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Discussione: Anglica catholica

  1. #321
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [La Scozia e la Fede: i migliori racconti di George Mackay Brown] “The Drowned Rose”



    di Luca Fumagalli

    «Per la Scozia io canto,

    la nazione rovinata da Knox,

    che il poeta e il santo

    devono ricostruire con la loro passione»

    (George Mackay Brown, Prologue)

    Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.

    Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:

    Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown

    «Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown

    Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown

    Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:

    “The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”

    Per le precedenti puntate della rubrica:

    “The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set“ / “A Time to Keep“ / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil”

    “The Drowned Rose”, presente nella raccolta Hawkfall (1974), è una ghost story dai risvolti romantici, straordinariamente delicata, narrata con un linguaggio ricco ed elaborato che contribuisce a dare corpo a quello che Linden Bicket ha definito «uno dei racconti d’amore più commoventi di Brown». Al pari del narratore, anche chi legge si ritrova a chiarire, un passo alla volta, i contorni sfumati di un mistero che mette al centro, nel consueto scenario di un’immaginaria isola delle Orcadi, i temi della fede, della morale e della vita dopo la morte.

    William (Bill) Raynolds è un giovane maestro che, stanco di una carriera poco soddisfacente in città, ha deciso di trasferirsi al nord, a Quoylay, per insegnare nella scuola della piccola comunità («Sono come qualsiasi altra comunità del mondo. Gli abitanti sono buoni, cattivi e mediocri, soprattutto mediocri»). Durante la prima notte sull’isola, anticipata da un profumo che si spande nell’aria, si presenta a casa sua una bellissima ragazza che dice di essere lì per un certo Johnny. Quando Raynolds le dice di non sapere chi sia la persona che sta cercando, lei se ne va con la stessa silenziosa rapidità con la quale era arrivata. Verso mezzanotte, prima di coricarsi, il nuovo insegnante scorge dalla finestra della camera due sagome che passeggiano, mano nella mano, sulla collina poco distante.

    Nella seconda delle sette parti che compongono il racconto – il numero, religiosamente significativo, non è casuale; Brown tende sempre a dare ai suoi lavori una valenza simbolica anche nella struttura – è introdotto il ministro, Donald Barr, un tipo affabile e cordiale, più o meno della stessa età di Raynolds. Entrambi sono scapoli e nel giro di breve tempo diventano amici, passando spesso le serate insieme per un bicchierino o giocando a scacchi. Se Raynolds è pragmatico, Barr ha sinceramente a cuore la dimensione spirituale dell’esistenza. È un pastore premuroso, disposto all’ascolto, e proprio per questo a molti non piace, soprattutto ai puritani più rigidi, a quei viscidi moralisti, di cui Quoylay è piena, che antepongono la condanna alla misericordia.

    A scuola Raynolds si trova molto bene e gli studenti, disciplinati e attenti, gli regalano parecchie soddisfazioni. Un giorno, però, quando uno dei ragazzi menziona la loro vecchia insegnante, Miss McKillop, la fragranza di rose «sembrava essere dappertutto nella classe». Nella mente di Raynolds inizia a balenare l’ipotesi che la donna misteriosa e Miss McKillop siano in qualche modo collegate e alla sera ne parla con Barr: dalla descrizione della ragazza, il ministro capisce che si tratta proprio di Sandra McKillop, morta di recente in circostanze misteriose con il suo amante, John Germinston. Con ogni evidenza la donna che si è mostrata a Raynolds è allora un fantasma: «Se fossi un prete e non un ministro, ti direi che un fantasma è uno spirito smarrito tra il mondo e il Purgatorio. Rifiuta di lasciare i suoi appetiti terreni. Non entrerà nell’oscuro cancello della sofferenza» (da notare la velata stoccata anti-protestante). Nelle settimane seguenti, ad eccezione del profumo di rose che ogni tanto Raynolds avverte in casa, lo spettro non dà comunque segno di voler riapparire.

    Nella sesta parte è Henrikson, l’odioso vicino di casa del maestro, un pettegolo patentato che gestisce il negozio e il garage dell’isola, a raccontare a Raynolds, per esteso, la sfortunata storia della McKillop, bella e ben voluta da tutti (la confusione e le taniche d’olio sparse nel giardino di Henrikson rivelano pure quel volto distruttore della modernità che Brown tanto detestava). Dopo aver rifiutato le avance di vari spasimanti, la giovane donna iniziò a frequentare il contadino John Germinston, la cui moglie si trovava allora ricoverata in una clinica nel sud della Scozia a causa del cosiddetto morbus orcadiensis, una forma di depressione di cui soffrì anche Brown: «Si tratta di un oscuramento della mente, di un progressivo incrinamento e ispessimento delle lenti cristalline dello spirito». Una mattina la McKillop mandò a casa gli alunni prima del solito e quella notte lei e l’amato svanirono nel nulla. Quarantott’ore dopo una nave recuperò i loro corpi dal mare.

