«Accedit ad cor altum»: la fede di Evelyn Waugh raccontata dal gesuita Martin D’Arcy
di Luca Fumagalli
«Non credo che qualcuno abbia mai pensato che Evelyn Waugh fosse un santo, ma in molti furono colpiti dalla sua fede risoluta e sincera».
È con queste parole che il gesuita Martin D’Arcy dà inizio a “The Religion of Evelyn Waugh”, uno degli articoli che compongono Evelyn Waugh and His World (Weidenfeld And Nicolson, 1973), un volume, curato da David Pryce-Jones, che raccoglie i contributi di diversi amici e studiosi del grande scrittore britannico. D’Arcy fu colui che accolse Waugh nella Chiesa cattolica e nel suo breve scritto analizza la parabola spirituale di quest’ultimo, offrendo pure una convincente interpretazione di quelle sfumature paradossali del suo carattere che furono pretesto per frequenti attacchi e polemiche.
Waugh, nato e cresciuto in una famiglia formalmente anglicana, era piombato nello scetticismo sin dai tempi della scuola superiore, un atteggiamento confermato anche durante gli anni dell’università a Oxford, trascorsi tra eccessi di ogni sorta. Del resto una della condizioni per mantenere la borsa di studio che aveva vinto per l’Hertford College era quella di essere ufficialmente membro della Chiesa d’Inghilterra, ma, a quanto pare, il ragazzo non partecipò mai ad alcuna funzione religiosa.
Ecco perché nel 1930 la sua conversione al cattolicesimo prese alla sprovvista tutti. Addirittura qualcuno arrivò a sostenere che si trattasse semplicemente di una posa, forse scordandosi che Waugh, essendo divorziato, fece il grande passo pur consapevole che avrebbe dovuto rinunciare per sempre al sogno di una famiglia (difatti fu solo diverso tempo dopo che, grazie all’interesse di una amico esperto di diritto canonico, venne a sapere che nel suo caso c’erano gli estremi per un annullamento; riuscì infine a ottenerlo e a risposarsi, nonostante dovette attendere e penare non poco). L’affetto per la Chiesa non venne meno neanche durante i difficili anni del Concilio Vaticano II contro le cui riforme Waugh combatté in prima linea.
Tra la sua cerchia di amici vi erano svariati cattolici, ad esempio Gwen e Olivia Plunket-Greene, Harold Acton e Douglas Woodruff, ma a spingere lo scrittore verso Roma fu soprattutto il suo intelletto, tanto che, a tal proposito, «non parlò mai di esperienze o sentimenti». Da quel momento nei suoi libri iniziò a farsi largo poco alla volta un nuovo attore, ovvero la Provvidenza divina, destinata a operare secondo vie misteriose. Per descriverla, in Ritorno a Brideshead Waugh utilizza l’immagine chestertoniana dello “strappo al filo” mutuata da una delle storie di Padre Brown. Allo stesso modo in Elena e nella trilogia Spada d’onore la fede appare come l’unica certezza in mezzo alle macerie e alle illusioni di una vita fondamentalmente tragica, fonte di speranza pure per chi va incontro a un sorte crudele (Waugh lo ribadisce nella sua biografia del gesuita Edmund Campion, martire dell’epoca elisabettiana).
Quando fu chiesto allo scrittore di contribuire a un libro intitolato The Road to Damascus e di spiegare le ragioni della sua conversione, egli ammise che la vita, senza Dio, non può che essere «incomprensibile e insopportabile». Sul perché, poi, avesse scelto la Chiesa di Roma, la risposta fu altrettanto netta: «La struttura cattolica giace ancora appena sepolta sotto ogni aspetto della vita inglese; la storia, la topografia, la legge, l’archeologia, […] e i viaggi all’estero rivelano ovunque il carattere locale e temporale delle eresie e degli scismi, e il carattere eterno della Chiesa». Dello stesso tenore un passaggio contenuto nel libro The Holy Places, scritto nel 1952 dopo una vacanza in Palestina: «Tutto della nuova religione era suscettibile di interpretazione, poteva essere impreziosito o diminuito, tutto eccetto l’affermazione irragionevole che Dio si era fatto uomo ed era morto sulla Croce; non un mito o un’allegoria; il vero Dio, incarnatosi realmente, torturato fino alla morte in un preciso luogo geografico, un mero fatto storico. Questa era la pietra d’inciampo a Cartagine, ad Alessandria, a Efeso e ad Atene, ed è questa pietra che tutti i talenti del periodo hanno cercato di ridurre, nascondere o eliminare». Tuttavia cosa significhi davvero per lui la fede è esplicitato in un altro brano, quando Waugh racconta di aver assistito a una Messa mattutina presso il Santo Sepolcro: «Uno è entrato nel cuore della propria religione. È tutto lì, con i suoi errori umani e i trionfi soprannaturali, e si realizza davvero, forse per la prima volta, che la cristianità non ha messo la sua prima radice a Roma, a Canterbury, a Ginevra o a Maynooth ma qui, nel levante, dove tutto è intrecciato e niente è assimilato» (D’Arcy riassume il concetto citando il Salmo 63: «Accedit ad cor altum»).
Dal punto di vista caratteriale, ricorda il gesuita, tutti coloro che avevano a che fare con Waugh prima o poi si rendevano conto del suo umore ballerino, di come passasse «rapidamente dalla gioia alla depressione più glaciale. Una simile depressione poteva essere avvertita quasi fisicamente. Inoltre, in certi momenti, sapeva essere non solo pungente ma anche feroce […], diventando aggressivo e sprezzante». Sempre secondo D’Aarcy, «nella sua fede giaceva la sola fonte di gioia e speranza». D’altronde per uno come lui – o come il suo doppio protagonista del romanzo Le avventure di Gilbert Pinfold –, abituato a considerare le cose sub specie aeternitatis, il mondo appariva noioso, «piatto come una carta geografica» (ne parla pure nella sua autobiografia, A Little Learning). Un simile senso di vuoto Waugh lo compensava con un cinismo più formale che sostanziale e «trattando male persino gli amici. Ma la fede religiosa lo aiutò a riposare la mente, donandogli una disciplina e un nuovo e prolungato affetto per la famiglia e i sodali».
Che sotto la scorza del fustigatore velenoso e dello snob – accusa rivoltagli da chi non comprendeva il suo profondo attaccamento alla tradizione – pulsasse il cuore di un uomo sinceramente innamorato di Cristo e del prossimo è dimostrato dalla grande carità, che rimase immutata anche dopo aver raggiunto il successo. Non solo in svariate occasioni Waugh seppe perdonare chi lo aveva precedentemente offeso, ma donò pure diversi soldi alla cappellania cattolica presso la Manchester University e alla Campion Hall di Oxford. Altro episodio significativo è quando lo scrittore si offrì volontario per tenere compagnia a mons. Ronald Knox dopo che questi ebbe subito una delicata quanto inutile operazione per rimuovere un tumore: «Tutti conoscono il suo straordinario coraggio, ma in pochi sanno quanto fosse generoso».
Ecco perché la morte, avvenuta improvvisamente il giorno di Pasqua del 1966, a molti è apparsa quasi simbolica, un degno «sigillo sul suo lavoro e sulla sua speranza religiosa».