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    Predefinito La Fininvest sta peggio del capo

    La Fininvest sta peggio del capo



    Viaggio nei bilanci di Fininvest e delle controllate: Mediaset, Mondadori, Mediolanum e Milan. Dai debiti degli anni '90 alla ristrutturazione finanziaria, con ricca distribuzione degli utili alla famiglia padrona. Adesso i numeri volgono al peggio: siamo agli anni del declino. In quest'articolo si spiega perché

    E’ opinione diffusa che la situazione economica e finanziaria del gruppo Fininvest fosse critica nei primi anni '90 mentre sia florida quella attuale. L’esame delle informazioni di bilancio, delle operazioni realizzate sui mercati finanziari, dei punti di forza nei confronti dei concorrenti e dei rischi che gravano sulle società del gruppo mostra una realtà differente.

    All’inizio degli anni '90 il gruppo Fininvest era fortemente indebitato: nel bilancio consolidato del 1993, i debiti finanziari assommavano a circa 4.500 miliardi di lire e quelli commerciali superavano i 2.200 miliardi, ma le società operative si trovavano in una situazione favorevole nei mercati di riferimento. I rischi che gravavano sul gruppo riguardavano comportamenti degli amministratori censurabili sul piano penale, ma con improbabili ricadute sulle società operative. L’assetto proprietario, benché opaco e improprio, consentiva un’elevata flessibilità della gestione.

    Le tre principali società del gruppo (Mediaset, Mondadori, Mediolanum) esprimevano elevate potenzialità di reddito perché operavano in mercati in espansione in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti; in particolare:

    * Mediaset si trovava in una situazione di duopolio con la Rai, ma aveva una struttura organizzativa più agile, una gestione più flessibile ed era sottoposta a minori vincoli amministrativi;
    * La quota di Mondadori nel mercato dei libri e dei periodici era maggioritaria e la carta stampata non subiva la concorrenza di altri media;
    *

    Il modello commerciale di Mediolanum, incentrato sulla rete di promotori finanziari invece che di sportelli fissi rappresentava uno schema più aggressivo e flessibile ma meno costoso rispetto a quello dei concorrenti; inoltre il mercato della previdenza privata e del risparmio gestito si trovava in una fase di espansione.

    I punti di forza delle società operative consentirono la ristrutturazione finanziaria del gruppo attraverso l’apertura dell’assetto proprietario al mercato.



    La ristrutturazione finanziaria del triennio 1994-1996

    Nel triennio 1994-1996 il gruppo realizzò una serie di operazioni straordinarie sui mercati dei capitali per ridurre l’esposizione con il sistema bancario; complessivamente fu raccolta una somma pari all’intero indebitamento finanziario:

    * Nel giugno del 1994 fu collocato in borsa oltre la metà del capitale della Mondadori con un incasso netto di 800 miliardi (quello lordo fu di 990 miliardi); il prezzo delle azioni collocate in borsa fu di 15.000 lire (circa 7,8 euro).
    * A luglio del 1995 fu eseguito un aumento di capitale di Mediaset riservato ad alcuni investitori privati (Kirsh, Rupert, Al Waaled): a fronte del conferimento di 1.200 miliardi di lire, i nuovi soci acquisirono il 15% del capitale (6.800 miliardi il valore attribuito alla società, prima della ricapitalizzazione). Nei mesi successivi le principali banche creditrici di Fininvest convertirono parte dell’esposizione creditoria in azioni Mediaset detenute dalla capogruppo (5,2%).
    * A maggio del 1996 fu collocato in borsa il 23,4% di Mediolanum, società controllata congiuntamente dalla Fininvest e dal gruppo Doris; l’introito complessivo fu di 384 miliardi ripartito tra la società (100 miliardi come aumento di capitale) e i soci (l’incasso di Fininvest fu di circa 100 miliardi perché Doris vendette una quota superiore di azioni). Il prezzo di collocamento fu di 12.000 lire (circa 6,2 euro.)
    *

    A giugno del 1996, avvenne il collocamento in borsa di circa 270 milioni di azioni Mediaset al prezzo di 7.000 lire (circa 3,6 euro) con un introito di circa 1.900 miliardi di lire.

