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    Agente Z
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    Predefinito Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Posto qui un thread che cerco di aggiornare, sui lavori che "gli italiani non vogliono fare"
    Chiaro che è una bufala sparata dagli accoglioni e pseudo sinistri vari, in quanto gli italiani farebbero qualunque lavoro!!! Qualunque!!!
    Ma ci sono PAGHE E CONDIZIONI che non vogliono accettare

    un'offerta di lavoro a bari: banconiera per 14 ore al giorno continuati , dalle 4 del mattino alle 18,.... 900 mensili...
    si può sedere quando non c'è nessuno.
    .,
    https://bari.repubblica.it/cronaca/2...oro-217906695


    Home » cagliari » Gianluca, 33 anni, panettiere: “900 euro per 12 ore di lavoroappo”
    Gianluca, 33 anni, panettiere: “900 euro per 12 ore di lavoroappo”
    Un'altra testimoninza inquietante di un ragazzo cagliaritano: "Dovevo lavorare come uno schiavo senza ferie pagate e senza malattia, per un misero stipendio e 12 ore di lavoro: mi sono licenziato e sono scappato all'estero"

    Gianluca, 33 anni, panettiere: ?900 euro per 12 ore di lavoroappo? - Casteddu On line


    PADOVA «La selezione è conclusa». Il patron di Grafica Veneta Fabio Franceschi dopo l’eco mediatica sulla ricerca di 25 operai da assumere a tempo indeterminato a 1.300 euro al mese nella sua Grafica Veneta, per gestire le nuove macchine digitali annuncia: «Sono arrivati circa mille curriculum da tutta Italia, pochi dal Veneto». Prima degli appelli pubblici c’erano stati solo una ventina di colloqui e 5 assunzioni. «In Veneto non c’è voglia di lavorare su turni e nei festivi», era la spiegazione di Franceschi che i sindacati hanno bollato come «sensazionalismo». Sulla questione è intervenuto dal suo blog il professor Romano Cappellari, direttore del Master in Retail Management e Marketing del Cuoa: «È mancato il marketing dell’offerta di lavoro: le aziende al giorno d’oggi devono saper spiegare perché può essere interessante lavorare su turni e con quale prospettiva».

    Sui social
    E su Facebook la notizia ha suscitato i commenti di chi nella stamperia-colosso di Trebaseleghe ha lavorato: «Facevamo otto ore senza pause e c’era chi ne faceva molte di più. Non avevamo una mensa e se si provava a mangiare qualcosa durante il lavoro si veniva ripresi, per questo ho lasciato», racconta Sabrina Zuin, ex tirocinante che oggi lavora nell’industria tessile. Un altro ex dipendente lamenta le condizioni di lavoro in rotativa: «La paga è alta ma le rotative non si fermano mai, non c’era un attimo di respiro, a volte si era sotto organico – spiega Andrea Zabeo –. Ora scarico i camion otto ore al giorno, senza turni, mi trovo bene». I sindacati rincarano la dose: «Grafica Veneta non eccelle nel tenere rapporti corretti con le parti sociali e non applica i contratti collettivi – dice Marianna Cestaro, Slc Cgil Padova – conta la retribuzione, ma anche l’orario di lavoro e la gestione dei turni incidono sulla qualità della vita». Il patron non si scompone: «Si fa quello che la legge permette: l’azienda negli ultimi anni è cambiata molto, forse abbiamo sbagliato canali di comunicazione».


    https://corrieredelveneto.corriere.i...?refresh_ce-cp



    «Shop Center senza respiro»

    Lo sfogo di un ex commesso
    Ho lavorato per un anno e mezzo allo Shop Center Valsugana. È stato un vero inferno! Non ho mai avuto una domenica libera, non mi sono state pagate quasi 215 ore. E sono tante... Tutte ore che ho lavorato... Stremato ho deciso di licenziarmi. Prima di andarmene mi hanno fatto firmare una lettera, dove c’era scritto che il mio licenziamento non era causato da mobbing».

    È il racconto di un ex dipendente del centro commerciale di Pergine. Lo sfogo arriva via web dopo il «La» dato da una commessa di un negozio dello Shop Center, che ha scritto al sindaco Roberto Oss Emer denunciando una situazione lavorativa esasperante, caratterizzata da un’elevata precarietà e da turni di sette giorni su sette.

