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Discussione: Anglica catholica

  1. #211
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [IL MERCOLEDÌ DI PADRE BROWN] “La favola di Padre Brown”: lo spirito teutonico e i suoi terribili castelli in aria



    di Luca Fumagalli

    Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.

    Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo a questo link.

    Per le precedenti puntate… da “L’innocenza di Padre Brown” (1911): 1. La Croce azzurra / 2. Il giardino segreto / 3. Il passo strano / 4. Le stelle volanti / 5. L’uomo invisibile / 6. L’onore di Israel Gow / 7. La forma errata / 8. Le colpe del Principe Saradine / 9. Il martello di Dio / 10. L’occhio di Apollo / 11. All’insegna della spada spezzata / 12. I tre strumenti di morte. Da “La saggezza di Padre Brown” (1914): 1. L’assenza del Signor Grass / 2. Il paradiso dei ladri / 3. Il duello del dottor Hirsch / 4. L’uomo nel passaggio / 5. L’errore della macchina / 6. La testa di Cesare / 7. La parrucca violacea / 8. La fine dei Pendragon / 9. Il Dio dei Gong / 10. L’insalata del Colonnello Cray / 11. Lo strano delitto di John Boulnois

    Dodicesimo e ultimo racconto della raccolta La saggezza di Padre Brown (1914), La favola di Padre Brown (The Fairy Tale of Father Brown) ricorda nella struttura storie come All’insegna della spada spezzata, dove il sacerdote investigatore si trova a confrontarsi con delitti avvenuti nel passato. La vicenda, ambientata nella «pittoresca città-stato di Heiligwaldenstein, […] uno di quei minuscoli regni dei quali sono ancora formate certe parti dell’Impero Germanico», offre a Chesterton il destro per alcune considerazioni a proposito dello spirito germanico, uno strano – e pericoloso – impasto di pragmatismo e di inclinazione al fantastico (la fiaba, ad esempio, è definita «un qualcosa di incomprensibilmente tedesco»). Ad essere messa alla berlina è anche la scienza con le sue pretese snobistiche di comprendere ogni cosa e il suo facile asservimento al potente di turno: «Non vi sono uomini che amino portare le loro decorazioni quanto gli scienziati».

    Al di là di una considerazione preliminare sui piccoli regni che compongono l’Impero – «L’impressione di puerilità è il lato più affascinante della Germania, quelle piccole pantomime di paterne monarchie nelle quali un re sembra familiare come un cuoco» – un primo indizio della vis polemica dell’autore nei confronti dell’animo tedesco lo si rintraccia già nelle righe iniziali, quando viene spiegato che Padre Brown, nonostante l’aspetto prosaico e la vita generalmente pratica, «non era privo di una certa sfumatura romantica, benché abitualmente, tenesse per sé i suoi castelli in aria come fanno molti ragazzi». Chesterton riconosce al fanciullo una capacità superiore di comprendere la realtà nei suoi aspetti meravigliosi e misteriosi – l’analogia con la poetica di Pascoli è d’obbligo – ma, allo stesso tempo, ne elogia il pudore intellettuale, quello che manca a certi pensatori teutonici che ammorbano il mondo con le loro balzane filosofie.

    Scaldato dal sole di una bella giornata estiva, mentre sorseggia dell’ottima birra bavarese, Flambeau racconta a Padre Brown la singolare morte del principe Otto di Grossenmarck, ultimo regnante di Heiligwaldenstein in rappresentanza degli interessi imperiali, ucciso in circostanze misteriose circa vent’anni prima. La piccola città-stato era stata annessa alla Germania con grandi sforzi a causa della tenace opposizione di un gruppo di ribelli guidati dai tre fratelli Arnhold. La loro sconfitta fu infine causata dal tradimento di uno di questi, Paul, per ricompensa nominato ciambellano. Agli altri due fratelli toccò invece una sorte decisamente peggiore: Ludwig venne ucciso mentre Heinrich si fece eremita, vivendo in povertà tra le montagne della zona. Il principe, ossessionato dal timore di nuove rivolte, vietò le armi in tutto il regno e per tutelare la propria incolumità fece costruire per sé un sistema di stanze così intricato da sembrare un labirinto: «Nella sua ansietà di sfuggire alla tomba, egli aveva la volontà di chiudersi in un luogo molto simile a questa». Fatto sta che una notte, mentre a palazzo era stato convocato un manipolo di geologi per studiare la conformazione del territorio alla ricerca di giacimenti d’oro, il suo cadavere venne ritrovato nel bosco da una ragazza di corte, Hedwig, nipote del ciambellano: il principe era stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco che lo aveva raggiunto direttamente alla bocca. Nessuno sapeva spiegarsi come mai si trovasse fuori casa da solo a quell’ora; strano, poi, che qualcuno avesse potuto introdurre una pistola a Heiligwaldenstein senza venir notato dalle guardie.

    Padre Brown, dopo aver ascoltato pazientemente il resoconto di Flambeau, inizia ad avanzare una serie di obiezioni: il fatto che i fiori raccolti dalla ragazza avessero il gambo corto significa che sono stati strappati di fretta, senza alcuna cura, segno che qualcuno desiderava procurarsi un alibi. Anche per quanto concerne l’arma del delitto non si può navigare nel campo degli assoluti: «La scienza umana non può mai essere certa di simili faccende, […] non fosse che per la difficoltà della spiegazione e della connotazione. Che cos’è un’ “arma”? Tanta gente è stata uccisa con i più innocenti utensili domestici».

    Troppe cose effettivamente non tornano e il prete si prende del tempo per meditare: «Sono in vacanza e non ho teorie. Soltanto che questo luogo mi rammenta delle favole, e, se non vi secca, vi racconterò una storia». Padre Brown rivela quindi a Flambeau, in forma di racconto, le sue idee a proposito del caso: accecato dalla cupidigia, il principe era uscito nottetempo nei boschi in cerca di Heinrich Arnhold, l’unico in grado di rivelargli il segreto su dove si nascondesse la famosa riserva aurea di Heiligwaldenstein. D’altronde il tentativo meritava di essere fatto anche perché l’eremita, ormai convertito al pacifismo, non avrebbe comunque costituito una minaccia. Quando però il principe si mise a parlare di armi, un inorridito Heinrich ordinò ai servi di imbavagliarlo con la sua stessa sciarpa e di ricondurlo sulla via di casa: «Otto aveva il vizio del suo tipo e della sua tradizione prussiana, che è quello di ritenere il successo non come un incidente ma come una qualità. Egli concepiva se stesso e i suoi simili come gente perpetuamente in conquista che sono perpetuamente conquistati. Di conseguenza, egli aveva una pessima conoscenza dell’emozione della sorpresa». Vittima dell’imprevisto, tornando a palazzo il principe non era riuscito a dichiarare la propria identità a una delle guardie, che, nel buio, aveva finito per ucciderlo con un colpo di fucile (ecco perché il doppio foro, uno nella sciarpa e l’altro in bocca). La sentinella – di nome Schwartz e destinata negli anni successivi a una carriera di successo – era riuscita in qualche modo a ottenere la complicità di Hedwig, che aveva recuperato il proiettile e che aveva dato l’allarme solamente dopo che l’uomo si era allontanato indisturbato, ritornando al suo posto. Se i due, all’epoca, fossero già innamorati è impossibile dirlo, quel che è certo è che tempo dopo convolarono a nozze: in quel bosco «vi fu una fiaba, dopotutto, orribile quanto lo era la sua causa».

    Tuttavia la vicenda nasconde forse un retroscena ancora più squallido, e nell’epilogo Padre Brown si trova a osservare meditabondo un ritratto del ciambellano: «Io mi chiedo quale parte… Io mi chiedo se un uomo è meno traditore quando è traditore due volte…».