    Fuori dai mercati regolamentati, la catena “Euromercato” fu ceduta a un gruppo francese della grande distribuzione.

    Alla fine del 1996 il gruppo Fininvest aveva azzerato l’indebitamento finanziario, iscritto in bilancio enormi plusvalenze e manteneva il controllo di:

    * Mediaset, con circa il 50% del capitale.
    * Mondadori, con quasi il 50% del capitale.
    * Mediolanum, con un patto di sindacato sottoscritto con Ennio Doris (insieme mantenevano il 76% del capitale).
    *

    Milan, con la totalità delle azioni.



    La gestione ordinaria del periodo 1997 - 2005

    Non più gravate da livelli di debito eccessivi, negli anni seguenti le società operative produssero risultati soddisfacenti che sono stati massicciamente distribuiti agli azionisti. A sua volta la capogruppo Fininvest ha costantemente distribuito alle numerose società azioniste (quelle con lo stesso prefisso Italiana holding e suffisso un numero compreso tra 1 e 24) gran parte degli utili.

    Le quotazioni delle azioni crebbero vistosamente, anche in relazione all’andamento generale della borsa: nel 2000 l’azione Mediaset arrivò alla quotazione di 52.000 lire (circa 27 euro).

    Anche per effetto delle ingenti distribuzioni di utili, alla fine del 2004, la capogruppo presentava un indebitamento finanziario netto di 864 milioni euro. Nell’aprile del 2005, la Fininvest ha proceduto al collocamento presso investitori privati del 16,68% del capitale Mediaset a un prezzo per azione di 10,55 euro con un introito superiore a 2 miliardi di euro. Alla fine dell’anno la capogruppo aveva disponibilità finanziarie per circa 760 milioni. Una parte delle azioni cedute è stata in seguito riacquistata e in questo periodo la quota di controllo è pari al 39%.

    Il declino del quinquennio 2005 -2010

    Negli anni più recenti l’andamento di borsa delle società del gruppo Fininvest non è stato favorevole:

    * Nell’ultimo quadriennio, il valore delle azioni Mediaset si è più che dimezzato; a marzo del 2009, la quotazione ha toccato il minimo di 3,1 euro per azione, un prezzo inferiore del 20% a quello del collocamento del 1996.
    * Le azioni Mondadori hanno perso oltre il 70% del loro valore nell’ultimo triennio.
    *

    Il calo dei titoli Mediolanum è stato superiore al 60% in quattro anni; a marzo del 2009 l’azione ha toccato un prezzo minimo di 2,2 euro.

    Agli attuali corsi di borsa, i titoli complessivamente immessi sul mercato dalla Fininvest esprimono un valore ampiamente inferiore a quello di collocamento. Tra il 1994 e il 2010 la capitalizzazione della Mondadori è scesa di oltre il 40%; con riferimento all’ultimo collocamento di titoli Mediaset, la diminuzione di valore è stata di 1,1 mld di euro.



    Secondo i dati consolidati pubblicati sul sito della Fininvest, la performance economica finanziaria del gruppo nel biennio 2007-2009 è stata non particolarmente favorevole; in particolare:

    * Il fatturato è sceso da 6,2 a 5,4 miliardi di euro.
    * L’utile è calato da 366 a 174 milioni (nel secondo semestre del 2008 il gruppo ha chiuso i conti con una perdita di oltre 30 milioni).
    * L’indebitamento finanziario netto, escluso quello del Milan i cui conti non sono consolidati con il metodo integrale, è raddoppiato, passando da 597 a 1.175 milioni.
    * Il patrimonio netto è sceso di 365 milioni.
    *

    Gli investimenti sono calati del 28,5% a 1,4 miliardi.



    Il downsizing del gruppo ha riguardato anche la compagine del personale ridottasi di 3.300 unità e del 15,5%; una parte considerevole degli oneri di ristrutturazione è gravata sui conti pubblici.

    I dati consolidati non danno peraltro conto delle politiche di bilancio, dei rischi e dei punti di debolezza delle società che compongono il gruppo. Nel prossimo articolo approfondiremo le novità che emergono dall’esame dei bilanci di Mediaset, Mondadori, Mediolanun e Milan.

