nonchè .. di Giulio Andreotti
È giusto che sia stato posto tra i temi di questo terzo Congresso internazionale almeno un accenno alla situazione attuale della terra di Gesù; non certo per confondere la sacralità degli studi sul Volto di Cristo con le vicende politiche della Palestina moderna tuttora alla ricerca di un modello di convivenza pacifica.
Gioverà qui, nel brevissimo tempo di cui dispongo, ricapitolare la sequenza degli avvenimenti lasciando, se Dio vuole, ai congressi dei prossimi anni la verifica se le prospettive di cui oggi parliamo abbiano la auspicata evoluzione.
È dell’agosto 1897 il Congresso sionista di Basilea durante il quale si formalizzò il disegno di ricostituire uno Stato nazionale giudaico; una aspirazione coltivata da tempo in seno a piccoli gruppi idealisti, che peraltro cinque anni prima avevano cominciato – sotto la spinta di un duro pogrom nella Russia meridionale – a dar vita a sporadiche colonizzazioni.
Il primo ministro israeliano Ehud Barak e il leader palestinese Yasser Arafat durante il loro primo incontro al checkpoint di Erez al confine tra Israele e la striscia di Gaza, l’11giugno 1999
Il primo ministro israeliano Ehud Barak e il leader palestinese Yasser Arafat durante il loro primo incontro al checkpoint di Erez al confine tra Israele e la striscia di Gaza, l’11giugno 1999
Anima del movimento fu il giornalista Theodor Herzl che riuscì rapidamente a organizzare nel mondo centri di propaganda e cospicue raccolte di danaro. Possiamo chiederci quale sarebbe stato il corso degli eventi se la “base” ebraica non avesse respinto la proposta del ministro inglese delle colonie, Chamberlain, (che Herzl aveva accettato), di concentrare la raccolta degli ebrei in Uganda. L’emigrazione verso la Palestina – legalmente vietata dalla legge turca e ostacolata dagli arabi – registrò una certa intensità, sia pure in modo disordinato, a partire dal 1907 sotto la spinta del dottor Weizmann, futuro presidente dello Stato.
La prima guerra mondiale costituì una svolta decisiva. Il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri inglese Balfour dichiarava ufficialmente il favore e prometteva l’appoggio alla costituzione di un “Focolare nazionale” in Palestina. La dichiarazione Balfour fu incorporata nel mandato sulla Palestina che nel 1922 veniva affidato alla Gran Bretagna. Attraverso la Jewish Agency furono via via acquistati terreni e messi in piedi i kibbutz, con grandi flussi migratori legati specialmente alla persecuzione antisemita della Germania hitleriana. Si realizzava un forte miglioramento agricolo, si allestivano industrie e sorgevano centri urbani di cui il più importante era Tel Aviv. Statisticamente gli ebrei superarono il 30 per cento della popolazione, mentre le proprietà dell’Agenzia arrivavano a 1300 chilometri quadrati, pari al 17 per cento del territorio. La convivenza dei due gruppi era contrassegnata da non poche violenze, con una posizione inglese progressivamente favorevole ai nativi e con il dichiarato intento di abbandonare la Palestina alla scadenza del mandato (15 maggio 1948). Il 29 novembre 1947, anche sotto l’enorme spinta emotiva che aveva suscitato nel mondo l’incredibile Olocausto, l’Assemblea generale dell’Onu adottò il piano della spartizione della Palestina in due Stati autonomi. L’Inghilterra rinunciava formalmente al mandato e il 14 maggio 1948 venne proclamato lo Stato di Israele. Lo Stato arabo invece non vide mai la luce. Viceversa sette Stati arabi invadevano i territori israeliani, respinti però dalla controffensiva di Israele che riconquistava il Negev e la Galilea. L’anno successivo si insediava la prima Assemblea parlamentare israeliana (Knesset) e lo Stato di Israele veniva ammesso nell’Onu, capitale Tel Aviv. Gerusalemme restava divisa in due: la città nuova in mani israeliane e la città vecchia presieduta dagli arabi, compresa la gran parte dei Luoghi Santi. Era ed è un punto fortemente dolens, ma io ritengo che debba essere risolto al termine della sistemazione del resto. Farne una questione preliminare significa a mio avviso bloccare il processo. L’idea dell’internazionalizzazione, cui Pio XII dedicò ben tre lettere encicliche nel 1948-49, non ha trovato accoglimento.