  2. #212
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Brian Moore: the Irish novelist who rejected God



    Luca Fumagalli

    The novel The Lonely Passion of Judith Hearne, published in 1956 and adapted for the cinema in 1987, told the unfortunate story of Judith, an alcoholic, tormented by the memory of an old aunt. Her desperation is best described in one of the most touching scenes of the book, when Judith, who now no longer believes in the real presence of Christ in the Eucharist, rises the steps of the altar of a church and tries to break open the tabernacle.

    The novel was the first by Brian Moore to reach the shelves of the bookstores, and from that moment the protagonist of almost all his subsequent works became a poor Catholic in crisis, often a priest (not by chance Moore was an admirer of Graham Greene). It is demonstrated, for example, by No other life (1993), the story of a black priest who reaches the presidency of an island similar to Haiti, while his mentor becomes a cynical and rancorous skeptic.

    Naturally in Moore’s novels there is no lack of issues that cyclically recur, but it is the religious questions that characterize the plot of his most representative works, such as Black Robe (1985) and The Color of Blood (1987), respectively the story of a missionary Jesuit and of a Cardinal of Eastern Europe living a conflictual relationship with God and with the Church.

    Born in Belfast in 1921, Moore moved first to Canada – the country in which he began his career – and then to California, where he died in 1999.

    Like Joyce, he always had an ambiguous feeling of hatred and love towards Ireland and Catholicism. At the same time, however, the stories set in Ireland are the best. The thriller Lies of Silence (1990) is a perfect example: in a dangerous Belfst there is at least the chance of a moral victory. Although for Moore, as for Dostoevsky, the loss of God means the loss of everything, in his novels, there remains a residue of authentic humanity which, even in the worst circumstances, leaves a small possibility of redemption.

    From a stylistic point of view, the most fascinating feature of his novels is that the various characters act credibly, moved by their own volition, without being manipulated like puppets by their creator.

    Moore secured a measure of international fame by the publication, in 1972, of the futuristic novella Catholics, which also inspired a film starring Martin Sheen. It tells of the contrast between the traditional Catholicism of an Irish abbey, located on a small island, and the modernist Faith of Father Kinsella, who was undertaking a mission on behalf of the World Council of Churches in order to investigate the remarkable orthodoxy of the monks. Despite the premises, the story is not a trivial conflict between ancient and modern, but it is rather a survey of the souls of the protagonists and their Faith (real or alleged).

    The long bibliography of Moore is so rich and complex that the reader will inevitably be disorientated: the Irishman had abandoned the Church, but the assumption to be drawn from his writings is that God was, at the very least, still on his tracks.

  3. #213
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    “Nell’inconscio”: il trionfo della Chiesa in un racconto fantastico di Evelyn Waugh



    di Luca Fumagalli

    Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Evelyn Waugh e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.



    Pubblicato nel dicembre del 1933 sulle pagine dell’ «Harper Bazaar», Nell’inconscio (Out of Depth) è uno dei racconti più strani e affascinanti mai scritti da Evelyn Waugh.

    La vicenda ha per protagonista un americano di quarantatré anni, Rip Van Winkle, un cattolico apostata che si trova in soggiorno a Londra. Durante una cena a casa di Lady Metroland l’uomo incontra un misterioso mago, tale dottor Kakophilus (Mr Jagger nella prima versione), un tipo antipatico, «grasso e pelato, con un gran faccione bianco». Ciononostante, terminata la serata, complice il troppo alcol bevuto, Rip e il compare Alastair Trumptington si ritrovano a casa di Kakophilus mentre questi, vestito con un ridicolo abito cerimoniale, è intento a celebrare un misterioso rito con lo scopo di far viaggiare i suoi ospiti indietro nel tempo «per riacquistare l’accumulata saggezza che l’età della ragione ha disperso». Rip, tra il serio e il faceto, ammette che da americano preferirebbe fare piuttosto «un balzo in avanti […] di cinque secoli», e dopo essere risalito in macchina con l’amico e aver perso conoscenza, si risveglia in una terra disseminata di rovine e abitata da uomini in abiti logori che occupano alcune capanne di fango e sterpi presso la riva di un fiume. Non ci vuole molto prima che Rip capisca di trovarsi nel XXV secolo, tra le vie di quella che fu Londra, ora ridotta a «mostruose costruzioni di calcestruzzo e di cemento armato cosparse di vegetazione».

    Per qualche tempo Rip vive in pace tra i londinesi del futuro fino a quando, un giorno, arriva un battello a propulsione meccanica il cui equipaggio è composto da soli neri, il nuovo popolo dominante. Seguono traffici commerciali – in cambio di ciò che trovano scavando tra le rovine, i londinesi ricevono tessuti, utensili e armi – e infine anche Rip è fatto salire sull’imbarcazione. La sua presenza suscita immediatamente l’entusiasmo degli scienziati di bordo che gli misurano il cranio con un compasso e tentano di interagire con lui leggendogli qualche pagina di Shakespeare.




    A ridare speranza a un Rip che si crede impazzito interviene improvvisamente la visione della parola “Missione” scritta su un cartello e di un nero vestito da domenicano: «Capì che dall’ignoto era uscito qualcosa di familiare, una forma dal caos, qualcosa si stava svolgendo. Qualcosa si stava svolgendo che Rip conosceva benissimo, qualcosa che in venticinque secoli non era mutata per nulla, qualcosa della sua infanzia che era sopravvissuta alla fine del mondo. In una chiesa di legno nella città costiera era seduto tra i fedeli del posto; alcuni in uniformi rivoltate; le donne in abiti privi di forma cuciti in convento; tutto intorno a lui uomini bianchi scarmigliati fissavano davanti a sé, con occhi vuoti d’intelligenza, il fondo della chiesa dove ardevano due candele. Il prete si girò mostrando loro la sua mite faccia nera. “Ite, missa est”.

    Nell’epilogo si scopre che Rip e Alastair sono stati ricoverati in ospedale dopo un brutto incidente con l’auto. Appena Alastair ha ripreso conoscenza ha fatto subito chiamare un prete per sé e per l’amico. Ecco perché quando anche Rip apre finalmente gli occhi, scopre un sacerdote accanto al letto: «Strano che Sir Alastair abbia chiesto di me. Non è cattolico, ma sembra che abbia fatto non so che sogno, mentre era svenuto, che l’ha indotto a desiderare la presenza di un prete. […] Qualcosa del medioevo». Il racconto termina quindi con il ritorno alla Fede di Rip: «Padre, vorrei farle una confessione… Mi sono dedicato a pratiche di magia nera…».

    Per quanto Nell’inconscio sia perfettamente in linea con lo stile satirico di Waugh, fatto soprattutto di risate amare, di grottesco a profusione, di giochi di parole e di allusioni – Rip Van Winkle, ad esempio, porta lo stesso nome dell’eroe di Washington Irving –, è forse il primo lavoro narrativo in cui lo scrittore inglese si dà apertamente all’apologetica, dodici anni prima di Ritorno a Brideshead. Di conseguenza la presa in giro dei ciarlatani da salotto e la messa in ridicolo della tanto sbandierata superiorità dell’uomo bianco sono temi destinati inevitabilmente a passare in secondo piano.



    La trama mostra più di un punto di contatto con Park (1932), del canonico John Gray, una novella a metà tra utopia e distopia che narra di un sacerdote, Mungo Park, che viene improvvisamente proiettato in un futuro in cui la società è governata dalla Chiesa cattolica, il latino è la lingua ufficiale e la classe dominante è composta unicamente da neri (i bianchi vivono invece sottoterra e hanno l’aspetto di topi). C’è da credere che nella stesura del suo racconto Waugh sia stato ispirato pure dall’incontro con la società etiope – una singolare monarchia cristiana in terra d’Africa – avvenuto in occasione dell’incoronazione dell’imperatore Hailé Selassié nel 1930.

