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Discussione: La Cosa Nuova

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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    MASSONERIA, LUNGO L’ASSE CALABRIA-LIGURIA

    11 febbraio 2015
    By maurizio spezia





    Le Logge della comunione “MUSCOLO” retta da MUSCOLO Pietro veniva indicata nella sua ampia articolazione anche dalla Commissione Parlamentare Antimafia, in una propria relazione ove si approfondivano le cointeressenze tra mafie e massoneria. La “comunione massonica facente capo a MUSCOLO, a cui facevano riferimento molteplici Logge massoniche, aveva la propria maggior espansione in Calabria, pur essendo il MUSCOLO un professionista, avvocato, operativo a Genova. Nell’archivio MUSCOLO – come risulta sempre dagli Atti della Commissione Parlamentare Antimafia[vedi qui l’estratto] – sono stati infatti rivenuti i documenti relativi a sei logge di Cosenza, quattro di Catanzaro, cinquediReggio Calabria
    Logge sparse in quasi tutta Italia, dall’Emilia Romagna alla Basilacata, e poi aRoma… quella capitale dove forti erano, già negli anni Settanta, i legami della‘ndrangheta con il mondo dei “professionisti” e della politica, soprattutto attraverso gliambienti massonici, ed in particolare grazie all’opera del massoneCAFARI Vincenzoche abbiamo già incontrato -, fortemente legato ai PIROMALLI, DE STEFANO, MAMMOLITI, ma anche punto di riferimento e di servizio per gliAVIGNONE, D’AGOSTINO e RASO-GULLACE-ALBANESE
    Il MUSCOLO Pietro – come già si era evidenziato pubblicamente a seguito di testimonianze raccolte – aveva un consolidato legame con il boss della ‘ndrangheta FAZZARI Francesco, già strettamente legato ai RAMPINO – allorareggentidella ‘ndrangheta in Liguria – ma soprattutto alla cosca GULLACE-RASO-ALBANESE, con cui vi è stato un vero e proprio“imparentamento” attraverso il matrimonio della figlia (e sodale) FAZZARI Giuliacon ilGULLACE Carmelo, a cui erano legati molteplici masso-‘ndranghetisti attivi nel savonese quali il D’AGOSTINO Giuseppe (poi arrestato in Lombardia per l’operazione antimafia relativa al condizionamento del voto alle elezioni regionali a favore dell’assessore ZAMBETTI) eFILIPPONE Francesco (strettamente collegato al clan TEARDO).
    Il FAZZARI Francesco era ospite abituale, in quanto amico, della Villa del MUSCOLO a Sassello, ove, tra l’altro, i lavori di miglioria vennero proprio affidati dal MUSCOLO alFAZZARI Francesco che li fece eseguire dal fratello Salvatore.
    Nella vecchia villa del FAZZARI, a Borghetto S.Spirito, accanto a quella che è conosciuta come “Cava dei Veleni”, in mezzo ad montagna di documentazione abbandonata – dopo lo sgombero a seguito delle denunce della Casa della Legalità -, è stato rinvenuto, anche abbastanza rovinato, unlibro che venne donato dal MUSCOLO al FAZZARI Francesco – foto a lato – dal titolo “La ricerca della volontà omicida”.
    A Genova la rete massonica che faceva capo a MUSCOLO Pietro era comunque di forte peso. Contava 14 Logge. Tra queste la “FORTIS”. La Loggia dei MAMONE, così come emerso pubblicamente, si era la “FORTIS”, con sede a FEGINO.
    Della Loggia con sede a Fegino, come già reso noto, facevano parte i diversi componenti della famiglia MAMONE (“clan MAMONE” nell’Informativa “OLIMPO” redatta dalla DIA nel 1994 per la DDA di Reggio Calabria, con cui venivano mappate tutte le ramificazioni in Italia ed all’estero dell’organizzazione ‘ndranghetista). Vi erano, ad esempio, MAMONE Luigi, MAMONE Vincenzo e MAMONE Gino, ed anche i parenti stretti come CAPALBO Pietro, ed emergeva una profondasovrapposizione degliiscritti alla loggia appartenenti o legati alla famiglia MAMONE con la CONFAPI, associazione delle piccole e medie imprese. Su questo particolare aspetto, oltre ad un breve approfondimento sui legami ‘ndrangheta e massoneria, la Casa della Legalitàaveva anche sintetizzato questa netta sovrapposizione con CONFAPI in un apposito schema, che evidenziava varie correlazioni della stessa struttura con altri soggetti ben noti, tra cui i RASCHELLA’, arrestati con i MAMONE nell’ambito dell’operazione “ALBATROS“:

    E’ da richiamare il fatto che la Casa della Legalità, nel 2005 – ovvero ben prima che emergesse l’appartenenza massonica deiMAMONE alla Loggia FORTIS (chiusa, a quanto risulta pubblicamente, dopo l’emergere dei fatti riguardanti i MAMONE) – aveva indicato, per le dichiarazioni dell’ex moglie di MAMONE Vincenzo [vedi qui], non solo l’appartenenza di quest’ultimo allaMassoneria, ma anche i rapporti dei MAMONE con il noto GELLI Licio della Loggia massonica P2 ed al centro anche di quelprogetto eversivo indagato dalla DIA, nell’inchiesta denominata “SISTEMI CRIMINALI”, relativa al piano di destabilizzazione dello Stato che aveva visto contatti e progetti comuni tra organizzazioni mafiose (in particolare Cosa Nostra ed ‘ndrangheta), esponenti dell’estrema destra eversiva, logge massoniche, settori deviati dei Servizi e movimenti separatisti e leghisti, come la Lega Nord [vedi qui]
    Proprio a questo proposito non può essere tralasciato il fatto che se tra i protagonisti di quel “piano eversivo”, sviluppatosi in Italia nei primi anni Novanta, ed attentamente indagato dalla DIA, vi erano i DE STEFANO, la potente cosca di Reggio Calabriacon pesanti e radicate ramificazioni in tutto il Paese. Cosca e ramificazioni che sono emersi, dirompenti, anche nella più recente inchiesta “BREAKFAST” della DDA di Reggio Calabria per le attività di riciclaggio promosse comunemente al tesoriere della LEGA NORD, BELSITO Francesco. Dall’indagine e dallo stesso interrogatorio del BELSITO– che come Casa della Legalità si è già avuto modo di ricordare parlando dell’On. CHIAPPORI – è emerso non soltanto cheBELSITO operasse con esponenti legati allacosca DE STEFANO, come ad esempio il noto GIRARDELLI Romolo, ma che lo stesso GIRARDELLI emergeva come fortemente legato anche al PLEBA Ermanno (e con questi ai GIACOMAZZIdell’omonima nota immobiliare genovese), su cui erano documentate le consolidate cointeressenze proprio con la famiglia MAMONE.
    L’inchieste che porta al GIRARDELLI ed a Genova è un’inchiesta lontana nel tempo, della DDA di Reggio Calabria. Correva l’anno1999. In questa emergeva la figura diCANALE Vittorio Antonio, latitante in Francia, tra la cittadina di Aix en Provence eMontecarlo. Esponente di primo piano e di assoluto spessore criminale della già citata cosca DE STEFANO . Tra i più attivi soggetti che hanno operato per favorire la latitanza di FAZZALARI Salvatore che poi però venne arrestato a Genova. Allora, la DDA di Reggio Calabria, aveva infatti ricostruito nel dettaglio quella rete che promuoveva il grande riciclaggio dei DE STEFANO attraversomolteplici operazioni finanziarie internazionali che vedeva la partecipazione di altri ‘ndranghetisti di spessore quale il FAZZARI Vincenzo, così come anche di esponenti di Cosa Nostra quali ad esempio quelli del clan PILLERA-CAPELLO-MIANO). Quella stessa inchiesta che vedeva il rapporto con i Marsigliesi. CANALE erafulcro di questa rete di professionisti al servizio del riciclaggio del denaro sporco, che vedeva sulla piazza di Genova, operare anche il MARTINO Paolo (indicato anche dal collaboratore di giustizia Oliverio), altro esponente di primo piano della cosca DE STEFANO.
    Tornando invece al MUSCOLO, si deve rammentare quanto emerso con l’Operazione della polizia giudiziaria (aprile-maggio 1983) presso la Grande Loggia nazionale dei liberi muratori – GOI, obbedienza di piazza del Gesù, all’epoca presieduta proprio daMUSCOLO Pietro. Fatti contenuti negli Atti della Commissione d’Inchiesta sulla P2.
    Già per poter accedere agli uffici, la Polizia Giudiziaria non ebbe vita facile. Dal verbale del 28 aprile 1983: «Previo ininterrotto piantonamento, venivano eseguite ricerche tramite l’amministratore dello stabile che consentiva il rintraccio dell’avv.MUSCOLO di Genova,…, il quale faceva presente di non essere in possesso delle chiavi che, a suo dire, deteneva l’avv.Antonio SICA residente in Roma. Contattato quest’ultimo legale faceva presente a sua volta che le chiavi dell’appartamento in questione erano detenute da tale dott. GUALTIERI di Crotone [farmacista in Crotone, ndr]…». Tra il materiale sequestrato, oltre a registri della gran loggia; i Decreti emessi dal Pietro Maria MUSCOLO; documentazione su nomine, pagamenti, corrispondeva, manoscritti; i fascicoli relativi a diverse Logge di Roma e documenti inerenti composizione ed organismi relativi a Liguria, Calabria e Toscana. L’avv.MUSCOLO protestava fortemente per le attività di controllo poste in essere dalla Commissione d’Inchiesta sulla P2 ed affermava, telefonicamente, come risulta a verbale, che «La motivazione a corredo del grave atto di riduzione della libertà Costituzionale riconosciuta ai cittadini è assolutamente carente se non nulla…» [vedi qui].Sulla base dei documenti sequestri emerge il nominativo del palermitano CRIMI MICELI Giuseppe e su proprio su questo soggetto la Commissione d’Inchiesta non sorvola e nei verbali della discussione si legge: «MICELI CRIMI figura in un piè di lista della comunione di Pietro MUSCOLO; dal 1978 è in contatto con CAMEA; nel 1979 incontra GELLI nell’ambito di un tentativo di unificazione. Uomini del CAMEA aiutano SINDONA durante il suo soggiorno palermitano; impossibile ricostruire la storia di questo centro di attività massonica che nasce, si divide, si riunifica, si riallontana da piazza del Gesù…».
    Ma andiamo oltre. La Liguria, come la Calabria, è terra dove è forte e radicato sia il potere massonico sia quello‘ndranghetista. Così come l’intreccio tra massoneria e ‘ndrangheta è perverso, duraturo ed ancora attuale, anzi:attualissimo.
    Non vi sono solo gli elementi richiamati in questo breve riepilogo. Vi è soprattutto quanto emerso in modo inconfutabile dall’inchiesta (anche questa agli atti della Commissione d’Inchiesta P2 e su cui già si è perlato e scritto – vedi qui l’estratto dagli Atti) su TEARDO Alberto ed il suo clan. Un appartenenza massonica conclamata, attraverso un reticolo di Logge ufficiali e di Logge “coperte” in terra di Liguria, soprattutto nel savonese, ed anche per il legame diretto con la Loggia P2. Emergeva anche un parallelo legame, saldo e conclamato, di questo ambiente con quello della ‘ndrangheta. Già allora emergeva la figura del FAMELI Antonio, uomo della potente cosca dei PIROMALLI, operante nell’ambito del ponente savonese, in stretto contatto con il FAZZARI Francesco, il GULLACE Carmelo ed i suoi uomini. Emergevano, come detto, le figure di D’AGOSTINO e soprattutto di FILIPPONE, parente, socio e sodale del GULLACE Carmelo, che conquistava dalla rete di TEARDO gli appalti delle case popolari tra imperiese e savonese. E poi ancora il legame e le cointeressenze anche societarie tra il costruttore teardianoNUCERA Giovanni con il FAZZARI Francesco. Rapporti e cointeressenze che continueranno a permanere anche negli anni più recenti, in alcuni casi con gli stessi protagonisti di allora, ed in altri, invece che hanno visto e vedono come protagonisti ed attori i figli, come nel caso del NUCERA Andrea con gli uomini legati alla cosca GULLACE-RASO-ALBANESE. Allora TEARDO comprava i voti dalla ‘ndrangheta, per tramite delMARCIANO’ Giuseppe e dei MAFODDA, e per accordo con l’allora vertice della ‘ndrangheta di Ventimiglia composto daMORABITO Ernesto, MARCIANO’ Francesco e PALAMARA Antonio.
    Legame ‘ndrangheta – massoneria, quindi, nel concreto condizionamento politico ed istituzionale anche in terraimperiese, così come a Genova, dove TEARDO governava, quale Presidente della Regione Liguria. Passano gli anni e nonostante le condanne al TEARDO ed ai suoi più stretti collaboratori, nulla cambia. Ciò che viene fermato non è questo sistema, bensì le inchieste.Altri attori di quel tempo, uomini di TEARDO, come uomini della P2 e della ragnatela di logge savonesi, hanno continuato nel loro inserimento nell’ambito politico. Due esempi: TESTA Mauro, fedele uomo di TEARDO, oggi è “vanto” del PD di Albenga come iscritto e dirigente; FOSSA Michele già iscritto alla P2, già uomo di TEARDO, è tra i dirigenti del PD genovese.
    Non è un caso, tra l’altro, che proprio dalla Calabria emergano sempre, costanti, elementi in merito a questo legame massoneria – ‘ndrangheta. E’ emerso, ad esempio, proprio in riferimento agli esponenti della potente cosca dei GULLACE-RASO-ALBANESE nell’inchiesta “SAGGEZZA”, che ha visto identificare, dalla DDA di Reggio Calabria, la struttura della ‘ndrangheta denominata “CORONA”, dove tra i protagonisti di primo piano operava il fratellastro del GULLACE Carmelo, ilRASO Giuseppedetto “avvocaticchio”, già capo-locale di Canolo, affiancato dal GULLACE Francesco, fratello del Carmelo. Proprio la “CORONA” aveva tra le proprie finalità quel “vitale” rapporto con la massoneria.
    Si chiama “SANTA” la dote degli ‘ndranghetisti affiliati alla massoneria. Soggetti che hanno anche la facoltà di dialogare con pezzi dello Stato, da Forze dell’Ordine a Magistrati, senza correre il rischio di violare le “regole” della ‘ndrangheta. Possono perché tali rapporti siano funzionali agli interessi dell’organizzazione ‘ndranghetista. Anche questo elemento è noto da tempo, attraverso molteplici inchieste giudiziarie e dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
    Così come dalle nuove inchieste emergono sempre maggiori elementi sulla contiguità e complicità tra pezzi delle Istituzioni ed ‘ndrangheta.
    Non esiste quasi più inchiesta antimafia che colpisca la ‘ndrangheta dove non campaiano anche (e sempre più spesso)“concorrenti esterni”, così come anche agenti infedeli dello Stato. Spesso uomini delle Forze dell’Ordine ed in diversi casi anche Magistrati. Citiamone due. L’inchiesta della DDA di Milano sui LAMPADA-VALLE (attivi tra Calabria e Lombardia) ha fatto emergere entrambi i rapporti di complicità, facendo finire in carcere e poi anche a condanna il GiudiceGIGLIO Giuseppe Vincenzo. Dall’inchiesta “LA SVOLTA” sulla ‘ndrangheta dell’estremo ponente ligure, MARCIANO’ Giuseppe (capo-locale di Ventimiglia con PALAMARA Antonio) da un lato era terrorizzato dal riemergere di quelle carte dell’inchiesta su TEARDO e Massoneria che sperava sepolte e dall’altro si preoccupava fortemente dell’arresto del Presidente del Tribunale di Imperia (e già prima di quello di Sanremo) BOCCALATTE Gianfranco. Da questa stessa inchiesta della DDA di Genova sono emersi anche i molteplici rapporti di complicità e collusione di diversi agenti delle Forze dell’Ordine, tra cui quel PALERMO Salvatore recentemente (indegnamente) premiato con onorificenza dalla Presidenza della Repubblica.



