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  1. #11
    Banzai
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    personalmente approvo a priori chiunque combatta i muslims

  2. #12
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da RigorMontis Visualizza Messaggio
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    Perchè è liberale, quindi totalitarista nè più nè meno di tutte le altre ideologie.
    Però non vuole ammetterlo neanche a se stesso.
    Ultima modifica di Jerome; 15-12-18 alle 00:21
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  3. #13
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da RigorMontis Visualizza Messaggio
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    primo lavoro; secondo decine di cloni li hai tu come ha detto amati (Ashur, Vorenus, Bimbogigi, Tafazzo, Odiati75); terzo sono vietate le offese personali, anche se la moderazione del forum te le permette
    Ultima modifica di Jerome; 15-12-18 alle 00:21

  4. #14
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da Kavalerists Visualizza Messaggio
    Perchè è liberale, quindi totalitarista nè più nè meno di tutte le altre ideologie.
    Però non vuole ammetterlo neanche a se stesso.
    I tuoi post non li cancello, i suoi si perché fa offese personali e provocazioni, mica sono come i supermod che permettono ogni genere di trollaggio.

  5. #15
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da RigorMontis Visualizza Messaggio
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    chiedi tu a qualche supermod quali sono i miei cloni piuttosto.

    sai troppe cose per uno iscritto il 15 ottobre 2018
    Ultima modifica di Jerome; 15-12-18 alle 00:21

  6. #16
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da RigorMontis Visualizza Messaggio
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    Infatti, la data iscrizione non vuol dire niente, io sono iscritto dal 2011, ma seguivo POL dal 2007/2008.
    Ultima modifica di Jerome; 15-12-18 alle 00:18
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  7. #17
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    @Saburosakai
    Vieni qui, la propaganda sionista è benvenuta

  8. #18
    Banzai
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Citazione Originariamente Scritto da Jerome Visualizza Messaggio
    @Saburosakai
    Vieni qui, la propaganda sionista è benvenuta
    ok ma in effetti io non sono filo sionista solo che i palestinesi negli anni hanno ampiamente dimostrato di essere delle merde, basta chiedere ai Giordani, Libanesi e Kuwaiti, tutte cose che i sinistronzi fanno finta di non sapere. E comunque chi fa strage di Italiani, e loro lo hanno fatto DUE volte, per me è e resta sempre e comunque una grandissima merda. esattamente come chi li appoggia.

  9. #19
    Banzai
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    Allora giusto per capire cosa fecero i "bravi" palestinesi in Giordania dopo essere stati ospitati e sfamati:
    https://it.wikipedia.org/wiki/Settem...o_in_Giordania

    Il settembre del 1970 è noto nella storia araba come Settembre nero e viene talvolta indicato come l'"epoca degli eventi spiacevoli". Fu un mese in cui il Re hashemita Husayn di Giordania si mosse per reprimere un tentativo delle organizzazioni palestinesi di rovesciare la sua monarchia. L'attacco provocò pesanti perdite fra i civili palestinesi. Il conflitto armato durò fino al luglio del 1971.
    A seguito dello shock dovuto alla schiacciante vittoria israeliana nella Guerra dei sei giorni, diversi gruppi arabi erano alla ricerca di modi per "ripristinare l'onore" o portare avanti la propria causa. I rifugiati palestinesi costituivano una sostanziale minoranza della popolazione giordana ed erano appoggiati da molti regimi arabi, soprattutto dal presidente egiziano Nasser. Israele venne colpito ripetutamente da incursioni attraverso il confine compiute dai guerriglieri fedayn.

