Solo l'Oriente ci potrà curare
La filosofia "non salva, agita", dice Cacciari. Ma è per ciò che l'Europa infelice si volge sempre più verso altre tradizioni di pensiero
GUIDO CERONETTI, La Stampa, 27/7/2009
Un paio di risposte di Massimo Cacciari nell’intervista di Alain Elkann (La Stampa, 19 luglio) che tratta del suo ultimo saggio Hamletica meritano di essere circoscritte in vista di una riflessione. Le riporto: «Sì, il pensiero filosofico non salva. È questa la differenza tra filosofia e fede. Una differenza insuperabile». E sotto, alla domanda dell’intervistatore: «Da questo ragionare è quindi esclusa la felicità?», Cacciari: «Il termine filosofia non è orientale, è greco, non c’è niente da fare: la filosofia non salva, agita. E fa questo effetto da Socrate in poi». Da sottolineare: «non salva, agita», che rende perplessi e sgomenti.
L’unico appiglio resterebbe la fede religiosa tradizionale, dal momento che, senza una via che indichi l’approdo a una felicità vera, dunque non fatta di istanti felici che poi diventeranno ricordi pieni di spine, ma permanente e sicura, non c’è da rallegrarsi: ma se anche la certezza che ci sia salvezza nella e dalla fede è messa in dubbio? La felicità superstite resterebbe allora quella di Qohélet, né filosofica né religiosa, del puro godimento materiale, dono considerato divino, e l’unico, perché un Dio semitico, fin dai tempi di Babilonia, tiene per sé la sapienza.
Spinoza, con la sua gerla cartesiana, percorre nella esclusiva ricerca di una ricetta per liberarsi e liberare gli esseri umani dal peso delle felicità vacue o parziali il suo intero cammino. Trovata a fatica, quella ricetta resta una pura astrazione, ci lascia inappagati: ma forse, come si dice dei tesori nascosti, la felicità è nello sforzo che si fa a cercarla. «Dopo aver letto la Critica della ragione pratica vivo in un mondo nuovo» (Fichte, lettera dell’agosto 1790). E si comprende: in questo libro di Kant, tutto quel che viene demolito nella Ragione pura (le speranze cieche) è recuperato in essenza.
A me, la sensazione di vivere in un mondo nuovo la diede il testo sanscrito della Bhagavad Gita, un mucchio di anni fa. Aprirlo a caso è una mano di soccorso. Non promette felicità impossibili, ma una salvezza fuori dall’illusione dell’esistenza. È l’Oriente, coi suoi balsami per ogni ferita, e da tempo l’Europa colta se n’è accorta. Paradossalmente mi dà felicità Heidegger, che non è confortante per niente, però ti trasporta in un mondo esistenziale talmente astratto da costituire una specie di felicità matematica (che chi la prova dice tale): si capisce, l’effetto è di breve durata, il tempo di una sonata per pianoforte...
Se la filosofia servisse soltanto ad agitarci, come afferma Cacciari, tutti i libri dei filosofi sarebbero già stati da un pezzo messi da parte, come farmaci inutili e dannosi. La filosofia è calmifera, oppure non merita il suo bel nome greco. Il filosofo agitatore più noto è Nietzsche, che si voleva dinamite, e anche per questo ne ho diffidato sempre - filosofia e dionisiaco non coincidono. Dalla scena tragica viene pensiero (e del più grande) che non finirà mai di fluire sull’Occidente, ma non sono le voci addolorate del coro tragico a far zampillare bisogni e appagamenti filosofici. Vivo e operante è ancora il Saggio sulla pace perpetua, una medicazione per le ferite dell’Europa, mentre la parola dei tragici è ininfluente a mitigare l’amaro della storia e dell’esistenza, illumina per un istante, e il buio lo riavvolge.
Trapelano mille angosce dai versi di Lucrezio, che tuttavia trova rifugio dagli spaventi della Natura nella dottrina epicurea, ignota ai tragici e concepita come rimedio dell’infelicità. Dirà Cacciari che la filosofia di Epicuro non salva: Lucrezio invece testimonia il contrario, come fosse uscito guarito dalla piscina di Lourdes. Se Epicuro l’avesse agitato soltanto, l’avrebbe fuggito subito, per niente grato al Maestro. Ci sono filosofie che salvano per un certo tempo: l’epicureismo e specialmente lo stoicismo hanno dato balsami alle grandi, devastanti malinconie romane, fino a che non subentrò vittoriosamente l’in hoc signo vinces della croce cristiana, che oggi non salva più, e l’Europa ne porta il lutto, e sempre più si volta verso le filosofie orientali e quelle di sempre in cerca dell’introvabile chiave della felicità.
Un grande disastro è stato credere di averla trovata nel progresso scientifico e tecnologico: questa via è senza uscita, se è una felicità immateriale la sola perseguibile. Cacciari conclude l’intervista invitando saggiamente a non ritenere che «la nostra ragione sia l’unica»: il razionalismo dominante è una galera ideologica e padre d’infelicità permanente. «Chi vede me in tutte le cose e tutte le cose in me, per lui io non sono perduto, per me egli non è perduto». (Bhagavad Gita, VI, 31).