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    Predefinito "Ogni potere deriva dal Popolo", storia e filosofia del Repubblicanesimo

    di Riccardo Bruno - https://www.facebook.com/groups/5906...c_location=ufi


    I.


    Il Partito repubblicano italiano viene comunemente riconosciuto come un partito "risorgimentale", fondato nel 1895, la sua ragione politica e sociale proviene dalla lotta per l'indipendenza e l'unità nazionale da il congresso di Vienna per tutto il secolo. Il padre di colui che sarebbe divenuto il capo storico del partito repubblicano, Giuseppe Mazzini ebbe un ruolo politico nella repubblica ligure, una delle repubbliche sorelle della repubblica giacobina. Nel 1800 la città di Genova sotto il comando del generale bonapartista Massena, viene assediata da truppe russe ed austriache, Giuseppe Mazzini nascerà cinque anni dopo in una famiglia polticamente legata alla Francia rivoluzionaria. Si può dire che Mazzini respirò la crisi del giacobinismo fin dalla culla e si confrontò giovanissimo con le sue rovine. Nel 1830 nel suo proclama agli italiani, Mazzini evocherà esplicitamente "la volontà generale", formula rousseauiana impiegata nel "Contratto sociale", mentre il titolo del suo libro più famoso al pubblico, i "doveri dell'uomo", è un' estrapolazione diretta del decreto voluto da Robespierre nell'istituzione dell'Essere supremo, frimaio 1794, l'adattamento politico di un passo contenuto nello "Emile" di Rousseau, per cui i fanciulli vanno educati ad "un solo principio, quello dei doveri dell'uomo". Il robespierrismo spacciato da storici incompetenti come una dittatura, era innanzitutto l'istituzione del concetto di dovere all'interno della nuova società del diritto nata in Francia. Nel momento nel quale il popolo diventa il sovrano, per evitare che la sua libertà si traduca in un'anarchia sfrenata, quella che pure aveva caratterizzato i primi passi della rivoluzione, si richiede un principio superiore su cui poggiare l'esercizio della propria autorità. Questo il senso specifico della formula mazziniana "Dio e popolo", una immediata rielaborazione del robespierrimo. Marx che sarà il primo a commentar e tale formula mazziniana dirà, correttamente, che in essa la Chiesa è esclusa, Mazzini definiva il cattolicesimo "un cadavere galvanizzato". ma in verità ne sono esclusi anche i partiti, Mazzini si richiama sempre all'unità del popolo, discorso del 10 marzo all'Assemblea romana, contro le fazioni che caratterizzavano il dibattito nelle monarchie costituzionali. Il partito repubblicano nasce qui, principalmente dal fallimento del mazzinianesimo nel Risorgimento e nel tentativo di ripristinarne le ambizioni politiche e democratiche.
    Nel 1918, poco più di vent'anni di vita ed il Pri era già dato per morto, questo era per lo meno il giudizio di Piero Gobetti sulla decisione interventista. Dal momento nel quale il partito repubblicano sosteneva l'entrata in guerra del governo monarchico non c'era più bisogno di un partito repubblicano. Per Gobetti la scelta di ritrovarsi sullo stesso fronte della monarchia nella guerra all'Austria significava la conclusione dell'esperienza repubblicana. Solo che Gobetti era un giovane brillante, ma privo dell'esperienza necessaria per una sufficiente riflessione sugli eventi che commentava. Era infatti dai tempi di Solferino che i repubblicani si erano trovati sul fronte della monarchia, a costo di sconfessare lo stesso Mazzini. La voglia di battersi precedeva la riflessione politica. Qualsiasi sacrificio pur di raggiungere l'unità di Italia, e il patto di alleanza con la monarchia era stato già consumato. Gobetti vedeva la causa repubblicana omolagata alle ragioni della monarchia, quando invece al partito interessava principalemente sconfiggere l'austriaco. Vale la pena di sottolineare questo errore di Gobetti sulla valutazione della struttura del partito repubblicano perchè sarà ricorrente nella storia del Pri tanto da sottenderla ripetutamente. L'adesione delle strutture romagnole del Pri al fascismo avvenuta dopo la rottura di Casalini faceva pensare lo stesso, il Pri era nuovamente morto e persino sottomesso al fascismo. Sarà Salvemini a far notare alla direzione del Pri in esilio che invece quelle strutture non aspettavano l'ora che di liberarsi dei loro dirigenti in camicia nera. Il fuoco covava sotto la cenere, e per quanto il fascismo avesse dato a Mazzini quel riconoscimento che mai gli era venuto dallo Stato unitario, la base repubblicana ne avvertiva l'incompatibilità, e si distaccherà dai dirigenti del partito che vi avevano aderito. Bisogna però dare per lo meno un attestato ad Italo Balbo, fu lui a dire a Mussolini dopo la vittoria in Abissinia che occorreva ripristinare il voto in Italia e possiamo credere che con tale richiesta il gerarca fascista proveniente dal Pri, si condannò a morte certa. Il fascismo è stata una lusinga per il mazzinianesimo e insieme il desiderio di seppellirlo. Non bisogna mai stupirsi che la previsione di estinzione accompagni la vita del partito repubblicano, un tale partito nasce come e comporta una minaccia grave per qualsiasi potere costituito. E' vero che poi esso