusaro. Non c'era un programma organico di formazione nel partito, si andava avanti principalmente organizzando presentazioni di libri nei locali dell'Espace Populaire. Gli stimoli culturali principali venivano, oltre che dai giovani compagni con cui iniziai la militanza, Matteo Castello e Matteo Amatori, dai dirigenti (o ex dirigenti) Piero Valleise, Marilde Provera e Massimo Zanetti, che però vedevamo di rado per varie ragioni. Procedevamo in maniera confusa, seppur con grande passione, non accorgendoci di girare spesso a vuoto. In quegli anni, prendendo in mano i Giovani Comunisti e rivitalizzando il Partito, facemmo molti errori, specie all'inizio, ma ottenemmo anche dei successi importanti. Ricordo soprattutto due esperienze che credo possano essere di esempio concreto di prassi politica.

Dal 2009 alla metà del 2013 abbiamo stampato e distribuito un giornalino studentesco in tutte le principali scuole superiori valdostane. “Sottobanco”, un mensile non esplicitamente partitico, era diretto ed egemonizzato dai Giovani Comunisti e raccolse progressivamente attorno a sé decine di studenti che collaboravano o nella produzione degli articoli o nella distribuzione. Non era un lavoro semplice, specie dal posto di capo-redattore che ho ricoperto per la gran parte del periodo. Al di là del fatto che per mesi si tornava a rimettere la sveglia alle 7 per andare a volantinare all'ingresso delle scuole, e dei pomeriggi passati a stampare con il copyprinter e a piegare i 3 o 4 foglie che componevano il tutto, non sono mancati problemi e tensioni. Ricordo che una volta venni chiamato in Questura perché la Digos aveva letto nella versione online una cosa che non poteva essere pubblicata pena il rischio di denuncia. Avevo scritto, due volte, mi sembra nell'editoriale, che Berlusconi era un delinquente. All'epoca in effetti, anche se il dato era sostanziale, non lo era ancora formalmente. Il tempo ha rimediato a questo intoppo temporaneo che all'epoca ci obbligò a sbarrare con una penna nera indelebile tutte le volte in cui compariva quell'epiteto. Si trattava di 1500 copie già stampate. Distribuimmo il giornalino con il passo censurato a mano e in bella vista, spiegando nel numero successivo la volontà politica di denunciare la pressione subita. Non si trattava comunque di un giornalino particolarmente sovversivo; i toni erano pacati, anche se non mancavano passaggi abbastanza radicali per la sensibilità borghese. L'ottica era quella di politicizzare un po', di diffondere spirito critico, di informare in senso progressista nei giovani locali, in cui riscontravamo un totale disinteresse per la politica. Per quanto non mancassero coloro che gettavano il giornalino appena preso in mano, dopo quattro anni di duro lavoro contavamo una ventina di iscritti alla giovanile, la metà dei quali circa militanti attivi. Nessun'altra forza politica progressista locale (tutta la Regione conta circa 120 mila abitanti) poteva vantare tanto.

La seconda esperienza di rilievo è avvenuta nel 2012, in vista di un referendum locale sulla costruzione di un pirogassificatore (una sorta di inceneritore). All'epoca, lavorando dentro il Comitato referendario contrario alla proposta, costruimmo un dossier intitolato “Gli intrecci economici e politici nel referendum sul pirogassificatore in Valle d'Aosta”. Non ho particolari meriti nella stesura di quel dossier. Esso fu preparato grazie all'indispensabile supporto tecnico e politico di una compagna locale che mi chiese, in maniera molto prudente, di non venire nominata per questo suo contributo. Ho certamente avuto il compito di curare personalmente in ogni dettaglio il lavoro, arricchendo i dati fornitimi con altre ricerche condotte autonomamente. Ne ho poi organizzato la presentazione pubblica assieme ad altri compagni. Il riscontro fu notevole. A seguito della conferenza stampa di presentazione perfino il telegiornale locale fu costretto a realizzare un servizio sulla questione riportando le denunce degli intrecci poco chiari tra Capitale e Politica locale. Per la borghesia dominante locale fu un vero e proprio schiaffo in faccia. Fu senza dubbio uno dei momenti di maggiore successo dei comunisti in Valle d'Aosta durante il periodo della mia militanza locale (svoltasi dall'estate 2008 all'autunno 2012). Con i mezzi del Partito diffondemmo gratuitamente questo breve dossier in migliaia di copie, svolgendo un contributo fondamentale nella lotta che ha portato alla vittoria finale del referendum.