    La Fininvest sta peggio del capo / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

  2. #2
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Frequenze, perché B.vuol restare ministro

    Il premier promette che fra pochi giorni nominerà il sostituto di Scajola allo Sviluppo economico. La poltrona è vuota ormai da 4 mesi: a beneficiarne è Mediaset, che sta per ottenere il suo bottino digitale

    La poltrona è d’oro pur con la correzione ad interim. Il ministero per lo Sviluppo economico, lasciato da Claudio Scajola a maggio per una casa a sua insaputa, fa comodo a Silvio Berlusconi: “Il mio incarico è stato vuoto? No, pieno”.

    Il concorso di bellezza
    In realtà manca una tornata di nomine per fare il pieno completo. Una giuria del ministero per assegnare i cinque multiplex (pacchetti di frequenze) del digitale terrestre che, sul territorio nazionale, corrispondono a circa 25 canali, più un multiplex per la televisione sul telefonino. Una distribuzione (gratuita) di ricchezza con la formula del beauty contest, un “concorso di bellezza” per società già sul mercato con buone referenze e lunghi trascorsi. Sintesi dell’annuncio: no perditempo, sì a Mediaset. Com’è possibile svendere la banda larga? Com’è possibile intasare un mercato di monopoli? Con spezzatini delle frequenze pensati su misura per l’azienda del presidente del Consiglio, un’istruttoria aperta e chiusa dall’Unione europa e il governo italiano che rinuncia – secondo stime non ufficiali dell’Autorità di garanzia – a 3,5 miliardi di euro e, particolare da bollino rosso, a favorire la crescita delle telecomunicazioni.

    I governi di mezzo mondo hanno preferito sfruttare il passaggio dalla televisione analogica al digitale per incassare miliardi vendendo all’asta le frequenze liberate dal cambio di tecnologia: 19 miliardi per gli Stati Uniti, 8 per la Germania e così in fila Gran Bretagna, Francia e Olanda. Ma l’Italia ha solo confezionato grandi regali per due (o tre) grandi operatori e il governo si accontenta di ricevere l’uno per cento sul fatturato annuale. All’estero sono più severi: 4 o 5 per cento.

    Il passaggio dall’analogico al digitale ha premiato con dieci multiplex Rai e Mediaset, tre Telecom Italia media (La7) e il resto a emittenti nazionali come Rete A (l’Espresso), Telecapri ed Europa 7. I cinque multiplex da assegnare doveva rientrare nel “dividendo digitale”, un mucchio di frequenze da vendere all’asta per diffondere le connessioni veloci nelle periferie italiane e sostenere un traffico dati in aumento e dunque pericolante: “Rischiamo il collasso con i telefonini e Internet”, avvisava Corrado Calabrò (presidente Agcom) nella relazione annuale alla Camera. Con un incastro di categorie e sigle, in una delibera dell’anno scorso criticata dai commissari Nicola D’Angelo e Sebastiano Sortino, l’Agcom ha diviso i cinque multiplex in A (tre) e in B (due). Per il gruppo B corrono Mediaset e Rai, vincenti quotati a zero perché ormai sicuri. Mentre le emittenti più piccole si contenderanno i tre multiplex del gruppo A. Un multiplex aggiuntivo fa gola a Mediaset: “Vogliono creare una televisione in altissima definizione. Più tecnologia significa più spazio, ma pretendono più spazio senza toccare l’offerta attuale”, spiegano all’Autorità. E poi c’è la partita uno contro nessuno per una rete mobile: “Anche qui partecipa soltanto Mediaset”, interessata a prevenire la concorrenza potenziale dei contenuti via cellulare.