concepisce l'esercizio del potere in una maniera concentrata, tanto da non distinguerne separazioni, Mirabaeu diceva che tutto dipendeva dal popolo e la costituzione della Repubblica Romana, cosi apre il suo titolo secondo: "Ogni potere deriva dal popolo". Non fosse che coloro che sono chiamati ad esercitare tale potere, i consoli, hanno un mandato di soli tre anni, poi decadono. La permanenza dell'esercizio del potere di 5 anni è dunque considerata eccessiva. E' un punto delicato, al centro delle questioni di teoria politica di questi giorni e che pure non è stato affrontato con il necessario rigore, quello della democrazia "diretta", come la chiamavano i federalisti americani, "pura", come la definiva Mazzini. Anche in questo caso come in ogni caso che riguarda il pensiero democratico, il riferimento è Rousseau. Egli scrive nel Contratto sociale che il popolo inglese è libero solo nel momento in cui vota, e schiavo un attimo dopo. Questo concetto è stato interpretato comunemente ed erroneamente come se la libertà durasse il solo attimo del voto, per cui la democrazia rappresentativa era solo una democrazia apparente, bisognava dunque trovarne una migliore. Invece Rousseau si riferisce al popolo inglese, ossia polemizza, come faceva anche Montesquieu, con le istituzioni ed il governo britannico, per cui gli eletti erano comunque degli aristocratici che rispondevano alla corona e non al loro elettorato. Rousseau non esclude affatto il significato della rappresentanza, soltanto che nell'ambito della storia la rintraccia positivamente soltanto in un breve periodo della vita romana, dopo la cacciata dei Tarquini. Ma già con l'istituzione dei tribuni della plebe, in pratica già con i Gracchi, gli eletti si trasformano in nuova aristocrazia oppressiva, da qui ne deriva non la necessità di sospendere il parlamento o di superare il sistema elettorale, ma di rendere il voto più frequente possibile. Tanto è vero che la repubblica romana fissa il mandato legislativo nell'ambito dei tre anni, la Francia rivoluzionaria, votava anche prima: tra l'Assemblea Costituente e quella Legislativa corrono due anni e la legislativa si scioglie dopo solo uno ed è tanto forte il sentimento del ricambio che si pretende che i membri della Costituente non possano essere rieletti alla Legislativa. E' vero che sotto la Convenzione si sospendono le elezioni, ma si sospendono perchè si è in guerra e si tornerà a votare appena vinta la guerra, due anni dopo. In ogni caso nessun repubblicano pensa di poter prescindere dal parlamento e Robespierre, fosse mai stato un dittatore come si dice comunemente, sarebbe l'unico dittatore della storia caduto dopo un voto del libero Parlamento. E' sicuro che il giacobinismo ha un problema con la rappresentanza, ma non ha mai pensato di sopprimerla e se si leggesse Rousseau a fondo, ovvero "le considerazioni sul governo della Polonia", che nemmeno si conoscono nelle librerie italiane, ecco che tutto sarebbe più chiaro. La democrazia è sempre diretta e si esprime nel momento in cui si vota e non esiste una democrazia indiretta, esiste solo l'assenza di vita democratica. Arrivare a pensare poi che la democrazia referendaria sia la democrazia diretta, è una semplice aberrazione del pensiero democratico, dove il referendum è solo consultivo. Nell'ambito del giacobinismo, il referendum viene tassativamente escluso, vedi il processo del Re. Deve essere il Parlamento ad esprimersi sul comportamento del monarca, e non la maggioranza del popolo francese. Il principale discrimine che segnano Rousseau ed i giacobini, e quindi Mazzini, dai cosiddetti populisti, viene fornito dalla volontà generale, che non è mai quella della maggioranza. Di chi è dunque l'esercizio della volontà generale? Di una elite che si assume la responsabilità del governo popolare, è la volontà generale, lo stesso principio stesso della rappresentanza, altrimenti si sarebbe semplicemente richiamati alla sola volontà della maggioranza. E' incredibile come un concetto così elementare sfugga a fior di professori che stanno li a discutere da decenni su democrazia diretta e democrazia rappresentativa, ad esempio il professor Pettit. Questo professore australiano che passa per grande intellettuale repubblicano ritiene il reazionario Tocqueville e l'aristocratico marchese di Montesquie autentici pensatori repubblicani, mentre Rousseau solo alla condizione che non venga interpretato in modo populista. Sotto un prolfio didattico vi sarebbe da chiedersi se Rousseau Pettit lo abbia mai letto o se abbia letto solo i suoi commentatori. Ma quale sarebbe comunque questa interpretazione populista? "l'autogoverno democratico"! Ma questo non è il populismo, questo è il principio repubblicano, il populismo è voler dire che il popolo abbia sempre ragione e che sia autosufficiente a se stesso, non che si auto governi. La cuoca può governare lo Stato, questo è il populismo, Lenin. Per i giacobini, roussauiani, la cuoca non poteva manco disporre dell'esercizio di voto, altro che di governo. Le cuoche stavano in cucina, ecco l'autogoverno rousseauiano, l'essenza del giacobinismo.
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