    Nell’inconscio, al netto della brevità e di tutte le eventuali imperfezioni, ha dunque dalla sua la forza di un messaggio chiaro da consegnare al lettore, un messaggio che rimane efficace nonostante l’utilizzo di un espediente poco incisivo come quello del sogno. Secondo Martin Stannard, autore di una delle più importanti biografie di Waugh, «in un certo senso si tratta di una storia natalizia che riafferma la continuità e la validità dell’insegnamento cattolico. Il ritorno di Rip alla Chiesa dal sonno apatico dell’agnosticismo segnala un riconoscimento inconscio del legame tra la civiltà e la Fede».

  4. #214
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [IL MERCOLEDÌ DI PADRE BORWN] “La resurrezione di Padre Brown”: la modernità e il suo gigantesco complotto contro la Chiesa

    di Luca Fumagalli

    Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.

    Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo a questo link.

    Per le precedenti puntate… da “L’innocenza di Padre Brown” (1911): 1. La Croce azzurra / 2. Il giardino segreto / 3. Il passo strano / 4. Le stelle volanti / 5. L’uomo invisibile / 6. L’onore di Israel Gow / 7. La forma errata / 8. Le colpe del Principe Saradine / 9. Il martello di Dio / 10. L’occhio di Apollo / 11. All’insegna della spada spezzata / 12. I tre strumenti di morte. Da “La saggezza di Padre Brown” (1914): 1. L’assenza del Signor Grass / 2. Il paradiso dei ladri / 3. Il duello del dottor Hirsch / 4. L’uomo nel passaggio / 5. L’errore della macchina / 6. La testa di Cesare / 7. La parrucca violacea / 8. La fine dei Pendragon / 9. Il Dio dei Gong / 10. L’insalata del Colonnello Cray / 11. Lo strano delitto di John Boulnois / 12. La fiaba di Padre Brown

    Dopo dodici anni di silenzio, nel 1926 venne pubblicata L’incredulità di Padre Brown (The Incredulity of Father Brown), terza raccolta dedicata alle indagini del celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton. Si tratta di un volume più smilzo rispetto ai precedenti, che contiene solamente otto racconti; tra l’altro è il primo scritto dall’autore britannico dopo la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1922.

    La storia d’apertura, ovvero La resurrezione di Padre Brown (The Resurrection of Father Brown), è una delle più dense dal punto di vista apologetico, dove Chesterton riversa le proprie opinioni a proposito di Fede, politica ed economia, per svelare come in fondo la modernità tutta, in ogni sua manifestazione, non sia altro che un gigantesco complotto ai danni della Chiesa. Lo fa, tipicamente, in punta di fioretto, alternando l’ironia alla riflessione pungente, mostrando di prediligere l’approccio descrittivo di un vignettista piuttosto che quello verboso del filosofo. Più che una detective story, La resurrezione di Padre Brown è dunque una sorta di apologo, reso ulteriormente originale dall’ambientazione esotica.

    Difatti Padre Brown «era stato mandato, come qualcosa d’intermedio tra il missionario e il parroco, in una di quelle regioni della costa settentrionale dell’America del Sud, dove strisce di terreno dipendono ancora in modo incerto dalle potenze europee, o minacciano continuamente di diventare repubbliche indipendenti all’ombra gigantesca del presidente Monroe». Al di là dell’accenno polemico – e profetico – sulla sostanziale impossibilità di una reale indipendenza per gli stati dell’America meridionale, le prime pagine del racconto sono dedicate alla contrapposizione e al successivo avvicinamento tra il sacerdote e un arrogante giornalista americano: «Si chiamava Snaith, e i suoi genitori, dopo chissà quali oscure meditazioni, l’avevano battezzato Saul, circostanza che lui aveva il buon senso di nascondere per quanto gli era possibile. A dire il vero, era addivenuto ultimamente al compromesso di chiamarsi Paul, sebbene non certo per la ragione che aveva indotto allo stesso cambiamento l’Apostolo dei Gentili; anzi, per quanto potesse interessarsi di tali questioni, il nome del persecutore gli sarebbe convenuto meglio; infatti lui considerava la religione organizzata con quel convenzionale disprezzo che si impara più facilmente da Ingersoll che da Voltaire».

    Giunto per caso alla missione di Padre Brown, Snaith inizia la sua scontata predica anticlericale: «Dovete essere una massa di sciocchi per lasciarvi tiranneggiare da quegli individui boriosi perché vanno in giro con le loro mitrie, le loro tiare, le loro cappe dorate e altri bei cenci, guardando tutti dall’alto in basso come fossero sudiciume, e lasciarvi infinocchiare da corone, baldacchini e ombrelli sacri, come un bambino a una pantomima, solo perché un solenne vecchio Gran Sacerdote di Mumbo-Jumbo si dà l’aria d’essere il padrone del mondo». Tuttavia, bastano l’aspetto dimesso di Padre Brown e un veloce scambio di battute con lui per far rimangiare al giornalista quanto affermato in precedenza: «A questo punto il Gran Sacerdote di Mumbo-Jumbo uscì con fretta poco dignitosa dalla porta della casa missionaria: non si poteva dire veramente che avesse molto l’aspetto di un padrone del mondo, bensì piuttosto quello di un fagotto di abiti neri usati abbottonati intorno a un traversino, a guisa di spaventapasseri. Non portava la tiara, ammesso che ne possedesse una, ma un vecchio cappello largo, non molto diverso da quello degli Indiani spagnoli […]. [Snaith] scoprì che gli Indiani sapevano leggere e scrivere, per la semplice ragione che il prete gliel’aveva insegnato. […] Apprese che quella strana gente, che sedeva ammucchiata nella veranda nella più assoluta immobilità, era capace di lavorare molto alacremente sul proprio pezzetto di terra, specialmente quelli che erano per più di metà Spagnoli, e apprese con ancor più meraviglia che avevano tutti dei pezzetti di terra di loro proprietà». La natura distrubutista dell’esperimento del sacerdote inglese è resa ancora più esplicita qualche riga dopo: «Era opinione generale che la causa della legge e dell’ordine sarebbe stata interamente perduta, se non avesse adottato una propria politica più popolare, assicurando della terra ai contadini; e questo movimento era partito principalmente dalla piccola sede missionaria di Padre Brown».



    Mentre Snaith scrive articoli su articoli dedicati a un Padre Brown sempre più famoso e imbarazzato – con autoironia Chesterton annota che «le sue avvenute come detective divennero persino la trama di brevi racconti nei giornali illustrati» –, nel Paese si sta consumando una dura lotta tra il partito anticlericale guidato dal generale Alvarez e quello conservatore di Mendoza, un ricco possidente dai modi untuosi: «Si era recentemente riversata sulla regione una di quelle febbri di radicalismo ateo e quasi anarchico, che scoppiano periodicamente nei paesi di cultura latina, e che cominciano per lo più con una società segreta e finiscono generalmente con una guerra civile e quasi nient’altro». Padre Brown, ovviamente, non parteggia per nessuno dei due, lontano sia dal progressismo di Alvarez che dal liberalismo di Mendoza. Ciononostante, quando il generale lo invita a un colloquio privato, accetta immediatamente, seppur consapevole del rischio a cui sta andando incontro: «Il suo coraggio era notevole, ma il tratto più saliente del suo carattere era forse la curiosità. Era stato guidato tutta la vita da una genuina sere intellettuale per la verità, anche nelle piccole cose; spesso la dominava, per amore delle proporzioni, ma essa era sempre in lui». Dopo aver bevuto un bicchiere di vino gentilmente offertogli da un viticoltore locale, il prete si mette in cammino. Imboccata una via secondaria, finisce per cadere in un’imboscata e viene ucciso da due uomini armati di coltello e randello.

