di Massimo L. Salvadori – “Mondoperaio”, maggio 1979, pp. 11-15.
Se è vero che senza la realizzazione dell’alternativa non c’è rinnovamento della società italiana, non ci si può sottrarre all’interrogativo circa gli ostacoli che si frappongono alla preparazione delle condizioni che all’alternativa possono condurre. E non c’è dubbio che l’ostacolo maggiore viene del PCI, che non riconosce il principio stesso dell’alternanza.
Credo che sia difficile non cogliere l’inquietudine che si manifesta in modo crescente nel paese. E credo sia altrettanto difficile, anche per il più inveterato ottimista, non rendersi conto che questa inquietudine tanto più si approfondisce quanto più cresce il divario fra le esigenze della società italiana e la capacità del partiti di rispondere ad esse. Per questo convengo pienamente con la diagnosi di Bobbio, secondo cui “il sistema politico appare bloccato, e ciò nel pieno di una crisi economica, politica, soprattutto morale”[1]. Se si considera, infatti, che la naturale funzione di un sistema politico è quella di dar vita a governi in grado di dirigere la società, un sistema nel quale le forze politiche non riescono a risolvere il problema che è loro demandato dal corpo sociale finisce per apparire, anziché uno strumento per eliminare e attenuare gli elementi di crisi che sorgono nella società, esso stesso produttore di crisi. È questa la classica condizione nella quale la società entra in uno stato di tensioni a spirale e in cui, al limite, le istituzioni possono venir messe in discussione.
L’elettore frustrato
So bene che dire che in Italia i partiti in generale non riescono più a interpretare in maniera adeguata le esigenze sociali è affermazione che nessun partito gradisce. Quel che ogni partito invece non solo gradisce ma desidera è che si dica che il sistema politico non funziona, o funziona male, per responsabilità di un altro o di altri partiti.
Eppure, se è vero che il sistema politico è bloccato, lo è perché i rapporti dell’insieme dei partiti fra di loro determinano questa condizione. Il che, sia chiaro, non vuol significare affatto che i partiti in quanto tali non possano adempiere la funzione che loro viene attribuita dai cittadini. Quel che si vuol dire è che le linee politiche che i partiti portano avanti costituiscono la causa fondamentale che determina il “blocco”; che o il sistema viene sbloccato oppure ne consegue una crisi di credibilità del sistema dei partiti in quanto tale, vale a dire del sistema della democrazia politica. Ma, prima di andar oltre, mi pare di dover indicare quella che ritengo la sintesi generale dell’incapacità dei maggiori partiti nel loro insieme di far fronte alle esigenze della società: il fatto che essi esprimono la tendenza a chiedere il consenso agli elettori, prima che sulla base di programmi specifici, di contenuti, sulla base di possibili future formule di governo e schieramenti di campo, cui i programmi sono subordinati. Vale a dire che agli elettori ciascun partito dice: datemi più voti e poi vedremo quel che si può fare.
È evidente che in tal modo l’elettore si trova degradato; ed è indotto o a scelte di “fedeltà” o a scelte prive di vera convinzione o a un “ribellismo” protestatario. Poiché, se l’elettore è un tipo disposto a votare per il partito che sente in ogni caso proprio, sarà portato a credere che atto politico valido sia esprimere al sua mentalità gregaria; se è un militante di partito dotato di mentalità critica e razionale verso lo stesso partito cui appartiene, non potrà non sentirsi per certo verso strumentalizzato; se non appartiene a partiti ma è orientato a scegliere fra programmi, non potrà che sentirsi frustrato e spinto o a una scelta poco convinta, dubbiosa, oppure a orientarsi verso forme “punitive” di protesta: dalla scheda bianca al voto per un partito che della protesta appaia interprete; se, infine, aderisce per convinzione alla politica come protesta, allora in una situazione come questa si sentirà pesce in acqua abbondante.
La conseguenza è la perdita di peso degli atteggiamenti critici e razionali nelle scelte politiche, e la crescita opposta di peso degli atteggiamenti gregari da un lato e protestatari dall’altro (i quali erroneamente e solo interessatamente possono essere in toto liquidati come “qualunquistici”, in quanto, se un problema di qualunquismo esistesse, esso è tanto più condannabile in chi lo produce che in chi lo manifesta). Che tutto ciò non giochi a favore di una sana democrazia politica non è evidente solo ai ciechi. E solo dei ciechi possono pensare che nessuno si appresti a sfruttare la situazione.
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[1] Vedi l’intervista di Norberto Bobbio, Le radici della crisi italiana, sul n. 4/1979 di “Mondoperaio”.