    Una ferita aperta, quella dei tempi di lavoro nel settore commercio: da una parte le imprese che parlano di crisi e della necessità di fare cassa anche nei giorni festivi, dall’altra i dipendenti che chiedono respiro per dare tempo alla famiglia e alla vita.

    I sindacati, su questo fronte, si sono mossi più volte, ma con zero risultati. E su internet (basta dare un’occhiata i commenti sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook) si scatenano quelli che il lavoro non ce l’hanno. Un dibattito che assomiglia sempre di più ad una «guerra tra poveri».

    Ma torniamo al nostro ex commesso del centro commerciale: «Ho lavorato per un annno presso un negozio - ci scrive - e ovviamente mi sembra brutto fare il nome. Non ho mai avuto una domenica libera, il weekend, c’erano giornate che mi facevo 11 ore al giorno, con mezz’ora di pausa, ovviamente le ore pagate erano 7.

    Avevo un giorno libero all settimana e il lunedì mattina. Durante la settimana recuperavo la mezza giornata di riposo che avevo, perché facevo sempre na mezz’ora in più tutti i giorni.

    Non mi è mai stato pagato uno straordinario. In più i miei capi avevano un altra zona e più di una volta mi hanno mandato lì, senza rimborso e niente. E lì mi facevo due settimane ogni due mesi».

    «Dovrebbero chiuderlo quel posto - si sfoga - perché la gente smette di vivere là dentro. Non riesci più ad avere una vita sociale. Questa è più o meno la mia storia... Poi, quando mi sono licenziato, mi hanno fatto firmare quella carta, in cui dicevo che mi dimettevo senza avere subito né minacce né mobbing».

    «Turni senza respiro: il mio inferno al centro commerciale» Lavoro allo Shop Center, il racconto di un ex commesso | l'Adige.it

    26 anni, 13 ore di lavoro al giorno e 950 € al mese
    Il 45% dei giovani tra i 25 e i 29 anni ha bisogno della paghetta dei genitori
    Il professore di Demografia Alessandro Rosina li ha contati. I ragazzi tra i 25 e i 29 anni che pur lavorando hanno ancora bisogno di soldi dai genitori sono il 30 per cento di quelli che vivono ancora a casa, il 20 tra quelli indipendenti che hanno detto addio a mamma e papà. «Tantissimi, se pensiamo che tra i 25 e i 29 anni un ragazzo fuori Italia è già autonomo e pienamente inserito nella società», commenta.

    E quando a metà 2012 ha provato a chiedersi quanti giovani under 30 già usciti di casa stessero tornando a vivere con la mamma, ha scoperto che erano il 70 per cento degli intervistati. Giovani che lavorano e diventano poveri. E per mantenersi, hanno bisogno ancora della paghetta dei genitori.

    Oltralpe li chiamano i working poor, lavoratori poveri, appunto. Pare un ossimoro, un contrappasso dantesco, e invece non lo è. Perché per trovare i volti di chi si cela dietro i dati del professor Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano, non ci vuole molto. Basta qualche chiamata tra amici e amici degli amici.

    Arianna, le 13 ore di lavoro al giorno per 950 euro

    Arianna risponde al telefono alle 21:00, sta lasciando l’ufficio. È entrata la mattina alle 80 e la "pausa pranzo" l’ha fatta davanti al computer leggendo documenti. Ha 26 anni e una laurea in Economia alla Luiss di Castellanza. Lavora come advisor finanziario in una società milanese. Spesso le capita di non mangiare proprio, e di trovarsi ad aprire la confezione di prosciutto cotto presa dal frigo di casa la mattina, sul treno che la sera la riporta nel paesino di provincia dove abita, «per forza», con la famiglia. Anche questa volta, se il ragazzo non la chiama al telefono, userà la mezzoretta di viaggio per finire di leggere qualcuno di quei profili di aziende da inserire nel dossier di domani.