    Il regalo digitale
    Berlusconi promette: “La prossima settimana avremo il nome del successore di Scajola al ministero”. Ma forse dovrà pazientare un mese, non di più, perché il concorso di bellezza è pronto. L’Agcom ha ricevuto il timbro dall’Unione europea sulle regole del gioco, ora tocca al ministero incaricare la giuria e iniziare le sfilate in passerella. Il viceministro Paolo Romani ha un appunto sull’agenda: “Siamo all’ultimo chilometro. Presto sistemeremo i 5 multiplex, poi passeremo al dividendo digitale”. Il mistico “dividendo” è povero di frequenze perché la televisione ha preso l’impossibile. E così per imbiancare le vecchie telecomunicazioni – in un momento di innovazione che mai più tornerà – il governo di destra farà espropri di massa alle televisioni locali: “Decine di loro sono poveri di risorse e palinsesti: chiederemo di fare dei consorzi oppure di cederci le reti”, dice il viceministro al Fatto. Cedere gratis o il governo comprerà frequenze per poi venderle? “Non posso escluderlo. Ma per capire dobbiamo aspettare una legge”. E poi eventuali ricorsi, impugnazioni, risarcimenti. Spariti i nuovi operatori per ravvivare un mercato fermo agli anni Ottanta, bloccati i buoni propositi di Sky, pista libera per Mediaset: la penna del conflitto d’interessi, anche se pesa, fa un gran bene a Berlusconi e ai suoi affari.

    Da il Fatto Quotidiano del 4 settembre 2010

  3. #3
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Citazione Originariamente Scritto da Furlan Visualizza Messaggio
    Frequenze, perché B.vuol restare ministro

    Il premier promette che fra pochi giorni nominerà il sostituto di Scajola allo Sviluppo economico. La poltrona è vuota ormai da 4 mesi: a beneficiarne è Mediaset, che sta per ottenere il suo bottino digitale

    La poltrona è d’oro pur con la correzione ad interim. Il ministero per lo Sviluppo economico, lasciato da Claudio Scajola a maggio per una casa a sua insaputa, fa comodo a Silvio Berlusconi: “Il mio incarico è stato vuoto? No, pieno”.

    Il concorso di bellezza
    In realtà manca una tornata di nomine per fare il pieno completo. Una giuria del ministero per assegnare i cinque multiplex (pacchetti di frequenze) del digitale terrestre che, sul territorio nazionale, corrispondono a circa 25 canali, più un multiplex per la televisione sul telefonino. Una distribuzione (gratuita) di ricchezza con la formula del beauty contest, un “concorso di bellezza” per società già sul mercato con buone referenze e lunghi trascorsi. Sintesi dell’annuncio: no perditempo, sì a Mediaset. Com’è possibile svendere la banda larga? Com’è possibile intasare un mercato di monopoli? Con spezzatini delle frequenze pensati su misura per l’azienda del presidente del Consiglio, un’istruttoria aperta e chiusa dall’Unione europa e il governo italiano che rinuncia – secondo stime non ufficiali dell’Autorità di garanzia – a 3,5 miliardi di euro e, particolare da bollino rosso, a favorire la crescita delle telecomunicazioni.

    I governi di mezzo mondo hanno preferito sfruttare il passaggio dalla televisione analogica al digitale per incassare miliardi vendendo all’asta le frequenze liberate dal cambio di tecnologia: 19 miliardi per gli Stati Uniti, 8 per la Germania e così in fila Gran Bretagna, Francia e Olanda. Ma l’Italia ha solo confezionato grandi regali per due (o tre) grandi operatori e il governo si accontenta di ricevere l’uno per cento sul fatturato annuale. All’estero sono più severi: 4 o 5 per cento.

    Il passaggio dall’analogico al digitale ha premiato con dieci multiplex Rai e Mediaset, tre Telecom Italia media (La7) e il resto a emittenti nazionali come Rete A (l’Espresso), Telecapri ed Europa 7. I cinque multiplex da assegnare doveva rientrare nel “dividendo digitale”, un mucchio di frequenze da vendere all’asta per diffondere le connessioni veloci nelle periferie italiane e sostenere un traffico dati in aumento e dunque pericolante: “Rischiamo il collasso con i telefonini e Internet”, avvisava Corrado Calabrò (presidente Agcom) nella relazione annuale alla Camera. Con un incastro di categorie e sigle, in una delibera dell’anno scorso criticata dai commissari Nicola D’Angelo e Sebastiano Sortino, l’Agcom ha diviso i cinque multiplex in A (tre) e in B (due). Per il gruppo B corrono Mediaset e Rai, vincenti quotati a zero perché ormai sicuri. Mentre le emittenti più piccole si contenderanno i tre multiplex del gruppo A. Un multiplex aggiuntivo fa gola a Mediaset: “Vogliono creare una televisione in altissima definizione. Più tecnologia significa più spazio, ma pretendono più spazio senza toccare l’offerta attuale”, spiegano all’Autorità. E poi c’è la partita uno contro nessuno per una rete mobile: “Anche qui partecipa soltanto Mediaset”, interessata a prevenire la concorrenza potenziale dei contenuti via cellulare.

