di Ernesto Galli della Loggia – “Mondoperaio”, gennaio 1977, pp. 48-57.
La “semplificazione” politica del pensiero di Gramsci da parte di Massimo L. Salvadori, a cui i testi dànno ragione, rischia di lasciare in ombra altre applicazioni che il PCI ha fatto e continua a fare del concetto di egemonia. Applicazioni che finiscono con il muoversi, di nuovo, in senso contrario alla linea democratica e pluralistica, che è ora quella del partito: principalmente riguardo al settore della cultura e degli intellettuali.
Gramsci definisce e analizza il ruolo dell’intellettuale, impoverendone enormemente i contenuti, quasi esclusivamente nella prospettiva del generale progetto educativo che gli sta a cuore. Che questo progetto educativo sia intimamente autoritario e antidemocratico, non c’è dubbio: del resto, come potrebbe essere diversamente se esso deve mirare all’egemonia? Ma quel che più conta, forse, è che esso è antidemocratico, “totalitario”, in un senso tecnico: intellettuali individuali, scuola, partito, e infine Stato fanno corpo tutt’uno e devono fare corpo tutt’uno per poterlo portare a compimento.
Che le convinzioni ideologiche e le conseguenti proposte politico-strategiche di Antonio Gramsci possano esser fatte rientrare, o per lo meno adattate, agli schemi della democrazia parlamentare contemporanea è un’idea che, a dispetto degli sforzi sommi prodigati in sede teorica dal Partito comunista negli ultimi venti anni, si rivela di ben scarsa consistenza non appena si vadano a leggere (o a rileggere) i testi con la mente sgombra. Proprio tale lettura, o rilettura, ha fatto Massimo L. Salvadori[1] e le sue conclusioni mi sembrano su questo punto inoppugnabili: lo prova, del resto, la risposta elusiva e divagatoria che Luciano Gruppi gli ha dato dalle colonne di Rinascita[2], dove ancora una volta si vede quale impresa difficile sia, per gli uomini come per i partiti, l’uccisione dei propri padri.
Gramsci dunque, è assodato, tutto era tranne quello che noi chiameremmo un democratico, e di democratico e pluralista ben poco ha la sua concezione dell’egemonia come strada maestra della rivoluzione socialista. Essa, scrive Salvadori, non è altro che la leniniana dittatura del proletariato, ma in una versione che tiene conto del fatto che, specialmente nelle condizioni dell’Europa occidentale, uno stabile dominio politico può aversi solo se ad esso si accompagna un’adeguata capacità di direzione culturale intellettuale e morale su tutta la società. Ma la sostanza politica quella è e quella rimane, e con la concezione dello Stato di matrice liberal-parlamentare che il PCI ha oggi fatto propria non ha niente a che spartire[3].
Detto questo, a me pare, tuttavia, che lo scritto di Salvadori, sebbene pienamente giustificato in quanto mira a capovolgere l’interpretazione che del pensiero di Gramsci sono andati fornendo i comunisti con una disinvoltura filologica degna di miglior causa – pienamente giustificato cioè su di un piano politico, di fronte all’uso politico che del fondatore del PCI fanno i suoi successori – lasci però nell’ombra molte cose e molti problemi, e trascuri eccessivamente la ricchezza di significati che nel concetto di egemonia Gramsci racchiude. In altre parole, di fronte a una operazione politica quale quella compiuta da Togliatti, Gruppi e compagni, Salvadori compie un’analoga operazione di segno contrario, ma pur sempre politica. Naturalmente con una differenza non trascurabile: che i testi dànno ragione a lui e non ai comunisti. Ma resta il fatto che da questa “semplificazione” politica il pensiero di Gramsci esce comunque indebitamente impoverito. Ora non solo ciò contrasta con “l’esatta determinazione del significato della teoria gramsciana, dei ‘segni’ suoi propri, della natura e degli scopi ad essa inerenti”[4], ma, quel che più importa, ciò rischia di lasciare in ombra altre applicazioni non immediatamente politiche che il PCI ha fatto e continua a fare del concetto di egemonia in settori importanti della vita sociale. Applicazioni che finiscono con il muoversi, di nuovo, in senso contrario alla linea democratica e pluralistica che è ora quella del partito. Mi riferisco principalmente al settore della cultura e degli intellettuali, del quale vorrei appunto trattare nelle pagine che seguono.
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[1] Cfr. Massimo L. Salvadori, Gramsci e il PCI: due concezioni dell’egemonia, in “Mondoperaio”, novembre 1976.
[2] Cfr. Luciano Gruppi, L’esigenza di una nuova guida, in “Rinascita”, n. 50, 17 dicembre 1976.
[3] Cfr. Massimo L. Salvadori, art. cit., p. 64.
[4] Cfr. Ibidem, p. 60.