    Finisce che le ore di lavoro fatte da Arianna ogni giorno superano tranquillamente le 13. Il tutto per 950 euro nette al mese guadagnate con un contratto di apprendistato biennale firmato da pochi mesi dopo uno stage di nove nella stessa società. «Dicono che non ci sono soldi per prendere nuove persone, ma il lavoro è aumentato molto da luglio». Gli stagisti su cui scaricare un po’ di compiti non mancano. L’ultimo, che ha finito lo stage da poco, «lavorava anche 11 ore al giorno, ed era bravo. Ma niente. Verrà sostituito con un nuovo tirocinante».

    Sara e lo stipendio a puzzle

    Sara invece fa tre lavori insieme. Prima di riuscire a parlarle distesamente al telefono ci vogliono due settimane. A 28 anni, con una laurea in Mediazione linguistica, mette insieme 1200 euro al mese circa correndo ogni settimana in tre posti diversi. La mattina insegna in una scuola superiore, dove ha ottenuto una sostituzione fino al prossimo giugno. Inizia alle 90 e finisce attorno alla 1:20. A quell’ora sale in macchina, torna a casa dai genitori, pranza e intanto prepara le lezioni del giorno dopo. Alle 15:20 risale in auto, e alle 16:00 è in una città diversa della provincia milanese. Entra nella scuola privata di inglese per bambini e incontra la classe del giorno. Fa lezione fino alle 19:00. Poi finalmente stacca e dopo un’oretta di viaggio è di nuovo a casa.

    A volte esce di nuovo attorno alle 21:00 perché Sara ha sempre fatto volontariato e ha coltivato tanti interessi che ora le spiace davvero perdere. Per cui “fa quello che riesce”. Finché riesce. Così tutti i giorni dal martedì al sabato. Il lunedì mattina, che sarebbe il giorno di riposo dal lavoro di insegnante superiore, Sara lo passa nella ditta dove lavora il suo ragazzo a fare lezioni private di inglese ai dipendenti. Sulla carta le ore lavorate sono 31 a settimana, ma per preparare le lezioni e correggere i compiti, Sara sacrifica spesso anche i week-end. Finora, non ricorda di avere avuto domeniche completamente libere dal lavoro. È una combinazione di cose, quella di Sara, arrivate tutte insieme e senza troppe certezze di stabilità.

    Nicola e il mercato nero

    Nicola non è ancora arrivato ai 25 anni, ma ha già conosciuto le mille tattiche usate dai datori per lesinare sulla busta paga. Che stacchi a mezzanotte, alla una o alle due del mattino, sul bancone della pizzeria appena prima della porta di uscita, trova sempre lo stesso voucher. Un buono lavoro di 7,50 euro e mezzo netti con cui il proprietario gli paga la serata di cameriere in pizzeria. Uno solo, che il resto si paga in nero, sei euro l’ora. Nicola lavora in quella pizzeria da almeno due anni. Fa tutti i weekend, sei ore in media a serata, dalle 19 in poi. Ma la sua prestazione è pagata con i buoni usati per le raccolte stagionali di pomodori, o i lavori occasionali.

    Fino a giugno, per un anno, ha integrato anche con un lavoro da operaio nel weekend. Un turno di 12 ore filate il sabato o la domenica in una fabbrica di cosmetici del Varesotto. «Facevo sempre il turno 6-18, e poi correvo in pizzeria per la serata». Stanco morto. Poi basta, l’azienda non aveva più bisogno.

    Per arrotondare le 250 euro mensili guadagnate in questo modo in pizzeria, Nicola, 21 anni e ancora a casa coi genitori, ha trovato una strada più efficace. Rivende cose di marca prese al mercato nero nelle periferie di Milano. L’ultima volta, ad esempio, con un paio di Nike e tre profumi, ci ha fatto 130 euro. «Poi dipende da quanto sei bravo a trattare, sia con chi ti vende la merce che con la persona a cui la rivendi». Può guadagnare anche 300 euro per volta.

    Le agenzia cui ha consegnato il cv sono cinque. E le ricorda tutte d’un fiato, comprese le battute scambiate allo sportello. Così: «Manpower, Adecco, Gi Group, Randstad, e il centro per l’impiego del comune. Ti dicono: "Buongiorno, cosa vorresti fare, cosa hai fatto, il titolo di studio, appena so qualcosa ti faccio sapere, arrivederci, grazie"». Nicola ha abbandonato la scuola al quarto anno, e ora, visto che lavoro non ne trova, sta frequentando le scuole serali. Anche se gli amici col diploma non se la passano meglio di lui.