    Nell’epilogo Raynolds e Barr si trovano a pesca nella baia. Sono particolarmente fortunati e la loro barca, presa a noleggio, è carica di pesci. Per caso si ritrovano nel punto esatto dove sono affogati i due amanti. Quando il sole inizia a tramontare, odono distintamente le voci di un uomo e di una donna. Il ministro intuisce che qualcosa nel destino del fantasma è mutato, che ora è pronta per l’aldilà. Si rivolge quindi all’amico: «Lo percepirai per un mese o due ancora. Ma alla fine le rose perderanno il loro profumo».

    La rosa è da sempre un simbolo associato all’amore e alla bellezza, frequente pure nell’iconografia religiosa della Madonna. Nessun dubbio, dunque, che Sandra McKillop sia la rosa annegata del titolo, alla ricerca di un amato da cui non ha ancora il coraggio di separarsi. La sua presenza, che si manifesta nelle ore liminali del crepuscolo e dell’alba, si associa nel finale a una sorta di pesca miracolosa che pare precedere il suo definitivo ingresso nel Purgatorio: «Tutti gli amori sono allora dimenticati. Si appresta alla ricerca dell’Amore in quanto tale. Per questo è stata creata sin dall’inizio».

  2. #322
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    All the Monsignor’s Men: the famous admirers of R. H. Benson



    Luca Fumagalli

    Robert Hugh Benson (1871-1914), son of the Anglican archbishop of Canterbury and one of the most illustrious converts of his time, was perhaps the most important and famous Catholic writer of the early twentieth century. His books were an inspiration for brilliant later authors such as Bruce Marshall, Hilaire Belloc, Msgr. Ronald Knox, Maurice Baring and Ronald Firbank.

    If Marshall, in Father Malachy’s Miracle, places him among the most illustrious converts, Belloc especially admired the monsignor’s historical novels. Baring, whose Robert Peckham saga is clearly Bensonian, fully shared his friend’s opinion. By contrast, Benson instilled in Firbank a taste for satire and the grotesque.

    Knox, for his part, considered the English priest to be the guide who had led him to the Catholic Truth. Moreover, thanks to the reading of The Light Invisible, he was able to approach for the first time the ideas of the Virgin Mary as a central figure of devotion, and of the priesthood as a unique calling, the function of which was mainly sacramental.

    The monsignor played a decisive role in the spiritual and intellectual development of Maisie Ward, scion of one of the most illustrious British Catholic families and biographer of G. K. Chesterton. He also fascinated Jacques and Raissa Maritain and the theologian Teilhard de Chardin (the Jesuit wrote three stories in imitation of the style of the English priest).

    Benson was also read and appreciated by historian Christopher Dawson, by actor and essayist Hugh Ross Williamson, by Scott Fitzgerald – the monsignor is one of Amory’s favorite authors in the autobiographical novel This Side of Paradise – and by Evelyn Waugh, who, for example, reread the historical novels by Benson before writing his own book on the English saint and martyr Edmund Campion.

    However, over the years the works of the writer who many had considered the new rising star of English literature ultimately sank into oblivion. The reason, according to Joseph Pearce, is perhaps to be found in the militant and uncompromising defense of the Faith operated by the monsignor, an attitude that became suspicious in the era of ecumenism. Even among Catholics there are those who criticized his energetic proselytism and his extraordinary zeal.

    Fortunately, the criticisms could not completely erase the memory of the exceptional monsignor. Robert Hugh Benson’s novels are just waiting to be read and loved.

  3. #323
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Joan of Arc according to Belloc




    Luca Fumagalli

    Hilaire Belloc (1870-1953) is one of the most fascinating Catholic intellectuals of the twentieth century. A friend of G. K. Chesterton, he was an extraordinarily prolific journalist, polemicist, and writer.

    One of Belloc’s most interesting writings is the historical essay Joan of Arc (1929). It is a short life of the Maid of Orleans, written with an elegant and refined prose, as if it were a medieval miniature. In Belloc’s portrait, which offers the reader the vibrant image of a holiness lived in the pain of everyday life, Joan is the heroine of Faith and freedom, a peasant woman who defied the mistrust of the great of France, and the nobility of England. Born into a very poor family, she dared to rouse the crown prince to the fulfilment of his duties towards God and the French people. Finally, tempting fate, she fought an impossible battle against the invader from across the Channel, facing an unjust accusation and a terrible death.

    For Belloc, half English and half French, Joan is above all a sign of contradiction, scandal and madness. By subverting all worldly logic, with her affirmative response to the divine call – reminiscent of Mary’s – the girl aligned herself with those opposed to the prejudices of a world fallen into egoism. Humble, like someone who recognizes himself as a mere instrument, the Maid of Orleans turned into a glorious leader, armed not with a sword but with a piety that knows no fear. Her heroism is first of all derived from obedience, from trust in God, who wanted her to leave her village, armour-clad, leading men who had lost all hope.

    It was therefore no coincidence that the fire of the stake miraculously spared the heart of this unfortunate girl, destined for the glory of holiness.

