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Il Parlamento Europeo radunato in seduta plenaria ha approvato l’introduzione di nuovi parametri per valutare la potabilità dell’acqua del rubinetto. Dal punto di vista tecnico, si è trattato di un aggiornamento di una direttiva del 1998 sulla base delle ultime raccomandazioni della comunità scientifica. I nuovi parametri saranno discussi nelle prossime settimane dal Consiglio dell’UE, che detiene il potere legislativo insieme al Parlamento, ma non dovrebbero cambiare di più di tanto: se tutto filerà liscio, entreranno in vigore nel 2019.


L’iter legislativo della direttiva ha interessato diversi parlamentari europei italiani perché i nuovi parametri interessano in modo particolare due regioni italiane: il Veneto e soprattutto la Sicilia. L’Italia, fra l’altro, è anche il paese europeo dove si consuma la maggior quantità di acqua del rubinetto: fra il 2014 e il 2015 ogni cittadino italiano ha consumato 243 litri d’acqua pubblica al giorno, più del doppio della media europea.

La «pietra angolare» della proposta approvata dal Parlamento – come l’ha definita l’eurodeputato francese di centrodestra Michel Dantin, che ne era relatore – è stato l’aggiornamento dei parametri di potabilità dell’acqua. La proposta della Commissione, da cui è partito l’iter legislativo, prevedeva l’introduzione o l’aggiornamento dei valori di riferimento di 18 parametri chimici e microbiologici, ed è stata in gran parte accolta. Fra i nuovi parametri chimici c’è ad esempio l’uranio e il bisfenolo A, un composto organico usato per produrre plastiche e resine e sospettato da decenni di essere nocivo per l’uomo, ma su cui la comunità scientifica non ha ancora emesso un giudizio definitivo. Fra quelli microbiologici ci sono l’Escherichia coli, un batterio molto comune nelle feci umane. Si stima che i nuovi controlli, insieme ad altre iniziative previste dalla direttiva, potrebbero costare in tutto 6-7 miliardi di euro, quasi totalmente a carico degli operatori dell’acqua.

Parte della direttiva prende spunto da un’iniziativa che ha coinvolto oltre un milione di cittadini europei: si chiama Right2Water e comprendeva una petizione che chiedeva alle istituzioni europee di riconoscere formalmente l’accesso all’acqua potabile come diritto umano fondamentale. Nella proposta di direttiva votata oggi il diritto all’acqua è stato inserito nell’articolo 1, in cui viene appunto spiegato che l’obiettivo della direttiva è quello di «assicurare l’accesso universale» all’acqua pubblica. Il testo finale è stato il risultato di un’alleanza fra Verdi, centrosinistra, sinistra radicale e M5S, che sono riusciti a modificare il generico «promuovere» proposto in origine dal relatore.

E l’Italia?
Nel Veneto centrale, soprattutto nella zona della valle dell’Agno, almeno dal 2013 c’è un problema di eccessiva quantità nell’acqua dei cosiddetti PFAS, un composto chimico sintetico usato soprattutto nel settore del vestiario per rendere tessuti e carta resistenti ai grassi. Non esistono ancora studi esplicitamente indicativi sulla loro pericolosità, ma dalle prima indicazioni sembra che non vengano smaltiti dal fegato e potrebbero avere ripercussioni sulla tiroide e sul livello del colesterolo. Secondo un recente studio dell’Università di Padova interferirebbero anche con la produzione di testosterone.

Quello dei PFAS nell’acqua è un tema molto sentito dalla comunità locale e la Regione è già intervenuta approvando nel 2017 parametri molto severi e facendo installare appositi filtri nelle case: questa estate però circa 14mila persone si sono sottoposte a controlli medici, e la stragrande maggioranza di loro aveva una concentrazione anomala di almeno tre sostanze riconducibili ai PFAS. Secondo Greenpeace le persone potenzialmente esposte alla contaminazione da PFAS sono fra le 350mila e le 400mila. Il responsabile dell’inquinamento non è stato individuato, sul caso stanno indagando sia la procura di Verona sia quella di Vicenza.

I limiti agli PFAS proposti dal Parlamento Europeo sono gli stessi della nuova legge veneta, come ha rivendicato qualche tempo fa l’europarlamentare Mara Bizzotto, capogruppo della Lega al Parlamento Europeo: 0,3 microgrammi per litro d’acqua destinata al consumo da parte dell’uomo. I limiti hanno ottenuto diversi consensi nel centrodestra e dai partiti liberali, ma sono invece osteggiati da diversi parlamentari europei di sinistra e dal M5S, che da tempo si interessa alla questione ed è in contatto con alcuni comitati NO-PFAS. «Siamo di fronte a una bomba ecologica che ci scoppierà fra le mani se non interveniamo rapidamente», spiega Eleonora Evi, una parlamentare del M5S che si occupa spesso di questioni ambientali. «Questa situazione potrebbe potenzialmente ripetersi anche in altre parti d’Europa e d’Italia se non introduciamo dei controlli».

Il M5S aveva proposto un emendamento per abbassare drasticamente i limiti consentiti – «verso lo zero», sottolinea Evi – ma la proposta non è passata, come temeva Evi poche ore prima del voto. La stessa Evi però fa notare che il ministro dell’Ambiente italiano Sergio Costa si sia impegnato per ridurre i limiti con una legge nazionale (la direttiva lascia margine ai singoli stati per approvare criteri più stringenti): «è anche vero che ci sono certi aspetti che dovranno essere valutati dal punto di vista giudiziario e non soltanto dal punto di vista normativo, e quindi è una situazione molto complessa».

La Sicilia è invece interessata dalla direttiva per via del boro, un elemento chimico di norma innocuo ma la cui esposizione cronica provoca, secondo il ministero della Salute, «irritazione del tratto gastrointestinale, anoressia, nausea e vomito, comparsa di eritema». È presente naturalmente nel suolo delle aree vulcaniche, come lo è gran parte della Sicilia orientale a causa della presenza dell’Etna, il vulcano più grande in Europa. Il problema della direttiva è che ripropone un limite di boro nell’acqua potabile – 1 milligrammo per litro – rimuovendo però la possibilità di chiedere deroghe, come fatto diverse volte in questi anni dal governo italiano per le zone della Sicilia orientale.

Da diverso tempo il parlamentare europeo Giovanni La Via, che appartiene a Forza Italia e prima di entrare in politica insegnava Politica agraria all’Università di Messina, chiede di aumentare i limiti consentiti di boro, tenendo anche conto delle ultime valutazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Racconta La Via: «l’OMS ha stabilito un limite di 2,4 milligrammi per litro, superiore [a quello del Parlamento]. Potremmo tranquillamente innalzarlo avendo una qualità dell’acqua adeguata alle esigenze della popolazione, senza rischi, e ammettendo alla possibilità di uso in un’area che non ha grandi risorse idriche».

La Via proponeva di innalzare il limite a 1,5 milligrammi per litro, parametro in cui rientrerebbe il 90 per cento del bacino idrico italiano: la sua proposta è passata con 341 favorevoli e 217 contrari, ma vedremo se sarà mantenuta anche dopo i negoziati col Consiglio. Se sarà inserita nel testo finale, la Sicilia non dovrà più chiedere deroghe per utilizzare l’acqua pubblica con quantità di boro più alte del normale.

Alla fine dei negoziati, la proposta tornerà in Parlamento per la ratifica finale.


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