Fino all'autunno del 2012 ho dunque svolto attività politica principalmente in Valle d'Aosta, dove ho maturato le prime esperienze, tra cui anche una sindacale e dirigenziale nella CGIL: tra il 2010 e il 2012 sono stato membro (il più giovane data l'assenza di ventenni precari dall'organizzazione) del Direttivo Regionale Valle d'Aosta in rappresentanza dell'area “CGIL Che Vogliamo”. Ho potuto constatare la degenerazione ideologica interna al sindacato, dove il marxismo era un retaggio quasi scomparso, tranne che in singoli e nella minoranza organizzata. Ricordo a tal riguardo le riunioni coordinate da Luca Scacchi, che un giorno stupì noi giovani sostenendo l'attualità della “dittatura del proletariato”. Aveva ragione lui ma non lo sapevo ancora, nonostante facessi parte del Comitato Politico Regionale del PRC e nell'ultimo periodo avessi ricoperto la carica di coordinatore regionale dei Giovani Comunisti.

Nell'autunno 2012 mi trasferii a Milano per abilitarmi all'insegnamento in Storia e Filosofia. Per prepararmi al concorso pubblico nei mesi precedenti avevo finalmente studiato come si deve tutta la Storia della Filosofia di Abbagnano e Fornero, assieme ad opere come “Principi elementari di filosofia” di Politzer. Iniziavo ad orientarmi meglio nell'analisi di classe dei sistemi fin lì studiati quasi meccanicamente. Cominciai ad avere una maggiore coscienza dell'importanza del materialismo dialettico, teoria oggi misconosciuta tra i comunisti, se non per sentito dire. Il periodo del TFA è anche quello in cui grazie al prof. Giovanni Carosotti ho scoperto il testo su Stalin di Domenico Losurdo. Può sembrare assurdo e incredibile ma non avevo mai letto nulla del principale intellettuale marxista italiano vivente perché non ne avevo mai sentito parlare. A tanto è riuscita la censura silenziosa nei suoi confronti. I suoi testi, “Stalin. Storia e critica di una leggenda nera”, “Controstoria del liberalismo”, “La non-violenza. Una storia fuori dal mito”, lo stesso “La lotta di classe. Una storia politica e filosofica”, ecc., sono state letture fondamentali che mi hanno aperto ad una maggiore comprensione dell'epoca storica moderna e contemporanea. Ricordo ancora con grande piacere le volte in cui ho avuto occasione di sentire e parlare con Losurdo, a partire dall'incontro di presentazione de “La lotta di classe” che ho contribuito ad organizzare all'Università Statale di Milano nel 2013.

Nell'aprile di quell'anno, ormai stabilmente residente a Milano, mi sono dimesso dal CPR in polemica con la decisione di costruire una lista con il PD nelle elezioni Regionali locali. In Lombardia sono entrato in contatto con dirigenti del Collettivo Stella Rossa, un'area interna che agiva dentro il PRC, constatando che vi aderiva una gran parte dei giovani militanti della regione. Si trattava della minoranza “leninista” interna al partito, di cui non si sapeva nulla in una realtà provinciale come quella valdostana. Iniziai a capire le questioni delle aree e delle correnti interne, con le cui dinamiche mi ero peraltro già scontrato in maniera inconsapevole ad Aosta. In questo periodo, in seguito alla “scoperta” delle opere di Lenin e di Losurdo, ho assunto un atteggiamento sempre più critico e conflittuale verso la linea maggioritaria del Partito, convincendomi con forza dell'esigenza di avviare un ampio lavoro di revisione ideologica e di programmare un piano per la formazione politica sulla base della riscoperta dei “classici” del marxismo e delle conquiste della storiografia scientifica più recente. La forte critica condotta dai settori della minoranza mi precludeva, non per mia volontà, ogni possibilità di assumere ruoli organizzativi nel partito, sia su scala provinciale che regionale. Mentre facevo sempre più fatica a pubblicare i miei contributi perfino sul sito dei Giovani Comunisti ho trovato accoglienza e spazio presso il Collettivo Stella Rossa, del quale col tempo sono diventato un quadro organico. Fu l'inizio di una collaborazione durata fino al suo scioglimento, avvenuto nell'estate 2017 per contrasti interni sull'analisi di fase e sulle prospettive.