  4. #324
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Incontrando uno sconosciuto: George Friel e i suoi racconti



    Nella Scozia del XX secolo, George Friel è stato, insieme a Muriel Spark e George Mackay Brown, uno dei più grandi autori di racconti brevi, e il suo Mr Alfred M.A. (1972) ha avuto addirittura l’onore di essere inserito in una speciale classifica dedicata ai 100 migliori romanzi scozzesi di sempre. Penna acuta e incline all’umorismo, Friel ha firmato opere che ben inquadrano le implicazioni connesse alla libertà umana, dando spazio sia a orizzonti di dannazione che di redenzione. Ciononostante in pochi si ricordano di lui: il suo nome solo di rado viene menzionato nelle storie della letteratura scozzese, trovando pochissimo spazio pure tra gli studi dedicati, più specificatamente, alla narrativa cattolica.

    Lo scrittore, nato nel 1910, trascorse tutta l’infanzia in un minuscolo appartamento di Maryhill Road, a Glasgow, dove il padre, originario della Contea di Donegal, si era trasferito nel 1879. Ciò spiega come mai la sua produzione letteraria sia popolata da irlandesi che tirano a campare alla bell’e meglio in squallide periferie. I giochi di parole, il gusto per il dialetto di Glasgow, il brio e la divertita descrizione della microcriminalità urbana gli derivavano invece dall’amore per Joyce, un sentimento che trova compiuta espressione nei suoi romanzi più noti – oltre a Mr Alfred M.A., The Boy Who Wanted Peace (1964) e Grace and Miss Partridge (1969), ripubblicati nel 1999 in un unico volume intitolato The Glasgow Trilogy – e nei racconti del postumo A Friend of Humanity and Other Stories (1992).




    Friel, che condusse un’esistenza piuttosto ritirata, studiò dapprima alla St. Mungo’s Academy e poi all’Università di Glasgow (fu l’unico dei suoi sei fratelli a laurearsi). Nel 1939 si sposò e con la moglie, Isobel, prese la decisione di trasferirsi nel sobborgo di Bishopsbriggs dove visse fino alla fine dei suoi giorni. Allo scoppio della guerra prestò servizio militare per un breve periodo dopodiché, una volta tornata la pace, continuò a dedicarsi all’insegnamento, una professione che col tempo arrivò a detestare, pur rimanendo sempre sinceramente appassionato all’educazione della gioventù. Prima di andare in pensione, all’inizio degli anni Settanta, la sua carriera raggiunse il culmine quando venne nominato vicedirettore di una scuola elementare. Morì di cancro nel 1975.

    Sebbene fosse nato e cresciuto in una famiglia cattolica, in storie come “A Marriage” e “Father Twomey’s Friday Night Dance”, emerge a volte un atteggiamento critico nei confronti della Chiesa e dei sacerdoti, questi ultimi accusati di essere un po’ troppo inflessibili davanti alla fragilità degli uomini.



    Al contrario, più che i limiti dei preti, è la scarsa disposizione delle persone alla carità a essere il soggetto di uno dei racconti migliori di Friel, “A Couple of Old Bigots”, un ottimo esempio del suo stile graffiante e al contempo delicatissimo. Protagonisti della vicenda sono una coppia di amici minatori, l’ateo Geddes e il cattolico Rooney, i quali si ritrovano ogni volta a discutere di religione. Col tempo, però, l’astio tra i due cresce a tal punto da mettere in secondo piano l’affetto, tanto che quando Rooney muore, Geddes si trascina al suo funerale solo a prezzo di una grande fatica. Contro ogni previsione è proprio in quel momento, dopo aver assistito a una liturgia per lui priva di qualsiasi significato, che Geddes trova in sé la forza per una riconciliazione postuma e per avvicinarsi per la prima volta a Dio con cuore sgombro da pregiudizi.

    Purtroppo in Italia, al di là di qualche lavoro d’ambito accademico, su Friel non è mai stato scritto nulla e nessuno dei suoi romanzi o racconti è masi stato tradotto. Perciò ancora si attende qualcuno che riveli anche ai lettori della Penisola il talento immenso di un autore d’eccezione.

    Fonte dell’articolo: L. BICKET, George Mackay Brown and the Scottish Catholic Imagination, Edinburgh University Press, Edimburgo, 2019.

  5. #325
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    Predefinito Re: Anglica catholica



    Rubiera (Re) 2 giugno 2022: Intervento di Luca Fumagalli alla settima giornata di cultura radiospadista

  6. #326
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [La Scozia e la Fede: i migliori racconti di George Mackay Brown] “Andrina” e “The Day of the Ox”



    di Luca Fumagalli

    «Per la Scozia io canto,

    la nazione rovinata da Knox,

    che il poeta e il santo

    devono ricostruire con la loro passione»

    (George Mackay Brown, Prologue)

    Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.

    Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:

    Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown

    «Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown

    Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown

    Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:

    “The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”

    Per le precedenti puntate della rubrica:

    “The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set“ / “A Time to Keep“ / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil” / “The Drowned Rose” / “The Seven Poets”


    Racconto che dà il titolo alla quinta raccolta di Brown, pubblicata nel 1983, “Andrina” è una riflessione sui temi dell’amore, della carità, della confessione e del pentimento, condotta con un linguaggio delicato, incline al metaforico, che svela il versante più lirico della prosa dell’autore scozzese. Si tratta di una ghost story piuttosto peculiare, che non ha nulla di spaventoso, in cui lo spettro di un defunto si fa tramite per il riscatto di un uomo gravato da un passato poco onorevole.