    Tornando al punto si deve considerare che il solido legame ‘ndrangheta – massoneria veniva ampiamente documentato già nel1994 nell’Informativa della DIA denominata “OLIMPO” [vedi qui ampio estratto sul tema]. Oggi sono le molteplici inchieste della DDA di Reggio Calabria che stringono il cerchio su quel“livello superiore” dell’organizzazione ‘ndranghetista, che spesso (per non dire praticamente sempre) corre proprio lungo l’asse di congiunzione tra le due “comunioni”, quella massonica e quella ‘ndranghetista.
    Svolta importante che segna questa nuova stagione di contrasto messa in atto dall’Antimafia è certamente il processoMETA”[vedi qui la sentenza] dove è stato riconosciuto l’impianto accusatorio che punta dritto a quel “livello superioredella ‘ndranghetache è lo stesso che vede la sovrapposizione alla rete massonica. L’impianto accusatorio del PM Lombardo tiene e porta alla condanna del gotha della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, individuando proprio quel “livello superiore” dell’organizzazione «avente autonomia funzionale, strutturale e organizzativa, composta dai vertici delle cosche cittadine più potenti, con a capo DE STEFANO Giuseppe, in qualità di “Crimine”, universalmente riconosciuto, in grado diimporre regole da tutti condivise e rispettate, di dare stabilità, di intervenire con potere coercitivo, nonché di rapportarsi con le istituzioni, la massoneria e la politica, i cui collegamenti in questo processo sono emersi allo stato embrionale e sono in corso di esplorazione investigativa in altri procedimenti».
    Elementi di conoscenza oggi disponibili grazie all’incrocio di quanto emerge dalle diverse manovre ivestigative e dai diversi procedimenti coordinati dalla DDA di Reggio Calabria e che può contare su solide e riscontrate dichiarazionidicollaboratori di giustizia che hanno dimostrato la propria affidabilità.
    E se veniamo ai fatti di questi giorni si trova l’ennesima conferma su questo “livello superiore”. Questa volta emerge dall’ultima maxi inchiesta della DDA di Catanzaro che ha portato al Fermo disposto alla rete facente capo al boss GRANDE (luntrune) ARACRI Nicolino. Un’inchiesta che porta anche in Liguria, oltre che al territorio calabrese e dell’Emilia occidentale (con l’Operazione “AEMILIA della DDA di Bologna). Con questa nuova inchiesta torniamo nel Porto di Imperiadel duo SCAJOLA-CALTAGIRONE (vedi qui), arriviamo alla rete del “livello superiore” a servizio del sodalizio ‘ndranghetista (vedi qui) ed arriviamo direttamente alla Massoneria. Intercettati, i masso-‘ndranghetisti, nella casa diGRANDE (luntrune) ARACRINicolino parlano proprio di Massoneria. Di “Massoneria di Genova”…
    Chi ne parla non sono ‘ndranghetisti qualunque. E’ direttamente GRANDE (luntrune) ARACRI Nicolino, capo indiscusso dellafamiglia di Cutro che ha costruito – indisturbato – nei decenni il proprio feudo di proiezione sul nord Italia, nell’ Emilia occidentale, tramutata in “colonia”. Lo fa parlandone con il vertice del “locale” di Belvedere Spinello (che ha pesanti interessi e ramificazioni in Liguria, tra Genova e La Spezia, soprattutto per quanto concerne il traffico di droga)… IlNicolinoparla infatti con Sabatino e Agostino MARRAZZO, del clan MARRAZZO – OLIVERIO – IONA. Sabatino MARRAZZO èesponente di vertice di quel locale di Belvedere Spinello di cuiera anche stato il contabile, lasciando poi tale carica aOLIVERIO Carlo, vecchio ‘ndranghetista già condannato a decenni di carcere ed attivo tra tra Calabria e Lombardia.
    Era 11.09.2012 quando, nell’abitazione di Cutro del boss viene intercettato GRANDE ARACRI Nicolino, MARRAZZO Agostino,MARRAZZO Sabatino Domenico insieme ad un’altro soggetto. Ad un certo punto gli investigatori sentono ilNicolino che afferma: «sai che non puoi entrare nella loggia tu?…inc…(ndr breve pausa di silenzio)…però sotto…laMassoneria di Genova…inc… […omissis…] io diciamo…ho avuto la fortuna…diciamo…di capire certe cose…sia dei Templari…sia dei Cavalieri Crociati…di Malta…la Massoneria di Genova…ho avuto la fortuna…inc…». E poi ancora, parlando della Loggia di appartenenza: Sabatino MARRAZZO «noi l’abbiamo a Crotone e l’abbiamo a Rocca di Neto»,Nicolino GRANDE ARACRI«e si però…Crotone è proprio…inc…», Sabatino MARRAZZO «no…no…Crotone…con i personaggi…», Nicolino GRANDE ARACRI«mentre Catanzaro…inc…»,Sabatino MARRAZZO«la nostra fa parte di Vibo…Vibo Valentia…inc…», Nicolino GRANDE ARACRI «mentre Catanzaro è collegata con Cosenza…», Sabatino MARRAZZO«va bene…con Catanzaro e proprietario di Cosenza…però…io…siccome ho partecipato… a centinaia di… di riunioni… dei Massoni di Cosenza… oggi…tre quattro…Nicò…che sono… in trenta paesi… sono quelli…quelli buoni…»,Nicolino GRANDE ARACRI «voi siete iscritti alla Prefettura…alla Prefettura di Crotone?», Sabatino MARRAZZO «alla Questura di…Vibo Valentia…» (…) Agostino MARRAZZO «invece sono registrato a quella di Crotone…».
    Quindi, da quel che si comprende, se si avevano problemi per iscriversi alla Massoneria, si poteva passare dalla Massoneria di Genova… Ecco che il quadro, di questo perverso rapporto tra le parti peggiori delle due regioni, si definisce con maggiore, eloquente, chiarezza.
    Inchiesta dopo inchiesta, quindi, non solo si comprendono sempre di più gli interessi specifici perseguiti dagli ‘ndranghetisti(come le costruzioni dei porti o dei parchi eolici, così come quelli nell’abito della sanità, oltre ai settori più tradizionali noti), ma anche quelle reti di relazioni e cointeressenze, come quelle dentro ed attraverso la massoneria, che delineano sempre di più quel “corpo riservato” della ‘ndrangheta, composto da uomini delle Istituzioni, esterni all’organizzazione (ovvero non“battezzati” come affiliati), ma pienamente concorrenti ai piani ed obiettivi di rafforzamento dell’organizzazione ‘ndrangheta, di cui proprio il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, già a capo del locale di Belvedere Spinello, ha parlato agli inquirenti e, non a caso, proprio con riferimento principale alla Calabria ed alla Liguria.
    Ed in terra di Liguria se, come si accennava, diversi uomini della massoneria, di quella massoneria che fa tandem con la ‘ndrangheta, ha diretti rapporti e ruoli nel blocco politico che fa capo a BURLANDO Claudio, molteplici dei massoni legati aSCAJOLA Claudio, in terra savonese ed imperiese, sono quelli collocati in posti chiave, a partire da MONTALDO Silvano che abbiamo già incontrato più volte (non ultima la vicenda Porto di Imperia) o, per fare un altro esempio il potente avvocato MARSON Paolo.
    In Liguria, così come in Calabria, l’ambiente massonico conta una radicata ragnatela di politici e funzionari dentro a quellePubbliche Amministrazioni che tanto si sono mostrate disponibili verso le imprese ed attività perseguite e promosse daiGULLACE-FAZZARI e sodali, passando dal collegato NUCERA, sino a quelle dei FOTIA emanazione, agli Atti di molteplici inchieste e rapporti investigativi, a Savona della potente cosca dei MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI, come anche quelle degli STEFANELLI-GIOVINAZZO ed affini in terra di Varazze. Altro capitolo è poi quello dell’imperiese e dellevante ligure, dalTigullio sino alla provincia di La Spezia ove ha decisivo ruolo, per le ottime entrature Istituzionali quellaMassoneria dellaLunigiana, che vede il proprio territorio di influenza, accavallarsi a quello della ‘ndrangheta, con caposaldo in quella terra diSarzana, dei ROMEO-SIVIGLIA (e collegati).
    Vi è poi il ruolo, non secondario, rappresentato della terra d’oltralpe per i “fratelli” massoni. E’ qui, oltre il confine di Ventimiglia, che soprattutto i politici liguri frequentano le Logge, si incontrano e stringono accordi, così da vedere ancora piùprotetta la propria appartenenza al sodalizio riservato.
    Ed oltre confine abbiamo Montecarlo, dove sempre di più appare sussistere l’esistenza di un vero e proprio “locale” della ‘ndrangheta ed ove, certamente, sono emersi costanti frequentazioni ed interessi degli esponenti della ‘ndrangheta dell’estremo ponente ligure.
    Oltre confine è emersa, ancora una volta, la “rete” di SCAJOLA Claudio (a partire dal Dirigente della filiale CARIGE aNizza, quel PIPPITONE Paolo che ha visto la propria struttura al centro dei pesantissimi rilievi della Banca d’Italia per le leggerezze dimostrate in materia di antiriclaggio), così come anche quella dei coniugi MATACENA-RIZZO (con capolino all’Ambasciata).
    La Costa Azzurra è terreno di latitanza sicura per gli ‘ndranghetisti da sempre. Qui sono stati individuati latitanti di primo piano della ‘ndrangheta: LIBRI Domenico, CANALE Vittorio, MACRÌ Eugenio Angelo, CALABRÒ Giuseppe, DE STEFANO Paolino,GULLACE Carmelo come anche FACCHINERI Luigi, per citarne alcuni. E se è terra di latitanza significa che quello è territorio dove le reti di relazione e cointeressenze, contiguità e complicità, della ‘ndrangheta sono forti.
    Ed in questo intreccio, se emergono anche i rapporti con prelati delle Diocesi liguri e del Vaticano, trovano ancheassoluta “invisibilità” uomini dello Stato. Quei servitori infedeli dello Stato che nel quotidiano operano negli Apparati e nelle Istituzioni, dai Servizi alle Forze dell’Ordine, dai vari settori di controllo sin dentro la Magistratura, compromettendo il lavoro della parte sana dello Stato ed agevolando i poteri criminali.
    Uomini dello Stato, accanto ad ‘ndranghetisti, esponenti del mondo politico, imprenditoriale e del potere finanziario, uniti nel vincolo della “comunione” massonica.
    E’ questo il punto debole dello Stato che è punto di forza della ‘ndrangheta. E’ quel legame che occorre una volta per tutte far emergere ed estirpare.