    Il regalo digitale
    Berlusconi promette: “La prossima settimana avremo il nome del successore di Scajola al ministero”. Ma forse dovrà pazientare un mese, non di più, perché il concorso di bellezza è pronto. L’Agcom ha ricevuto il timbro dall’Unione europea sulle regole del gioco, ora tocca al ministero incaricare la giuria e iniziare le sfilate in passerella. Il viceministro Paolo Romani ha un appunto sull’agenda: “Siamo all’ultimo chilometro. Presto sistemeremo i 5 multiplex, poi passeremo al dividendo digitale”. Il mistico “dividendo” è povero di frequenze perché la televisione ha preso l’impossibile. E così per imbiancare le vecchie telecomunicazioni – in un momento di innovazione che mai più tornerà – il governo di destra farà espropri di massa alle televisioni locali: “Decine di loro sono poveri di risorse e palinsesti: chiederemo di fare dei consorzi oppure di cederci le reti”, dice il viceministro al Fatto. Cedere gratis o il governo comprerà frequenze per poi venderle? “Non posso escluderlo. Ma per capire dobbiamo aspettare una legge”. E poi eventuali ricorsi, impugnazioni, risarcimenti. Spariti i nuovi operatori per ravvivare un mercato fermo agli anni Ottanta, bloccati i buoni propositi di Sky, pista libera per Mediaset: la penna del conflitto d’interessi, anche se pesa, fa un gran bene a Berlusconi e ai suoi affari.
    Da il Fatto Quotidiano del 4 settembre 2010
    Un governo Berlusconi che fa leggi contro berlusconi lo vorrei vedere....

    Quindi i soliti comunisti si preparano a vincere, senza merito, le elezioni.

    Ah, naturalmente le leggi berlusconiane rimarranno tutte.
    Addio Tomàs
    siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i 5 stelle

  4. #4
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    L'andamento del valore borsistico del titolo rispecchia l'andamento del mercato azionario nel quinquennio di riferimento.
    Il calo di fatturato rispecchia l'andamento della crisi economica nell'ultimo triennio.

    Ce ne fossero così di aziende in Padania. Tranquillo... gode di ottima salute.
    Sono Cristiano, Bianco, Etero, Insubre, Favorevole al porto d'armi. Domande?

  5. #5
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Citazione Originariamente Scritto da NoNickNAme Visualizza Messaggio
    L'andamento del valore borsistico del titolo rispecchia l'andamento del mercato azionario nel quinquennio di riferimento.
    Il calo di fatturato rispecchia l'andamento della crisi economica nell'ultimo triennio.

    Ce ne fossero così di aziende in Padania. Tranquillo... gode di ottima salute.
    Non è l' unica preoccupazione

    Quo Media - Sky supera Mediaset per fatturato

  6. #6
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Ecco perche non c'è premura di andare ad elezioni

    http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/TT6/TT6FD.pdf

  7. #7
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Ripeto, ce ne fossero così di aziende in Padania, invece è pieno di furbetti che depredano il territorio e poi esportano i capitali.
    Sono Cristiano, Bianco, Etero, Insubre, Favorevole al porto d'armi. Domande?

  8. #8
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    NNN, ultimamente stai poco bene?

  9. #9
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Non c'è niente di male nell'ammettere che Mediaset è una società fiorente e che fa utile, in una situazione generale di depressione economica. Logicamente sappiamo tutti quello e quelli che ci sono dietro... ma non è che Murdock stia in piedi con le avemarie.
    Sono Cristiano, Bianco, Etero, Insubre, Favorevole al porto d'armi. Domande?

  10. #10
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    Predefinito Rif: La Fininvest sta peggio del capo

    Ah, ok. Cominciavo a disperare

 

 
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