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  2. #2
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    II.


    Un eccezionale intellettuale italiano, lo storico Rosario Romeo, nella sua opera su Cavour spiega con chiarezza che furono i liberali a vincere il Risorgimento con un progetto moderato, fondato sul compromesso tra la corona ed il papato. Nel suo giudizio da storico egli è convinto che tutto sommato questa soluzione fu più appropriata di quella radicale e rivoluzionaria, prospettata "da Garibaldi". Romeo eletto da vecchi repubblicani e frequentando il Pri commetteva una falsificazione della storia con un'intenzione benevola. Non si può attribuire infatti a Garibaldi di propugnare la soluzione radicale, o per lo meno Garibaldi oscilla paurosamente a riguardo: è Mazzini il radicale rivoluzionario. Non fosse che Mazzini viene sconfitto a Roma nel 1849 e il partito repubblicano, il partito rivoluzionario, si disperde incluso Garibaldi, Da quel momento l'azione politica per il successo dell'unità nazionale passa nelle mani di Cavour. Il conte di Cavour ha avuto un insegnante fra l'altro, tra i più illustri del secolo, quel marchese di Tocqueville che ebbe parte principale nella disfatta della Repubblica romana. Non fu Napoleone terzo a voler calcare la mano contro la Repubblica, al contrario, Napoleone vedeva con favore la fine dello Stato della Chiesa. Egli era pur sempre il nipote di un imperatore giacobino che mise il pontefice agli arresti, il suo ministro degli Esteri, invece proveniva dalla famiglia del marchese di Maleserbes, l'avvocato di Luigi sedici, sterminata sotto il Terrore. Generato dai pochi sopravvissuti, Tocqueville si rivelerà il più grande pensatore reazionario del secolo, e non si comprende su che basi si possa considerare uno storico repubblicano come pure fa il professor Pettit. Ci si leggesse Carl Schmitt per capire Tocqueville, oppure si spiegasse come è possibile che uno storico repubblicano combatta l'unica repubblica nata in Europa nel corso del 1849. Uno storico repubblicano era sicuramente invece Edgar Quinet, che disgustato della politica di Tocqeville lo definì un liberale che appena preso il potere lo impiega per schiacciare la libertà altrui. Il liberalismo di Tocqueville è utile solo alla libertà della Chiesa. La Chiesa libera, distrugge le possibilità di libertà dello Stato. Tocqueville è un nostalgico dello Stato assolutista. Il conte di Cavour, che incontrò l'autore della "Democrazia in America", Tocqueville era già una celebrità, in un viaggio di apprendistato a Parigi, comprese benissimo l'avversione di quel testo per la politica del nuovo mondo, vi è una specifica corrispondenza giovanile a riguardo. Purtroppo iniziò ad assimilarla. Cavour era almeno di indole più progressista, la sua famiglia aveva servito prima dell'Austria, Bonaparte e quindi certi tratti giacobini gli erano comuni, il suo ministero iniziò sequestrando i conventi. Solo le sue eccezionali doti di realismo lo convinsero, dopo l'impresa francese a Roma, della necessità di un intesa con la Chiesa per dare alla monarchia un vantaggio nella realizzazione del processo unitario. Antonio Gramsci è un interprete puntuale di questo processo quando scrive nei suoi quaderni che "il partito d'Azione, il conte di Cavour ce l'aveva in tasca". Garibaldi nelle tasche di Cavour si dimenava ma ci restava volentieri, salvo qualche colpo di testa. Mazzini era di una altra tempra e di un' altra statura a contrario di quello che ne diceva Gramsci. Mazzini cerca disperatamente di prevenire la presa di Roma da parte delle truppe sabaude a settant'anni suonati, per la semplice ragione che Roma liberata dal re vale quanto "la città di Gubbio". Nel partito repubblicano dove vige una grande considerazione per Tocqueville, Giorgio La Malfa lo citava persino in Congresso, e vi sono consociazioni del partito che ricordano il venti settembre con tanto di manifesti celebrativi, la consociazione bresciana ad esempio ancora nel 1994, si sconta il tributo pagato dagli sconfitti ai vincitori del Risorgimento. Anche qui c'è una dote di realismo che non va disprezzata, per cui la storia patria è quale si è realizzata. Il Pri si riconosce nel corso della storia nazionale, non è un partito esclusivamente mazziniano. Come insegnava un grande filosofo della Rivoluzione, Federico Hegel, rassegnato alla restaurazione, non saremo mai stati migliori del nostro tempo, ma solo "il nostro tempo nel modo migliore". Il che non significa necessariamente dimenticare le proprie origini e non ritornare a volgere loro lo sguardo, soprattutto. quando il destino nazionale appare curvarsi. Il vecchio Hegel, oramai assuefatto al nuovo regime non smetteva di parlare della Rivoluzione che aveva amato, come "la magnifica alba" dell'umanità. Ma Hegel era solo un filosofo, un politico deve porsi sempre il problema di come cambiare la storia, non di come interpretarla. Siamo davvero certi che l'esito del Risorgimento sia stato salutare con la vittoria delle forze moderate? L'amico Stefano Tommasini ha scritto la più importante storia della repubblica romana, dove annota come la morte della meglio gioventù italiana, dai Dandolo, ai Morosini, a Manara, e perchè no, anche di un avventuroso come Masini, abbia privato il paese della classe dirigente che sarebbe stata indispensabile per guidare l'unità nazionale. Se guardiamo alle schiatte di opportunisti che si sono succedute a unità raggiunta, si comprende come Tommasini abbia centrato il problema quando il formidabile Romeo lo abbia sballato. Il cavourismo è stato propedeutico al disastro nazionale che si sarebbe consumato nel giro di soli 50 anni, con l'avvento del fascismo, il ritorno, in farsa, della soluzione rivoluzionaria.
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  3. #3
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    III.