    La storia, ambientata nell’immaginaria isola orcadiana di Selskay, è raccontata in prima persona dal capitano Bill Torvald, un vecchio lupo di mare ora in pensione. Vive da solo, ma da qualche tempo, ogni sera, più precisamente quando il sole sta per tramontare per lasciare spazio alla notte, viene a visitarlo una misteriosa ragazza, Andrina, la quale, oltre a prendersi cura di lui, si dà da fare per rimettere un po’ di ordine in casa («Ha portato una lampada nel tuo tempo oscuro»). La giovane – a occhio e croce una ventenne – è pure appassionata di storie e il capitano le racconta volentieri qualcuna delle sue numerose avventure in mare. C’è solo un episodio della sua vita di cui si vergogna profondamente e su cui conserva un certo grado di reticenza.

    Un giorno Torvald si ammala e Andrina, stranamente, non viene più a trovarlo. Costretto a letto da un terribile febbre, il capitano riacquista un po’ di lucidità solo quando il postino gli consegna una lettera che, tuttavia, abbandona sul tavolo senza nemmeno leggere.

    Dopo essersi completamente ripreso, Torvald si reca in paese per fare spese e per indagare sul conto di Andrina, della quale non sa praticamente nulla (in verità nessuno, sull’isola, ha mai sentito parlare di lei). Nel frattempo si rivolge direttamente al lettore e gli rivela tutta la verità a proposito di quell’evento, lontano nel tempo, che ancora lo tormenta. Si scopre così che il giovane Torvald, destinato ad andare all’università, si era innamorato perdutamente della figlia di un fattore, Sigrid, dalla quale aveva poi scoperto di aspettare un figlio. Colto dal panico, era fuggito arruolandosi in marina, per tornarsene a Selskay solo dopo cinquant’anni, «nella speranza che cinquanta inverni avessero fatto la crosta su una vecchia ferita».

    Quando rientra a casa, apre finalmente la lettera che ancora giace sul tavolo: proviene dalla Tasmania ed è firmata da un’anziana Sigird. Quest’ultima gli scrive di sua nipote Andrina, morta da poco, che l’ha resa molto felice. Del nonno ha raccontato solo cose belle e la ragazza fremeva dalla voglia di conoscerlo, di prendersi cura di lui e di sentire le molte storie che sicuramente aveva da raccontarle: «Un giorno andrò in Scozia e busserò alla sua porta, dovunque lui viva, e farò un sacco di cose per lui. […] Deve essere una brava persona, il vecchio marinaio, se tu l’hai amato».

    Torvald comprende di avere avuto a che fare con un fantasma, figlio di quel tempo liminale che è il crepuscolo. Senza meritarselo, Andrina ha tolto un peso dalla sua coscienza e, allo stesso tempo, gli ha donato una nuova speranza: «Ho pensato allo splendore, alla fioritura e alla rugiada che quella creatura ha portato sulla soglia del mio ultimo inverno […] Lì, dove lei era polvere, un tempo nuovo sta schiarendo la terra e il cielo».

    In “Andrina”, così come in quasi tutti gli altri racconti della raccolta, l’ambiguità e il fantastico si associano a una migliore capacità da parte di Brown di penetrare la psicologia dei suoi personaggi. Il tempo della narrazione pare distorto, fluttuando avanti e indietro senza soluzione di continuità, a mo’ di risacca, e un sapiente tessuto di rimandi lessicali evoca tanto la sostanza spettrale della vicenda quanto la profonda diversità che vi è tra Torvald, con la sua scorza apparentemente dura che sa di sale, e la dolce spensieratezza di Andrina, sempre sorridente e generosa. La vicenda termina quindi con un lieto fine all’insegna della redenzione, con il trionfo del perdono sulla meschinità di un uomo che non ha saputo affrontare le sue responsabilità, anteponendo ai doveri il proprio tornaconto.

    ***

    Decisamente più enigmatico è invece “The Day of the Ox”, parte della medesima raccolta. Il brevissimo racconto, una miscela di realtà e mito, si esaurisce in una strana allegoria che, al netto dei palesi rimandi evangelici, sfugge a un’immediata decifrazione. Forse si parla dell’invasione vichinga delle Orcadi oppure della conversione delle isole, con il cristianesimo che spazza via definitivamente un paganesimo ormai inaridito.

    L’anonimo protagonista descrive la vita di un villaggio costiero, un luogo che, a suo dire, è caduto vittima di «una pace grigia». Del resto è da molti anni che non si registrano eventi rilevanti, nulla di clamorosamente felice o terribile, tanto che pure l’arte ne risente e i bardi hanno smesso di comporre nuove canzoni. In effetti la situazione è abbastanza anomala, a maggior ragione per una comunità che vive di agricoltura e pesca, solitamente soggetta ai costanti capricci di una natura che è madre e matrigna: «Gli elementi si comportano in modo differente da noi. La terra prende il nostro sudore e il nostro sangue, e qualche volta è generosa con noi, e qualche volta è avara. Così anche il mare, che ricopre gli scogli con argento serpeggiante, oppure fa affogare un giovane con la sua barca e lascia il villaggio affamato».