    In risposta ad una serie di attacchi partiti dal territorio giordano, le forze di difesa israeliane entrarono nel villaggio di Karāmeh il 21 marzo 1968. Si diceva che il villaggio fosse la "capitale" della guerriglia. Gli israeliani, che puntavano nel loro assalto a distruggere al-Fatḥ, non ebbero successo e si ritirarono rapidamente. ʿArafāt fece in modo di lasciare Karāmeh di notte, dopo essere stato informato dell'imminente attacco. Nella battaglia, circa 300 combattenti dell'OLP vennero catturati dalle forze israeliane prima del pomeriggio. L'arrivo in forze delle truppe giordane rovesciò l'esito della battaglia e permise di infliggere gravi perdite agli israeliani. Vennero stimati 28 soldati israeliani uccisi e 80 feriti, oltre alla perdita di quattro carri armati. Anche se l'esercito giordano si era fatto carico dei combattimenti, l'incidente fu un colpo di pubbliche relazioni per l'OLP e per ʿArafāt, in particolare. La battaglia di Karāmeh fece lievitare il morale dei palestinesi e diede all'OLP un immediato prestigio all'interno della comunità araba.

    Yāsser ʿArafāt rivendicò lo scontro come una vittoria (in arabo, "karāmeh" significa "onore") e divenne ben presto un eroe nazionale che aveva avuto il coraggio di affrontare Israele. Masse di giovani arabi entrarono nelle file del suo gruppo, al-Fatḥ. Sotto pressione, Ahmad al-Shuqayrī lasciò la guida dell'OLP e nel luglio 1968, al-Fatḥ si unì a questa e ne prese il controllo.

    Nelle enclave e nei campi profughi palestinesi in Giordania, la polizia e l'esercito giordani stavano perdendo autorità. Militanti dell'OLP in uniforme giravano liberamente armati, organizzavano posti di blocco e tentavano di raccogliere quelle che definivano "tasse". Durante i negoziati del novembre 1968, un accordo in sette punti venne raggiunto fra Re Ḥusayn e le organizzazioni palestinesi:

    Ai membri di queste organizzazioni era vietato di circolare armati e in uniforme;
    Era loro vietato di fermare veicoli civili per eseguire perquisizioni;
    Era loro altresì vietato di competere con l'esercito giordano nel reclutamento;
    Era richiesto di portare con sé documenti d'identità giordani;
    I loro veicoli dovevano utilizzare targhe giordane;
    I crimini commessi da membri delle organizzazioni palestinesi dovevano essere investigati dalle autorità giordane;
    Le dispute fra organizzazioni palestinesi e governo sarebbero state risolte da un consiglio congiunto di rappresentanti del re e dell'OLP.

    L'OLP, ignorando questi accordi, agì in Giordania come uno Stato nello Stato. Tra la metà del 1968 e la fine del 1969, si ebbero non meno di cinquecento scontri violenti fra la guerriglia palestinese e le forze di sicurezza giordane. Rapimenti e atti di violenza contro i civili si svolsero di frequente. Il capo della Corte Reale giordana (e in seguito primo ministro) Zayd al-Rifāʿī dichiarò che "i fedayn uccisero un soldato, lo decapitarono, e giocarono a pallone con la sua testa nella zona dove viveva." (Fonte: Arafat's War di Efraim Karsh, p. 28)

    Molti elementi dell'OLP estorcevano a mano armata soldi ai commercianti, con la pretesa che si trattasse di donazioni alla causa palestinese. Le forze di sicurezza giordane solitamente li arrestavano e li mandavano al fronte, dove potevano essere più utili alla causa palestinese. Le esplosioni di violenza erano comunque in continua crescita. Finché entrambe le parti rispettarono la condizione per cui non sarebbero entrati o rimasti nella capitale, venne evitato uno scontro su vasta scala.

    L'OLP continuò anche ad attaccare Israele, partendo dal territorio giordano e senza riguardo per l'autorità giordana, provocando dure rappresaglie israeliane che causarono gravi perdite fra i militari e i civili.

    Re Ḥusayn fece visita al presidente statunitense Richard Nixon e al presidente egiziano Nasser nel febbraio 1970. Ritornato in patria, il re pubblicò un editto in dieci punti, limitando le attività delle organizzazioni palestinesi. L'11 febbraio per le strade di Amman scoppiarono combattimenti fra le forze di sicurezza giordane e i gruppi palestinesi, che provocarono circa 300 morti. Cercando di impedire che la violenza dilagasse senza controllo, Re Ḥusayn annunciò: "siamo tutti fedayn"; dopodiché licenziò il ministro degli interni, ostile nei confronti dei palestinesi.