Dal punto di vista professionale nell'estate 2013 mi sono abilitato all'insegnamento di Storia e Filosofia terminando il Tirocinio di Formazione Attiva (TFA) con un lavoro su “Stalin e l'URSS (1922-1953)”, valutato con il massimo dei voti dalla Commissione dell'Università degli Studi di Milano; il breve saggio, pubblicato poi da “Marx21”, ha avuto migliaia di condivisioni sui social network, grazie ad una “revisione della revisione” in atto sotterraneamente già da anni principalmente grazie ai lavori di Martens, Losurdo e Furr. A seguito del IX Congresso PRC (dicembre 2013), dopo aver sostenuto il doc. 3 che poneva la necessità di ripartire dalla questione comunista e dell'opposizione netta al PD, sono entrato a far parte del Comitato Politico Federale di Milano, lavorando attivamente alla ricostruzione della giovanile locale, ampiamente polemica verso la linea ferreriana, collaborando in particolar modo con il circolo interuniversitario G. Ardizzone, di cui era segretario Alessio Arena. Con quest'ultimo non mancarono occasioni di scontro, per lo più per divergenze tattiche.

Nel 2013 ho fondato la pagina facebook “I Maestri del Socialismo”. È stato uno dei miei lavori politici più importanti: mi proponevo di far conoscere i rudimenti dell'ideologia marxista e della storia del movimento operaio ad un pubblico più ampio della ristretta Rifondazione, cercando di far crescere l'intellettuale collettivo disperso in quelle poche migliaia di comunisti coscienti in Italia, spesso rimasti senza Partito. Avevo ormai alle spalle una lettura completa degli Scritti Politici e di una buona parte dei “Quaderni dal Carcere” di Gramsci, delle principali opere di Lenin, e delle elaborazioni pubblicate su siti assai importanti come “Marx21” e “Resistenze.org”. Fu un tentativo riuscito, oltre che per la qualità dei contenuti, spesso rielaborati, perché capace di adempiere ad un progetto di divulgazione adatto per il medium usato, Facebook. Un compito che nessuna organizzazione comunista svolgeva all'epoca con sistematicità. Il successo dell'operazione, che consente di comunicare ad un pubblico ampio una parte delle ricerche condotte, è tale da portare circa 20 mila persone a seguire la pagina (dati agosto 2018), che continuo a gestire tuttora.

Il primo risultato dello studio e dell'accumulazione di materiali e fonti fu nel 2015 la realizzazione, assieme al compagno Flavio Di Schiena, della dispensa di formazione “Introduzione al Marxismo, Socialismo, Comunismo”, adottata formalmente dai Giovani Comunisti di Milano e poi pubblicata su vari siti. Era un tentativo di offrire in meno di cento pagine non solo uno strumento di base per un giovane interessato a conoscere le nostre idee, ma costituiva anche la ricerca di una sintesi valida per tutto il Partito, proponendo di ripartire da Marx, Engels, Lenin e Gramsci, senza esprimersi nettamente sulle questioni del socialismo reale. Era quindi un compromesso, seppur notevolmente avanzato rispetto all'antitesi presente. Ciononostante il sito del Partito non ne diede notizia, ed essa è girata quindi limitatamente per diversi altri canali. Nello stesso anno ho portato a termine “Riscoprire Lenin”, una piccola antologia del rivoluzionario russo, anch'essa ignorata dal Partito. L'accelerazione su questi lavori fu dovuta anche alla necessità di avere materiali da proporre per chiarire la nostra linea ideologica in vista della V Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti, che si svolse nel novembre del 2015. Grazie al capillare radicamento giovanile del Collettivo Stella Rossa eravamo praticamente giunti a prendere il controllo dei Giovani Comunisti, intravedendo la possibilità concreta di influenzare una svolta nel Partito. La vittoria ci fu scippata con tranelli e metodi burocratici, non escluse minacce di commissariamento, che portarono al sostanziale immobilismo politico della giovanile, vittima sacrificale all'altare dell'unità della sinistra. Fu una botta tremenda per il morale di molti compagni, che accusarono il colpo allentando la militanza, vedendo svanire la possibilità di riformare dall'interno il partito. La mia presenza nel Coordinamento Nazionale dei Giovani Comunisti è durata circa un anno, dopo il quale sono stato sbrigativamente eliminato (assieme a molti altri validissimi compagni) per il superamento dei limiti di età, secondo un'applicazione burocratica e non attuata precedentemente dello Statuto. Il risultato è stato avere il massimo organismo dirigente dimezzato nel giro di un paio d'anni. Grottesco.