    I conti con il fascismo non sono stati fatti sino in fondo e oramai a più di 50 anni dalla sua scomparsa c'è da credere che non si sia nemmeno più in grado di farli. E questo dimostra come avesse ragione Ferruccio Parri nei confronti di Benedetto Croce che derubricava il fascismo ad un incidente estemporaneo della nostra storia. Al contrario, il fascismo ha continuato a perseguitarci. Negli anni 70 gli si attribuiva il volto di Nixon, negli anni '80 quello di Craxi, poi quello di Berlusconi ed infine si è arrivati persino a dargli quello di Beppe Grillo. Essendo stata l'Italia e l'intero continente europeo, fascista per più di vent'anni, è molto difficile una presa di autocoscienza, anche perchè il tentativo di Croce di dissimulare la realtà rientra fra i casi pietosi che sono ricorsi costantemente. Croce era anche quello che spiegava che lo spirito restava libero quando il corpo veniva messo in catene, in pratica potevi fare il saluto romano e sentirti in pace con te stesso. E Croce era il pensatore liberale. Anna Arendt, una ebrea tedesca rifugiatasi in America, difese l'opera di Heidegger, il principale filosofo del terzo Reich. Karl Jaspers si attivò immediatamente e con successo per riabilitare universariamente il cacciatore di ebrei Heidegger della Foresta nera. In breve, la cosidetta cultura dell'Europa democraticizzata del secondo dopoguerra si alimentò nelle sue università di un pensatore che faceva del "viva la muerte" falangista, la stessa ragione dell'essere. Sulla stessa falsariga si sono concessi premi nobel a giovani SA, come Gunter Grass, e incarichi all'Onu a comandanti delle SS, come Weldheim. Per non dire che sarebbe quanto mai interessante sapere se davvero la cassaforte della Casa editrice Einaudi costudisce la tessera di iscritto alla repubblica sociale di Cesare Pavese. Si potrebbe continuare per capire che non sarebbe bastato eliminare Gentile, il più grande filosofo del secolo scorso su scala europea, per risolvere il problema culturale con il fascismo dopo che solo 12 professori su 12 mila nelle università italiane si erano rifiutati di giurargli fedeltà. Se le masse avessero sempre, ragione come diceva il principe dei populisti italiani, Togliatti, saremmo ancora fascisti. Un consiglio utile che abbiamo avuto in simili disperati frangenti è quello proveniente da un nazista vero, che pure è stato ricevuto ed omaggiato, anche nel nostro stesso Paese, dalle isitutizioni repubblicane occidentali fino all'inizio di questo secolo, il professor Nolte. Nolte ci invita a considerare il fascismo solo nella sua epoca, ovvero all'interno di un periodo limitato di anni, che accompagnano la fondazione nell'Action Française di Maurras, alla fine dell'800 e si concludono nel bunker di Berlino nel 1945. Da buon fascista, Nolte si rende perfettamente conto che solo un'identità carismatica come quella dei principali interpreti del fenomeno, poteva far reggere un simile regime. Per cui anche se Hitler avesse vinto la guerra, un'ipotesi da non escludere mai l'America avesse persguito la dottrina del professor Pettit, per cui le repubbliche non interferiscono e non dominano, il nazismo sarebbe comunque finito con la morte di Hitler, il fascismo con quella di Mussolini, esattamente come l'Action Française fini con Maurras. Il problema quindi non è il rischio del fascismo futuro, un nuovo Grande Dittatore, meno credibile con la faccia di Grillo, più credibile con quella di Salvini. Il problema è quanto dell'esperienza fascista sia rimasto sedimentato all'interno della nostra cultura democratica e venga confuso con essa. La mal gestita continuità culturale con il fascismo provoca crisi politiche ricorrenti all'interno al mondo democratico. Anna Arendt continuà a vedere 'l'America con gli occhi di Heidegger e le critiche che rivolge al sistema democratico americano diverranno luoghi comuni negli scontri del secondo dopoguerra fra America e vecchio continente. De Felice vedeva nella marcia su Roma, il ritorno della marcia su Versailles, e così c'è chi è convinto che il fascismo fosse democratico e l'America un'oligarchia fondata sul denaro. Il fatto però che gli ammiratori di Hitler e Mussolini di oggi siano genericamente islamofobici dimostra appunto quanto avesse ragione Nolte nel limitare temporalmente un fenomeno politico come il fascismo, perchè sia Hitler che Mussolini preferivano l'Islam alla religione cristiana. Bisogna poi ringraziare Nolte che nonostante la sua passione per i dittatori, non pretende di far risalire la loro origine a Platone o a Eraclito, come fece per dabbenaggine il professor Popper. I danni che ignorano i fascisti, li commettono i liberali.
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  4. #4
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    IV.