    Palestinesi armati misero in piedi un sistema parallelo di controllo dei visti, controlli doganali e posti di blocco nelle città della Giordania e aumentarono la tensione in un esercito ed una società giordana già polarizzati.

    In luglio, Egitto e Giordania accettarono il "Piano Rogers" appoggiato dagli USA, che chiedeva un cessate il fuoco nella Guerra di Attrito fra Egitto e Israele e il ritiro negoziato d'Israele dai territori occupati nel 1967, secondo quanto stabilito dalla Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Le organizzazioni più radicali dell'OLP, il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina di George Habash, il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina di Nayef Hawatmeh e il FPLP-Comando Generale di Ahmed Jibril, decisero di minare il regime filo-occidentale di Ḥusayn. ʿArafāt non fece nulla per fermare i radicali.

    Tra febbraio e giugno del 1970, circa mille vite erano andate perse nella sola Giordania a causa di questo conflitto.
    Eventi del settembre 1970

    Il 1º settembre 1970 fallirono diversi tentativi di uccidere il re. Il 6 settembre, nella serie di dirottamenti di Dawson's Field, tre aerei vennero dirottati dal FPLP: un volo Swissair e un volo TWA da Zarqāʾ e un volo BOAC dal Cairo. Il 9 settembre toccò a un aereo della British Airways da Amman; i passeggeri vennero tenuti in ostaggio. Il FPLP annunciò che i dirottamenti erano progettati "per impartire una lezione agli americani, a causa del loro duraturo appoggio a Israele". Dopo che tutti gli ostaggi furono rilasciati, gli aerei vennero fatti esplodere davanti alle telecamere per dimostrazione. Confrontandosi direttamente con il re e provocandone l'ira, i ribelli dichiararono la zona di Irbīd una "regione liberata".

    Il 16 settembre Re Ḥusayn dichiarò la legge marziale. Il giorno successivo, i carri armati giordani della 60a brigata corazzata attaccarono i quartieri generali delle organizzazioni palestinesi ad Amman; l'esercito attaccò anche i campi di Irbīd, al-Ṣalt, Sweyleh e Zarqāʾ, senza fare distinzioni tra civili e guerriglieri. Quindi, il capo della missione di addestramento pakistana in Giordania, Brigadiere Muhammad Zia-ul-Haq (in seguito presidente del Pakistan), prese il comando della 2a divisione.

    Le truppe corazzate erano inefficienti nelle strette vie cittadine e quindi l'esercito giordano rastrellò casa per casa i combattenti palestinesi, finendo per implicarsi in pesanti scontri urbani con gli inesperti e indisciplinati combattenti palestinesi.

    Il 18 settembre la Siria, attraverso l'Esercito di Liberazione della Palestina, molto vicino al regime siriano (il cui quartier generale era situato a Damasco), cercò d'intervenire in favore della guerriglia palestinese. Le forze sotto nominazione ELP come dimensioni erano equivalenti ad una divisione, e vennero fronteggiate dalla 40a brigata corazzata dell'esercito giordano.

    Alla luce degli eventi recenti, il re giordano chiese l'aiuto statunitense per prevenire l'attacco, che sostanzialmente appoggiato dai siriani, poteva, unito all'azione dei palestinesi, portare ad una vittoria di questi ultimi, cosa che avrebbe portato alla fine del suo governo. Allo scopo di proteggere il vitale e strategico alleato giordano, il governo statunitense decise di non intervenire direttamente, ma chiese l'intervento israeliano. L'Aeronautica Militare Israeliana eseguì voli di formazioni di caccia bombardieri a bassa quota sul convoglio di carri dell'ELP diretti verso la Giordania in segno di avvertimento. Presto l'ELP iniziò a ritirarsi. Israele era intervenuta con successo in un conflitto interno arabo, in rappresentanza degli USA, tramite la sola minaccia della violenza.