La linea del Collettivo nel Partito era ora quella di continuare a provare, allargando le relazioni politiche all'interno dei gruppi dirigenti critici verso la direzione politica di Ferrero, fungendo da punto di riferimento per l'area del doc. 3. In mancanza di alternative valide decisi di fare un nuovo tentativo e da allora mi trovai a coordinare l'area milanese del doc. 3, che era rimasta carente di quadri a seguito della scissione di quasi tutti i giovani e di alcuni quadri di peso, confluiti in un nuovo soggetto, Fronte Popolare. Uscirono in una quarantina, la maggior parte tra Torino e Milano. Il tutto avvenne un paio di mesi prima della Conferenza Nazionale GC. Avevano ragione nel merito di Rifondazione, ma continuo a pensare che sbagliarono nelle modalità e nella tattica. D'altronde era difficile l'azione politica nel Comitato Politico Federale del PRC di Milano, che sotto la Segreteria di Matteo Prencipe era uno dei più “destri” d'Italia, mettendo spesso in discussione la linea ferreriana di alternativa al PD, pur condividendo l'idea tipica del “cretinismo parlamentare” di inventarsi simboli e liste nuove ogni anno. Nel giro di pochi mesi come “area” saremmo stati comunque determinanti per costringere la Segreteria milanese a lasciare i tavoli del centro-sinistra milanese (l'ultimo periodo della giunta Pisapia), cominciando a ricostruire una credibilità politica per il nostro gruppo, oltre che per il Partito in vista delle prossime Comunali. I progressi della lotta, fatta sia dentro il partito che nella società, rimanevano comunque risibili, anzi era sempre più nauseante la constatazione di girare a vuoto e riuscire a stento a mantenere un ruolo di testimonianza culturale incapace di egemonizzare in profondità né il partito né la società. Ciò dipendeva soprattutto dal fatto che il partito non si rivolgeva ai lavoratori e, non avendo una linea sindacale, non prendeva nessun provvedimento concreto per cercare di rimediare a questa situazione. Un problema nazionale d'altronde.

Di qui il mio supporto al progetto tentato dal Collettivo di allargare il campo, trasformando il doc. 3 in un nuovo contenitore di tutte le criticità verso la linea ferreriana. Iniziarono un confronto e una collaborazione spesso difficile con alcuni intellettuali come Dino Greco (di cui ricordo con piacere i corsi su Gramsci ma meno favorevolmente le tesi sullo stalinismo), Pasquale Voza, Imma Barbarossa e molti altri. Dopo aver ricevuto l'incarico di coordinare i lavori per la stesura del doc. 2 in vista del X Congresso, ho visto le bozze finali (disponibili al seguente link con un'introduzione più ampia su quel delicato periodo) elaborate presto stravolte a seguito dell'accordo politico con il gruppo di Eleonora Forenza. Fino alla notte prima del decisivo Comitato Politico Nazionale in cui si presentavano i documenti l'accordo non c'era, ed è arrivato comunque a seguito di ampie concessioni ideologiche. Io stesso d'altronde avevo caldeggiato per ragioni tattiche l'accordo con Forenza, al fine di acquisire peso politico per l'area, tentando così un ultimo disperato tentativo di conquistare la maggioranza interna al PRC per traghettarlo su un piano più avanzato. Era difatti inutile continuare a fare la minoranza interna di un'organizzazione che si stava riducendo progressivamente allo sfacelo. Se bisognava tentare il tutto per tutto quello era il momento. Alla fine del congresso ci attestammo nel complesso intorno al 30%, un risultato dignitoso ma che ancora una volta dimostrava l'impossibilità di fare breccia sulla maggioranza del corpo del partito. La convergenza tattica tra il gruppo Forenza e il resto delle opposizioni si stabilizzò, il che portò ad un affinamento politico e ideologico su alcuni punti, ma ad un arretramento complessivo dell'area su altri, tra cui quello centrale dell'Europa.