    Una notte tutti gli abitanti sono visitati dal medesimo sogno: un uomo dai capelli biondi, circondato da uno strano bagliore, entra nella casa del capo del villaggio, pasteggia con pane e pesce per poi allontanarsi senza dire una parola. Il significato del sogno non è chiaro: c’è chi lo interpreta come un segnale positivo e chi, al contrario, vi intravede i moniti di una sciagura imminente; quel che è certo è che i raccolti successivi sono singolarmente ricchi e la pesca è abbondante.

    Sul finire dell’inverno il narratore è scelto per mettere il giogo a un bue, una cerimonia tradizionale, a cui partecipa tutta la comunità, che simboleggia l’inizio della bella stagione, con la terra e il mare pronti a elargire i loro frutti. Mentre compie le azioni rituali, sulla spiaggia, accanto a una nave, l’uomo nota improvvisamente la figura del sogno con dodici compagni armati d’ascia. Tutti, compreso il bue, si inchinano ai nuovi venuti.

  7. #327
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [Segnalazione letteraria] “Parade’s End”: la straordinaria saga di Ford Madox Ford sulla Grande Guerra. Vol. 2 “Mai più parate”




    “Mai più parate”, il secondo volume della tetralogia Parade’s End di Ford Madox Ford, riprende la storia da dove si era interrotta nel precedente “Alcuni no…”. Christopher Tietjens è stato mandato al fonte, in Francia, ma anche lontano da casa è tormentato dal ricordo di Sylvia, la moglie traditrice, e di Valentine, la giovane ragazza di cui è innamorato. Nonostante non sia affatto semplice venire a patti con le dure condizioni che la guerra impone, Tietjens si mostra un buon ufficiale, potendo contare pure sul supporto del padrino, il generale Campion. A lungo andare, però, i capricci della sorte e le meschinità dei più gli causeranno non pochi problemi, aggravati dall’inaspettata intromissione di Sylvia…

    Decisamente meno sperimentale rispetto ad “Alcuni no…”, “Mai più parate”, con un intreccio che si dipana lineare, senza grandi sussulti, risulta nell’insieme un buon libro, scrupolosamente organizzato pure per andare a rifinire quei dettagli di trama che nel volume precedente erano stati solo accennati (addirittura Ford trova un pretesto credibile per inserire, nel mezzo del racconto, una sorta di riassunto degli eventi accaduti sino a quel momento). Tuttavia a volte la storia corre il rischio di inabissarsi in lungaggini inutili, le quali, oltre ad annoiare, ne ledono inevitabilmente il mordente: è forse questo il più grande limite di Parade’s End, ciò che ha impedito alla saga di raggiungere quello status di capolavoro che certamente avrebbe meritato.

    Ciononostante, “Mai più parate” ha dalla sua alcune scene magistralmente confezionate, su tutte il dialogo immaginario tra Sylvia e lo spettro di padre Consett, il suo consigliere spirituale, ingiustamente condannato a morte in Irlanda con l’accusa di essere un ribelle. Episodi come questo hanno inoltre il pregio di introdurre quell’elemento drammatico che, al pari di un fiume carsico, continua ad attraversare una vicenda fondamentalmente grottesca, resa con le tinte urticanti della satira. Dalla guerra raccontata da Ford, ad esempio, l’azione militare è rigorosamente esclusa – la prima linea è qualcosa di remoto, più una velata minaccia per i soldati indisciplinati che altro – e gli uomini paiono abbandonati a loro stessi, vittime di una folle burocrazia che ha come unica conseguenza l’indisciplina e la cattiva organizzazione (tutti temi che Evelyn Waugh riprenderà in Sword of Honour).

    Non a caso l’espressione del titolo, “Mai più parate”, ricorre sovente nel testo associata a un senso ambiguo: se da un lato può significare che in futuro non ci saranno più guerre, che regnerà la pace e non ci sarà più bisogno di marce militari, dall’altro, con maggior verosimiglianza, rimanda al tramonto di una civiltà, destinata all’autoannientamento, in cui non vi è spazio né per la gloria né per l’onore.

    Tietjens, che ancora crede ingenuamente nelle virtù tradizionali e si comporta di conseguenza, finisce stritolato tra le spire di una macchina che tende a premiare i peggiori, i cinici e gli amorali (significativo, a tal proposito, il disprezzo che persino gli ufficiali mostrano nei confronti delle truppe coloniali sotto il suo comando, colpevoli unicamente di essere canadesi). Campion definisce Tietjens «un vero Dreyfus» e la stessa Sylvia è confusa, infastidita ma pure affascinata dalla nobile stolidità del marito.

    L’epilogo del libro, a suggerisce l’ipotesi di una tragedia imminente, è piuttosto cupo e mette in primo piano il trionfo di quello che Tietjens definisce «lo schifo della natura umana»: «Noi mentiamo e tradiamo e manchiamo d’immaginazione e ci inganniamo, sempre, più o meno, con la stessa intensità. In pace e in guerra!».

    Il libro: Ford Madox Ford, Parade’s End Vol. II, Mai più parate, Landscape Books, 2021, 272 pagine, Euro 18,90.

