[La Scozia e la Fede: i migliori racconti di George Mackay Brown] “Icarus”
https://sp-ao.
di Luca Fumagalli
«Per la Scozia io canto,
la nazione rovinata da Knox,
che il poeta e il santo
devono ricostruire con la loro passione»
(George Mackay Brown, Prologue)
Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.
Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:
Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown
«Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown
Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown
Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:
“The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”
Per le precedenti puntate della rubrica:
“The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set“ / “A Time to Keep“ / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane”
«C’è della gente che prova un gran piacere nel profetizzare la fine del mondo. Per loro è una specie di passatempo. Siedono con matite e pezzi di carta, e si danno da fare, manipolando alcuni dei simboli e delle figure oscure del libro dell’Apocalisse, per determinare esattamente il giorno e l’ora in cui arriverà la condanna. Non ci hanno ancora preso, ma continuano imperterriti».
Così inizia “Icarus”, tra i racconti più brevi della raccolta A Time to Keep (1969). Si tratta di una vicenda agrodolce, che nell’epilogo vira nettamente verso il comico, ambientata ancora una volta nel contesto socio-culturale delle Orcadi. Con “Icarus” Brown pare voler bonariamente prendere in giro quello spirito apocalittico non così raro tra le sette protestanti più estreme, capeggiate da certi profeti urlanti che sono diventati col tempo personaggi iconici anche della satira anti-religiosa.
La storia, raccontata in prima persona dal giovane protagonista – destinato a rimanere anonimo –, ruota attorno a quello che suo zio Tom annuncia una sera, ovvero che la fine del mondo avverrà il prossimo giovedì, precisamente alle due e mezza del pomeriggio. Per prepararsi all’evento, intenzionato a raggiungere a ogni costo la beatitudine del cielo, l’uomo inizia ad armeggiare con i suoi attrezzi per costruirsi un paio di ali, a imitazione dell’Icaro mitologico. Tuttavia la profezia, come ampiamente prevedibile, si riveli errata e Tom finisce per rompersi una gamba nel tentativo di spiccare il volo dal tetto della fattoria. Il protagonista va allora a visitare lo zio in ospedale e, prima di andarsene, non può fare a meno di notare come sopra uno degli armadietti vi sia una Bibbia, aperta al libro dell’Apocalisse, con accanto un pezzo di carta tutto scarabocchiato. «Ci stai ancora provando», commenta sconsolato il giovane. E Tom, confermando i sospetti del nipote, rilancia con una nuova possibile data per la fine del mondo: «1965, il 24 giugno. Solo non so dirti ancora se sarà alle quattro e cinque minuti del mattino o a dieci alle otto di sera».
Nella parte centrale del racconto, sullo sfondo del Dounby Show, una fiera agricola che si svolge ogni anno nelle isole, vi è spazio pure per un’ennesima canzonatura da parte di Brown. Questa volta il bersaglio sono i chiromanti e i sedicenti maghi, nulla più che imbroglioni da strapazzo, interessati esclusivamente a spillare denaro al malcapitato di turno. Una tale Madame Roberta annuncia infatti al protagonista che il suo raccolto sarà particolarmente abbondante… peccato che il giovane sia un pescatore!