    La seconda parte del racconto si apre con la descrizione di un altro americano che vive in città, John Adams Race, un ingegnere elettrotecnico. Legato alla propria casa e alla religione, Race è figlio di quella cultura del radicamento tanto cara a Chesterton, una cultura che non annulla gli inevitabili difetti dell’uomo, ma che almeno costituisce una piccola oasi di limpidezza in un mondo che assomiglia a quell’atomo opaco del male di pascoliana memoria: «In realtà, l’America annovera un milione di uomini del tipo etico di Race per uno del tipo etico di Snaith. Era eccezionalmente capace nel suo lavoro, ma per tutto il resto era molto semplice. […] Tra le luci abbaglianti delle più recenti e fantastiche scoperte, quando era ai limiti estremi di un esperimento, compiendo miracoli di luci e di suoni, come un dio che crei nuove stelle e nuovi sistemi solari, non dubitava mai neppure per un momento che le cose «laggiù a casa» fossero le migliori del mondo: sua madre, la Bibbia di famiglia, e la morale quieta e all’antica del suo villaggio. Aveva un senso del valore sacro di sua madre altrettanto nobile e serio che se fosse stato un frivolo francese. Era ben sicuro che la religione della Bibbia fosse quella giusta, solo ne sentiva vagamente la mancanza dovunque andasse nel mondo moderno. Non ci si poteva aspettare che simpatizzasse con l’esteriorità religiosa dei paesi cattolici, e nella sua antipatia per le mitrie e i pastorali andava d’accordo con Snaith, se pure non in modo così presuntuoso. I pubblici inchini e le genuflessioni di Mendoza non erano di suo gusto, e non era certo attirato dal misticismo massonico dell’ateo Alvarez. Forse tutta quella vita semitropicale era troppo colorata per lui, con quei bagliori rosso e oro indiani e spagnoli. Comunque, quando diceva che non c’era nulla che potesse stare alla pari con la sua città natale, non menava un futile vanto; voleva dire che là esisteva qualcosa di semplice, senza pretese e commovente, che lui rispettava più di ogni altra cosa al mondo. Se da un lato questo era l’atteggiamento spirituale di John Adams Race in una piccola città del Sud America, da qualche tempo era nato in lui un sentimento bizzarro che era in contraddizione con tutti i suoi pregiudizi e di cui non sapeva darsi una spiegazione. Infatti la verità era questa: le sole cose che avesse mai incontrato nei viaggi che gli ricordassero la vecchia casa di legno, le castigate usanze provinciali, e la Bibbia sulle ginocchia di sua madre, erano (per qualche imperscrutabile ragione) la faccia rotonda e il goffo ombrello nero di Padre Brown».

    Al funerale del sacerdote partecipa tutta la popolazione, «orfana perché aveva perduto il padre», e nella commozione generale Alvarez e Mendoza decidono di improvvisare un’orazione funebre nello stile «dei liberi pensatori francesi». Hanno appena incominciato quando, all’improvviso, il sacerdote emerge dalla bara stropicciandosi gli occhi. La reazione scomposta degli astanti è prevedibile: «John Adams Race, che aveva in passato conosciuto soltanto i miracoli della scienza, non seppe mai descrivere il subbuglio che seguì. Gli pareva di esser stato sbalzato via dal mondo del tempo e dello spazio, e di vivere nell’impossibile. In mezz’ora tutta la città e il distretto si erano trasformati in qualcosa di mai visto da un migliaio di anni: sembrava un popolo medievale mutato in una moltitudine di monaci da un miracolo straordinario; una città greca in cui un dio fosse sceso tra gli uomini. Migliaia di persone si prostravano nella via, centinaia prendevano i voti sul momento, e anche gli stranieri, come i due americani, non potevano pensare e parlare d’altro che del prodigio. Lo stesso Alvarez era scosso, com’era naturale, e se ne stava seduto tenendosi la testa tra le mani».



    Padre Brown sa che la sua “resurrezione” non è affatto un miracolo. La folla, però, non vuole ascoltarlo («I miracoli non sono così a buon mercato. […] Dio vi benedica e vi dia un po’ di buon senso»). Al prete non resta quindi che telefonare al Vescovo per metterlo in guardia sulle dicerie che si stanno già diffondendo e poi ritirarsi a casa scortato da Race. Mentre annusa il bicchiere di vino bevuto prima di andare all’incontro con Alvarez – contiene un veleno in grado di causare una morte apparente per qualche tempo – rivela all’americano la sottile natura della cospirazione che è riuscito a sventare per un soffio, una cospirazione non contro la sua vita ma piuttosto contro il suo onore: «Che cosa sarebbe potuto succedere! Il più grosso e il più orribile scandalo che sia mai stato lanciato contro di noi da quando l’ultima menzogna fu soffocata nella gola di Titus Oates». Dal momento che i due assalitori hanno fatto solo finta di uccidere il sacerdote vibrando colpi che si sono fermati a pochi centimetri dal suo corpo, qualcuno ha evidentemente inscenato un finto miracolo con lo scopo di sbugiardare in un secondo momento Padre Brown e, di conseguenza, l’intera Chiesa cattolica.

    La resurrezione di Padre Brown si chiude quindi con una nota inquietante, senza che sia stato individuato un vero e proprio colpevole. Del resto la sensazione è che tutti i notabili del luogo, più o meno consapevolmente, siano stati parte attiva del complotto.

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    Aubrey de Vere: an Irish Catholic poet



    Luca Fumagalli

    The Irish Aubrey de Vere (1814-1902) was a poet who managed to establish himself by the quality of his works which were admired by Oscar Wilde, among others.

    De Vere was the last descendant of a noble Protestant family of English origin. At Oxford J. H. Newman made a strong impression on him, but he converted to Catholicism only many years later, in 1851.

    In previous years, when famine was claiming victims across Ireland, de Vere had distinguished himself as a skilled polemicist, writing a book, English Misrule and Irish Misdeeds (1848), in which the British government was unceremoniously mocked. His love for Ireland also inspired some of his best poems, filled with references to Wordsworth and Coleridge, including “Róisín Dubh”. The title, taken from a 16th century song, refers to a sad female figure, a metaphor for the sufferings of the Irish. In general, in de Vere’s poems there are many biblical references as well as allusions to Mary, the mother of God.

    Although de Vere’s religious compositions never attain the quality of the secular ones, his Marian poems – “Mater Salvatoris”, “Sancta Maria” and “Mater Christi” – are loving products of a sincere Faith, only partially ruined by a tone generally too emphatic and by an inordinate use of exclamations. W. B. Yeats with undisguised sarcasm wrote that in order to fully enjoy de Vere’s lyrics, the reader needs a Dominican habit, a cloister and a breviary.

  6. #216
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [IL MERCOLEDÌ DI PADRE BROWN] “La freccia del cielo”: la via troppo facile della giustizia sommari



    i Luca Fumagalli

    Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.

    Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo a questo link.