In qualità di membro della Commissione Statuto, nel Congresso PRC 2017 sono riuscito a far reinserire, dopo votazione, nello Statuto un riferimento all'antimperialismo e ai precari, ma ho fallito nel tentare di eliminare i riferimenti anacronistici allo “stalinismo”. Mi venne bocciata anche la proposta di inserire nell'introduzione un riferimento al pensiero di Engels, Lenin e Gramsci, oltre che a quello canonico di Marx. Per me erano dinieghi inconcepibili. Al termine del Congresso sono entrato a far parte del Comitato Politico Nazionale, dove ho potuto constatare personalmente l'arretratezza del dibattito politico complessivo e la totale chiusura verso le tematiche anti-revisioniste proposte con sempre maggior forza. Negli anni “milanesi” ho tentato di agire svolgendo anche un certo lavoro culturale, collaborando con svariati giornali e siti: “Il Becco”, “La Città Futura”, “Marx21”, “Resistenze.org”, “L'AntiDiplomatico”. Nei contributi ho spaziato tra analisi politiche, storiche e culturali, insistendo in misura sempre crescente sulla necessità di riscoprire in profondità le ragioni del marxismo-leninismo lottando contro il revisionismo storico e politico prevalenti nel campo della “sinistra”, anche in quella “radicale”, come viene chiamata dai giornalisti al servizio della borghesia tesi a ricordarci ogni giorno che per loro la “sinistra” è solo il PD, lamentandosi poi della crescita delle “destre populiste”. Chapeau.

Buttandomi nei mesi successivi sul lavoro di ricerca, nel dicembre 2017 ho portato a termine il frutto di un decennio di ricerche e studi pubblicando “A Cent'Anni dalla Rivoluzione d'Ottobre. In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo” [1]. Ho chiesto più volte al Segretario nazionale Maurizio Acerbo di esprimersi sull'opera o almeno di darne notizia sul sito nazionale. Vanamente. La piena consapevolezza acquisita nel corso della fase finale dell'opera, con la conseguente elaborazione di nuove inedite tesi presenti in questo lavoro, riassunte in parte nell'“Appello alla Battaglia Culturale contro il Revisionismo Storico” [2], mi rendono ormai impossibile continuare a far parte del Partito della Rifondazione Comunista, essendomi ormai evidente l'impossibilità di non poter far emergere tale punto di vista in un'organizzazione che ha dimenticato gli insegnamenti non solo di Engels, Gramsci e Lenin, ma spesso anche dello stesso Marx, come emerge da una lettura attenta dei documenti politici. La sconfitta subita dal doc. 2 nell'ultimo Congresso Nazionale (aprile 2017) e la dissoluzione del Collettivo Stella Rossa, a seguito di contrasti interni sull'analisi della fase e sulle prospettive, mi rendono ormai impossibile continuare ad agire con profitto dentro questo partito.

L'obiettivo strategico che bisogna oggi perseguire in Italia è la costruzione di un'adeguata organizzazione comunista che sappia far proprio il marxismo-leninismo non semplicemente nella sua forma di 100 anni fa, ma illuminato dell'analisi storica dell'ultimo secolo. Ho cercato di dare un primo contributo, definito da Ruggero Giacomini “corposo”, per tale compito di aggiornamento nell'opera “In Difesa del Socialismo Reale”, un abbozzo di Storia Mondiale dell'ultimo secolo, comprendente anche un'analisi della fase odierna. Il tutto da un punto di vista del materialismo storico e senza usare paraocchi, ma affrontando a fondo tutte le problematiche che hanno caratterizzato la storia del movimento comunista internazionale. Un compito che avrebbe dovuto fare l'intero partito, ma che non ha saputo o voluto svolgere utilmente, continuando invece a fare danni sostenendo una lettura della Storia spesso affine a quella borghese.