    La questione fascista è parte della questione repubblicana? Nel 1922 Casalini e Carlo Bazzi uno dei dirigenti più in vista del Pri di Ravenna fondarono nel mese della marcia su Roma l'Unione mazziniana nazionale. Il partito repubblicano anche in Eugenio Chiesa nei primissimi anni non ebbe una particolare rigidità verso il fascismo, tanto che dal 19 fu consentita persino la doppia tessera, al Pri ed al partito fascista, anche dopo il fallimento del blocco elettorale interventista, proposto da Mussolini. Nel 1919, un buon repubblicano come Riparbelli fonda nelle roccaforte di Genova i fasci repubblicani italiani aprendo un esodo vero e proprio dal partito al fascismo. De Felice è lo storico brillante che coglie l'analogia tra la marcia su Versailles e quella su Roma, dimenticando magari che la marcia su Versailles, non fu proprio un episodio edificante della rivoluzione, visto che probabilmente venne allestita dal duca d'Orleans assoldando ruffiani e prostitute, manipolando la guardia nazionale, tanto da costringere Lafayette a gettarsi alla disperata protezione della famiglia reale. Ogni rivoluzione, quella francese, come quella fascista, quando mette in moto le masse, non prescinde da possibili aspetti farseschi. E' difficile però allestire un'unica trama rivoluzionaria traendo spunti da questi elementi. Il fascismo ad esempio è attratto dal principio dell'educazione giacobino e mazziniano e vorrebbe assimilarlo come proprio e l'intenzionalità a riguardo del fascismo, con Gentile è davvero convinta. Vi è una sola differenza non proprio insignificante per la quale, Mazzini o Robespierre educatori, vogliono che il popolo acquisisca gli elementi per poter valutare, Mussolini e Gentile educatori pretendono che il popolo divenga un popolo guerriero. De Felice avrebbe facilità a spiegare che questa istanza nasce dal fatto che lo stesso Robespierre e lo stesso Mazzini, avevano bisogno di una leva capace di sollevarsi e combattere, ma questa era volta alla caduta della tirannia, non ad edificarne un'altra. Possiamo costruire un sistema di analogie per cui il fascismo è capace di ricomprendere sotto di se le tradizioni politiche più nobili, ma mentre la tradizione giacobina e quindi quella repubblicana impone il rinnovo delle cariche e si oppone sostanzialmente, questo è l'aspetto dirimente, alla figura del dittatore, il fascismo formalizza la seconda e la pone al di sopra di qualsiasi decorrenza temporale, Hitler vorrebbe un reich millenario, Mussolini governa per vent'anni. I consoli repubblicani dopo tre devono andare a casa. Ecco come si sfalda facilmente la trama tessuta dal fascismo, per cui già nel 21 Chiesa rompe con i suoi compagni di partito che vi confluiscono. Il pensiero repubblicano si riconosce solo nel momento nel quale il popolo diviene protagonista della storia, non ne fa la comparsa, Il fascismo è solo un tentativo piuttosto bieco di assecondare paure i bisogni popolari, molto al di sotto di una libera organizzazione degli stessi che avviene solo attraverso l'attività parlamentare. Il parlamento è la riproduzione dell'antica piazza di Atene, e più esauriente del Senato di Roma. Il parlamento è il potere popolare in atto e lo è direttamente, nel momento nel quale risponde al mandato del suo elettorato che si rinnova. Perchè nella Repubblica per l'appunto è possibile cambiare idea sia per gli elettori passivi che per quelli attivi. Nel fascismo l'idea è una sola e a portata esclusiva di chi comanda, senza contraddittorio possibile. Resta memorabile a riguardo Cino Macrelli, contattato da Mussolini dopo l'insediamento a Salò, rispose seccamente, "sosteniamo qualsiasi Repubblica, esclusa quella fascista"
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    V.


    E' plausibile l'esistenza di un'identità del pensiero repubblicano, quasi una magica discendenza, che da Aristotele, passi per Cicerone!, e attraverso Machiavelli arrivi sino alla rivoluzione inglese del seicento e poi, a questo punto è cosa fatta, a quella americana del secolo successivo? Una grande idea repubblicana capace di gambe da titano con cui passare sopra i secoli come pozzanghere. Ne erano convinti alla scuola di Cambridge i professori Pockoc e Skinner, che però non si accorgevano dell'assenza di un ultimo piccolo passaggio, ovvero quello compiuto con la Rivoluzione e la prima repubblica francese. In pratica si evocava un pensiero che restava collegato per quasi duemila anni di storia e che pure improvvisamente si spezzava nel giro di pochi mesi. Fosse davvero accaduto qualcosa del genere, tutto l'interesse volgerebbe sul comprendere il motivo di una tale improvvisa rottura, su come fosse stata possibile realizzarsi, come un ponte intero che ti crolla sulla testa o sotto i piedi. L'interpretazione positiva di Machiavelli e del cosiddetto repubblicanesimo classico fornita dai professori Pockok e Skinner è stata altamente suggestiva, ma ha esaurito abbastanza in fretta gli effetti del suo impatto, nessuno se ne occupa più. La ragione è semplice: il margine degli studi sul fiorentino ha continuato ad ampliarsi, così come il suo pensiero ad apparire più controverso e controvertibile. E' sorprendente ad esempio come sempre il nostro professor Pettit abbia ammesso e con supremo candore di non avere avuto mai sentore di una doppia libertà in Machiavelli una per i potenti ed una per la gente comune, che se mai fosse dimostrata, la tesi è di Pasquale Pasquino, distruggerebbe ogni possibile riferimento repubblicano in Machiavelli, perchè, insomma, almeno la libertà nella Repubblica, valga per tutti come una sola. Ciò che ha comportato la rapida decadenza della scuola di Cambridge e dei suoi protagonisti è la pretesa di modernizzare Machiavelli e di renderlo trasportabile interamente in un contesto universale di accesso immediato per tutti. Quali che fossero le complesse idee di Machiavelli ed il fascino che potesse esercitare nelle generazioni future, in Italia se ne discusse a lungo fra Croce e Gramsci, il segretario fiorentino aveva in mente un obiettivo politico principale rivolto alla grandezza di Firenze. Il suo interesse per la storia romana dipendeva dalla necessità di emulare gli aspetti relativi alla potenza di Roma, e la partecipazione popolare al governo è aspetto secondario rispetto a questo interesse. La repubblica moderna, quella che nasce in America e poi si estende in Francia, il percorso di pensiero virtuoso per arrivare a comprendere davvero un significato storico filosofico dell'esperienza repubblicana, l'esatto opposto di quello che pretendevano di fare a Cambridge, con esiti altrettanto opposti, capovolge completamente Machiavelli. E' solo sulla base esclusiva della partecipazione popolare al governo, che si può instaurare una politica di potenza, e questo concetto rivoluzionario cambierà completamente i connotati della storia. Il presunto repubblicanesimo di Machiavelli ha però almeno un tratto indiscutibile. Il fiorentino non crede nella possibilità di educare il popolo, ritiene più persuasiva la minaccia. Questo quando la questione dell'educazione è invece il presupposto fondamentale del pensiero repubblicano moderno, anche se non sempre nella storia riesce a prescindere completamente dalla minaccia. Il popolo va educato perchè possa prendere coscienza dei suoi diritti, come dei suoi doveri e questa educazione non è libera, non è privata, impone una scuola dell'obbligo e una gestione dello Stato. Senza educazione, il popolo resta nella sua amorfa brutalità e sarà sempre facile da ammansire e comandare, da parte di un principe o di un partito. Più invece si alza il livello dell'educazione popolare, più sarà possibile una sensibilità del popolo verso la sua libertà e le sue possibilità di progresso. Il problema della repubblica è quello dell'educazione popolare ed è un problema per il quale siamo all'anno zero. Ovviamente noi possiamo appoggiarci interamente alle scoperte delle scienze e delle tecniche che si sono sempre più sviluppate. Insegniamo nelle scuole le scienze e le tecniche, queste saranno sicuramente una barriera insormontabile per chi attraverso la religione vorrebbe imbrigliare la coscienza dei cittadini, la praticità delle scienze e delle tecniche lo impedirebbe. Purtroppo le scienze e le tecniche non dispongono in se di un qualche esercizio morale assimilabile per i propri studenti. Se gli scienziati tedeschi che studiarono l'atomo non fossero stati ebrei, Hitler avrebbe avuto a disposizione un arsenale nucleare. Non c'è modo di prescindere da un insegnamento religioso per poter costituire una maturità morale all'interno di un popolo. il che non significa che questo insegnamento religioso debba essere necessariamente l'ebraismo, piuttosto che il cattolicesimo. Il problema principale della Repubblica è quale insegnamento religioso poter dare al popolo, per non far si, come pensava Machiavelli, di doverlo minacciare, se si vuole governare liberamente. E non si tratta di un problema di facile soluzione, se non per la priorità di un insegnamento della religione nelle scuole dello Stato affidato ai laici piuttosto che a preti.
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    Predefinito Re: "Ogni potere deriva dal Popolo", storia e filosofia del Repubblicanesimo