    Per le precedenti puntate… da “L’innocenza di Padre Brown” (1911): 1. La Croce azzurra / 2. Il giardino segreto / 3. Il passo strano / 4. Le stelle volanti / 5. L’uomo invisibile / 6. L’onore di Israel Gow / 7. La forma errata / 8. Le colpe del Principe Saradine / 9. Il martello di Dio / 10. L’occhio di Apollo / 11. All’insegna della spada spezzata / 12. I tre strumenti di morte. Da “La saggezza di Padre Brown” (1914): 1. L’assenza del Signor Grass / 2. Il paradiso dei ladri / 3. Il duello del dottor Hirsch / 4. L’uomo nel passaggio / 5. L’errore della macchina / 6. La testa di Cesare / 7. La parrucca violacea / 8. La fine dei Pendragon / 9. Il Dio dei Gong / 10. L’insalata del Colonnello Cray / 11. Lo strano delitto di John Boulnois / 12. La fiaba di Padre Brown. Da “L’incredulità di Padre Brown” (1926): 1. La resurrezione di Padre Brown

    La freccia del cielo (The Arrow of Heaven) – tradotto a volte anche col titolo alternativo La freccia del destino – è il secondo racconto della raccolta L’incredulità di Padre Brown (1926). Si tratta di una storia più lunga rispetto alle precedenti, divisibile in tre macro-sequenze: l’omicidio, l’indagine del sacerdote detective e la soluzione del caso. Dopo la densità apologetica del precedente La resurrezione di Padre Brown, in La freccia del cielo Chesterton affronta il tema della giustizia sommaria, non risparmiando nemmeno qualche critica a quella società americana verso cui provò sempre sentimenti contrastanti.

    L’incipit è folgorante: «Esiste il legittimo sospetto che almeno cento storie poliziesche abbiano avuto inizio con la scoperta dell’assassinio di un milionario americano, evento che, per chissà quale ragione, viene considerato una calamità. Sono lieto di poter affermare che anche questa vicenda esordisce con l’assassinio di un milionario; in un certo senso, comincia addirittura con l’omicidio di tre milionari […]. Fu comunque questa coincidenza, o la continuità del disegno criminale, a far uscire l’intera faccenda dalla categoria dei casi comuni, trasformandola nel problema straordinario che poi divenne».

    Padre Brown – «un uomo al quale si sente il bisogno di dire la verità» – è in America per un lungo soggiorno. Ovviamente negli States il suo è un nome celebre e i giornalisti, tanto affamati di notizie quanto sciocchi, gli stanno con il fiato sul collo: «Quando scese dal transatlantico di linea e mise piede per la prima volta sul suolo americano, Padre Brown scoprì, come molti altri Inglesi prima di lui, di essere una persona molto più importante di quel che credesse. Con la sua bassa statura, il viso miope e comune, i suoi neri abiti clericali, poteva mescolarsi a qualsiasi folla del suo paese senza spiccare come una figura insolita, o poteva al massimo apparire insolitamente insignificante. Ma l’America è dotata di una vera genialità nell’alimentare la fama, e il fatto che Padre Brown avesse partecipato alla soluzione di un paio di misteriosi casi, oltre alla sua collaborazione di lunga data con Flambeau, un ex criminale e ora detective, aveva trasformato in una vera e propria reputazione ciò che, in Inghilterra, era soltanto una diceria. La faccia rotonda del sacerdote assunse un’espressione di profonda sorpresa quando fu assediato sul marciapiede da un gruppo di giornalisti, che lo assalirono con l’impeto di una banda di briganti, ponendogli domande su argomenti in cui lui meno si considerava un’autorità, come i dettagli dell’abbigliamento femminile o le statistiche criminali del paese sulle quali aveva appena posato lo sguardo».

    Il prete si trova presto a indagare sulla morte del milionario Brander Merton, il terzo ad essere presumibilmente ucciso dal misterioso serial killer Daniel Doom. Le tre vittime avevano in comune il possesso di un antico calice incastonato di pietre preziose, chiamato la Coppa Coptica, forse portatore di una qualche maledizione. Il primo a possedere il calice era stato Titus P. Trant, re del rame; dopo la sua morte per affogamento era passato al cugino, Brian Horder, a sua volta assassinato ai piedi di uno scoglio. Infine la Coppa era stata acquista da Merton, strappata a poco prezzo ai poveri eredi di Horder. Il milionario, forse impaurito da alcune lettere minatorie, si era rinchiuso in una grande torre di metallo, dotata di un sistema di sicurezza all’ultimo grido e sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro (quando viene chiesto a Padre Brown se va contro i suoi principi andare a trovare un uomo così ricco e potente, il sacerdote risponde: «Affatto. E’ il mio dovere visitare i prigionieri e tutti i disgraziati che sono in cattività»). Tutto ciò non basta comunque a salvare Merton da una freccia indiana nel collo. Tante sono le domande che non trovano risposta, a partire da come abbia fatto qualcuno a scagliare una freccia da oltre la recinzione, a una considerevole distanza, e a centrare perfettamente la finestra aperta e quindi la vittima.

    Nella seconda parte del racconto sono descritte sommariamente le indagini di Padre Brown: «Dal giorno successivo, il piccolo prete diede l’impressione di fondersi con i milioni di abitanti di New York, senza tentare di essere altro che un numero in una strada numerata, ma in effetti […] si dedicò assiduamente e senza dare nell’occhio all’incarico che gli era stato affidato, perché nutriva il profondo timore di un errore giudiziario». Seguono interrogatori piuttosto bizzarri in cui Padre Brown provoca sistematicamente i suoi interlocutori allo scopo di valutarne le reazioni: «Li accusai, per provare la loro innocenza». Nell’ultima parte viene invece offerta la soluzione del caso, circa un mese dopo l’omicidio. Si scopre che Daniel Doom non è altri che Brander Merton, così ossessionato dal desiderio di possedere la Coppa Coptica da arrivare a compiere un duplice delitto. A porre fine alla sua vita è stato il segretario Wilton, figlio di Horder, che, una volta scoperta la verità sulla morte del padre, si è fatto giustizia da solo conficcando una freccia nel collo di Merton con le sue mani.

    Se i presenti all’incontro convocato da Padre Brown sono tutti propensi a giustificare l’azione di Wilton, non così il sacerdote: «Immagino che noi tutti siamo inclini a simili chiacchiere romantiche in difesa del linciaggio e dell’assenza della legalità, ma ho anche il sospetto che, se perdessimo le nostre leggi e i nostri diritti, lo rimpiangeremmo. Inoltre, mi sembra illogico dire che si può giustificare Wilton per aver commesso un omicidio, senza prima indagare se esistano delle giustificazioni anche per quelli commessi da Doom. Dubito che Doom fosse un volgare assassino; può essere stato una specie di fuorilegge, che nutriva un ossessivo interesse per quella coppa e che la pretendeva con minacce, uccidendo soltanto in seguito a una lotta, e del resto entrambe le vittime sono state abbattute davanti alla loro casa. L’obiezione al modo in cui ha agito Wilton è che così non potremo mai sentire la tesi di Doom». Qualche riga dopo, Padre Brown dà prova di una grande determinazione: «Colpì il tavolo con tanta violenza da far vibrare i bicchieri, e i presenti ebbero quasi l’impressione di udire una vaga eco spettrale provenire dal misterioso calice che ancora si trovava nella stanza accanto. “No!”, gridò il prete, con voce squillante. “Non ci saranno differenze. Vi ho dato la possibilità di compatire quel povero diavolo quando era un comune criminale, ma allora non mi avete voluto ascoltare: eravate tutti favorevoli alla vendetta personale, eravate tutti pronti a lasciarlo macellare senza un’udienza o un pubblico processo, e avete detto che aveva avuto soltanto quello che si meritava. Molto bene, se Daniel Doom ha avuto quello che si meritava, questo vale anche per Brander Merton. Accettate la vostra selvaggia giustizia o la nostra piatta legalità, ma nel nome di Dio Onnipotente, che ci sia un’uguale assenza di legge oppure un’uguale giustizia”».

