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    Predefinito Ogni euro speso per il debito pubblico è un euro tolto ai servizi dei cittadini

    AGI

    Il 28 settembre, il commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, il francese Pierre Moscovici, ha rilasciato un’intervista all’emittente francese BFM TV, in cui ha commentato la nuova manovra economica del governo italiano.

    Moscovici ha detto che "se gli italiani continuano ad aumentare il debito, aumentano anche i tassi di interesse e il servizio del debito, e il rimborso del debito diventa più impegnativo". Per questo motivo, "ogni euro speso in più per il debito è un euro in meno per le autostrade, un euro in meno per l’educazione, un euro in meno per la giustizia sociale".
    Che cosa intende dire il commissario europeo con questa dichiarazione? Siamo andati a verificare.


    Che cosa vuole fare il governo?
    La sera del 27 settembre, dopo una lunga trattativa e giorni di tensione, il governo ha annunciato di aver approvato la “Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2018”.
    Questo testo – come indica il nome – contiene gli aggiornamenti alle previsioni dell’ultimo Def, presentato in precedenza dal governo Gentiloni. Il Def è lo strumento principale di programmazione con cui si indicano le strategie economiche e di finanza pubblica del Paese nel medio termine.
    Sebbene il comunicato del Consiglio dei ministri non lo citi mai, il tema su cui si è discusso di più è stato il deficit pubblico, ossia la differenza tra quanto lo Stato spende e quanto incassa ogni anno.
    Secondo le prime dichiarazioni di Movimento Cinque Stelle e Lega, l’esecutivo ha deciso che il disavanzo pubblico, per i prossimi tre anni, potrà raggiungere il rapporto del 2,4 per cento rispetto al Prodotto Interno Lordo (Pil).
    In questo modo – anche se non si conoscono ancora i dettagli – il governo punterebbe a finanziare con una maggiore spesa da parte dello Stato alcune promesse fatte dai partiti in campagna elettorale, come il reddito di cittadinanza e il superamento della riforma Fornero. Il 16 ottobre, il collegio dei commissari europei analizzerà il programma finanziario presentato dall’Italia.
    Semplificando: lo Stato ha tre modi per far quadrare i conti e trovare le coperture per le nuove spese previste. Può ridurre altre uscite, con un’opera di revisione della spesa pubblica; può aumentare le tasse, raccogliendo il denaro con nuove imposte. Oppure, può finanziare l’eccesso di spese “in deficit”, aumentando cioè il disavanzo pubblico. Scelta che, in sostanza, ha fatto l’attuale esecutivo.
    Che costi può avere la strategia approvata? Davvero “spendere in deficit” impatta sui servizi pubblici dello Stato? Entriamo nel dettaglio della dichiarazione di Moscovici.


    Come funziona il debito pubblico?
    La prima osservazione del commissario Ue è che con questa manovra lo Stato aumenterà il proprio debito pubblico, ossia il debito che le amministrazioni pubbliche hanno verso imprese, cittadini e banche (nazionali e internazionali).
    Secondo i dati più recenti della Banca d’Italia (aggiornati a luglio 2018), il nostro Paese ha un debito pubblico di oltre 2.340 miliardi di euro.
    Il debito pubblico è normalmente espresso in rapporto al Pil: nel caso italiano, il debito vale oltre il 130 per cento della ricchezza annuale del Paese, come confermano le statistiche dell’Ocse (aggiornate a fine 2017).
    L’attuale governo ha deciso di finanziare parte delle nuove spese “in deficit”, dunque aumentando i titoli di Stato emessi. Negli 2017, per esempio, il Dipartimento del Tesoro ha emesso titoli – compresi i buoni ordinari del tesoro (Bot), a breve termine, e quelli poliennali (Btp), a lungo termine – per un valore di quasi 414 miliardi di euro.
    Quando lo Stato emette sul mercato questi titoli, “promette” agli investitori – sia italiani che stranieri – che glieli restituirà entro una certa data con degli interessi. Questi interessi sono il rendimento dei titoli italiani.


    Che cos’è il servizio del debito?
    Se chi deve comprare il debito pubblico italiano – investitori italiani e stranieri, che compongono i famosi “mercati” – ha meno fiducia nel fatto che l’Italia possa ripagare il proprio debito in futuro, l’Italia dovrà promettere interessi più alti: Moscovici fa riferimento proprio a questo scenario.
    Un aumento degli interessi comporta un costo annuo maggiore per le casse statali, quando dovranno rimborsare più soldi agli investitori. La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori di obbligazioni statali è chiamata “servizio del debito” – lo stesso citato da Moscovici nell’intervista – e in Italia si aggira intorno ai 60 miliardi di euro all’anno.
    Come abbiamo visto, dunque, più uno Stato si indebita, più aumenta il valore degli interessi sui titoli emessi, e quindi il costo annuale che lo Stato deve sostenere per il debito contratto. Ma ha ragione il commissario nel collegare questo aspetto con i servizi pubblici? Più debito significa meno soldi per infrastrutture ed educazione?