    Fonte: Casa della legalità e della Cultura



    Massoneria, Lungo L'asse Calabria-Liguria | Lo Sai

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  2. #42
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    La masso-’ndrangheta in azione anche alle regionali 2014

    di Paolo Pollichieni
    Lunedì, 18 Luglio 2016 17:48



    C'è un diverso troncone dell'inchiesta "Mammasantissima" che si appresta ad attualizzare i rapporti tra politica, massoneria e vertici della 'ndrangheta calabrese. Avrà effetti anche più devastanti rispetto a quelli già prodotti dall'indagine per la quale è stato chiesto l'arresto del senatore Antonio Caridi e fornirà un'eloquente testimonianza di come l'organizzazione sia ancora oggi in grado di interferire nella vita pubblica calabrese, condizionando elezioni amministrative e politiche, selezione e promozione della burocrazia ai più alti livelli, gestione delle risorse economiche connesse con la creazione a Reggio dell'Area Metropolitana dello Stretto e, nel resto della Calabria, attraverso i fondi comunitari messi a disposizione con i bandi del Pon e del Por.
    Dal 2010 ad oggi le dinamiche operative dell'organizzazione non sono cambiate e tantomeno risultano essere state dismesse. I boss e la loro interfaccia politico-massonica hanno solo allargato il raggio operativo, includendo al tavolo rappresentanze di Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia e Cosenza e cambiato i propri referenti ai quali hanno garantito appoggio elettorale nelle amministrative e nelle regionali del 2014.
    Davanti all'esito fallimentare del rapporto con il centrodestra, l'organizzazione ha rivolto in direzione opposta sguardo ed attenzioni. Con quali risultati? Cercano di spiegarlo, appunto, le indagini delle procure distrettuali di Catanzaro e Reggio Calabria e, sul campo, gli uomini del Ros dei carabinieri e dello Sco della Polizia di Stato. Le prime risposte non tarderanno ad arrivare, intanto però è possibile comprendere il meccanismo operativo che passa attraverso il controllo e la "obbedienza" della burocrazia che la masso-'ndrangheta seleziona, alleva e poi affida alla politica per farla promuovere in carriera.
    Una plastica dimostrazione di come funziona questo assoggettamento agli interessi criminali, con tanto di sberleffo al proprio interlocutore politico, da parte della burocrazia lo fornisce proprio la vicenda ricostruita dal gip di Reggio Calabria, Domenico Santoro, nella sua ordinanza "Mammasantissima", relativamente a figura ed opere del dominus dei lavori pubblici in riva allo Stretto, Marcello Cammera.
    Cammera dovrà affrontare, nel tempo, due diversi assessori ai lavori pubblici, il primo viene scelto da Giuseppe Scopelliti e risponde al nome di Franco Germanò; il secondo lo sceglierà, in tempi recentissimi, Giuseppe Falcomatà e risponde al nome di Angela Marcianò. Entrambi vogliono "vedere le carte", scrivono lettere di fuoco al dirigente Cammera e questi risponde picche. Le lamentele dell'allora assessore Germanò arrivano fino al soglio di Paolo Romeo.
    Il 17 ottobre 2002, infatti, Romeo riceveva Germanò, «il quale -scrive il gip - gli dava conto degli animati confronti che, in quel periodo, stava avendo con Cammera Marcello. Germanò, in particolare, a richiesta di Cammera che gli aveva detto «prima ti voglio parlare» gli aveva risposto che «parliamo quanto vuoi ma voglio le carte sul mio tavolo», vedendosi contrastato sulla richiesta in quanto «questi sono atti gestionali».
    A fronte di tale risposta, gli aveva ribadito che «io lunedì, entro domani perché ti ho scritto una lettera, voglio le carte sul mio tavolo, siccome mi dicono che ce le hai tu», rappresentando al Romeo che «nel mezzo c'è stata un'altra lettera che io ho dovuto scrivere a Marcello... incomprensibile... (pausa ndr)... cioè vi scrive l'assessore vedete un po' quello che mi sapete dire... sono delle lettere che... incomprensibile... a Marcello, ma lui non mi può mettere in queste situazioni Marcello».
    Romeo non si meraviglia minimamente del fatto che un assessore comunale si rivolga a lui, e non al sindaco, per avere conto del comportamento di un alto burocrate comunale. Anzi, tranquillizza Germanò: «Cammera deve prodigarsi per dare risposte compiute e tecniche anche alle... alle questioni che gli poni tu nella lettera... perché tu qua gli dici, insomma gli dici chiaro... siccome qua ne abbiamo detto di tutti i colori, siamo sempre punto e a capo, c'è qualche cosa che non funziona nell'ingranaggio, allora c'è il dirigente e mi deve dire che cosa è che non funziona. Vanno fatte le gare, i capitolati di appalto in modo più rigoroso» perché «ci sono alcune imprese secondo me che hanno... vincono le gare e facevano subappalti».
    Illuminante la conversazione tra Paolo Romeo e Franco Germanò:
    Romeo Paolo: io... io quello che faccio, alla luce di questi atti, mi chiamo a Marcello e... e per dirgli che... di chiarirci che ha voluto dire, perché se ha voluto dire che sono gestionali eccetera eccetera può sostenere questo ma allo stesso tempo ti porta... ti devo fare il discorso, se invece lui ritiene di dovere fare una separazione di... incomprensibile... (per accavallamento voci ndr)...
    Germanò Francesco: Paolo vedi alla fine quando gli ho detto: "va bo' Marcello e... considerato i nostri rapporti non mi aspettavo questa tua risposta a questo punto dico, così come ho scritto nella lettera, che entro domani li voglio sopra al tavolo ", mi ha detto: " ma se tu... dopodichè io... io te li porto non è questo il problema... si, si, si, si... ", "ora me li porti...", Paolo... incomprensibile...
    Romeo Paolo: no, te li porta
    Germanò Francesco: intanto non sono risposte da dare né sono atteggiamenti da assumere, voglio dire su questa cosa noi abbiamo sempre lavorato assieme, abbiamo considerato assieme che non funziona la manutenzione... lui lo stesso, lui... voglio dire, lui è il dirigente e allora se lui non assume decisioni, perché non ha assunto nessuna decisione in questi mesi per fare cambiare le cose... ad un certo punto io mi debbo muovere perché poi la faccia in giro noi la perdiamo...
    Romeo Paolo: certo
    Germanò Francesco: ... non la perde né il dirigente e né il direttore dei lavori... la faccia la perde l'assessore... su questo non c'è dubbio... ora se lui non... da questo punto di vista non mi collabora... poi pure comincio a sentire che gli dice a quello: "preparami la perizia di centomila euro per i fondi", ma con chi l'ha decise ste' cose?... cioè... arrivano pure cose strane no... con chi hai deciso, sulle manutenzioni gli ho detto: "... stiamo fermi perché stiamo valutando come muoverci come amministrazione, cioè se fare una perizia unica e su... certe tipologie di manutenzione, stiamo facendo delle valutazioni... come gli vuoi dire a questi preparami tre perizie che poi... incomprensibile... per che cosa?... chi l'ha deciso?... non lo so che gli sta pigliando...
    Romeo Paolo: no, credo che lui insomma... se pensa di potere fare l'assessore... (ride- ndr) eh, ne paga le conseguenze ma non credo che sia...
    Germanò Francesco: non lo so che gli sta prendendo però voglio dire onestamente non mi sta piacendo... incomprensibile... mi dispiace io... oltretutto i rapporti personali... tra me e lui, ci conosciamo da anni e poi ci sei tu voglio dire...
    Romeo Paolo: eh, ma Franco ci sono nella misura in cui...
    Germanò Francesco: no, no, poi voglio dire...
    Romeo Paolo: ... se lui se la porta buona perché poi non...
    Germanò Francesco: lui deve capire che siamo in una fase delicatissima... in cui io gli avevo... gli avevo detto a Marcello: "organizziamo le cose in maniera tale che io, come dire, dalle manutenzioni un poco mi allontani perché mi voglio dedicare alla programmazione, la progettazione cioè capire che cazzo dobbiamo fare, se io perdo tempo dietro le manutenzioni perché quello ti chiama per la buca, quello della fogna, quello della cosa... "... vedete voi assessore se no non me li fanno", ... incomprensibile... la gente poi vuole risposta, ora se lui non mi collabora per liberarmi da queste cose... oltretutto ponendomi in questa situazione, ponendomi in questa situazione...
    Romeo Paolo: lo chiamo io Francuccio, stasera lo chiamo
    Germanò Francesco: ponendomi in questa situazione... ma ci sono stati anche altri episodi di cose che ci siamo detti io e lui su alcune persone... dopo un'ora ste' persone lo sapevano già, voglio dire allora alcune cose che ci diciamo... di considerazioni su delle... dei... incomprensibile... tu non puoi andare dopo un'ora a dirgli: "vedete che l'assessore non... siete a rischio perché pensa questo, questo e quest'altro"
    Romeo Paolo: è figliolo (si comporta da ragazzino ndr)... incomprensibile...
    Germanò Francesco: voglio dire... e... e... perché rende la situazione molto difficile, molto difficile... io parlo con te perché sei tu, sei il dirigente e poi c'è un rapporto e ma non è che dopo un'ora...
    Romeo Paolo: il rapporto presuppone un patto...
    Paolo Romeo sarà di parola, convoca subito Cammera e questo è il loro colloquio registrato dai carabinieri del Ros:
    Cammera Marcello: allora la lettera di Germanò alla fine...
    Romeo Paolo: eh
    Cammera Marcello: ... mi ha fatto incazzare ...
    Romeo Paolo: eh
    Cammera Marcello: ... siccome Pietro mi ha... nel periodo di vacanza da qui a gennaio devo fare una trattativa privata per coprire la manutenzione con delle imprese perché sono finiti i soldi...
    Romeo Paolo: mh
    Cammera Marcello: ... ne sta facendo una questione personale...
    Romeo Paolo: mh
    Cammera Marcello: vuole entrare nel merito del... dell'elenco delle imprese, non nell'elenco, vuole che io non invito a Edil Primavera a Matteo Alampi, gli ho detto io: "ma scusa qual è il criterio?... se io adotto un criterio che devo invitare tutti quelli che stanno facendo attualmente la manutenzione, devi invitare pure a lui", "no ma questo ci ha dato problemi", "quali sono questi problemi?", "niente te li ho pure messi per iscritto", gli ho detto io: "il fatto che non è andato quando tu gli hai detto di andare?.", "si perché a me" dice: "no, non vado", "lui ti ha detto che tu non sei il direttore dei lavori e quindi tu non hai diritto di andare... "
    Romeo Paolo: mh
    Cammera Marcello: cioè lui se l'è presa
    Romeo Paolo: si lui... incomprensibile... coglioneggia... tu non devi essere di queste cose
    Cammera Marcello: e va be' ma...
    Romeo Paolo: ma tu quando ti dice in questa maniera gli devi dire: "va be' vediamo di risolvere il problema però tieni conto che dobbiamo sempre seguire i criteri non è che possiamo fare..."
    Cammera Marcello: ma gliel'ho spiegato