Il punto è che Rifondazione Comunista non si connota nella teoria e nella prassi come un partito comunista. Tale Partito, di cui ci sarebbe disperatamente bisogno, oggi non c'è, e occorre ragionare su come arrivarci. Ho constatato che la stragrande maggioranza del PRC non ha nemmeno il senso storico di questo obiettivo strategico: la ricostruzione dell'organizzazione di classe rivoluzionaria, il partito di avanguardia formato da quadri coscienti e preparati. L'Analisi, l'Organizzazione e la Proposta Politica sono completamente inadeguati per la fase attuale, e non è un caso che il Partito sia declinato strutturalmente per tutti questi anni. Oggi lo capisco bene, dopo un percorso di studio e lavoro politico durato intensamente per tutto un decennio, in cui non mi si può certamente accusare di non aver sgobbato sul campo. Ho sempre cercato di coniugare teoria e prassi, ricercando con fatica un precario equilibrio con le esigenze della vita privata. Mi spiace molto non essere riuscito a trovare i canali per riuscire a trasmettere o a convincere la comunità politica del Partito della Rifondazione Comunista della giustezza delle tesi esposte fin qui. La battaglia interna mi ha però consumato per almeno 5 anni, con scarso successo. Ora credo che sia giusto provare a concentrare le energie sull'affinamento della teoria, che in fondo è il primo vero problema politico che impedisce oggi una riunificazione dei comunisti in Italia, e sulla sua diffusione.

Per riuscire a realizzare questo progetto mi serviranno anni, durante i quali lavorerò ad una “Storia del Socialismo e della Lotta di Classe” che uscirà in dieci volumi con La Città del Sole. Il primo volume, “Il totalitarismo liberale”, sarà dedicato all'analisi della nostra epoca e servirà a mettere in discussione e a porre il dubbio su tutte le falsità raccontate dalla propaganda borghese negli ultimi decenni. Cercherò di raggiungere direttamente quei lavoratori e quelle lavoratrici a cui non abbiamo saputo più parlare. Allo stesso tempo sarò lieto di collaborare e confrontarmi con tutte le organizzazioni politiche che sentano il bisogno di approfondire i contenuti sin qui segnalati. Il messaggio è rivolto quindi anche agli stessi compagni e dirigenti che rimarranno nel PRC, di qualunque tendenza e corrente essi siano. Chiunque vorrà collaborare più organicamente su questo progetto può aderire all'Appello alla Battaglia Culturale.

Ringrazio tutti i compagni e le compagne che ho conosciuto dentro il PRC e che, in un modo o nell'altro, mi hanno aiutato a crescere politicamente e umanamente. Con molti ho avuto screzi, perché la lotta interna in un partito non è mai tenera ed è capace di dissolvere facilmente anche amicizie e relazioni salde, specie se si alza spesso la voce e si rimane intransigenti sui principi ideologici. Con altri rimango in ottimi rapporti. A tutti auguro un buon lavoro e una buona militanza, nell'augurio sincero di poter smentire con i fatti le mie tesi. La mia militanza adesso passa da altre strade. Dopo 10 anni mi dimetto da ogni incarico politico e rimango un comunista senza la tessera di un partito. Una volta, prima di aver capito una serie di questioni, quelli che si presentavano così li sbeffeggiavo classificandoli come “opinionisti”, perché “i comunisti stanno nel partito”. Non vedendo però al momento un partito totalmente adeguato, mi sembra più opportuno concentrare la militanza sul fronte culturale della lotta di classe, sulla quale vedo una certa facilità a soccombere di fronte alla propaganda borghese. Se qualcuno dirà che faccio opinionismo cercherò di sopportare. Ognuno è libero in questa fase di sbandamento generale di dire le più grandi sciocchezze o di scegliere dove andare. Io sono convinto che non ci possa essere futuro senza un grande lavoro culturale, senza un intervento organizzato, senza la presa di consapevolezza della necessità di diffondere dei saperi che rischiano di scomparire per sempre, soffocati dalla realtà opprimente del totalitarismo “liberale” in cui viviamo. Dobbiamo tutti studiare ancora molto per tornare ad agire efficacemente sul mondo in cui viviamo. Io cercherò di fare la mia parte cercando di costruire un nuovo intellettuale collettivo capace di trasformare in realtà il lavoro che è necessario svolgere. Senza molte illusioni e con pochi trionfalismi, ma sapendo che è la strada che va percorsa. Restando fedele alla mia coscienza di comunista.

[1] Scaricabile gratuitamente su Home - Intellettuale Collettivo.
[2] Disponibile su APPELLO ALLA BATTAGLIA CULTURALE CONTRO IL REVISIONISMO STORICO - Intellettuale Collettivo.

Dal PRC al marxismo-leninismo