    VI.


    "Dio e popolo", è la sola formula che definisce interamente la questione repubblicana e la definisce a partire dall'età contemporanea, ovvero dalla Rivoluzione americana, se non altro perché le repubbliche di Atene, di Sparta, di Roma, onoravano diversi dei e questo segna inevitabilmente una discontinuità etica profonda con le repubbliche nate nell'alveo della civiltà cristiana. Non deve quindi stupire che il punto di vista degli imperi centrali, lo stesso della corona britannica che ebbe il primo re decapitato da un governo nella storia, vedesse nella repubblica principalmente una creatura del demonio. Il solo ricordo del politeismo dell'antichità, la rendeva tale, e i repubblicani sanno che il presupposto dello Stato per cui si battono deriva comunque da un'epoca precristiana. L'unico possibile indizio di un intimo repubblicano in Machiavelli, deriverebbe dal fatto che egli volesse anteporre la religione pagana a quella del suo secolo, come sostiene Skinner. In ogni caso, quasi un terzo del Contratto sociale di Rousseau è rivolto contro la religione cristiana, inadeguata a sovrintendere le sorti di uno Stato libero. La parte più radicale del movimento giacobino si convinse infatti che occorreva necessariamente liberarsi della Chiesa e iniziò un processo di scristianizzazione violento, Robespierre lo interruppe perchè comprese che il popolo aveva bisogno di porre comunque la sua fede in un ideale superiore. La misticheria di cui fu accusato Robespierre da parte degli estremisti del suo movimento, è la stessa di cui Marx accuserà Mazzini. Robespierre e Mazzini hanno in comune la convinzione che il popolo è in grado di governare solo se ripone la sua fede in una credenza ultraterrena, un Dio che vuole ordine e bene sulla terra. Rousseau ritiene che queso Dio si trovi nella coscienza più profonda dell'uomo ma anche che il cristianesimo non è adatto al governo della Repubblica. Senza indicare un modello religioso sostitutivo, sarà impossibile per la Francia rivoluzionaria istituire un oggetto del culto. Quinet suppone che proprio questa incapacità di soddisfazione e comprensione religiosa abbia fatto fallire la Rivoluzione, un'intuizione che rimane anche nel nostro Mario Vinciguerra a cui si devono i Girondini del '900. Kant è probabilmente colui che comprese meglio la differenza fra il piano morale e quello del governo, tanto che non riuscendo a dimostrare l'esistenza di Dio, era comunque convinto della necessità di agire come se Dio esistesse. Sotto questo profilo Kant fu filosofo della rivoluzione e della Repubblica, prima di quanto lo fosse lo stesso Hegel. Purtroppo il pensiero del 700 era difficile da acquisire già agli inizi del '900. Croce riteneva Marx più moderno di Mazzini, non per le maggiori cognizioni economiche, che pure hanno un loro peso perchè rivelano la trasformazione dell'epoca, ma perchè appunto il linguaggio di Marx segna l'evoluzione del linguaggio ottocentesco, a noi molto più famigliare, quando quello di Mazzini è interamente erede di quello del secolo precedente. Di Kant resta chiaro lo scetticismo, egli scrive infatti che repubblica o monarchia sono semplici formule, nomi diversi con cui indicare chi comunque si trova a comandare quando qualcun altro è costretto ad obbedire. Questo scetticismo kantiano dal primo sapore reazionario è invece l'anima propria del pensiero democratico, la stesso che vige in Rousseau e che incupirà Robespierre, ovvero di come in democrazia l'aristocrazia appena eliminata sappia ricostituirsi. "Sotto il berretto rosso, si nascondono i tacchi rossi". Soltanto il ricorso al voto popolare può sciogliere questo dubbio nei confronti del potere costituito, o altrimenti, per lecita diffidenza delle inclinazioni umane, tanto varrebbe ripristinare la ghigliottina, anche ai tempi di oggi, dove la nuove aristocrazie sono ammantate dei panni dell'incompetenza e dell'irresponsabilità.
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  7. #7
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    Predefinito Re: "Ogni potere deriva dal Popolo", storia e filosofia del Repubblicanesimo