    Romeo Paolo: e ma lascia cadere la cosa, poi quando lui non ti dice i criteri, tu vedi i criteri e lo inviti e te ne fotti di lui"
    Cammera Marcello: mah... mi sa che è rincoglionito Paolo perché visto che ho tutte imprese che non sono all'altezza della situazione, cioè uno dei criteri potrebbe essere non invito tutti quelli che stanno facendo l'attuale manutenzione..."
    Amodeo Oreste: si, ma Paolo sopra questa cosa lui non è che può mettere... e... parola, perché poi guardate se cede su questa cosa...incomprensibile... (per accavallamento voci ndr)...
    Romeo Paolo: no ma io non ti dico ... io ti dico di cedere su questa cosa, gli dico di coglioneggiarlo tu gli devi dire io... "guarda qua io ho cercato di sforzarmi di trovare un criterio e i criteri che ho trovato sono questi ma se facciamo così ci tagliamo i coglioni con le stesse mani, per questa volta facciamo così e poi vediamo di trovare altri criteri... punto e basta... quando uno se lo ragiona, se uno gli dice... tu non lo devi mettere nelle condizioni che lui pensa che tu...
    Dieci anni più tardi lo scontro si riproporrà. Cambia scenario politico, coalizione e sindaco ma Cammera è sempre saldo al suo posto, unico gestore dei lavori pubblici in Reggio Calabria. L'assessore Marcianò non si rivolge certo a Paolo Romeo ma al sindaco. Cammera commenta questa levata di scudi con Paolo Romeo, ma è tranquillo perché qualcuno gli ha spiegato che se l'assessore Marciano insiste si farà male. Se si va allo scontro, lo rassicurano, la Marcianò va a casa e Cammera resta al suo posto. Millanterie? A stare alle indagini di queste settimane non pare proprio: il Ros avrebbe messo le mani sui contenuti di una cosiddetta "chat di giunta" una sorta di chat a circuito chiuso a mezzo della quale il sindaco Falcomatà e i suoi assessori dialogano riservatamente. In alcuni passaggi si parla molto diffusamente del ruolo di Cammera e dello scontro con l'assessore Marcianò. Le indagini sul punto potrebbero riservare sorprese.
    Va aggiunto, per completezza, che c'è un altro punto di contatto tra la vicenda dell'assessore ai lavori pubblici dell'era Scopelliti, Franco Germanò, e l'assessore odierno Angela Marcianò. Al culmine dello scontro entrambi finiscono vittime di un attentato intimidatorio: una bomba nella macchina nel caso di Germanò, l'incendio dell'autovettura in quello della Marcianò. Sicuramente una coincidenza. In seguito all'attentato, tuttavia, Germanò si dimetterà da assessore. La Marcianò non lo ha fatto, forse la differenza tra i due epiloghi sta nel fatto che in soccorso dell'assessore Marcianò è arrivata la retata disposta dalla Dda di Reggio Calabria con la "Operazione Reghion".




    http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/48116-la-masso-%E2%80%99ndrangheta-in-azione-anche-alle-regionali-2014
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  3. #43
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    Ciò che lo Stato non ha saputo (o voluto) fare a Reggio

    Un intervento dello storico Nicola Tranfaglia sul Fatto Quotidiano analizza le inerzie dei commissari prefettizi riguardo al ruolo di Marcello Cammera, in un Comune stretto tra manovre mafiose e inerzie istituzionali
    Giovedì, 21 Luglio 2016 097



    Questo articolo dello storico, politico e docente universitario Nicola Tranfaglia è stato pubblicato questa mattina sul Fatto Quotidiano. È un'analisi impietosa dell'impasse dello Stato davanti allo strapotere dei clan che, a Reggio Calabria, hanno condizionato la macchina del Comune.
    Poco più di due anni fa, il 28 aprile 2014, il dirigente del Comune reggino che è al centro dell'inchiesta della Procura antimafia in corso nel capoluogo calabrese e si chiama Marcello Cammera, è rimasto al suo posto dopo che il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. «Dal primo gennaio 2010 al 28 marzo 2012 – ha detto la presidente della commissione antimafia, Bindi – tutti i lavori del Comune sono stati affidati o con trattativa privata o con affidamento diretto». Solo 45 su 254 con procedura aperta. Dei lavori a trattativa privata, 132 su 254, il 52% viene affidato a imprese locali mafiose. Dei lavori con affidamento diretto, 76 su 254, il 30% è stato aggiudicato a ditte mafiose.
    Con questa introduzione ha inizio il confronto con i commissari, cui viene posta la prima domanda: «Chi era il dirigente che, in questo lasso temporale, ha assegnato praticamente tutti i lavori o a trattativa privata o ad affidamento diretto e sono andati ad aziende mafiose? Questo signore ha una funzione dirigenziale dentro il Comune?». La presidente si riferiva a Marcello Cammera, il regista della cricca segreta di Reggio. Che fino all'altro ieri smistava appalti: il ruolo che ricopriva nell'ufficio Lavori pubblici del Comune era strategico per il "comitato d'affari" del clan, ed è finito nell'inchiesta "Reghion" della Procura antimafia che ha portato all'incriminazione di dieci persone con accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d'asta e corruzione.
    L'indagine rappresenta il seguito della indagine "Fata Morgana" che ha inchiodato l'ex parlamentare del Psdi e avvocato con un passato nella destra eversiva, Paolo Romeo, una figura centrale nelle dinamiche criminali cittadine, del passato e del presente. Nel suo curriculum c'è già un timbro che certifica la complicità con le 'ndrine più potenti della città sullo Stretto. Romeo è il perno di un'associazione segreta, ipotizzata dai magistrati, che cammina in parallelo con la 'ndrangheta. Un'associazione che sostiene i boss e da questi trae forza vitale. 
Di questo gruppo "riservato" Cammera è il dirigente comunale di punta, da lui dipendono le scelte sui cantieri, i pagamenti alle imprese coinvolte, le autorizzazioni e tutte quelle incombenze che fanno capo all'ufficio dove da tempo lavora. Perciò – secondo i pm – l'adesione al progetto criminale è «consapevole». Per questo motivo quando i «soci del cosiddetto comitato» vengono informati che la commissione della Bindi esige che i commissari prefettizi del Comune gli tolgano quel ruolo, vanno in fibrillazione. Così si muove Paolo Romeo che sfrutta la sua conoscenza con Teresa Munari (ora tra gli indagati) de Il Garantista. L'obiettivo è quello di riabilitare l'immagine di Cammera e convincere l'Antimafia a far marcia indietro.
    Munari contatta Angela Napoli (luglio 2014), simbolo della lotta ai clan in Calabria, ex deputata e ora consulente della Commissione Antimafia. Ma la Bindi insiste e chiede di procedere alla rimozione del professionista. E usa parole molto dure. «Se un dirigente fa questi affidamenti diretti, anche se di fronte alla magistratura risulta incensurato, al suo posto non può rimanere». Nel frattempo Reggio va al voto e vince Giuseppe Falcomatà che, con la nuova e giovane assessora (vittima di intimidazioni) Angela Marcianò riuscirà laddove i commissari prefettizi hanno fallito. Per di più, quando uno di loro, Gaetano Chiusolo, è in contatto proprio con Cammera che aveva inviato una relazione sperando di essere graziato. Un atteggiamento opposto a quello che aveva promesso quando Chiusolo, interpellato dalla commissione Antimafia aveva scritto: «L'iter di sostituzione è stato avviato». Questi sembrano i nuovi misteri dello Stretto. E dimostrano che in un ambiente nel quale la presenza mafiosa è così forte e diffusa è impossibile intervenire ristabilendo la legalità e la difesa dei principi costituzionali.


    Nicola Tranfaglia



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  4. #44
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    LA SANTA | Gli appetiti dei clan sulla giunta Scopelliti

    La riunione operativa in casa del boss Pelle per decidere come avvicinare gli assessori. Gli amici di Gambazza rivelano (o millantano?): «Tallini, Stillitani e Trematerra li abbiamo votati. E Gentile una volta mi aiutò per incassare dei soldi in banca»
    Mercoledì, 20 Luglio 2016 16:13



    LAMEZIA TERME Se non fosse per la tempistica, la metafora più appropriata sarebbe quella del calciomercato. Gli uomini in casa Pelle, però, non discutono di calciatori ma di politici. Assessori, per l'esattezza. C'è tutto lo stato maggiore del centrodestra dell'era scopellitiana nelle intercettazioni registrate nell'abitazione del boss. Membri della giunta e maggiorenti, tutti nominati con annesse le mire che il clan e i suoi amici avevano sul loro conto. Nei colloqui c'è una data spartiacque: il 17 aprile 2010. Non è un giorno a caso, perché 24 ore prima, a Catanzaro, Giuseppe Scopelliti ha ufficializzato la composizione della sua giunta regionale. In casa Gambazza si commentano le nomine e si prospettano "alleanze". Potrebbero essere soltanto millanterie, naturalmente (e c'è da augurarsi che lo siano). Gli ospiti del boss, in ogni caso, paiono molto informati (e interessati) sui nuovi equilibri politici. La loro non è una semplice analisi da bar. Per gli inquirenti reggini «i soggetti presenti avevano orientato il loro interesse verso i candidati neoeletti con riguardo proprio a coloro cui erano stati assegnati gli incarichi più rilevanti del panorama politico regionale». Uno di essi era proprio Antonio Stefano Caridi, ritenuto il «candidato di riferimento del clan». Quello dell'allora assessore alle Attività produttive (e futuro senatore) non è tuttavia l'unico nome che spunta nelle conversazioni captate dalle cimici. Gli "analisi politici" arrivano a piedi nella residenza del boss. Si tratta di due imprenditori del Catanzarese: Antonio Talarico, 44 anni, e Leonardo Citraro, 72 anni. Cosa ci facciano a casa di Gambazza non è dato sapere. Di sicuro, per gli investigatori, «stavano pianificando le modalità di avvicinamento dei politici di loro riferimento e stavano individuando i soggetti, anche giuridici, che avrebbero dovuto mediare i contatti: specificavano infatti che non necessariamente sarebbero dovuti intervenire loro direttamente ma avrebbero potuto utilizzare degli intermediari».
    Il modus operandi si traduce in una frase, un piccolo compendio di come le cosche provino a farsi largo nelle maglie dell'amministrazione regionale: «Si deve avvicinare con un imprenditore. Non con forza», dicono. Li raggiungono altre due persone: Giorgio Gigantino, di Curinga, e Antonio Puccio, di Marcellinara. A questo punto gli uomini cominciano, a modo loro, a ragionare di politica. Talarico, questa è l'interpretazione degli inquirenti, dà a intendere a Pelle di poter arrivare all'assessore alla Forestazione Trematerra «per chiedergli qualsivoglia agevolazione a loro favore». Successivamente, cita l'assessore al Personale della Regione Calabria «indicandolo come il personaggio politico di riferimento a cui, egli e le persone a lui vicine, avevano fornito un sostanziale appoggio elettorale: "Ah no – dice –, questo gli hanno dato ... questo è quello che abbiamo portato noi... e gli hanno dato il coso... gli hanno dato... a... omissis... il personale. A lui gli hanno dato il welfare (si riferiscono a un altro assessore, ndr), che è pure personale però con... con delega per parlare con il governo, con il welfare. Questo qua... il più potente di tutti è questo"». Non è difficile, per i magistrati, capire che si tratta di Domenico Tallini, assessore regionale nella giunta Scopelliti.
    C'è giusto il tempo di segnalare (o millantare) un «accordo elettorale» con l'ex assessore al Turismo, Francescantonio Stillitani e di riservare una critica a Pietro Aiello, altro assessore della squadra di centrodestra («Tallini rispetterà quello che ci siamo detti e Aiello no!»). Stillitani, per Talarico è un uomo vicino a Citraro: «È il vostro questo, lo avete votato voi». Ma è importante agganciare Trematerra, perché potrebbe tornare utile a Pelle. Citraro sa come fare. O, almeno, così dice secondo gli investigatori che ascoltano: «Si offriva di entrare in contatto con il politico poiché aveva con il di lui padre un rapporto molto confidenziale instaurato fin dall'età adolescenziale: "Noi lo chiamiamo Gino perché io mi sono cresciuto ... incompr. ... vedi che io lo conosco molto bene. Lo chiamiamo Gino noi", infatti Gino Trematerra e Leonardo Citraro sono rispettivamente classe 1940 e 1944».
    L'imprenditore catanzarese non fa altro che parlare dei nuovi assessori. È il turno di Giuseppe Gentile, nominato da Scopelliti ai Lavori pubblici: «In tale frangente, indicava l'assessore come una persona che in passato lo aveva favorito, tramite una persona di sua conoscenza, per l'incasso di 100mila euro in assegni da scontare con denaro liquido durante la gestione della sua azienda, effettuato presso la filiale della Banca di Roma di Catanzaro». «Pino Gentile pure! – dice Talarico –. Non io direttamente, però a me quando avevo l'azienda mi ha scontato centomila euro di assegni, la mattina siamo andati al Banco di Roma a Catanzaro, alle otto e mezzo siamo entrati con lui. Alle ... alle nove e mezzo avevo già i soldi liquidi nelle mani. Cioè mi hanno censito, mi hanno scontato i soldi e...». «La potenza è potenza, sentite», rimarca Giuseppe Pelle. E i suoi interlocutori gli fanno eco: «Ma questi i fratelli Gentile sono forti, a Cosenza comandano loro». Di certo c'è che tutti gli assessori nominati nell'aprile 2010 erano entrati nelle mire del braccio politico del clan Gambazza e dei suoi amici imprenditori. E per tutti si studiano dei piano di approccio. Stando alle parole registrate nella casa del boss, per alcuni sarebbe stato più facile che per altri. Ma su quelle frasi così trancianti si attendono riscontri.