    Link all’acquisto: https://www.landscape-books.com/mai-piu-parate.html (il volume è disponibile anche su Amazon e negli altri siti analoghi di commercio online)

  8. #328
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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [SCORRIBANDE RADIOSPADISTE] Segnaliamo volentieri che stasera, 17 settenbre 2022, dalle 21 alle 22,30 Luca Fumagalli, redattore di Radio Spada, sarà intervistato su Radio Maria da Fabio Trevisan sul tema "Lle opere di Flannery O’Connor e George Mackay Brown, a confronto con i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa."

    Per ulteriori approfondimenti: radiospada.org/2020/03/storie-della-buonanotte-per-bambine-reazionarie-flannery-o-connor-quando-la-malattia-incontra-il-progetto-di-dio/?fbclid=IwAR2r4Zrn0tEuadMDFT9Uhu6tghNKpx7ffEqP840f PnN_nTp3UvnQCxNpuXA


    https://www.radiospada.org/2022/02/a...gJv3dokfXrhCqM
    Ultima modifica di Guelfo Nero; 17-09-22 alle 15:14

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    Predefinito Re: Anglica catholica

    [La Scozia e la Fede: i migliori racconti di George Mackay Brown] “Dancey” e “Shell Story”



    di Luca Fumagalli

    «Per la Scozia io canto,

    la nazione rovinata da Knox,

    che il poeta e il santo

    devono ricostruire con la loro passione»

    (George Mackay Brown, Prologue)

    Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.

    Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:

    Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown

    «Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown

    Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown

    Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:

    “The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”

    Per le precedenti puntate della rubrica:

    “The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set“ / “A Time to Keep“ / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil” / “The Drowned Rose” / “The Seven Poets” / “Andrina” e “The Day of the Ox” / “The Masked Fisherman” e “The Christmas Dove”

    Winter Tales (1995) è l’ultima importante collezione di racconti firmata da George Mackay Brown che venne pubblicata durante la sua vita. Brown vi raccolse storie natalizie e d’ambientazione invernale, tutte accumunate dal tema del «mistero della luce che emerge dalle tenebre» (secondo le parole impiegate da lui stesso nella prefazione). Molti dei racconti, scritti nel corso di diversi decenni, erano già stati pubblicati altrove, su riviste e periodici, nel tentativo di illustrare il messaggio evangelico attraverso allusioni ed echi, sebbene a volte l’allegoria sia usata in maniera più diretta.

    “Dancey” è forse la storia più interessante della raccolta, un’intricata giustapposizione di frammenti, con oscillazioni temporali notevoli, che abbina magistralmente il drammatico al sublime, caratterizzata pure da tocchi satirici che le regalano un sapore di inatteso, il gusto di un imprevisto affascinante. Ancora una volta Brown si dimostra un autore di grande qualità, capace come pochi di far vibrare le più disparate corde emozionali del lettore. È pure un apologeta raffinato che preferisce descrivere la propria fede attraverso l’allusione, il suggerimento obliquo, usando in questo caso, ad esempio, un vocabolario sacramentale per descrivere il tempo del raccolto.

    La vicenda, ambientata in un’isola delle Orcadi, si apre su un paesaggio in tempesta durante i festeggiamenti per il solstizio d’inverno. Un ragazzo, William Ness, mentre sta passeggiando incontra una donna stremata, «i cui vestiti emanavano un forte odore di sale», con cui cerca inutilmente di comunicare. Vuole convincerla a seguirlo fino alla fattoria dei suoi genitori, ma la donna, dopo aver indicato il mare, crolla a terra. William si affretta verso casa, dove gli invitati si stanno scambiando i regali, e racconta quello che gli è appena accaduto. Nessuno, però, gli crede, almeno fino a quando, intorno alla mezzanotte, giunge la notizia che una nave di emigranti è naufragata lì vicino solo qualche ora prima: «Quella notte non ci sarebbero stati più musica e canti… C’era silenzio». Si organizza allora un gruppo di spedizione che ritorna dopo qualche ora con il corpo dell’estranea, morta per gli stenti, e una neonata, la quale viene adottata da Madge Selquoy, l’unica della comitiva a non avere né marito né figli (l’episodio è costruito a imitazione di un fatto realmente accaduto, ovvero il naufragio della nave Archangel avvenuto al largo dell’isola di Westray negli anni trenta del 1700).

    Una generazione è passata dal naufragio e ora la bambina sopravvissuta, Dancey, è una donna, sposata da una decina d’anni con Andrew Crag, pescatore e contadino. Il suo nome, in verità, è Mary Danzig, scelto da Madge ispirandosi al porto dal quale era partita la nave poi affondata (si tratta della città polacca di Danzica). Hanno sei figli e Dancey si dà molto da fare per mandare avanti la casa. Tiene tutto sotto controllo grazie alla sua determinazione, per quanto le vicine non apprezzino affatto la sua personalità estroversa e chiassosa, tanto da definirla con disprezzo «una straniera venuta da Dio sa dove». All’epoca del fidanzamento con Andrew aveva dovuto sopportare le angherie della futura suocera, una donna anziana che non aveva una grande considerazione di lei, ma che Dancey aveva sempre trattato con affetto e riguardo. Solo dopo la sua morte, la ragazza era potuta convolare a giuste nozze con Andrew.