    Oltre a dare il la a una riflessione sul volto violento dell’Occidente – «Padre Brown si rese conto di essere un inglese e un esule, di trovarsi fra stranieri, anche se era attorniato da amici. Quel cerchio di stranieri era animato da un fuoco inquieto che non esisteva nella sua razza: era lo spirito fiero di una nazione capace di ribellarsi e di linciare, ma soprattutto di combinare le proprie forze. E lui capì che quelle persone avevano già combinato le loro» – La freccia del cielo contiene altre suggestioni interessanti, la più brillante delle quali è forse la descrizione che Padre Brown fa della differenza tra il mistificatore e il mistico: «È un mistagogo. Ce ne sono parecchi in giro. Sono quel genere di uomini che si possono incontrare nei cafés e nei cabarets di Parigi e che sono pronti a dichiarare di aver sollevato il velo di Iside o di conoscere il segreto di Stonehenge. In un caso del genere, fornirebbero certo una spiegazione mistica […] È proprio perché possiedo qualche cognizione nel campo del misticismo che non mi piacciono i mistificatori. I veri mistici non nascondono i misteri, mentre quelli falsi ammantano tutto di segretezza e di oscurità, e quando si scopre la realtà sottostante, si verifica che è una banalità».

  7. #217
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Hilaire Belloc vs. Modernism



    Luca Fumagalli

    As a spiritual son of Cardinal Henry Edward Manning, Hilaire Belloc (1870-1953) enthusiastically welcomed the condemnation of Modernism contained in the encyclical Pascendi by St. Pius X.

    On 8 October 1907 he wrote an unequivocal letter to a friend: «Have you seen the Pope’s gentle remarks to Modernists? They are indeed noble! […] He gently hints that they can’t think – which is true. The old Heretics had guts, notably Calvin, and could think like the Devil, who inspired them. But the Modernists are inspired by a little minor he-devil with one Eye and a stammer, and the result is poor».

    Belloc also took the liberty of making fun of one of the most prominent leaders of English Modernism, Maud Petre, linked to George Tyrrell, Baron von Hügel and Henri Bremond. The pun, however predictable, remains amusing in alluding to the self-centeredness of the nun: «Thou art Maud Petre, and upon this rock I will build My Church».

    Most likely Belloc’s anti-modernism also influenced G. K. Chesterton. The latter, in 1909, in a journalistic debate with Robert Dell, a leading Modernist, contrasted the solid “Tree” of Tradition with the vague “Cloud” of Modernism.

    Among other things, Belloc had the opportunity to meet St. Pius X personally, a Pontiff whom he esteemed and by whom he had been highly praised. When Pope Sarto died on 20 August 20 1914, the the Anglo-Frenchman wrote a touching obituary in the columns of the “British Review”: «The note of Pius X’s reign was simplicity. It stood composed of a few very clear principles like a carefully constructed classical thing of cut stone standing against a flood. For as the note of that reign was simplicity of principle rigidly applied, so the note of society which it had to meet and subtly to dominate was one of very rapid and anarchic change».

    In general, the modernist controversy did not greatly interest British Catholic writers that much, but Belloc was an exception. While his militant spirit never abandoned him, he too fell into the error of considering Modernism a fleeting evil, definitively eradicated by St. Pius X. The future would reveal his great mistake.

  8. #218
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Uno sguardo a “Brideshead Regained”, il seguito non autorizzato del capolavoro di Waugh



    «Ancora una volta, un filo, o più verosimilmente un gancio, è stato tirato e sono tornato a Brideshead!»

    (M. Johnston, Brideshead Regained)

    Durante il 2003, centenario della nascita di Evelyn Waugh, fioccarono diverse iniziative volte a celebrare il grande scrittore britannico. L’attore Stephen Fry, ad esempio, presentò al pubblico il film Bright Young Things – basato sul romanzo Corpi vili – mentre Andrew Davies dichiarò di stare lavorando alla sceneggiature di un adattamento cinematografico di Ritorno a Brideshead. La pellicola, diretta da Julian Jarrold, arrivò nelle sale solamente nel 2008 e il risultato, a onor del vero, fu abbastanza deludente.

    Sempre nel 2003 Michael Johnston, recensore e documentarista radio ormai in pensione, diede alle stampe per i tipi della Akanos, la sua piccola casa editrice, il romanzo Brideshead Regained, un seguito di Ritorno a Brideshead inteso come tributo a Waugh. Dato che la pubblicazione del libro non aveva ottenuto il consenso degli eredi dello scrittore – pare addirittura che Alexander Waugh, nipote di Evelyn, sia arrivato a definire Johnston un «illetterato» – tra questi ultimi e l’ex documentarista si aprì un breve contenzioso legale. Johnston fu costretto a ritirare dal mercato le 1500 copie fisiche del romanzo, la cui vendita, da quel momento, fu resa possibile solo online. Infine sulla copertina di ogni volume venne incollata un’etichetta che segnalava che il romanzo aveva visto la luce senza il consenso dagli eredi di Waugh.

    Al di là della querelle legale, dal punto di vista artistico Brideshead Regained è un libro mediocre. Difatti se “riscrivere” un capolavoro è una pratica abbastanza diffusa – esempi illustri ve ne sono molti, da Shakespeare a Milton –, decisamente più arduo è produrre un qualcosa che sia all’altezza dell’originale, specie se si ha a che fare con un autore come Waugh, nella cui prosa, difficilmente replicabile, mischia senza soluzione di continuità serio e faceto, alto e basso (o sacro e profano, per citare il sottotitolo di Ritorno a Brideshead).

    Il romanzo di Johnston – diviso in due parti che riecheggiano nel titolo l’ “Et in Arcadia Ego” del libro di Waugh – segue le vicende di Charles Ryder, neopromosso “artista di guerra ufficiale”, durante il Secondo conflitto mondiale. Dapprima Charles viene inviato in Nord Africa, dove esegue un ritratto di DeGaulle, si improvvisa spia e dipinge a fianco di Churchill. In un monastero tunisino ritrova pure Sebastian che, riappacificatosi con l’amico, può finalmente morire sereno. Dopo lo sbarco in Normandia, Charles è trasferito in Europa ed è testimone degli orrori commessi nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Nell’epilogo, ambientato a guerra conclusa, il funerale dell’anziana “Tata” Hawkins è per lui l’occasione per tornare a Brideshead. Lì incontra brevemente, e per l’ultima volta, la famiglia Flyte.




    Nel corso delle sue avventure, oltre a Cordelia, Julia e a personaggi storici descritti in maniera un po’ troppo macchiettistica, il protagonista incrocia alcune tra le figure che hanno reso immortale Ritorno a Brideshead. Il primo in cui si imbatte è il cugino Jasper, che vanta quell’ottusa operosità utile per fare carriera al ministero, mentre “Boy” Mulcaster, all’opposto, si conferma un aristocratico annoiato e spendaccione, fondamentalmente incapace di affrontare la realtà (quando mette incinta l’amante non trova altra soluzione che farsi prestare da Charles i soldi per un aborto clandestino). Ritornano pure il sig. Ryder, freddo e distaccato come sempre, l’odioso Rex Mottram e Anthony Blanche, il dandy omosessuale di Oxford, ritrovato in fin di vita a Bergen-Belsen. Inoltre viene approfondito il complicato rapporto tra Charles, i suoi due figli e l’ex moglie Celia, a cui deve buona parte della propria fortuna come artista. Nel rievocare nomi e vicende di Ritorno a Brideshead Johnston si concede il lusso di inserire persino un “cameo” dello stesso Waugh: a un certo punto, infatti, si scopre che Charles ha sul suo letto un romanzo dello scrittore inglese e che quest’ultimo, stando alle più recenti notizie, è impegnato in una missione in Yugoslavia.

    Per temi e ambientazioni Brideahead Regained più che un semplice seguito di Ritorno a Brideshead appare quindi come un impasto tra il capolavoro di Waugh e la trilogia Spada d’onore, dove a prevalere è il classico tema waughiano di un vecchia e nobile Inghilterra destinata purtroppo a scomparire. D’altronde tra il Charles di Johnston e Guy Crouchback sono molte le affinità, a partire dal desiderio di essere finalmente impegnati in prima linea in una guerra che per loro si fa ogni giorno più noiosa e logorante.