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  5. #45
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    LA SANTA | Caridi, una parabola politica progettata dai clan

    Immaginato dalle cosche della 'ndrangheta come strumento per infettare le istituzioni, il senatore nasce "destefaniano". Ma per ordine della cupola, nessuno dei clan gli negherà l'appoggio richiesto
    Mercoledì, 20 Luglio 2016 22:22



    REGGIO CALABRIA La cupola della 'ndrangheta aveva un progetto nei primi anni duemila: prendersi la città e tutte le prospettive di sviluppo, come primo passo per proiettarsi verso ben altri e più elevati posti di governo. Per questo, dovevano mettere le mani sulle miste, sui lavori pubblici e sul decreto Reggio. Per questo, dovevano creare degli strumenti politici in grado di essere guidati nel proprio percorso alla conquista delle istituzioni. L'attuale senatore di Gal, Antonio Caridi, era uno di questi.
    IL DEMIURGO ROMEO A forgiarlo come tale è stato per conto della cupola l'ex deputato del Psdi Paolo Romeo, che di quella componente segreta e sconosciuta ai più, impastata di 'ndrangheta e massoneria è uno dei principali rappresentanti oggi noti. Considerato storicamente consigliori del clan De Stefano-Tegano, l'avvocato Romeo ha in realtà un ruolo più importante e strategico, ma che fa muovere tutti come da lui stabilito. Ha creato Caridi per uno scopo e su di lui ha convogliato i voti delle 'ndrine per realizzarlo.
    IL PRESCELTO Un rapporto che inizia quanto meno nei primi anni duemila, quando Romeo inizia a disegnare la strategia che nel giro di pochi anni avrebbe dovuto portate uomini fedeli alla cupola ad ogni livello di governo: Comune, Provincia, Regione, Parlamento, Europa. L'attuale senatore è uno dei pretoriani scelti per controllare Giuseppe Scopelliti, incoronato sindaco perché ritenuto malleabile e incline ad accettare le linee guida che dalla cupola arrivano in un periodo in cui a Reggio si giocano partite (economiche) importanti per i clan, come il decreto Reggio e la creazione delle miste. Caridi ha un compito, lo sa e sa che non deve assumere iniziative personali. Se sarà bravo – gli lascia intendere Romeo – farà carriera. E sarà l'avvocato a dirgli come fare.
    PROFEZIA «Hai l'esigenza attraverso questa collocazione nella istituzione - spiegava a Caridi ben prima dell'appuntamento con le urne e alludendo all'assessorato che gli sarebbe stato assegnato «(di trasformarti) da soggetto che ha un grande consenso, di trasformarti in un soggetto che ha... incomprensibile ... e capacità di governo, tu hai questa esigenza di prenderti quest'altra patente perché tu oggi hai la patente di uno che sa raccogliere voti alla grande... ma non basta... no, non è solo l'elettorato da tenere perché gli devi dare qualche cosa... che... che si crei l'identikit, l'immagine di uno che matura anche nella... dimostrando di avere le capacità di governo». Una profezia che sarà perfettamente realizzata negli anni successivi. Anche grazie all'appoggio dei clan, che ad ogni appuntamento elettorale non faranno mancare il proprio sostegno.
    LE PAROLE DEI PENTITI Lo raccontano in dettaglio i pentiti Roberto Moio e Antonio Fiume, che sottolineano tanto il legame storico con il clan De Stefano Tegano, come l'abituale frequentazione che gli esponenti facevano dello studio medico del polito. Caridi – dicono all'unisono – distribuiva lavori e assunzioni in cambio di voti – come conferma anche Villani – e non si tirava indietro quando c'era da fare qualche favore, come concedere puntualmente le autorizzazioni ai chioschi dei Lo Giudice. Su di lui, i De Stefano Tegano, avevano steso la propria ala protettrice, avvisa il pentito Marco Marino, "interrogato" dai Serraino per conto degli arcoti, quando qualcuno spara contro il portone del politico.
    DNA DE STEFANIANO Ma è soprattutto il neo collaboratore Salvatore Aiello a spiegare i rapporti fra Caridi e i De Stefano, quali più prossimi e diretti rappresentanti della cupola della 'ndrangheta. Direttore operativo della Leonia, prima di iniziare il suo percorso di collaborazione, Aiello si occupava della gestione del personale e dei rapporti con gli enti ed i privati che trattavano con la società. Una funzione strategica, che lo ha messo in contatto con le forze vive che gestivano davvero la mista creata a Reggio Calabria per gestire i rifiuti: la 'ndrangheta e i suoi diretti rappresentanti politici. Di questi, Caridi era – in assoluto – il principale.
    AFFAIRE FATA MORGANA A presiedere la società era Demetrio Logoteta, il quale - racconta Aiello - pur se avrebbe dovuto rappresentare «gli interessi di 18 Comuni, nella realtà rappresentava prima gli interessi suoi e poi quelli dei diciotto Comuni ...». Logoteta – dice Aiello - «sapeva tutto e se ne fotteva ... a lui basta che quando c'erano le elezioni gli uscivano 500 voti era a posto». Non era all'oscuro neanche dell'influenza dei clan, tanto meno dei pagamenti regolari che i de Stefano pretendevano. «Sapeva che pagavamo, ma non sapeva quanto, come, perché neanche gli interessava. Però certo che sapeva». Sapevano e non avevano nulla da ridire «anche gli amministratori della parte privata».
    MEDIATORI Ma i De Stefano erano presenti eccome. E non solo per riscuotere. Intervenivano spesso su Fata Morgana, soprattutto «nel culmine dei problemi ... dei problemi, delle difficoltà con CARIDI ...» in particolare quando «lui andava in fervore per i periodi pre-elettorali e voleva le assunzioni. Ma assunzioni, parliamo di decine di assunzioni, non è che ne voleva una». Un meccanismo perverso e antico della politica peggiore, che Caridi ha scaricato sulla società. Per risolvere la questione, almeno in un'occasione Aiello è stato convocato dai de Stefano alla presenza di Caridi.
    L'INCONTRO L'ordine è arrivato «tramite lo zio di Caponera (Giuseppe Caponera) o tramite ... comunque qualcuno mi ha detto di andare alla ... al ristorante, il primo ristorante di Gallina, il Royal Garden si chiama». All'appuntamento, Aiello si presenta con Andrea Maviglia, « fuori c'era Caridi in un angolino, in un chioschetto, c'era Caridi, il Caponera, ed Andrea Giungo (..) era da un po' che stavano già parlando. E poi sono arrivato io, insomma il discorso verteva sempre sulla ... sui.. Caridi davanti a loro non ha mai parlato di soldi, il problema con Caridi quando c'erano loro erano gli operai ... Si, le assunzioni, si. Che Caridi le dico la verità ... quando io dicevo ... negavo le richieste di assunzioni ... di coso, praticamente quello era il mio Tribunale». In quell'occasione, Aiello è stato messo sotto processo, ma quella sarà l'ultima volta.
    COSA LORO In compenso tanto Caridi, come i De Stefano si manifestavano spesso. Ma il politico era stato autorizzato da loro. E questo perché – secondo quanto riferito al pentito da Paolo Rosario Caponera in persona - «Caridi era cosa loro ... concetto che per la verità mi ribadì anche a proposito della persona dell'allora Sindaco Scopelliti». Un «bambolotto» per gli arcoti, ma «hanno detto proprio "che era una cosa loro"». Tutte informazioni che Aiello ha ricevuto direttamente dall'allora reggente degli arcoti, che per rassicurarlo – racconta il pentito – diceva ««... "lasciali fottere che sono cose che stabiliamo noi che cazzo si deve fare" ... dice "stabiliamo noi che si deve fare ... la politica non c'entra nulla ... tu fatti i cazzi tuoi"». Medesime informazioni arrivavano da Andrea Giungo. Loro erano i politici e loro la società, tanto da poter rassicurare Aiello «"quando vengono a dirti, digli che è roba dei De Stefano, se la vede De Stefano".
    BENEDIZIONE ELETTORALE Un'aura protettiva che coinvolgeva anche Caridi e tracimava in ambito elettorale. Lo dicono i massimi vertici dei clan della jonica, che sorpresi a parlare delle imminenti consultazioni, raccontano delle "imbasciate" attese da Reggio per inondare l'attuale senatore di preferenze. Lo dice Giuseppe Pansera, genero del boss Tiradritto, che intercettato nel procedimento Armonia sostiene «io non ho incontrato a nessuno poi alla fine manderanno un messaggio (imbasciata) e tu lo sai dove ... e chiudiamo la partita». Una certezza proveniente da summit fatti in passato e da alcune "dichiarazioni di voto". «Ora si è cominciato a movimentare (fonetico "mi si populia") ma Vincenzo mi ha giurato io voto a Caridi ... e mi faceva ... e mi faceva il discorso dei De Stefano ... io sono sicuro che voto assieme a te questa volta». A lui, lo conferma di rimando Pasquale Brancati «Toto Caridi ... se lo prendono perché ci sono i Tegano che se lo portano a lui ... eh, eh ... capisci?». Una contraddizione? Assolutamente no, spiega la Dda. E non solo perché da anni ormai i De Stefano- Tegano sono una cosa sola. Ma perché su Caridi era arrivata l'indicazione di voto della direzione strategica della 'ndrangheta. Un ordine identico per tutti.
    GLI AFRICOTI DI REGGIO Alle regionali del 2005 invece, che «gli africoti» votino per Caridi emerge invece da una conversazione fra il futuro assessore comunale Pasquale Morisani e Giuseppe Romeo, un suo sostenitore – lo definisce l'assessore, interrogato come teste in pubblica udienza – coinvolto in diversi procedimenti di 'ndrangheta. È Romeo ad affermare che «i cosi, come si chiamano, gli africoti votano a Totò». E gli investigatori non hanno difficoltà ad identificare Caridi. A Condera, feudo di Morisani, «gli africoti» hanno un proprio insediamento stabile. Lì ci sono i Maviglia e lì è stato arrestato Antonio Gambazza. Votano a Reggio, ma gli ordini arrivano dal paese. E nel 2005 dovevano sostenere l'elezione di Caridi.
    ORA LUI, ALLE PROVINCIALI NOI Un possibile successo di Caridi – predica Romeo – sarà un bene perché «se Totò Caridi sale, non hanno motivo di farci la guerra a noi perché se la fanno per loro stessi Pasquale però se vieni a fare questa pubblicità e poi viene e ci rompe le palle per le Provinciali che facciamo noi? Tu sei. Pasquale, quegli altri lo hanno il pane». Un riconoscimento implicito delle più importanti forze che si addensavano dietro il candidato scelto dalla direzione strategica della 'ndrangheta. Quell'anno però andrà male per Caridi, non eletto nonostante gli 8.411 voti raccolti. Rimarrà assessore comunale fino al 2007, quando sarà chiamato in consiglio regionale da assessore.
    TOTO' IL GENEROSO Nel 2009 invece Caridi si spende per l'elezione del collega di partito - all'epoca era l'Udc - Trematerra, poi inciampato nell'inchiesta su 'ndrangheta e politica della Dda di Catanzaro. E anche in quell'occasione, si muovono «gli africoti» di Condera. Lo rivela Pietro Bonaventura Zavettieri - uomo dell'omonimo clan di Roghudi, satellite dei Morabito Tiradritto - allo stesso Giuseppe Romeo, anni prima pescato a parlare con Morisani. Ma le informazioni che è in grado di fornire sono molto più dettagliate. Zavettieri racconta che Francesco Maviglia, detto Ciccione, uomo del clan Pelle Gambazza di San Luca, nei mesi precedenti alle elezioni si era presentato ad Africo per sollecitare i clan ad appoggiare Trematerra, candidato sostenuto da Caridi.