    Nel frattempo William Ness è diventato uno scapolo solitario che vive in una piccola fattoria. Durante il tempo del raccolto i contadini si aiutano a vicenda, tutti tiranni William, che lavora sempre per conto suo. Tra le schiene curve nei campi vi è anche quella di Dancey. Un giorno si rende conto che qualcosa a casa di William non va, e quando varca la porta scopre che l’uomo si è rotto una gamba ma che è troppo orgoglioso e testardo per chiedere aiuto a qualcuno. Nonostante le sue proteste – «vattene, nessuno ti ha chiesto di venire qui» –, Dancey chiama il dottore, dà da mangiare alle galline di William e munge le sue mucche. Si prende inoltre cura di lui, accudendolo e pulendo la sudicia casa, e il dottor McCrae le conferma che, se lei non lo avesse chiamato, il burbero contadino sarebbe certamente morto. Dancey continua a stare vicino a William fino alla sua completa guarigione. Quest’ultimo, per ringraziarla, le offre dei soldi che, però, la donna rifiuta.

    Nonostante le sue premure, la fattoria di William nel giro di poco tempo ritorna il luogo sporco e trascurato che era prima. Il contadino, che dopo essersi ripreso continua ad ignorare Dancey quando la incontra per casa, muore dieci anni più tardi e lascia tutti i suoi averi ad Andrew, per comprarsi una nuova barca, con la seguente motivazione: «Ogni uomo con una moglie come la sua, con la sua bocca molesta e le sue fastidiose premure, merita di stare lontano da casa il più possibile, tra il silenzio del mare».

    Calato in un tempo ciclico, quello dell’eterno fluire delle generazioni in una costante alternanza di nascita e morte, “Dancey” è una storia che innanzitutto mette alla berlina l’atteggiamento pregiudizievole nei confronti dello straniero, dipingendo una protagonista che sta al cuore della comunità isolana che l’ha adottata, un simbolo di dolcezza e pazienza che, con la sua eccezionale carità, dona alla storia quasi il valore di una parabola. Di più, quando Dancey accudisce il vecchio William, l’uomo che le aveva salvato la vita, salvandolo a sua volta, Brown, come scrive Linden Bicket, sembra suggerire l’esistenza di «una bontà cosmica – una ruota d’ordine dove la dolcezza è sempre ricompensata». La vita, detto altrimenti, è attraversata da una concreta possibilità di grazia e amore.

    ***

    Della stessa raccolta fa parte anche il brevissimo racconto “Shell Story”, vicenda a lieto fine che esalta la virtù della speranza e quella della perseveranza. La storia si apre su un gruppo di anziane signore che pretendono di scorgere nei gabbiani levati in volo la reincarnazione dei loro cari morti affogati, perlopiù marinai e pescatori. Si radunano di solito dopo l’ora di cena e cercano di attirare l’attenzione dei gabbiani chiamandoli per nome. Solo una donna, Charlotte, ormai centenaria, non riesce a scorgere suo marito, Jock Wylie, «affondato in mari sconosciuti l’inverno dopo che si erano sposati».

    Un giorno, durante una tempesta, gli abitanti del villaggio scorgono aggirarsi vicino al molo la figura di Charlotte. Si è avvicinata a un gabbiano e gli sta dando da mangiare un pezzo di torta. Dopo aver consumato il pasto, il pennuto si alza in volo, compie tre giri sulla testa dell’anziana e poi sparisce all’orizzonte. Charlotte bussa allora alle porte delle varie case, raggiante di gioia: «Jock, il mio uomo, è finalmente tornato a trovarmi dai rifiuti dell’oceano».

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    Predefinito Re: Anglica catholica

    Brevi cronache di una conferenza nella Londra cattolica



    di Luca Fumagalli

    Nonostante i mille e più limiti di un progetto che si fonda tutto sulla libera intraprendenza di un piccolo gruppo di redattori, senza padri nobili né padrini se non la Chiesa stessa, Radio Spada è una realtà che, a dispetto delle più ottimistiche previsioni, continua nel tempo senza dare segni di cedimento. Ormai sono passati dieci anni dalla fondazione ufficiale: ancora sul blog si pubblicano articoli e la casa editrice dà alle stampe vecchi e nuovi libri. Come prevedibile, non è mancato chi ha cercato in ogni modo di metterci i bastoni tra le ruote o di dare adito a polemiche sterili e francamente inutili. A questi, per fortuna, fanno da contraltare i molti lettori che si sono via via affezionai a Radio Spada e che non oserebbero mai perdersi un incontro o un convegno.

    Oltre ad aver introdotto nel dibattito “tradizionalista” italiano nuovi temi e spunti di riflessioni con un piglio spiazzante, tentando di sfuggire alla tentazione dei facili schematismi e dei compartimenti stagni dell’ideologia, Radio Spada gode anche di una certa attenzione da parte dei media esteri interessati alle questioni cattoliche (questo è uno dei motivi per cui, per quanto sia difficile stare al passo con la crescente mole di lavoro, si è deciso di introdurre nella programmazione settimanale del blog pure pezzi in lingua spagnola e inglese). È capitato che nostri libri e articoli venissero segnalati su siti internazionali e pure che qualcuno, compreso il sottoscritto, fosse invitato a parlare al di fuori dei confini del Bel Paese.