    Tuttavia, come già accennato, l’esito complessivo è poco soddisfacente. Molte sono le carenze del romanzo, a partire da un impianto strutturale potenzialmente intrigante – con tre distinti piani temporali che si alternano – ma che alla lunga frana nella ripetitività. Allo stesso modo anche lo stile, che pure cerca di imitare il piglio satirico di Ritorno a Brideshead, risulta troppo piatto e monotono, il tutto condito con descrizioni di una sensualità marcata che di certo Waugh non avrebbe tollerato. Per quanto concerne la trama, poi, l’impressione è che, in fin dei conti, accadano davvero poche cose e che queste siano descritte troppo sbrigativamente, condensate alla bell’e meglio in una manciata di pagine.

    La colpa più grave di Brideahead Regained rimane comunque quella di tradire l’anima apologetica del capolavoro di Waugh che si chiude – è bene ricordarlo – con la conversione al cattolicesimo di Charles («Recitai una preghiera, un’antica formula, di recente appresa»). Al contrario, Johnston mostra al lettore un Ryder la cui nuova sensibilità religiosa rimane confinata in una dimensione intima e privata. Non appartiene ufficialmente a nessuna denominazione cristiana e, di conseguenza, continua a non accostarsi ai sacramenti. Per di più, davanti all’orrore dei campi di concentramento nazisti, sembra di nuovo propenso a negare l’esistenza di Dio («Ci può essere un Dio? E Dio lo saprebbe?» sono le ultime parole che chiudono la vicenda).

    Ecco allora che così facendo, privando i protagonisti di Ritorno a Brideshead di una loro verticalità spirituale – medesimo errore del film di Jarrold – la storia si riduce a un dramma sentimentale particolarmente cupo e angosciante, dove, per paradosso, la religione concorre a ostacolare la felicità degli uomini, una felicità che, come ovvio, secondo una simile prospettiva non può che essere esclusivamente terrena.

  9. #219
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [IL MERCOLEDÌ DI PADRE BROWN] “L’oracolo del cane”: perdere Dio significa perdere il buon senso



    di Luca Fumagalli

    Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.

    Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo a questo link.

    Per le precedenti puntate… da “L’innocenza di Padre Brown” (1911): 1. La Croce azzurra / 2. Il giardino segreto / 3. Il passo strano / 4. Le stelle volanti / 5. L’uomo invisibile / 6. L’onore di Israel Gow / 7. La forma errata / 8. Le colpe del Principe Saradine / 9. Il martello di Dio / 10. L’occhio di Apollo / 11. All’insegna della spada spezzata / 12. I tre strumenti di morte. Da “La saggezza di Padre Brown” (1914): 1. L’assenza del Signor Grass / 2. Il paradiso dei ladri / 3. Il duello del dottor Hirsch / 4. L’uomo nel passaggio / 5. L’errore della macchina / 6. La testa di Cesare / 7. La parrucca violacea / 8. La fine dei Pendragon / 9. Il Dio dei Gong / 10. L’insalata del Colonnello Cray / 11. Lo strano delitto di John Boulnois / 12. La fiaba di Padre Brown. Da “L’incredulità di Padre Brown” (1926): 1. La resurrezione di Padre Brown / 2. La freccia del cielo


    Tortuoso e intrigante insieme, L’oracolo del cane (The Oracle of the Dog), è il terzo racconto della raccolta L’incredulità di Padre Brown (1926).

    Chesterton offre la sua personalissima variante del classico delitto nella stanza chiusa raccontando del misterioso omicidio del colonnello Druce, pugnalato alla schiena mentre si trovava nella sua capanna in giardino. Dell’arma del delitto non è stata trovata traccia alcuna e tutti i testimoni sono concordi nel sostenere che l’uomo fosse perfettamente solo.

    A fornire i particolari dell’accaduto a Padre Brown è uno di essi, il giovane Fiennes, in visita col suo cane presso la parrocchia: «Tirò fuori dalla tasca una striscia di giornale e la diede al prete che iniziò a leggerla, avvicinandola agli occhi socchiusi con una mano, mentre con l’altra continuava soprappensiero ad accarezzare il cane. Sembrava la parabola dell’uomo che non fa sapere alla mano destra cosa fa la sinistra».

    Padre Brown, che prima di essere interrotto stava pianificando «un corso di conferenze sull’enciclica Rerum Novarum», viene dunque a sapere che Fiennes al momento del delitto si trovava sulla spiaggia con i nipoti del colonnello e il segugio di quest’ultimo: «Andai con […] i due giovani ufficiali arrivati dall’india, e la nostra conversazione fu abbastanza banale. Ricordo che il maggiore dei due – credo si chiami Herbert Druce e che sia un’autorità in fatto di cavalli – parlò esclusivamente di una giumenta che aveva acquistato e dell’onestà dell’uomo che gliel’aveva venduta, mentre suo fratello Harry sembrava rimuginare sulla sua sfortuna a Montecarlo». Oltre a loro, presenti sulla scena vi erano l’avvocato del colonnello, tale Aubrey Traill, la figlia di Druce, Janet, il dottor. Valentine, suo amante, e il segretario personale del colonnello, Patrick Floyd, «una persona pratica ma soffocante, sempre impegnata a fare il lavoro di tutti, così come stava facendo quello del giardiniere. Credo sia americano, ma sicuramente vede la vita come gli Americani, da quel “punto di vista” come lo chiamano loro». Donald, il figlio scapestrato di Druce, era invece nella sua stanza, reduce dall’ennesima notte di bagordi.

    Ognuno di loro aveva le sue buone ragioni per voler morto il colonnello, ma due giorni dopo, quando Fiennes ripiomba a casa di Padre Brown per annunciargli il suicidio di Harry Druce, tocca al sacerdote fare luce sull’accaduto (non prima, però, di una doverosa preghiera per l’anima dello scomparso: «Le labbra di Padre Brown si mossero appena, e non ci fu nulla di concreto in ciò che disse, nulla che avesse qualcosa a che fare con questa storia o questo mondo»).

    Grazie al suo prodigioso ingegno e soprattutto alla sua profonda conoscenza dell’animo umano, stando comodamente seduto nel suo studio il prete è in grado di tracciare un quadro verosimile dei motivi che hanno condotto alle due morti, un quadro così preciso e accurato da far «accapponare la pelle» al povero Fiennes: «Qualche volta penso che siete più misterioso di qualsiasi mistero».




    Harry sapeva che il colonnello aveva recentemente mutato il testamento per non lasciare nulla al figlio. Sperava fosse lui il nuovo erede designato e perciò ha ucciso lo zio con una lunga lama nascosta nel suo bastone (lo ha potuto fare dall’esterno della capanna poiché le pareti erano fatte di rami intrecciati con diverse fessure); ha poi lanciato il bastone in acqua mentre fingeva di giocare con Nox, il cane di Druce.