    Premessa posticipata,


    Nella bozza per la conferenza programmatica del pri si leggono dei riferimenti alla cultura ed ai valori repubblicani, come se questi fossero definiti e consolidati. Per la verità negli ultimi 17 anni almeno incontriamo qualche difficoltà a proposito, basta citare il congresso di Bari del 2001. Se siamo incompatibili con populisti e sovranisti, come si legge nella bozza, figuratevi se non lo eravamo con Berlusconi e Fini. Non fosse che quarant'anni prima Pacciardi riteneva che lo fossimo con i socialisti e non ricordo più il nome di un repubblicano ravennate che rimproverava a Mazzini l'intesa con la monarchia con cui eravamo appunto assolutamente "incompatibili". E quel repubblicano che criticava Mazzini, aveva ragione, tanto che Mazzini ruppe i ponti con casa Savoia dopo i fatti d'Aspromonte. E' davvero difficile fissare i confini della cultura politica repubblicana, anche per i diversi soggetti e le epoche che vi si riferiscono. Tanto che Ugo La Malfa pose direttamente il problema di superare il mazzinianesimo, bisognava spegnere i lumini del 9 febbraio, e per tutta risposta l'Associazione mazziniana si è costituita per tutelarne il significato. Cacciate chi oggi all'Ami rende onore alla salma di Sciaboletta. Poi ci sono repubblicani cittadini del mondo che non hanno nessun rapporto con il partito. In Australia un tal professor Pettit è diventato una celebrità internazionale con un suo studio titolato "Repubblicanesimo". La teoria della Repubblica del professor Pettit è che essa non deve interferire, e udite udite, non deve nemmeno dominare. La Repubblica di Pettit nel corso della storia, senza interferire e senza dominare, sarebbe stata schiacciata in un nano secondo, oppure sarebbe rimasta eternamente nel limbo, perchè nessuno si sarebbe accorto che esistesse. Erano più repubblicani i bolscevichi di Pettit che fecero di tutto per impossessarsi della tradizione giacobina del 1793. In parte perchè essendo poco più che dei rozzi mugiki, volevano darsi un tono, ma almeno avevano la sufficiente intelligenza da comprendere l'importanza epocale di quell'evento, quando a leggere Pettit, manco ci se ne accorge. Pensare che Trotzkj e Lenin iniziarono a litigare sul ruolo della Gironda al congresso operaio del 1905 e nel 1933 il libro più letto in Russia, era la biografia di Fouchè scritta da Stefan Zweig. Stalin ne era infatuato, tanto che il capo della Nkd, Ezov, un sarto con licenza elementare, citava i discorsi dei montagnardi come un professore della Sorbonne. Eppure Marx aveva scritto che la Rivoluzione era stata interamente consumata all'interno di quella sfera borghese che i bolscevichi volevano abbattere. Infatti gli eredi della Rivoluzione, non erano nelle steppe a migliaia di chilometri di distanza e a più di cento anni di storia, ma nel cuore dell' Europa, all'indomani del congresso di Vienna. I repubblicani italiani sono gli eredi della tragedia rivoluzionaria e precedettero persino Mazzini di qualche anno. Un ufficiale di Bonaparte si lamentava nei suoi rapporti al Direttorio di un "partito repubblicano in Romagna", che combatteva i preti, i notabili e persino i francesi. Fortuna che quegli scalmanati erano armati solo di bastoni! Correva il 1799. Quel partito romagnolo, con quelle caratteristiche, era l'autentico predecessore del Pri. La disgrazia è che l' abbiamo dimenticato.


    Riccardo Bruno
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  8. #8
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    Predefinito Re: "Ogni potere deriva dal Popolo", storia e filosofia del Repubblicanesimo

    Citazione Originariamente Scritto da Frescobaldi Visualizza Messaggio
    II.