    APPOGGI TRASVERSALI «Per questo è venuto Ciccione – insiste Zavettieri – per Trematerra ... però loro portano a Trematerra allora ... però gli fanno una cortesia a Caridi praticamente». Una decisione – riferisce Zavettieri – presa nel corso di un vero e proprio summit fra i clan di Africo. «Pasquale, Leo ... Hanno fatto proprio una riunione ... Tipo che hanno fatto una mangiata ... Avete capito? Per ... per raccogliergli tutti quanti sti voti». Un impegno strumentale – ovviamente – perché «se uno, non segue le cose giuste? Eh ... non ci vuole niente che si rovina ... se uno segue le persone giuste ... le cose giuste, qualche cosa vede!».
    LA PUNIZIONE Una vicenda per molti aspetti speculare alle elezioni europee del 2004, quando Francesco Chirico, zio del capocrimine Giuseppe De Stefano e vicinissimo alla cupola, su indicazione di Alberto Sarra, dirotta l'elettorato mafioso della cosca De Stefano a favore del candidato Umberto Pirilli. Storicamente – e lo afferma più di un pentito – Chirico ha sempre sponsorizzato Caridi, e intercettato lo conferma lui stesso, sottolineando che «lo avevo aiutato per davvero, trattandolo come un figl ..., fratello minore, un figlio, perché un figlio poteva essere». Poi però i rapporti fra i due si sono rotti. Lo racconta il cugino Angelo Chirico, che si lascia scappare più di un dettaglio sul pacchetto di voti gestiti dal parente. «Il giro – dice - lui c'ha ..., lui inizialmente appoggiava delle persone che poi l'hanno giocato ... Caridi, questi Assessori di Reggio ... appoggiati politicamente cose ... che poi non hanno mantenuto ... e lo stesso Sindaco Scopelliti e poi non hanno mantenuto quello che gli hanno promesso».
    NIENTE INIZIATIVE PERSONALI In realtà, spiegherà intercettato lo stesso Francesco Chirico, in quel periodo Caridi ha fatto due errori. Quando era l'«assessore nostro di turno» - dice lo zio del capocrimine - ha tardato a promuovere Chrico funzionario, per questo «gli ho fatto parlare dal referente mio» Sarra. Secondo, il politico si è permesso iniziative personali all'epoca delle europee. L'attuale senatore spingeva perché si votasse l'attuale vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, ma le indicazioni della cupola erano altre. E Chirco glielo manda a dire «... me ne sto fottendo, io sono libero, ho votato Pirilli, pe..., votando Sarra, non è che ho votato Pirilli, se no, non votavo io». In quell'occasione – e lo dimostrano le conversazioni successivamente intercettate – Caridi ha imparato la lezione e in breve si è riallineato. Anche per questo, negli anni successivi, l'appoggio del clan non gli è mai mancato.
    LE REGIONALI DEL 2010 Nel 2010, Caridi tenta – con successo – le regionali. E ad appoggiarlo – si scopre incrociando le risultanze delle indagini Mammasantissima e Alchemia – saranno tutti i clan. Se Alchemia svelerà l'attivismo dei Raso – Gullace per l'attuale senatore, è Mammasantissima che riporta alla luce quel "programma elettorale" declamato dal boss Peppe Pelle e finito agli atti dell'indagine Reale.
    IL MANIFESTO DEL BOSS PELLE Ascoltato dalla fortunata – ma di breve vita – microspia piazzata nella sua abitazione, Pelle afferma: «Ora lo sapete che dico io compare Mico ... guardate là, noi ci dobbiamo mettere tutti là in mezzo, la politica nostra è sbagliata, che facciamo a Reggio, diciamo qua nella Provincia di Reggio, perché è causa pure il parere mio». Il problema – spiega il boss – è che «quando nella provincia di Reggio, da Reggio fino a Guardavalle e fino a Gioia Tauro si presentano cinquecento persone, venti persone, trenta persone che fanno tutti le Regionali compà ... ognuno ha le amicizie sue, ognuno ha l'amico suo, chi prende duecento, chi prende cinquecento in un posto ... chi prende mille, tutti questi voti si disperdono e non va nessuno». Ma la soluzione, dice Pelle, c'è: «Invece se noi eravamo una cosa più compatta compà, noi dovevamo fare una cosa, quanti possono andare? Da qua ... incompr. ... diciamo qua dalla jonica, quando raccogliete tutti i voti che avete, vanno tre persone per volta, altre tre vanno alla piana e sono sei, e vanno già sei per il Consiglio Regionale, la prossima volta quei sei che dovevano andare ... che escono dalle regionali, se si portavano bene andavano a Roma». Un programma eversivo dell'ordine democratico, ma perfetto per la 'ndrangheta. E per il 2010 il candidato della 'ndrangheta unitaria era Antonio Caridi.
    LE INVOLONTARIE RIVELAZIONI DI GIORGI Se lo fa scappare l'ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi – poi condannato per associazione mafiosa- che parlando delle per le regionali con Domenico Alvaro, riporta una conversazione avuta con Sebastiano Pelle. «Sebastiano – racconta di aver detto - io so che tu hai tanti amici ... hai ... tu se fai l'imprenditore ... io non mi sono candidato ... che devo prendere voti ... tu, guarda qua, so che sei amico di Pierino Nucera ... so che sei amico qua, so che sei amico là ... mi segui? Totò Caridi mi ha fatto il nome tuo ... omissis ... "vota a lui"». In un'altra occasione, sempre con Alvaro, Giorgi torna a riportare le chiacchierate con il cugino Sebastiano e dice «l'altra sera ho incontrato (mi 'mbattiu) Totò Caridi, mi ha detto "sai, fammi una cortesia" ... è capitato Bastiano è venuto a trovarmi là ... ed hanno preso impegni». Tanto dal cugino come dal diretto interessato Caridi, l'ex sindaco di San Luca viene a sapere dell'impegno del clan per Caridi. E si preoccupa, perché sa che anche altri aspettano le preferenze dei sanlucoti.
    GLI IMPEGNI DEL CLAN «"Bastia vuoi che ti dico una cosa? – prosegue, riportando la conversazione - Tu hai preso impegni l'altra sera con Totò Caridi a Reggio?" Dice, "si." "Hai preso impegni con Pierino Nucera?" Dice, "si." "Hai preso impegni con il fratello della preside?" Dice, "si". "E vedi di mantenerli ..." mi segui? Ah? Allora loro per non fare a vedere che sono loro ... che ora si sono imparati pure furbi, hanno preso a Peppe Trimboli e gli hanno detto di votare li, tu lo sai».
    LA STRATEGIA ELETTORALE DEI PELLE Ma i Pelle sanno perfettamente quello che stanno facendo, hanno il polso preciso della situazione. Lo mette giù chiaro il boss anche con l'ex vicesindaco di Melito, Francesco Iaria, presentatosi per mendicare voti «... allora, abbiamo i voti, i voti nostri, qua, dei miei zii che è una cosa qua a Bovalino, qualche altro amico. Qui noi, ora devo dirvi le cose sono, ci siete voi, c'è Pierino (Nucera) e c'è Toto Caridi, che abbiamo, siete tre candidati; un po' per uno, chi di più, chi di meno li prendete tutti da parte nostra, sia qua a Bovalino e sia ad altre parti» .
    LA VISITA DI CARIDI A CASA DEL BOSS Ma in quel periodo, anche Caridi si reca a casa Pelle. Allo stato, non c'è traccia della conversazioni che fra quelle mura devono essere state registrate, tanto meno si sa se ci sia tornato nuovamente. Di certo, le telecamere installate dai Ros lo immortalano entrare a casa del boss il 27 febbraio del 2010, meno di un mese prima delle elezioni, insieme a Domenico Salvatore Savica. Nello stesso momento, un'altra auto riportava a casa il boss Pelle, insieme a Roberto D'Agui. Tutti insieme entrano nell'abitazione, ma cosa si siano detti fra quelle mura coperte di cimici non è dato sapere. Di certo, quando le urne proiettano Caridi in Regione, a casa Pelle si brinda.
    MIO NIPOTE Il neoconsigliere regionale, d'altra parte, è un «nipote» per i Pelle. Così lo definisce Sebastiano Pelle, fratello del boss Peppe, mentre parla con "compare" Aldo Marvelli. Poco dopo si indigna leggendo un giornale che – lo registrano dire le microspie - «Il candidato di mio fratello qua, ha preso mille voti». Una bugia per Sebastiano, che tronfio sostiene «ha preso undicimila voti! Vedete qua compare ... incompr. ... ha lavorato, come vedete a Bruno in questi giorni, si dice "vedete che abbiamo fatto un bel lavoro a cò ... a Totò, ad Antonio"».
    GLI STORICI RAPPORTI DI PORCINO CON IL CLAN Bruno è – ipotizzano gli investigatori – Bruno Porcino, zio di Caridi più volte pizzicato a mandare sms o chiamare uomini vicini ai Gambazza. E che Porcino fosse uomo conosciuto per i clan della Jonica lo aveva detto dieci anni prima il genero del Tiradritto, Giuseppe Pansera. «Bruno Porcino – diceva intercettato - te lo ricordi un nipote suo Bruno Porcino quando noi eravamo all'università Bruno Porcino era pronto a laurearsi ed io all'epoca ero dopo ... Caridi è più piccolo di te e di me ... omissis ... non mi permetto di dire chi cazzo è Caridi perchè so Caridi ha seguito tale ... ha un seguito tale che ... so fu primo eletto nel Comune di Reggio dobbiamo dare atto che è stato il primo eletto di tutti i consiglieri del comune di Reggio e queste non sono chiacchiere».
    LA CHIAVE DELLA CASSAFORTE Ma chiacchiere non si aspettano neanche i Pelle dal loro candidato. Sanno che ha in mano un assessorato importante e sanno anche perché. Lo chiarisce al boss Antonio Talarico, che poco dopo le elezioni, dice a «Questo qua dovete avvicinare ... Questo lo dovete avvicinare perché questo è un ... un assessorato importante per le banche e per tutto. È l'assessore in questo minuto, obiettivo uno, la Calabria, qua i fondi arrivano e questo è un governo che li divide. Lascia stare che poi ... Roma è un discorso lontano. Perché qua tu parli di attività produttive». In sintesi, Caridi ha in mano la chiave della cassaforte. Per questo – aggiunge Talarico -«Questo qua è importante per voi, Caridi è dei vostri!»
    INCASSO Non passa neppure qualche giorno e il clan pensa a come passare all'incasso. Ci sono finanziamenti da prendere, terreni da valorizzare e la chiave è sempre una. «dobbiamo parlare pure con Totò per il contributo ... con Totò Caridi ... per il fatto della montagna ... gli portiamo le carte ... omissis ... No, qualcosa dobbiamo farla, un poco si deve seguire, prima di farla ci appoggiamo con un consulente, perché noi dobbiamo parlare con Totò». L'assessore regionale Titò Caridi era un punto di riferimento e sono bastati pochi mesi di intercettazione per provarlo. Poi la cimice è stata inspiegabilmente staccata e su casa Pelle è sceso il silenzio. Ma Caridi ha continuato a fare carriera, è arrivato in Parlamento. Proprio come aveva predetto il boss Pelle nel suo manifesto «quelli bravi li mandiamo a Roma».
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  6. #46
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    I Cinquestelle: «Accesso antimafia a Reggio Calabria»