    Nel frattempo, sia Ḥusayn che ʿArafāt parteciparono all'incontro dei capi delle nazioni arabe al Cairo, e il 27 settembre Ḥusayn firmò un accordo che trattava come uguali entrambe le parti e riconosceva alle organizzazioni palestinesi il diritto di operare in Giordania. Il giorno seguente il presidente egiziano Nasser morì per un improvviso attacco di cuore.

    Le stime sul numero di persone rimaste uccise nei dieci giorni del Settembre nero variano da tremila a più di cinquemila, anche se non si conoscono i numeri esatti. I giornalisti occidentali erano concentrati all'Hotel Intercontinental, lontani dall'azione. Dal Cairo la Voce degli Arabi, giornale controllato dal governo di Nasser, riportò accuse di genocidio.

    Il presidente statunitense Nixon rispose con una azione di dispiegamento tattico, inviando una task force aggiuntiva composta da una portaerei e dalla nave da assalto dei Marines "Guam", per rinforzare la VI Flotta. La marina militare statunitense si posizionò al largo della costa d'Israele e della Giordania in assetto di attacco, formalmente per "proteggere gli interessi e i cittadini statunitensi". Le forze USA rimasero in allerta nell'area per tutto settembre e ottobre, senza intervenire.
    Dopo settembre

    La situazione in Siria divenne instabile e poco dopo Ḥāfez al-Asad prese il potere con un colpo di Stato.

    Il 31 ottobre ʿArafāt, la cui posizione si era indebolita, dovette firmare un altro accordo (simile a quello del novembre 1968) che restituiva il controllo della Giordania al re, e che richiedeva lo smantellamento delle basi di militanti palestinesi e il divieto per i loro membri di portare armi senza autorizzazione. Ad un successivo incontro del Consiglio Nazionale Palestinese, sia il FPLP che il FDLP si rifiutarono di accettare l'accordo e invece approvarono un progetto secondo cui la Giordania sarebbe diventata parte dello Stato Palestinese, che avrebbe preso il posto di Giordania e di Israele.

    Le violazioni degli accordi continuarono e il 9 novembre il primo ministro giordano Wasfi al-Tall firmò un ordine di confisca delle armi detenute illegalmente. Nel gennaio 1971 l'esercito aveva rafforzato il controllo delle città. Un altro accordo riguardante la consegna delle armi venne firmato e poi disatteso. Dopo la scoperta di un deposito illegale di armi a Irbīd, in primavera, l'esercito impose il coprifuoco, ed iniziarono i rastrellamenti e gli arresti dei ribelli. Il 5 giugno diverse importanti organizzazioni palestinesi, tra cui al-Fatḥ di ʿArafāt, esortarono, da Radio Baghdad, a rovesciare Re Ḥusayn, che era considerato come una "autorità fantoccio separatista".

    L'esercito giordano riprese il controllo delle ultime roccaforti dell'OLP, le città montane di Jerash e Ajlūn. Mentre Re Ḥusayn dichiarava il "controllo e la calma assoluta" nel Regno, i membri di al-Fatḥ annunciarono di preferire la morte alla resa.
    Conseguenze

    Il numero di vittime di quella che somigliò molto a una guerra civile viene stimato in decine di migliaia, ed entrambe le parti furono coinvolte nell'uccisione volontaria di civili. Si trattò di un punto di svolta per l'identità della Giordania, e il Regno s'impegnò da allora in un programma di "giordanizzazione" della società.

    I militanti palestinesi vennero espulsi in Libano, come risultato degli Accordi del Cairo (si veda Guerra civile libanese).