    Il Professore Rosina e l’Italia inaridita

    Se racconti al professor Rosina una di queste storie, la sua voce si fa incalzante, accesa, e non occorre fargli troppe domande per ritrovarsi davanti agli occhi, bella distesa, la condizione asfissiante di un’Italia sull’orlo di una crisi sociale. Un paese che fa sempre più sforzi, ma nella direzione sbagliata.
    «Per restare sul mercato, le aziende rinunciano all’innovazione, alla qualità, e sfruttano i giovani», dice chiaro. «Anziché costruire le basi della ripresa, si intaccano le ultime e più preziose risorse che ci restano: energia, motivazioni e competenze dei ragazzi che entrano nel mercato del lavoro». Rosina si aggancia ai dati. «Il 45% dei giovani tra i 25 e i 29 anni - sia lavoratori, che neet che quelli che ancora studiano - sono aiutati dai genitori», spiega. «Noi finiamo per darlo per scontato, ma non può essere così. In questa fascia d’età i giovani devono essere completamente indipendenti, altrimenti mettono a rischio il loro futuro: finiranno ai margini della società e dovranno rinunciare a progetti e sogni.

    Non solo, diventeranno presto un costo sociale per il paese. «Già ora il costo dei neet, acronimo di not in education, employment, or training, cioè chi non lavora né studia, è pari al 2% del nostro Pil», ricorda Rosina. E se uno scontro sociale finora non c’è stato, spiega il professore, è grazie all’alto risparmio privato delle famiglie italiane che si stanno facendo carico dei propri figli. Fino a quando? «Bella domanda», risponde Rosina. «Anche gli adulti ora stanno perdendo il lavoro e si stanno impoverendo. Le famiglie tirano la cinghia, ma è una bolla pronta a scoppiare».

    Dietro a giovani che «non riescono ad accumulare quel che serve per crearsi una propria autonomia», come dice il professore di Demografia, ci sono carriere discontinue e salari che si fanno sempre più bassi, in un’anomalia tutta italiana che non compensa contratti a termine con stipendi più elevati degli altri.

    «Ci servono nuovi strumenti che rendano i nostri giovani protagonisti», incalza il professore. «Qualcosa che li metta nella condizione di non essere sfruttati. Perché finisce che i nostri ragazzi accettano cose che altrove sarebbero inaccettabili», dice con enfasi. «Protetti dal welfare si può osare di più: è uno slogan che mi piace molto. Basterebbe un reddito minimo garantito ai più giovani, non solo ai disoccupati, ma anche working poor. Un sistema di protezione che li metta nelle condizioni di rifiutare lavori sfibranti, e li renda meno passivi». E invece finisce che alla fine accettano il lavoro trovato attraverso i giri di conoscenze, rassegnandosi alla cosa più facile da trovare. Così il ragazzo non è soddisfatto, e l’azienda non ha la risorsa giusta che le occorrerebbe».

    Alice e la rivoluzione della neo-direttrice

    Per trovare lavoro Alice, una laurea in scienze infermieristiche presa da poco e uno stage curricolare nel reparto geriatria dell’ospedale, ha girato tutta la Lombardia. «Partivamo in gruppetti di due o tre ex compagni di università, così dividevamo la benzina. Portavamo il nostro cv in tutte le case di riposo, zona dopo zona. Cercavamo insieme i nomi degli istituti, e poi ci andavamo di persona», racconta. «Ma non c’era posto da nessuna parte. Gli unici che potevano offrirti qualcosa, ti chiedevano di aprire la partita Iva. Ma con quella non guadagni nulla». Dopo due mesi passati in questo modo, Alice ha trovato lavoro a un ora di macchina da casa.