    Interrogazione parlamentare ad Alfano: «Le incrostazioni non sono state rimosse neanche dopo lo scioglimento del 2012. E il ministro è responsabile per i ritardi del passato»
    Giovedì, 21 Luglio 2016 11:01


    REGGIO CALABRIA «La commissione d'accesso antimafia nel Comune di Reggio Calabria, strumento di controllo consentito dalla legge». Dopo le inquietanti risultanze delle inchieste "Reghion" e "Mammasantissima", l'hanno chiesta i deputati calabresi M5s Dalila Nesci, Federica Dieni e Paolo Parentela, con i componenti 5 stelle della commissione bicamerale Antimafia Giulia Sarti, Francesco D'Uva e Riccardo Nuti, mediante un'interrogazione al ministro dell'Interno, Angelino Alfano, che il prossimo 28 luglio incontrerà a Catanzaro i prefetti delle province della Calabria e i vertici di Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza. Sostengono l'accesso al municipio anche la parlamentare europea Laura Ferrara e il senatore Nicola Morra, esponenti 5 stelle. «La richiesta della commissione d'accesso nel Comune di Reggio Calabria è un'azione doverosa e necessaria. Quel municipio è stato sciolto nel 2012 per contiguità mafiose e dalle citate inchieste non risultano rimosse le incrostazioni e connivenze nel palazzo», dicono i riferiti parlamentari del Movimento 5 stelle, che preme per bonificare la politica dalla 'ndrangheta e domenica 24 luglio scenderà in piazza a Reggio Calabria con i deputati Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, insieme alla propria rappresentanza parlamentare nella regione, ai suoi eletti nei Comuni calabresi, ad attivisti e società civile.
    L'interrogazione dei 5 stelle al ministro Alfano riassume il condizionamento ininterrotto del municipio di Reggio Calabria ricostruito dalla Procura reggina e il reticolo di rapporti e riferimenti di un gruppo di potere politico, massonico e mafioso in grado di captare enormi risorse pubbliche a proprio vantaggio. Ci sono, poi, passaggi specifici sull'isolamento subito dall'assessore ai Lavori pubblici del Comune di Reggio Calabria, Angela Marcianò, proprio quando ostacolò il dirigente Marcello Cammera, l'uomo chiave di Paolo Romeo, questi già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e ritenuto il dominus dell'apparato di potere individuato dalla Procura. Secondo i parlamentari 5 stelle, «Alfano, che all'epoca dei fatti emersi guidava il ministero della Giustizia, ha un'innegabile responsabilità politica sui relativi ritardi». «Perciò – concludono i parlamentari 5 stelle – oggi non può rendersi sordo né temporeggiare. A Reggio Calabria e nell'intera regione c'è un'emergenza assoluta. Col grave silenzio e immobilismo voluto finora dalle istituzioni elettive, la titolarità reale dell'amministrazione pubblica sta rimanendo nelle mani di 'ndrangheta e massoneria degenere».



    http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/politics/item/48210-i-cinquestelle-%C2%ABaccesso-antimafia-a-reggio-calabria%C2%BB
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  7. #47
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    Mammasantissima: le toghe massone a difesa dei clan
    Sono conosciute solamente ai capi loggia. E possono influenzare interi processi. A favore delle 'ndrine. Nell'inchiesta Mammasantissima emerge il loro ruolo.

    di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi | 21 Luglio 2016




    La massoneria come luogo di incontro di colletti bianchi, politici, magistrati, forze dell'ordine. Ma soprattutto esponenti della mafia e della 'ndrangheta.
    Una rete di relazioni capace di sostituirsi allo Stato, di controllare le indagini tramite favori e ricatti.
    CROCEVIA DI POTERI OCCULTI. Esce uno spaccato inquietante della magistratura dall'inchiesta Mammasantissima della procura di Reggio Calabria, che ha portato in carcere Paolo Romeo, controverso avvocato con un passato nella destra eversiva e con collegamenti con i servizi segreti.
    Ma a lato dei politici coinvolti - tra questi il senatore Antonio Caridi - è il ruolo delle toghe a colpire nelle più di 2 mila pagine di ordinanza di custodia cautelare.
    Perchè la Santa, la loggia segreta e sconosciuta alla manovalanza 'ndranghetista, era un crocevia di poteri occulti e criminali.
    Dove i magistrati avevano un ruolo e un incarico particolare. Non un'iscrizione regolare alla massoneria, ma erano - come si dice in gergo - 'all'orecchio', conosciuti solo ai capi della loggia per non farsi troppa pubblicità.
    LE TALPE INFLUENZANO LE INDAGINI. Il gip lo ribadisce, citando le motivazioni della sentenza di Cassazione di Infinito del 2015: «Le associazioni mafiose sono tali perché hanno relazioni con la società civile ed, invero, tali relazioni che uniscono i boss con una rete di politici, pubblici amministratori, professionisti, imprenditori, uomini delle forze dell’ordine, avvocati e persino magistrati, costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e che spiegano perché lo Stato non sia ancora riuscito a sconfiggerle».
    Basti pensare, si legge, «che gli infiltrati, “le talpe”, le fughe di notizie riservate e, in casi ancora più gravi, le collusioni di investigatori, inquirenti o magistrati, con le cosche mafiose, possono portare al fallimento parziale o totale delle indagini».
    In questa definizione c’è molto, se non tutto, su quel sistema criminale integrato che in questi anni ha fatto la fortuna della ‘ndrangheta.
    LA SVOLTA DI FINE ANNI 70. Un legame, quello tra ‘ndrangheta e settori dello Stato, che in Calabria si è cementato all’interno di logge massoniche più o meno deviate.
    Perché è lì che capi della ‘ndrangheta e giudici si sono incontrati.
    Ha raccontato il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro: «Capimmo che, se fossimo entrati a far parte della famiglia massonica, avremmo potuto interloquire direttamente ed essere rappresentati anche nelle istituzioni».
    Un ingresso che inizia a far data dalla fine degli Anni 70: mentre in precedenza da un lato c’era la ‘ndrangheta e dall’altro la massoneria, dopo la fine della prima guerra di mafia in Calabria le due cose iniziano a compenetrare una nell’altra.


    La 'ndrangheta entra nella massoneria


    Lo stesso Lauro spiega la figura di questi invisibili massoni: «All’orecchio è quello che viene tramandato verbalmente da capo-loggia a capo-loggia. Ed infatti, per alcune professioni (e una di queste è sicuramente la magistratura), questo tipo di appartenenza è quello usuale per non consentire che il “fratello” sia esposto alla pubblicità esterna».
    Crescono lì i nuovi boss dai nomi che ancora oggi comandano: De Stefano, Piromalli, Iamonte, Mammoliti, Libri e Araniti.
    «Se, prima, ‘ndrangheta e massoneria erano prossime», prosegue Lauro, «in quel frangente la ‘ndrangheta entrava nella massoneria e fondamentale è il dato che [...] le famiglie 'ndranghetistiche ebbero una rappresentanza diretta in seno alle istituzioni».
    MAGISTRATI VICINI ALL'ORGANIZZAZIONE. Una rappresentanza diretta incarnata da due personaggi col compito di raccordo, che ha raccontato Lauro e su cui il pm Giuseppe Lombardo ha indagato in questi anni, finiti anche nell’inchiesta Mammasantissima: Paolo Romeo e Giorgio De Stefano.
    Si poteva contare sull’appoggio di magistrati vicini all’organizzazione.
    Reclutati nel segreto delle logge o meno, negli ultimi tempi alcuni sono saltati fuori dal calderone.
    Il primo a parlarne fu lo stesso Lauro, che tirò in ballo nomi pesanti dei tribunali reggini, tra cui l’allora procuratore generale di Catanzaro Francesco Madera e Michele Neri, cancelliere e fratello dell’allora pg di Reggio, Guido, deceduto 11 anni fa.
    IL CASO DI VINCENZO GIGLIO. Venendo a tempi più recenti, è emerso il caso di Vincenzo Giglio, ex giudice al tribunale di Reggio Calabria che, da presidente della sezione prevenzione, dirottava anche i beni confiscati ai vari amministratori giudiziari.
    La procura di Milano gli aveva contestato il favoreggiamento nei confronti del clan Valle-Lampada: è stato poi condannato a quattro anni e cinque mesi.
    Con lui fu arrestato un altro giudice, Giancarlo Giusti, che si suicidò in carcere dopo la condanna a quattro anni di reclusione.
    Anche tra la magistratura, dunque, sarebbe presente una quota di quei “riservati” che fa la fortuna della ‘ndrangheta. E l’operazione Mammasantissima sembra essere l’inizio di una storia ancora tutta da scrivere. E che probabilmente riscriverà anche una parte del recente passato della nostra Repubblica.
    LE POLEMICHE NEL GRANDE ORIENTE D'ITALIA. Stanno facendo rumore tra gli ambienti massonici i verbali di interrogatorio dell'ex numero uno del Grande Oriente d'Italia (Goi), Giuseppe Di Bernardo.
    Due anni fa ai magistrati spiegò che nel 1993 «Ettore Loizzo, ingegnere di Cosenza, mio vi(c)e nel Goi, persona che per me era il più alto rappresentante del Goi, nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia (una sorta di Cda del Goi in cui era presente anche il mio successore Gustavo Raffi, attuale Gran maestro) che io indissi con urgenza nel 1993 dopo l’inizio dell’indagine del dott. Cordova sulla massoneria, a mia precisa richiesta, disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta».
    A quel punto, «io feci un salto sulla sedia. Gli dissi subito: 'E cosa vuoi fare di fronte a questo disastro?'. Lui mi rispose: 'Nulla'. Io ancora più sbigottito chiesi perché. Lui mi rispose che non poteva fare nulla perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie».



    Mammasantissima: le toghe massone a difesa dei clan
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  8. #48
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    Ndrangheta, Criaco sull'evoluzione dell'organizzazione
    'Ndrine, camorra, mafia? Adesso c'è soltanto una «multinazionale del crimine». Che muove miliardi e fa da stampella all'economia. Lo scrittore Criaco a L43.

    di Francesca Buonfiglioli | 22 Luglio 2016


    'Ndrine, locali, affiliazione. L'Aspromonte, quello di Platì o San Luca, Comuni di poche anime ma epicentri di una delle organizzazioni mafiose più potenti e temute al mondo.
    La connivenza dei cosiddetti colletti bianchi, degli imprenditori corrotti che fanno affari con questa piovra. E della politica, come sembra dimostrare - se mai ce ne fosse ancora bisogno - l'ultima operazione che ha portato a 42 arresti tra Reggio Calabria e Genova, dove le cosche avevano messo le mani su appalti pubblici milionari, tra cui il Terzo Valico.
    E, infine, l'alleanza con i narcotrafficanti con cui si domina il mercato della droga, cocaina soprattutto.
    Un racconto, o storytelling per usare un termine di moda, che però ha dei limiti.
    L'ETICHETTA DELLE MAFIE. Come la camorra o Cosa Nostra, ormai anche la 'ndrangheta è diventata una «etichetta», funzionale più che alle indagini, a tratteggiare il fenomeno dal punto di vista «antropologico e storico».
    A parlare è Gioacchino Criaco, originario di Africo, che la 'ndrangheta l'ha toccata e l'ha raccontata (anche) nel suo Anime Nere.
    «Per sentirci più tranquilli», dice a Lettera43.it, «cerchiamo di riportare questi fenomeni in ambiti territoriali e a gruppi limitati». Un atteggiamento «consolatorio» che però non restituisce la realtà attuale.
    «Abbiamo bisogno di mettere un volto al posto del mostro perché ci rassicura», aggiunge. «In realtà siamo davanti a un sistema criminale vastissimo».
    IL PRIMATO DELLA FINANZA. La prospettiva va cambiata, secondo Criaco. Pensare di combattere la 'Ndrangheta come fenomeno calabrese, esclusivo del Sud, è riduttivo. «Bisogna seguire i soldi, i flussi finanziari. Perché centinaia di miliardi non stanno nelle valigette o nei materassi».
    Per questo l'arresto del super latitante Ernesto Fazzalari, quello dei presunti fiancheggiatori dei boss Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, e il sequestro di 11 tonnellate di cocaina a Reggio sono sì tre sberle che lo Stato ha piazzato all'organizzazione, ai quali però bisogna dare il giusto peso. «Fazzalari era considerato il secondo criminale più pericoloso d'Italia per i 20 anni di latitanza. Molto probabilmente era legato al territorio, ma dubito avesse molta voce in capitolo sui traffici e sui miliardi che si muovono ogni giorno».
    Allo stesso modo il maxi sequestro di 11 tonnellate di coca, per un valore sul mercato stimato di 3 miliardi, «non è stato avvertito sulle piazze dello spaccio».
    E questo vuol dire banalmente che la coca e i soldi continuano a girare.
    In altre parole: la vittoria è locale, ma la guerra da combattere è globale.