    Alcuni membri di al-Fatḥ fondarono l'organizzazione terroristica Settembre Nero. Il 28 novembre 1971 quattro suoi membri assassinarono al Cairo Wasfi al-Tall

  10. #20
    Banzai
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    Predefinito Re: Chi odia Israele è antisemita?

    e giusto per fare un ripassino di storia ...
    30Giorni | La questione palestinese (di Giulio Andreotti)
    Procedo ora per sommi capi.
    1956 Crisi di Suez e campagna del Sinai. Dopo il boicottaggio egiziano (chiusura del canale di Suez e del porto di Eilat) e le incursioni dei feddayin, gli israeliani sferrano l’attacco. Segue un’azione franco-britannica condannata dall’Onu. Dopo la minaccia di intervento sovietico, le truppe franco-inglesi si ritirano. Israele conquista Eilat e costringe gli egiziani alla resa. Le forze dell’Onu occupano Porto Said. L’anno dopo Israele evacua il Sinai ed una missione di osservatori Onu si posiziona ai confini con l’Egitto.
    1958 Egitto e Siria fondano la Repubblica Araba Unita.
    1964 Nasce l’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
    1967 Guerra dei sei giorni: Israele contro Egitto, Siria e Giordania. Dopo l’armistizio, i territori conquistati (striscia di Gaza, penisola del Sinai, Cisgiordania e alture siriane del Golan) restano sotto occupazione israeliana e Gerusalemme viene unificata. Dopo la guerra dei sei giorni l’Unione Sovietica rompe le relazioni diplomatiche con Israele. Il Consiglio di sicurezza approva, il 22 novembre, la fondamentale Risoluzione 242: si afferma che Israele doveva ritirarsi dai territori occupati; viene riaffermata la sovranità di tutti gli Stati della regione e il loro diritto a vivere in condizioni di pace all’interno di frontiere sicure e riconosciute. Risoluzione rimasta disattesa.
    1970 “Settembre nero” in Giordania. La Legione araba soffoca nel sangue la dissidenza palestinese, che si sposta nel Libano meridionale.
    1973 Guerra dello Yom Kippur. Egitto e Siria attaccano simultaneamente Israele. Dopo due settimane la guerra termina. Israele ed Egitto firmano un armistizio che prevede uno scambio di prigionieri. Viene approvata la Risoluzione 338 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che invita i belligeranti a cessare il fuoco e ad applicare la Risoluzione 242.
    1978 Con la Risoluzione 425, il Consiglio di sicurezza dell’Onu intima a Israele di ritirarsi dal sud del Libano e dispone l’invio in quella zona dei caschi blu. Colloqui tra Anwar al-Sadat, presidente dell’Egitto e Menachem Begin, primo ministro di Israele a Camp David, sotto l’egida del presidente americano Carter: con uno storico compromesso si decide il ritiro graduale delle truppe israeliane dal Sinai. L’anno dopo viene firmato a Washington il Trattato di pace tra Egitto e Israele e l’Egitto viene espulso dalla Lega araba.
    1980 Con la Dichiarazione sul Medio Oriente del Consiglio europeo di Venezia (proposta Genscher-Colombo) viene riconosciuto il diritto all’autodeterminazione palestinese.
    1981 Assassinio del presidente egiziano Sadat.
    1982 Comincia l’operazione “Pace in Galilea”. Israele invade il Libano, le truppe israeliane entrano a Beirut ovest; strage di civili nei campi di Sabra e Shatila ad opera di falangisti cristiani. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede all’unanimità a Israele la cessazione dei bombardamenti su Beirut. A fine settembre gli israeliani lasciano Beirut e ritorna la Forza multinazionale di pace.
    1982 Il leader dell’Olp Arafat è accolto a Roma (Conferenza dell’Unione interparlamentare) e si pronuncia per una via negoziale. Usa e Inghilterra continuano a considerarlo un terrorista e gli negano il visto d’ingresso. L’Onu per ascoltarlo deve spostarsi a Ginevra.
    1985 L’aviazione israeliana distrugge il quartier generale dell’Olp a Tunisi: 60 vittime.