    Ha incontrato qualcuno abbastanza coraggioso da invertire la rotta e andare nella direzione opposta rispetto al resto del paese. La neo direttrice della casa di cura dove Alice lavora da poche settimane ha fatto la rivoluzione. Da 13 infermiere prese con partita Iva, «stressate perché dovevano lavorare in più istituti per poter mantenere legalmente la partita Iva, correndo da un posto all’altro», ha scelto di regolarizzare alcuni dei vecchi dipendenti e di assumere sei entusiasti neolaureati. Alice è una di loro. Alla fine di questi tre mesi di prova avrà un contratto a tempo indeterminato. Felice di poter realizzare i suoi progetti professionali.

    “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele: questa è l’Italia dei 30enni”
    Storia di Veronica, poco più che trentenne, che da più di un anno lavora sottopagata, sfruttata, 10-12 ore al giorno per un negozio di generi alimentari a Roma

    https://www.tpi.it/2018/12/07/lavoro...commessa-roma/
    NO ALL'INVIO DI ARMI IN UCRAINA!!!

  2. #2
    Agente Z
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    bloccando l'invasione allogena e dando il rmg vedi come questi cosiddetti imprenditori devono dare paghe e condizioni decenti
    O chiudere, non li rimpiangeranno in molti!
    NO ALL'INVIO DI ARMI IN UCRAINA!!!

  3. #3
    cittadina del mondo
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    https://www.avvenire.it/attualita/pa...salario-minimo


    È forse l’unica materia su cui le principali forze politiche sono d’accordo. Sulla proposta di un salario orario minimo, garantito per legge, concordano infatti Partito democratico, Lega e Movimento 5 stelle; Forza Italia «sta valutando» l’ipotesi, dice il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, e la sinistra di Liberi e uguali, pur non essendosi espressa ufficialmente, è tradizionalmente favorevole alla sua introduzione. I principali schieramenti concordano perfino sull’entità della retribuzione minima: M5s prima e Lega poi hanno parlato di 9 euro l’ora; il Pd ha rilanciato l’idea, contenuta già nella prima versione del Jobs act, con un tra 9 e 10 euro. A favore anche una buona parte degli economisti, con in testa il presidente dell’Inps Tito Boeri, mentre da sempre contrari sono i sindacati confederali, che temono contraccolpi sulla contrattazione, e gli imprenditori che paventano livelli minimi troppo elevati

    http://www.affaritaliani.it/economia...ti-584176.html

  4. #4
    email non funzionante
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    ... Tra i tanti esercizi di fantasia commento quello della pizzeria :
    é impossibile pagare un'ora di voucher per la pizzeria, il minimo è di quattro ore e l'erogazione avviene a cura dell'INPS e non sul bancone.

    Per le strunzate restanti ora non ho tempo.
    Le plus grand soin d’un bon gouvernement devrait être d’habituer peu à peu les peuples à se passer de lui.

  5. #5
    Moderatori anghe noi...
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    La Cina è vicina.


    Kobra (Democritico)
    Se hai la necessità di scegliere tra un uomo e un Kobra,
    preferisci chi striscia.
    E se ti serve un amico, trovati un cane.

  6. #6
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Citazione Originariamente Scritto da Kobra Visualizza Messaggio
    La Cina è vicina.


    Kobra (Democritico)
    Ma il Ticino è ancora più vicino.
    Spaghetti e pistole

  7. #7
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Mai letto tante cagate.
    Ma forse non è chiara la differenza tra lavoro in nero o con contratti fuori legge e lavoro regolamentato.


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  8. #8
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Con la nuova disposizione del Reddito di Cittadinanza se uno rifiuta il lavoro perde il reddito.
    Un icentivo ad accettarlo?

  9. #9
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Si vede che non lavorate, senno le avreste pure sentite personalmente storie del genere


    Poi quando devi difendere la vulgata accogliona...

  10. #10
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    Predefinito Re: Raccolta dei lavori "che gli italiani non vogliono fare"

    Citazione Originariamente Scritto da Leviathan Visualizza Messaggio
    bloccando l'invasione allogena e dando il rmg vedi come questi cosiddetti imprenditori devono dare paghe e condizioni decenti
    O chiudere, non li rimpiangeranno in molti!
    Al massimo quello che impedirebbe ai furbi di assumere in nero o andare contro le regole di settore sarebbe un rafforzamento dei controlli negli esercizi commerciali.

    Ma è più popolare dare la colpa agli immigrati e finti meriti al RMG.

 

 
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