    DOMANDA. Queste operazioni sono efficaci?
    RISPOSTA. Il problema, al di là della piega che prenderanno le indagini, è che si insiste troppo sulla filiera italiana-calabrese della redistribuzione della droga, in realtà ci si concentra poco sulle fonti di approvigionamento. I calabresi, per quanto siano bravi, non hanno in mano la materia prima.
    D. Il rapporto con i narcos ormai è appurato. A Platì avrebbero soggiornato alcuni colombiani...
    R. Da un trentennio è comprovato che il traffico di cocaina è controllato dai calabresi. Ma c'è ancora molta confusione...
    D. In che senso?
    R. Ho lavorato in uno studio legale e mi sono reso conto che nella maggior parte delle operazioni svolte a Milano, l'accusa di associazione mafiosa è quasi sempre caduta.
    D. E questo cosa significa?
    R. Che siamo davanti a grandissimi trafficanti calabresi, ma il fatto di essere calabresi non corrisponde automaticamente a essere affiliato alla 'ndrangheta.
    D. Bisognerebbe dimostrarlo...
    R. Sì. E poi non è necessario essere 'ndranghetisti per essere grandi trafficanti. Forse si attribuisce all'organizzazione più potere di quello che realmente ha fuori dalla Calabria.
    D. L'affiliazione dunque non è più così fondamentale...
    R. Quello che conta davvero, al di là dell'etichette, è la capacità di muovere enormi quantità di droga, e di avere le risorse economiche, umane e logistiche per farlo. Lo dico non perché sposti di molto il problema, ma perché altrimenti si alimenta l'immagine della 'ndrangheta come onnipotente.
    D. Non lo è?
    R. Sarebbe meglio indagare per capire chi e come muove certi traffici. Ricordando che se si arresta un calabrese non è automaticamente un 'ndranghetista. Per esperienza processuale, posso affermare che non sempre l'equazione corrisponde al vero.
    D. 'Ndrangheta calabrese, milanese, ora giuliana. Ma esiste una vera 'ndrangheta?
    R. L'errore sta nel combattere i fenomeni criminali per compartimenti stagni. Le organizzazioni criminali sono molto più avanti di quello che pensiamo noi.
    D. Più avanti in che senso?
    R. La 'ndrangheta, come la camorra, ha origini territoriali ma oggi è una organizzazione che sta nel mondo. E soprattutto nelle società che hanno bisogno di mafia.
    D. Come la Lombardia?
    R. Non ci sarebbe una mafia a Milano se il tessuto sociale non ne avesse bisogno.
    D. Cioè?
    R. L'economia legale ormai funziona grazie a una serie di servizi illegali che possono fornire solo le organizzazioni criminali: dal lavoro nero all'offerta di grandi liquidità.
    D. La famosa zona grigia?
    R. I colletti bianchi, l'imprenditoria corrotta sono diventati tutt'uno con il mondo criminale tradizionale che era definito come 'ndrangheta, camorra o mafia.
    D. E come dovremmo catalogarlo?
    R. Ormai c'è un'unica grande organizzazione criminale che fa affari. Un mondo che sta tutto sopra. Questi criminali sono estremamente moderni, forniscono servizi.
    D. E i rapporti col territorio?
    R. Resta l'origine calabrese, così come resta la necessità di mantenere i contatti anche nel senso nostalgico del termine con la propria terra. Ma le organizzazioni sono un'altra cosa. Per sentirci più tranquilli cerchiamo di riportare i fenomeni in ambiti territoriali limitati, a gruppi limitati ma è solo un atteggiamento consolatorio: non è più così.
    D. Perché ci rassicura?
    R. Alla fine ne parliamo da 30 anni, sentiamo di conoscere chi sono. Abbiamno bisogno di mettere un volto al posto del mostro. In realtà siamo davanti a un sistema criminale vastissimo. Il fatto che i colombiani soggiornino a Platì o che i platiesi stiano in Colombia è il segno di un mondo che ormai si sposta ovunque.
    D. Quando dalle 'ndrine si è passati alla multinazionale del crimine?
    R. Lo snodo è stato negli Anni 90, quando abbiamo avuto risultati clamorosi sulle criminalità tradizionali. Sono state seguite le vecchie famiglie, ma chi nasceva e si formava in quel periodo proprio per svincolarsi da questa trappola è andato oltre. Una intera generazione di calabresi è stata annientata dalle indagini e da 20 anni è in carcere. Nonostante questo c'è stato un ricambio che ha decuplicato il proprio potere.
    D. Quale è la via d'uscita?
    R. Invece di cercare di debellare il fenomeno lavorando su locali e famiglie d'origine, bisognerebbe partire da dove si muovono i grandi capitali. Parliamo di un giro di centinaia di miliardi che per forza passano attraverso l'intermediazione finanziaria. Non esiste altro sistema, non è che li mettono nelle valigette o nei materassi.
    D. La pista dunque è ancora il denaro, come già sostenevano Pio La Torre e Giovanni Falcone.
    R. Finché queste organizzazioni sono in grado di muovere capitali enormi il fenomeno non si arresterà mai. Puoi mettere in prigione migliaia di persone e sequestrare tonnellate di cocaina, ma la situazione non cambia.
    D. Cos'è rimasto della 'ndrangheta tradizionale in Calabria?
    R. Poca cosa. La criminalità vera, che si richiama ai valori - tra molte virgolette - di quel mondo, non sta più là. Chi muove centinaia di miliardi non fa affari dove una economia non esiste. Li fa nei grandi mercati: a Milano, ad Amsterdam, a Barcellona, non certo in Calabria. Per questo bisogna arrivare a una svolta e ragionare in termini diversi. Le origini territoriali delle mafie servono a studi sociologici e antropologici. Per indagare meglio bisogna spostarsi sulle grandi piazze finanziarie.
    D. Che significato hanno luoghi simbolo come Platì?
    R. Questi criminali tornano a Platì o San Luca spinti dalla nostalgia. Ma anche per ostentare ricchezze, per arruolare nuove persone. Senza opportunità vere di lavoro, questi luoghi con una disoccupazione altissima continueranno a essere un serbatoio immenso di manodopera criminale. Dalla Calabria partono in centinaia, più che negli Anni 70. Probabile che una piccola percentuale di disperati finisca in certi giri. E più diciamo che la 'ndrangheta comanda il mondo, più i ragazzi saranno attirati da questa potenza.



    Ndrangheta, Criaco sull'evoluzione dell'organizzazione
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  9. #49
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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    'Ndrangheta ad alta velocità


    di MoVimento 5 Stelle

    Con TAV e Terzo Valico mafie, corruzione e disinformazione viaggiano ad alta velocità. La ‘ndrangheta si è infiltrata dietro ai movimenti “Si Tav” , quelli che tanto piacciono a Governo, partiti e grande industria, con l’obiettivo di aggiudicarsi lavori per il “Terzo Valico” Genova-Milano.

    Lo ha spiegato il procuratore della DDA di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho esponendo i dettagli dell'inchiesta 'Alchemia' che ha portato all'arresto di 42 persone: "abbiamo importanti riscontri riguardo gli appalti che dimostra come i clan fossero attivi sul fronte del Si' Tav' ". "Dalle intercettazioni rileviamo l’interesse degli imprenditori prestanome della cosca a sostenere finanziariamente il movimento ‘Si Tav‘ per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole per quell’opera. Una strategia mediatica raffinata” ha aggiunto il procuratore Gaetano Paci.

    Nel corso dell'inchiesta è stato richiesto l'arresto anche del deputato Giuseppe Galati (ALA) e del senatore Stefano Caridi (Gal). Per quest'ultimo, è la seconda richiesta d'arresto in meno di una settimana. “Il senatore Caridi è il riferimento della ‘ndrangheta non solo della cosca Gullace-Albanese" hanno spiegato i magistrati. Particolari agghiaccianti.

    Per quanto riguarda il “Terzo Valico”, opera che il Movimento 5 Stelle da sempre contesta nel merito, secondo il magistrato le cosche hanno utilizzato “mediaticamente i gruppi Sì Tav infiltrandoli con i propri affiliati per dare rilievo alla causa. Questo per inquinare gli appalti pubblici con proprie imprese”.
    Le imprese edili e di movimento terra riferibili alla cosca avrebbero acquisito anche appalti dalla cooperativa rossa emiliana 'Coopsette', attraverso la corruzione di dipendenti infedeli che assegnavano le commesse a seguito dell’approvazione di preventivi «gonfiati».
    Una vera e propria strategia d'inquinamento dell'economia e dell'informazione.
    E' in questo contesto che si sono svolti anche espropri illegittimi di terreni come quelli perpetrati a Pozzolo Formigaro (Alessandria). Azioni d'imperio avvenute solo in seguito a qualche foto dei tenici Cociv, senza svolgere la chiama dei proprietari mentre alcuni di loro non hanno nemmeno ricevuto la notifica dell’esproprio.
    Sarebbe bastato ascoltare Comitati e associazioni che da anni si battono sul territorio per proporre alternative sostenibili al "Terzo Valico". Opera quest'ultima che è un enorme spreco di denaro pubblico che nemmeno l'Europa vuole più finanziare, una bomba ecologica a orologeria per la presenza di amianto come riconosciuto anche dal Tar nel silenzio assordante delle istituzioni.
    Finché le amministrazioni pubbliche non saranno in grado di monitorare con efficienza appalti pubblici e subappalti, evitiamo di alimentare il banchetto di mafie e corruzione con le cosiddette "Grandi Opere". Concentriamoci, sempre nella massima trasparenza di appalti e subappalti, sulle piccole e medie opere di manutenzione del territorio che danno immediato sollievo ed una risposta efficace alle esigenze dei cittadini.



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    Predefinito Re: La Cosa Nuova

    LA SANTA | I consigli di Romeo per Marilina Intrieri

    L'ex deputata dei Ds chiede lumi all'avvocato sull'appoggio a Scopelliti nelle regionali del 2010. L'incontro in un bar di Reggio Calabria tra i due e Pino Tursi Prato
    Venerdì, 22 Luglio 2016 12:11



    LAMEZIA TERME «Peppe Scopelliti, Alberto Sarra e Antonio Franco… chi li poteva a tutti e tre assieme! C’è stato un periodo che chi li ammazzava? Nessuno! C’è stato un momento che li ho messi tutti assieme e hanno vinto. E sono arrivati al settanta per cento». Paolo Romeo, quando parla di politica al telefono, tiene dei mini seminari. L’ex parlamentare del Psdi porta addosso – oltre a una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – l’accusa di essere l’anima nera della politica reggina. Di certo, le sue lezioni agli interlocutori che, di volta in volta, si succedono mettono in evidenza una vastissima rete di rapporti e la capacità di “leggere” il momento e adattarsi. Cioè stare con vince, sempre e comunque. L’avvocato, quando può, mette a disposizione degli amici i suoi consigli. E, a volte, gli amici sono “eccellenti”.

    ROMEO CONSIGLIA INTRIERI Le Regionali del 2010 sono uno dei passaggi fondamentali nella recente storia politica della Calabria. Certe intercettazioni costruiscono retroscena inediti e, unite alle accuse della Dda di Reggio Calabria a Romeo e soci, gettano un’ombra oscura su quel periodo storico.
    I magistrati reggini partono da quella che considerano una certezza: l’intervento garantito da Romeo «in favore di Scopelliti già in vista dell’individuazione delle candidature regionali del 2010». Le carte dell’ordinanza “Mammasantissima” parlano di «una serie di iniziative collegate alla lista Noi Sud». Ma «la decisività dell’intervento di Romeo – scrivono i pm – e, quindi, del suo peso politico, si ricava dalle captazioni telefoniche del 28 luglio 2009 con il deputato (all’epoca, ndr) Marilina Intrieri». Il riassunto della telefonata è indicativo del rapporto tra i due: Intrieri informa Romeo di aver ricevuto una telefonata di Scopelliti «che, trovandosi alla Camera dei deputati, le aveva chiesto di incontrarla». Prima di vederlo, la deputata chiede lumi a Romeo, che le consiglia di vedersi con l’allora sindaco di Reggio. I due si risentono il 9 agosto. Intrieri spiega che Scopelliti «“era abbastanza teso” ma che non avevano avuto modo di parlare diffusamente delle problematiche a lui connesse: anche in questa occasione, la Intrieri chiedeva se “poi hai saputo qualche cosa” e Romeo confermava che “ci siamo visti in questi giorni”». La deputata aggiunge: «Mi confermano che è lui il candidato», e riceve una conferma da Romeo («gli ho detto che ne dovremmo…ci saremmo dovuti vedere per parlarne un pochettino più approfonditamente»). I due, poi, rimanevano d’intesa di vedersi nei giorni successivi insieme all’«amico nostro di Cosenza che è su Vibo».

    AL BAR CON TURSI PRATO Chi sia questo amico diventa più chiaro dopo l’ennesima telefonata di Intrieri a Romeo, che serve per fissare un incontro per il «pomeriggio» del successivo «mercoledì». Incontro «che – scrivono ancora gli inquirenti – avveniva il 6 agosto 2009 presso il locale denominato “Cordon Bleu”, sito sul corso Garibaldi di Reggio Calabria, alla presenza, oltre che del Romeo e della Intrieri, anche di Giuseppe Tursi Prato». Anche Giuseppe Tursi Prato è un ex socialista. E pure lui, come Romeo, ha riportato una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Qui si interrompe questa parte del racconto che prepara alle Regionali del 2010. Romeo si spendeva per Scopelliti e la Intrieri, dietro suo consiglio, lo incontrava a Roma. Qualche mese dopo le elezioni e la netta vittoria del sindaco del “Modello Reggio”, l’ex parlamentare dei Ds sarebbe stata nominata Garante per l’infanzia dal consiglio regionale. Un ruolo che ha mantenuto (secondo alcune interpretazioni abusivamente) per alcuni mesi anche dopo il rinnovo del assemblea di Palazzo Campanella.

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