Gran Bretagna: è davvero la Brexit all'origine di povertà e disoccupazione?
di Fabrizio Poggi
Ormai da tempo, anche da prima del referendum di due anni fa, quando si parla di Gran Bretagna il discorso si incentra quasi esclusivamente sulla “Brexit”. Una questione basilare, per le prospettive che può aprire non solo in terra britannica; ma che, allo stato attuale, sembra ancora in larga parte da decifrare con esattezza, tanto che c'è chi accusa lo stesso leader laburista Jeremy Corbyn, di voler “tenere il futuro oltre Manica avvolto nella nebbia”.
Ci sono però alcuni dati che, al contrario, risultano chiarissimi da tempo, perlomeno dall'ultimo decennio di austerity, fatto di sforbiciate alla spesa pubblica, spending review, tagli a salari, pensioni e assistenza sociale. Secondo una recente inchiesta condotta dal relatore speciale dell'ONU, Philip Alston, circa 14 milioni di cittadini britannici vivono in povertà; uno su 200 (1 su 52 a Londra) vive in alloggi di fortuna; l'impossibilità di scaldarsi e le ripetute privatizzazioni nell'assistenza sanitaria, pare abbiano causato 50.000 morti "in eccesso" lo scorso inverno; un terzo di bambini britannici vive in condizioni di miseria. E ancora: due milioni e mezzo di lavoratori sono appena al di sopra della soglia di povertà e un altro milione e mezzo è completamente indigente. Questo, per quanto riguarda i lavoratori; stando al The World Factbook della CIA, nel 2017 l'isola aveva un tasso di disoccupazione del 4,4% (le stime ufficiali britanniche parlano ora di 4,1%) che la poneva al 61° posto mondiale e, per i disoccupati le condizioni sono ovviamente ancora più disperate.
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