    1987 Sanguinosa repressione di manifestanti palestinesi nei territori occupati: inizia l’intifada (“guerra delle pietre”).
    1991 Scoppia la guerra del Golfo. Paradossalmente, la guerra ridistribuisce le carte in Medio Oriente e riattiva il processo di pace. A Madrid si apre la Conferenza di Pace arabo-israeliana. Saggiamente il presidente siriano Assad propone che la soluzione di tutte le controversie sia simultanea: il che come vedremo non è accaduto.
    1992 Dopo il rapimento e l’assassinio di una guardia di frontiera israeliana da parte di integralisti palestinesi di Hamas, Israele espelle in Libano un forte gruppo di palestinesi. Con la Risoluzione 799, il Consiglio di sicurezza dell’Onu intima a Israele di far rientrare i palestinesi espulsi i quali, respinti dalle autorità libanesi, si erano dovuti accampare al di là della fascia di sicurezza nel Libano del sud.
    1993 L’annuncio di un accordo tra Israele e Olp, dopo dieci mesi di trattative segrete in Norvegia, coglie tutto il mondo di sorpresa. Olp e Israele si riconoscono reciprocamente. In linea di principio si sancisce l’autonomia di Gerico e della striscia di Gaza. A Washington si tiene la cerimonia della firma. Arafat non è più sgradito e stringe la mano a Rabin, in un momento esaltante di eurovisione. Il piano di pace prevede il ridispiegamento dell’esercito israeliano dai centri abitati, l’istituzione di una polizia palestinese, l’elezione di un Consiglio con poteri legislativi ed esecutivi, l’avvio del trasferimento delle competenze. L’attuazione e la definizione dei contenuti di tale piano vengono demandate a un accordo successivo sull’autonomia (cosiddetto interim agreement). Riservate all’ultima fase del negoziato restano invece le questioni più spinose: lo status definitivo dei territori, Gerusalemme, i rifugiati palestinesi, la sicurezza, gli insediamenti e gli accordi con Paesi terzi.
    1994 Firma del Trattato di pace tra Israele e Giordania. Firma degli Accordi del Cairo che sanciscono l’avvio dell’autonomia palestinese a Gaza e Gerico. Viene dato il via al processo di edificazione istituzionale nel cui ambito viene istituita l’Autorità palestinese presieduta dallo stesso Arafat. La trattativa per un rapido trasferimento di poteri nel resto della Cisgiordania da Israele ai palestinesi ha portato successivamente alla firma degli accordi di Erez il 29 agosto 1994 sul passaggio in Cisgiordania di alcuni fondamentali poteri civili – quali il controllo dell’apparato amministrativo, del sistema sanitario, dell’istruzione e della raccolta delle imposte. Il completamento relativo ha avuto luogo alla fine del mese di novembre con il passaggio all’Autorità palestinese delle competenze in materia di sistema fiscale e sanitario.
    1995 Accordo interinale sul passaggio alla seconda fase dell’autonomia palestinese (Taba, 24 settembre). Tale accordo è stato preceduto da una intensa fase negoziale, ripetutamente interrotta da sanguinosi episodi di terrorismo. La cerimonia della firma si è svolta il 28 settembre 1995 a Washington.
    A novembre il primo ministro Rabin viene assassinato da un estremista ebreo della destra religiosa.
    1996 Con la Dichiarazione del Consiglio europeo di Firenze viene riaffermato con grande solennità il diritto all’autodeterminazione palestinese.
    1997 Accordo sul ridispiegamento israeliano dalla città di Hebron, siglato nella notte tra il 14 e il 15 gennaio e formalmente sottoscritto il 17 gennaio. Nelle “lettere di garanzia” del segretario di Stato americano Christopher (che formano parte integrante dell’accordo stesso) si indicava nel 31 agosto.
    1998 la data limite per il completamento dei ritiri israeliani dalla West Bank.