    Come finanzia lo Stato i servizi pubblici?
    In linea di massima, non c’è un collegamento automatico tra servizi pubblici e debito. Secondo uno dei principi fondamentali di finanza pubblica, le spese correnti per i servizi pubblici sono coperte per lo più con le entrate correnti: ossia con le tasse, dirette e indirette, pagate dai cittadini.
    L’indebitamento dello Stato con la vendita di titoli avviene solo nel caso in cui le entrate non riescano a coprire le spese per questi servizi. E in parte questo sta già accadendo.
    Anche se la maggior parte dei titoli statali venduti sui mercati ogni anno copre la spesa per gli interessi e il rifinanziamento del debito contratto negli anni precedenti, un’altra parte infatti – stimata per quest’anno, ma prima di questo Def, in 45 miliardi di euro – è destinata a coprire il costo dei servizi pubblici.
    Quindi – in apparente contrasto con quanto dice Moscovici – sembra che con parte di un euro speso in più per il debito si finanzino proprio le strade e le scuole. Ed è questa, in sostanza, l’idea su cui punta il governo: stimolare la crescita, e di conseguenza potenziare i servizi pubblici, proprio espandendo la spesa pubblica.
    Ma la metafora del commissario Ue – come chiarisce anche il resto dell’intervista – va interpretata a più lunga scadenza, e si basa sulle possibili conseguenze della nuova manovra finanziaria.


    Quali sono i possibili scenari?
    Semplificando: al netto dell’approvazione della manovra da parte dell’Unione europea, gli scenari possibili – e opposti – sono due.
    Da un lato, il governo mira a favorire la crescita economica, puntando su un forte impatto della maggiore spesa pubblica sull’economia.
    Nelle intenzioni dei ministri Luigi Di Maio e Matteo Salvini, interventi come il reddito di cittadinanza, le pensioni a Quota 100, la “pace fiscale” e l’abbassamento delle tasse, dovrebbero “rimettere in moto” l’economia e aumentare nei prossimi anni la ricchezza del Paese, ripagando quindi il debito contratto con gli investitori.
    Dall’altro lato, ci sono i forti dubbi dell’opposizione in Parlamento – di Forza Italia e del Partito Democratico –, dell’Unione europea e dei mercati. I critici dicono che l’ennesima espansione della spesa pubblica italiana non porterà l’effetto moltiplicativo sperato e questo causerà un aumento della sfiducia degli investitori verso il debito pubblico del nostro Paese.
    Di conseguenza, all’Italia costerà sempre di più indebitarsi – se ci saranno ancora investitori disponibili a prestarle denaro – e la spesa per gli interessi sarà superiore ai benefici introdotti dalla manovra.
    Ed è qui che entra in gioco la metafora di Moscovici. In un futuro non lontano, secondo il commissario Ue – senza prendere in considerazione scenari catastrofici, nel breve periodo, come l’uscita dall’Eurozona o il default – l’Italia dovrà tornare a far quadrare i propri conti pubblici, ad esempio con politiche di rigore economico come quelle attuate nel 2011 dal governo Monti.
    Per questo motivo, serviranno tagli alla spesa che inevitabilmente avranno ripercussioni sui servizi pubblici, come le infrastrutture e l’istruzione, e sulle generazioni più giovani. Da questo punto di vista, «ogni euro speso in più per il debito» oggi, sarebbe «un euro speso in meno» domani per autostrade, scuole e giustizia sociale.
    Conclusione
    Nel commentare l’approvazione della nota di aggiornamento al Def, il commissario europeo per gli Affari economici Pierre Moscovici ha espresso i suoi dubbi con una metafora: ogni euro speso in più per il debito sarebbe un euro tolto agli investimenti per i servizi pubblici.
    Come abbiamo visto, l’analogia ha senso solo se collocata in prospettiva e contestualizzata con le possibili conseguenze di una manovra economica che punta ad aumentare il debito pubblico – e quindi il costo annuale che lo Stato deve corrispondere a chi gli presta denaro. Non si tratta certo di un automatismo.
    Ma se sulla crescita non ci sarà l’effetto sperato dal governo, potranno essere necessarie in futuro nuove politiche di rigore, con conseguenze sulla spesa pubblica e dunque anche sui servizi.

  2. #2
    (...)
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    Predefinito Re: Ogni euro speso per il debito pubblico è un euro tolto ai servizi dei cittadini

    e allora torniamo alla lira

    fuori uso

  3. #3
    Baby Pensionato
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    Predefinito Re: Ogni euro speso per il debito pubblico è un euro tolto ai servizi dei cittadini

    Ogni euro di debito pubblico sono tre euro di pil in più

 

 

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