    Un eccezionale intellettuale italiano, lo storico Rosario Romeo, nella sua opera su Cavour spiega con chiarezza che furono i liberali a vincere il Risorgimento con un progetto moderato, fondato sul compromesso tra la corona ed il papato. Nel suo giudizio da storico egli è convinto che tutto sommato questa soluzione fu più appropriata di quella radicale e rivoluzionaria, prospettata "da Garibaldi". Romeo eletto da vecchi repubblicani e frequentando il Pri commetteva una falsificazione della storia con un'intenzione benevola. Non si può attribuire infatti a Garibaldi di propugnare la soluzione radicale, o per lo meno Garibaldi oscilla paurosamente a riguardo: è Mazzini il radicale rivoluzionario. Non fosse che Mazzini viene sconfitto a Roma nel 1849 e il partito repubblicano, il partito rivoluzionario, si disperde incluso Garibaldi, Da quel momento l'azione politica per il successo dell'unità nazionale passa nelle mani di Cavour. Il conte di Cavour ha avuto un insegnante fra l'altro, tra i più illustri del secolo, quel marchese di Tocqueville che ebbe parte principale nella disfatta della Repubblica romana. Non fu Napoleone terzo a voler calcare la mano contro la Repubblica, al contrario, Napoleone vedeva con favore la fine dello Stato della Chiesa. Egli era pur sempre il nipote di un imperatore giacobino che mise il pontefice agli arresti, il suo ministro degli Esteri, invece proveniva dalla famiglia del marchese di Maleserbes, l'avvocato di Luigi sedici, sterminata sotto il Terrore. Generato dai pochi sopravvissuti, Tocqueville si rivelerà il più grande pensatore reazionario del secolo, e non si comprende su che basi si possa considerare uno storico repubblicano come pure fa il professor Pettit. Ci si leggesse Carl Schmitt per capire Tocqueville, oppure si spiegasse come è possibile che uno storico repubblicano combatta l'unica repubblica nata in Europa nel corso del 1849. Uno storico repubblicano era sicuramente invece Edgar Quinet, che disgustato della politica di Tocqeville lo definì un liberale che appena preso il potere lo impiega per schiacciare la libertà altrui. Il liberalismo di Tocqueville è utile solo alla libertà della Chiesa. La Chiesa libera, distrugge le possibilità di libertà dello Stato. Tocqueville è un nostalgico dello Stato assolutista. Il conte di Cavour, che incontrò l'autore della "Democrazia in America", Tocqueville era già una celebrità, in un viaggio di apprendistato a Parigi, comprese benissimo l'avversione di quel testo per la politica del nuovo mondo, vi è una specifica corrispondenza giovanile a riguardo. Purtroppo iniziò ad assimilarla. Cavour era almeno di indole più progressista, la sua famiglia aveva servito prima dell'Austria, Bonaparte e quindi certi tratti giacobini gli erano comuni, il suo ministero iniziò sequestrando i conventi. Solo le sue eccezionali doti di realismo lo convinsero, dopo l'impresa francese a Roma, della necessità di un intesa con la Chiesa per dare alla monarchia un vantaggio nella realizzazione del processo unitario. Antonio Gramsci è un interprete puntuale di questo processo quando scrive nei suoi quaderni che "il partito d'Azione, il conte di Cavour ce l'aveva in tasca". Garibaldi nelle tasche di Cavour si dimenava ma ci restava volentieri, salvo qualche colpo di testa. Mazzini era di una altra tempra e di un' altra statura a contrario di quello che ne diceva Gramsci. Mazzini cerca disperatamente di prevenire la presa di Roma da parte delle truppe sabaude a settant'anni suonati, per la semplice ragione che Roma liberata dal re vale quanto "la città di Gubbio". Nel partito repubblicano dove vige una grande considerazione per Tocqueville, Giorgio La Malfa lo citava persino in Congresso, e vi sono consociazioni del partito che ricordano il venti settembre con tanto di manifesti celebrativi, la consociazione bresciana ad esempio ancora nel 1994, si sconta il tributo pagato dagli sconfitti ai vincitori del Risorgimento. Anche qui c'è una dote di realismo che non va disprezzata, per cui la storia patria è quale si è realizzata. Il Pri si riconosce nel corso della storia nazionale, non è un partito esclusivamente mazziniano. Come insegnava un grande filosofo della Rivoluzione, Federico Hegel, rassegnato alla restaurazione, non saremo mai stati migliori del nostro tempo, ma solo "il nostro tempo nel modo migliore". Il che non significa necessariamente dimenticare le proprie origini e non ritornare a volgere loro lo sguardo, soprattutto. quando il destino nazionale appare curvarsi. Il vecchio Hegel, oramai assuefatto al nuovo regime non smetteva di parlare della Rivoluzione che aveva amato, come "la magnifica alba" dell'umanità. Ma Hegel era solo un filosofo, un politico deve porsi sempre il problema di come cambiare la storia, non di come interpretarla. Siamo davvero certi che l'esito del Risorgimento sia stato salutare con la vittoria delle forze moderate? L'amico Stefano Tommasini ha scritto la più importante storia della repubblica romana, dove annota come la morte della meglio gioventù italiana, dai Dandolo, ai Morosini, a Manara, e perchè no, anche di un avventuroso come Masini, abbia privato il paese della classe dirigente che sarebbe stata indispensabile per guidare l'unità nazionale. Se guardiamo alle schiatte di opportunisti che si sono succedute a unità raggiunta, si comprende come Tommasini abbia centrato il problema quando il formidabile Romeo lo abbia sballato. Il cavourismo è stato propedeutico al disastro nazionale che si sarebbe consumato nel giro di soli 50 anni, con l'avvento del fascismo, il ritorno, in farsa, della soluzione rivoluzionaria.
    Sarebbe interessante e utile approfondire lo studio della generazione perduta: le Guide della Cavalleria irregolare di Giuseppe Garibaldi che si attivarono per la liberazione dei fratelli veneti e morirono da ultimi esponenti dell'antico, invitto eppure perdente patriziato italiano.
    di necessità virtù

 

 

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