    Sul perché Harry avrebbe dovuto commettere una simile pazzia senza alcuna reale certezza di essere l’erede del colonnello, Padre Brown ha un’idea ben precisa: «“Voi non comprendete a fondo il carattere di quest’uomo”, disse, come se lui invece l’avesse conosciuto da una vita. “Un carattere particolare, ma non sconosciuto. Se davvero avesse saputo che il denaro sarebbe finito in mano sua, sono pienamente convinto che non l’avrebbe fatto. Avrebbe visto la cosa nel suo vero aspetto meschino […] In breve, è la vanità di avere la capacità d’indovinare. E la megalomania del giocatore. Più incongrua è la coincidenza degli eventi, più istantanea è la decisione e più è probabile che afferri l’occasione al volo. Il caso […] lo inebriò. Nessuno abbastanza intelligente da accorgersi di questa combinazione di eventi sarebbe tanto codardo da non sfruttarla! È così che il Demonio parla al giocatore. Ma il Demonio stesso difficilmente spingerebbe un uomo infelice a uccidere un vecchio zio che gli ha sempre offerto grandi prospettive: è più dignitoso”. Si fermò per un attimo, poi andò avanti con calma, ma con una certa enfasi. “E ora cercate di rievocare la scena come l’avete vista voi. Mentre stava fermo lì stordito da quella diabolica opportunità, guardò in su e vide quella strana forma che avrebbe potuto essere l’immagine della sua anima vacillante: quella roccia enorme in equilibrio pericolosamente instabile sull’altra, come una piramide in bilico sul suo vertice, e ricordò che veniva chiamata la Roccia della Fortuna. Riuscite a immaginare in che modo un uomo come lui, in un momento simile, potesse interpretare un tale messaggio? Lo mise in agitazione spingendolo all’azione e perfino alla cautela. Lui, che sarebbe diventato un pilastro, non poteva temere di essere un pilastro barcollante. Comunque agì: il suo problema seguente fu quello di cancellare le tracce”». Infine, quando il testamento è stato aperto e ha scoperto che l’eredità sarebbe andata a Janet, Harry non ha trovato altra soluzione che togliersi la vita.

    Tuttavia, dell’intera vicenda, ciò che più ha inquietato Fiennes è stato lo strano comportamento di Nox che, a suo dire, nell’ora esatta in cui il colonnello è morto, ha iniziato a ululare, come se, in virtù di qualche potere mistico, avesse intravisto il terribile destino del padrone. Successivamente ha anche abbaiato contro l’avvocato, quasi a volerlo accusare. Al solo pensiero di una simile idiozia, Padre Brown perde il proverbiale contegno: «E così, per voi, il cane ha denunciato l’assassino, vero? L’oracolo del cane lo ha condannato. Avete fatto anche caso a che uccelli stessero volando, se erano sulla vostra destra o sulla vostra sinistra? Avete consultato gli àuguri per i sacrifici? Sicuramente non avrete tralasciato di squartare il cane per esaminarne le interiora. Questo è il tipo di esame scientifico su cui voi filantropi pagani sembrate fare affidamento quando pensate di distruggere la vita e l’onore di un uomo». Dopo aver ripreso fiato, il prete si ricompone, offrendo all’amico le sue scuse: «Una sorta di preoccupazione apparve negli occhi del prete: la preoccupazione dell’uomo che ha sbattuto contro un palo nel buio e che si chiede per un momento se non l’abbia danneggiato».

    In verità il comportamento di Nox – «un nome suggestivo» – è perfettamente spiegabile: «“Il cane c’entra, eccome!”, disse Padre Brown. “Come avreste scoperto anche voi se solo aveste considerato il cane come un cane, e non come Dio Onnipotente che giudica le anime degli uomini”» (qui Chesterton fa una sottilissima allusione al fatto che God, “Dio”, sia un anagramma di dog, ovvero “cane”). Il sacerdote prosegue: «La verità è che i cani mi piacciono troppo. E mi sembrava che in questo sensazionalistico alone di superstizione intorno al cane, nessuno stesse pensando a quel povero animale. […] Ora so che siete molto intelligente, e nessuno che abbia un po’ di buon senso deride l’intelligenza. Ma a volte sono portato a pensare, per esempio, che siate troppo intelligente per capire gli uomini, specialmente quando si comportano con la stessa semplicità degli animali. Gli animali sono molto schietti: vivono in un mondo di verità».

    Al di là del fatto che Nox non ha iniziato a ululare nell’ora esatta dell’omicidio, la sua rabbia aveva origine dall’aver visto affondare tra le onde, senza più poterlo recuperare, il bastone-pugnale che Harry gli aveva lanciato per gioco. Poco prima il giovane Druce si era separato momentaneamente dal gruppo sulla spiaggia proprio per commettere il delitto.



    Padre Brown si appresta a concludere il suo discorso cogliendo la palla al balzo pure per criticare l’ottusità di un mondo che ha svenduto Dio in cambio di vane ideologie che non potranno mai rimpiazzarlo: «Il cane avrebbe quasi potuto raccontarvela, se fosse stato capace di parlare. Ciò che mi dà fastidio è che, siccome non poteva parlare, voi abbiate costruito tutta una storia per lui, e che l’abbiate fatto parlare con la lingua degli uomini e degli angeli. E un elemento che ho notato prendere sempre più piede nel mondo moderno: appare in ogni genere di chiacchiere sui giornali e nelle conversazioni sotto forma di frasi fatte, qualcosa che sta assumendo sempre più rilievo senza averne l’autorità. La gente è sempre pronta a bere le affermazioni non provate di Tizio, di Caio o di Sempronio. Ciò sta mandando a fondo tutta la vostra vecchia razionalità e il vostro scetticismo e sta salendo come la marea: il suo nome è superstizione. […] Il primo effetto di non credere in Dio è che si perde il buonsenso e non si riescono più a vedere le cose come realmente sono. Qualsiasi cosa di cui si parii dicendo che c’è del vero, si estende all’infinito come una prospettiva in un incubo. E un cane è un presagio, un gatto un mistero, un maiale un portafortuna e uno scarafaggio uno scarabeo, il tutto a rievocare il serraglio del politeismo pagano dell’Egitto e della vecchia India; il Cane Anubis, il Grande Pasht dagli occhi verdi e i sacri Tori mugghianti di Bashan; tornare agli dèi bestiali dei primordi, rifugiarsi negli elefanti, nei serpenti e nei coccodrilli, e tutto perché si ha paura di cinque parole: “Ed Egli fu fatto uomo”».

    Nell’epilogo Fiennes prende congedo dal sacerdote, ma deve chiamare il suo cane più volte «perché l’animale era rimasto indietro per un momento, immobile e tranquillo, a guardare attentamente Padre Brown, così come il lupo aveva guardato san Francesco».

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    Predefinito Re: Anglica catholica

    The last Novel by Mgr. R. H. Benson



    Luca Fumagalli

    Published posthumously in 1915, Loneliness? is the last novel written by mgr. Robert Hugh Benson, a modern story with a strong psychological implication that analyse the themes of vocation and self-renunciation.

    The young singer Marion Tenderton returns to London in search of a contract after months spent in Germany to perfect her already brilliant singing skills. When the girl falls in love with Max Merival, the Protestant family of the scion suffers anxiety regarding both Marion’s Catholic faith and her career as an opera singer, deemed inappropriate. Her confessor then advises her to ask Max to convert to Catholicism before marriage, making him promise to educate her children in her ancient faith. The man, however, does not seem very convinced and the fear of losing him makes Marion falter. Her difficulties, however, are only just beginning: some time later, due to an accident on stage, the girl irreparably damages her voice, which does not return even after a delicate tonsil operation. Deprived of any support, she is about to marry Max in an Anglican rite, but in the end she is persuaded to abandon the intention and break off the engagement. In her silent meditation and prayer, that indispensable bond with Christ that she had been seeking for some time is finally realized.

    Benson’s last novel is a sort of spiritual testament, the story of a conversion lived mainly through detachment from everything, even the most innocent things. Helped by the faithful Maggie – an elderly Catholic who loves her very much – Marion first experiences the splendour of worldliness and then gets lost in the darkness of pity and error. Despite her defects, fidelity to the Christian ideal becomes the foothold to redeem an existence lived incoherently and to give her a fresh sense of wonder.

    In the end, loneliness takes on an unexpectedly positive value: the girl understands that the word does not imply despair, but can mean the spiritual presence of someone else at her side, like the loneliness of a shining star cradled by the immense sky.
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