    1998 Accordi di Wye Plantation (23 ottobre). Intervenuto dopo diciotto mesi di stallo negoziale, e dopo otto giorni di contatti diretti israelo-palestinesi con l’attivo coinvolgimento degli Stati Uniti e del defunto re Hussein di Giordania, il Memorandum firmato a Wye Plantation (Maryland) non si limitava a risolvere la questione del secondo ridispiegamento israeliano dalla West Bank ma tracciava una scaletta dei futuri obblighi a carico di entrambe le parti. Si trattava, in sostanza, di un’intesa globale che, oltre all’attuazione dei punti degli accordi interinali rimasti finora disapplicati, segnava l’avvio del negoziato sullo “status finale” (che avrebbe dovuto teoricamente chiudersi entro il 4 maggio 1999), e prevedeva che l’Autorità palestinese – come del resto Arafat aveva annunciato già a Roma nel 1992 – cancellasse dalla Carta dell’Olp le clausole che prevedevano la distruzione di Israele. Sono stati inoltre regolati in modo dettagliato i meccanismi di sicurezza tra le parti per la lotta al terrorismo.
    1999 L’Unione europea adotta in occasione del Consiglio europeo di Berlino del 24 marzo, una Dichiarazione sul Medio Oriente che ha avuto il tacito placet degli Stati Uniti, e che ha di fatto fornito ad Arafat una solenne “garanzia internazionale” circa la validità del suo diritto a proclamare lo Stato palestinese anche oltre la scadenza del 4 maggio.
    Il 5 settembre viene concluso il Memorandum d’intesa di Sharm el-Sheikh, il quale, elaborato grazie anche alla costante mediazione egiziana, ha costituito il presupposto per l’attuazione delle intese interinali ancora pendenti – e in particolare degli Accordi di Wye Plantation, rimasti pressoché inattuati per volontà dell’ex premier israeliano Netanyahu – e, al contempo, ha rappresentato il trampolino di lancio dei negoziati sullo status finale dei Territori palestinesi, formalmente avviati il 13 settembre 1999. Il Memorandum prevede che tali negoziati, intervallati dalla presentazione di accordi-quadro sui temi oggetto di trattativa (Gerusalemme, acque, confini e rifugiati) già nel febbraio 2000, debbano concludersi alla data del 13 settembre dello stesso anno 2000.
    Questo è lo status quaestionis per quel che attiene al rapporto Israele-Palestina, mentre restano insoluti i problemi con la Siria e con il Libano; oltre la già sottolineata delicatissima questione di Gerusalemme.
    Mi è tornata spesso alla mente, lungo tutti questi anni, seguendo da vicino le tormentate vicende del Medio Oriente, l’immagine di Gesù che piange dinanzi agli eventi della sua terra.
    Ma sarebbe davvero fuori strada chi si rassegnasse interpretando nel modo sbagliato l’annuncio che nell’economia dell’Incarnazione non vi fosse una prospettiva di pace ma di guerra. È peraltro indubbio che vi è una sola via attraverso la quale il mondo possa pacificarsi. Per questo, nel concludere, voglio collegare il tema della pace a quanto abbiamo oggi qui ascoltato sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso. Vi è una profonda connessione, perché sarebbe vano sperare in una soluzione non conflittuale in questa area se non si realizzassero anelli, sia pur piccoli, di mutua comprensione e rispetto tra ebrei, cristiani e musulmani. Gli accordi internazionali e le leggi civili sono sicuramente necessari, ma non sufficienti per assicurare la pace.
    Sotto questo profilo, tra i giorni signandi albo lapillo vanno certamente inclusi quelli della recente instaurazione di rapporti diplomatici della Santa Sede sia con Israele che con l’Autorità palestinese. Essendoci già queste relazioni con Egitto, Giordania, Libano e Siria non vi sono più zone di incomunicabilità. E per una non effimera connessione ricorderò anche la recentissima creazione (1998) di una nunziatura a Tripoli e di una ambasciata libica in Vaticano.
    Spero che non mi si consideri un clericale se attribuisco a questo una importanza che va ben oltre le convenzioni protocollari.

 

 
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