Lui non ha paura, perché fa con onore il suo mestiere. Ma i cittadini sì, perché ogni giorno che passa c’è una malavita disperata che vuole ammazzarlo. E lo Stato deve difendere i propri uomini, quelli che lo servono contro il crimine. Nel mirino – ma sembra che se ne siano accorti solo nelle Marche – c’è un questore, si chiama Antonio Pignataro, lavora a Macerata. In quella che sembrava la tranquilla provincia italiana, la sicurezza va garantita con le maniere forti di un questore che non si risparmia e per questo si fa nemici. “I love sbirri morti”, “Pignataro teso”, “Pignataro morto”, scrivono sui muri in città e in provincia.

E’ un unicum rispetto al panorama nazionale. Certo, ovunque chi comanda sull’ordine e la sicurezza pubblica assieme al prefetto, non è gradito ai delinquenti. Ma solo a Macerata la sfrontatezza arriva al punto di minacciare pubblicamente un questore.


Il pensiero corre a Pamela Mastropietro, massacrata dalla mafia nigeriana. Droga; come nel tristemente noto Hotel House di Porto Recanati; droga e affari enormi che muovono interessi giganteschi. Pignataro la spiega così: “Lotta senza confine nei confronti della criminalità italiana e straniera dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti e alla gestione della ‘cannabis legale’, con i negozi che sono stati tutti sottoposti a sequestro e chiusura”.

Delinquenti nostrani e criminali d’importazione: una miscela terribile che se metti nel mirino è pronta a ribellarsi. E se si arriva a dire pubblicamente che vogliono morto quel questore è per creare una sorta di macabro “consenso” sociale contro chi mina gli affari illegali nel territorio. Comandiamo ancora noi, dicono trafficanti e spacciatori che si sentono sotto assedio. E la gente si faccia i fatti propri, chiuda le finestre, che con lo sbirro ce la vediamo noi.

Ci vuole un salto di livello culturale, invece. Perché alla fine Pignataro si sentirà solo. Il suo caso deve emergere con forza, sulla rete e sui giornali, bisogna spingere i cittadini a combattere dalla parte della legge, a denunciare ogni angolo dove si spaccia. Perché da troppo tempo c’è assuefazione alla droga, non fa più notizia la morte per overdose: eppure se ne vanno al Creatore un mare di giovani e meno giovani ogni anno.

Nella periferia italiana questi eroi del nostro tempo devono essere accompagnati anche dalla cultura. La tolleranza verso l’immigrazione clandestina porta a chiudere un occhio e pure l’altro sui reati che si commettono ma non ce lo possiamo permettere più. Anche perché se ci si abitua a convivere con l’illegalità, tanto per restare a Macerata, non fermi neppure i giustizieri alla Luca Traini, tanto per intenderci, come nota il sindacato di polizia Mosap, che non ha voluto far mancare sin dall’inizio la sua solidarietà a Pignataro.

Contro la droga bisogna essere ossessivi, vorremmo permetterci di dire anche al presidente Mattarella. C’è bisogno di messaggi quasi quotidiani, che entrino nelle viscere della società, che elevino a valore la cultura della vita contro i mercanti di morte. Chi sostiene ancora che drogarsi è un diritto, ammazza i nostri figli e si schiera contro uomini coraggiosi come quel questore di Macerata. Chi non comprende che le frontiere aperte ai clandestini fanno crescere il mercato degli stupefacenti è un irresponsabile.

Chi sottovaluta la mafia nigeriana è un criminale.

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