    Giusto di recente, a fine settembre, ho trascorso una manciata di giorni a Londra, chiamato dalla Catholic Writers Guild a tenere una conferenza la sera del 28 sul tema della diffusione della letteratura cattolica britannica in Italia. La Guild, legata alla figura di G. K. Chesterton, è un’associazione finalizzata alla promozione dell’arte cattolica, e da qualche tempo ha iniziato a organizzare incontri con studiosi provenienti dal resto d’Europa, un modo per confrontarsi e scambiare opinioni in una prospettiva meno angusta. Il Master of the Keys, Pierpaolo Finaldi, il latore dell’invito e la mia guida per la Londra cattolica nei giorni immediatamente precedenti alla conferenza, è il direttore della Catholic Truth Society (CTS), un ente che dal 1868 pubblica libri di preghiere, scritti apologetici, letture spirituali e vite di santi, tutti testi che fanno bella mostra di sé all’ingresso di ogni chiesa inglese.

    Giusto di recente, a fine settembre, ho trascorso una manciata di giorni a Londra, chiamato dalla Catholic Writers Guild a tenere una conferenza la sera del 28 sul tema della diffusione della letteratura cattolica britannica in Italia. La Guild, legata alla figura di G. K. Chesterton, è un’associazione finalizzata alla promozione dell’arte cattolica, e da qualche tempo ha iniziato a organizzare incontri con studiosi provenienti dal resto d’Europa, un modo per confrontarsi e scambiare opinioni in una prospettiva meno angusta. Il Master of the Keys, Pierpaolo Finaldi, il latore dell’invito e la mia guida per la Londra cattolica nei giorni immediatamente precedenti alla conferenza, è il direttore della Catholic Truth Society (CTS), un ente che dal 1868 pubblica libri di preghiere, scritti apologetici, letture spirituali e vite di santi, tutti testi che fanno bella mostra di sé all’ingresso di ogni chiesa inglese.

    Giusto di recente, a fine settembre, ho trascorso una manciata di giorni a Londra, chiamato dalla Catholic Writers Guild a tenere una conferenza la sera del 28 sul tema della diffusione della letteratura cattolica britannica in Italia. La Guild, legata alla figura di G. K. Chesterton, è un’associazione finalizzata alla promozione dell’arte cattolica, e da qualche tempo ha iniziato a organizzare incontri con studiosi provenienti dal resto d’Europa, un modo per confrontarsi e scambiare opinioni in una prospettiva meno angusta. Il Master of the Keys, Pierpaolo Finaldi, il latore dell’invito e la mia guida per la Londra cattolica nei giorni immediatamente precedenti alla conferenza, è il direttore della Catholic Truth Society (CTS), un ente che dal 1868 pubblica libri di preghiere, scritti apologetici, letture spirituali e vite di santi, tutti testi che fanno bella mostra di sé all’ingresso di ogni chiesa inglese.



    Altra chicca gustosissima è stata la possibilità di visitare la G. K. Chesterton Collection custodita presso la sede londinese dell’americana Notre Dame University. Si tratta della collezione – ancora da riordinare e catalogare – di alcuni oggetti appartenuti al celeberrimo scrittore, compresi diversi libri, e di un ambia biblioteca che contiene molti dei saggi che sono stati dedicati a lui, all’amico Belloc e ai principali esponenti del movimento distributista. Nel medesimo pomeriggio mi sono inoltre gustato una pinta di birra allo Ye Olde Cheshire Cheese, il pub in Fleet Street – la strada dove si trovavano le redazioni delle principali testate giornalistiche del Paese – in cui Chesterton era solito intrattenersi in interminabili conversazioni con i suoi sodali.



    Per quanto riguarda la conferenza, vi è poco da dire. Dato il mio inglese parlato non proprio fluente, mi sono preparato l’intervento in forma scritta nei giorni precedenti, cercando di leggerlo al meglio delle mie possibilità, quantomeno per non risultare tedioso. I convenuti hanno risposto con entusiasmo, colpiti dal fatto che un italiano potesse dimostrare tanta passione per i loro scrittori cattolici. Non sono mancate le domande, e la serata, tenuta in una sala di Farm Street, è terminata tra bicchieri di vino e amabili conversazioni.

    Per quanto riguarda la conferenza, vi è poco da dire. Dato il mio inglese parlato non proprio fluente, mi sono preparato l’intervento in forma scritta nei giorni precedenti, cercando di leggerlo al meglio delle mie possibilità, quantomeno per non risultare tedioso. I convenuti hanno risposto con entusiasmo, colpiti dal fatto che un italiano potesse dimostrare tanta passione per i loro scrittori cattolici. Non sono mancate le domande, e la serata, tenuta in una sala di Farm Street, è terminata tra bicchieri di vino e amabili conversazioni.

 

 
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