User Tag List

Pagina 2 di 5 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 50
  1. #11
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    Solo l'Oriente ci potrà curare

    La filosofia "non salva, agita", dice Cacciari. Ma è per ciò che l'Europa infelice si volge sempre più verso altre tradizioni di pensiero

    GUIDO CERONETTI, La Stampa, 27/7/2009


    Un paio di risposte di Massimo Cacciari nell’intervista di Alain Elkann (La Stampa, 19 luglio) che tratta del suo ultimo saggio Hamletica meritano di essere circoscritte in vista di una riflessione. Le riporto: «Sì, il pensiero filosofico non salva. È questa la differenza tra filosofia e fede. Una differenza insuperabile». E sotto, alla domanda dell’intervistatore: «Da questo ragionare è quindi esclusa la felicità?», Cacciari: «Il termine filosofia non è orientale, è greco, non c’è niente da fare: la filosofia non salva, agita. E fa questo effetto da Socrate in poi». Da sottolineare: «non salva, agita», che rende perplessi e sgomenti.

    L’unico appiglio resterebbe la fede religiosa tradizionale, dal momento che, senza una via che indichi l’approdo a una felicità vera, dunque non fatta di istanti felici che poi diventeranno ricordi pieni di spine, ma permanente e sicura, non c’è da rallegrarsi: ma se anche la certezza che ci sia salvezza nella e dalla fede è messa in dubbio? La felicità superstite resterebbe allora quella di Qohélet, né filosofica né religiosa, del puro godimento materiale, dono considerato divino, e l’unico, perché un Dio semitico, fin dai tempi di Babilonia, tiene per sé la sapienza.

    Spinoza, con la sua gerla cartesiana, percorre nella esclusiva ricerca di una ricetta per liberarsi e liberare gli esseri umani dal peso delle felicità vacue o parziali il suo intero cammino. Trovata a fatica, quella ricetta resta una pura astrazione, ci lascia inappagati: ma forse, come si dice dei tesori nascosti, la felicità è nello sforzo che si fa a cercarla. «Dopo aver letto la Critica della ragione pratica vivo in un mondo nuovo» (Fichte, lettera dell’agosto 1790). E si comprende: in questo libro di Kant, tutto quel che viene demolito nella Ragione pura (le speranze cieche) è recuperato in essenza.

    A me, la sensazione di vivere in un mondo nuovo la diede il testo sanscrito della Bhagavad Gita, un mucchio di anni fa. Aprirlo a caso è una mano di soccorso. Non promette felicità impossibili, ma una salvezza fuori dall’illusione dell’esistenza. È l’Oriente, coi suoi balsami per ogni ferita, e da tempo l’Europa colta se n’è accorta. Paradossalmente mi dà felicità Heidegger, che non è confortante per niente, però ti trasporta in un mondo esistenziale talmente astratto da costituire una specie di felicità matematica (che chi la prova dice tale): si capisce, l’effetto è di breve durata, il tempo di una sonata per pianoforte...

    Se la filosofia servisse soltanto ad agitarci, come afferma Cacciari, tutti i libri dei filosofi sarebbero già stati da un pezzo messi da parte, come farmaci inutili e dannosi. La filosofia è calmifera, oppure non merita il suo bel nome greco. Il filosofo agitatore più noto è Nietzsche, che si voleva dinamite, e anche per questo ne ho diffidato sempre - filosofia e dionisiaco non coincidono. Dalla scena tragica viene pensiero (e del più grande) che non finirà mai di fluire sull’Occidente, ma non sono le voci addolorate del coro tragico a far zampillare bisogni e appagamenti filosofici. Vivo e operante è ancora il Saggio sulla pace perpetua, una medicazione per le ferite dell’Europa, mentre la parola dei tragici è ininfluente a mitigare l’amaro della storia e dell’esistenza, illumina per un istante, e il buio lo riavvolge.

    Trapelano mille angosce dai versi di Lucrezio, che tuttavia trova rifugio dagli spaventi della Natura nella dottrina epicurea, ignota ai tragici e concepita come rimedio dell’infelicità. Dirà Cacciari che la filosofia di Epicuro non salva: Lucrezio invece testimonia il contrario, come fosse uscito guarito dalla piscina di Lourdes. Se Epicuro l’avesse agitato soltanto, l’avrebbe fuggito subito, per niente grato al Maestro. Ci sono filosofie che salvano per un certo tempo: l’epicureismo e specialmente lo stoicismo hanno dato balsami alle grandi, devastanti malinconie romane, fino a che non subentrò vittoriosamente l’in hoc signo vinces della croce cristiana, che oggi non salva più, e l’Europa ne porta il lutto, e sempre più si volta verso le filosofie orientali e quelle di sempre in cerca dell’introvabile chiave della felicità.

    Un grande disastro è stato credere di averla trovata nel progresso scientifico e tecnologico: questa via è senza uscita, se è una felicità immateriale la sola perseguibile. Cacciari conclude l’intervista invitando saggiamente a non ritenere che «la nostra ragione sia l’unica»: il razionalismo dominante è una galera ideologica e padre d’infelicità permanente. «Chi vede me in tutte le cose e tutte le cose in me, per lui io non sono perduto, per me egli non è perduto». (Bhagavad Gita, VI, 31).

  2. #12
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    Ceronetti battagliero va alla guerra
    Lo scrittore e drammaturgo in scena al Piccolo Grassi con "Quando si alza il tiro", racconti e canzoni sul primo conflitto mondiale: "Mio padre mi raccontava dei suoi anni al fronte"

    di SIMONA SPAVENTA



    L'INSEPARABILE basco sulle ventitré, il bastone, un mantello. A 87 anni va alla guerra così Guido Ceronetti, piegato ma non spezzato dagli anni, lucido e disilluso cantore del primo conflitto mondiale da stasera a domenica al Teatro Grassi con Quando il tiro si alza, nuova produzione del Piccolo.

    Iniziamo dal titolo.

    "La frase la disse un capitano inglese, brindava al segnale dell'attacco. Gli ufficiali si erano riuniti prima della battaglia della Somme. La sera del primo giorno, il battaglione era ridotto da ottocento a ottanta uomini. Anche il capitano era morto. Il brindisi lo facciamo anche noi. In scena siamo in sei, io con quattro attori del mio Teatro dei Sensibili, una sorta di coro greco. E una ballerina, che rappresenta la Grande Guerra".

    Strana immagine.
    "Un simbolo. Io non la chiamo la prima guerra mondiale, per me è la madre di tutte le guerre. Ha rotto ogni possibilità di pace sulla terra. Non c'è una prima, una seconda, la guerra fredda, una terza, è un'unica carneficina. È stata una rottura di carattere metafisico, escatologica".

    Perché?
    "Vorrei saperlo. I libri non me lo dicono, ma sento così. Non c'erano mai stati tanti morti prima. E tutte le guerre seguenti sono figlie di quella lì, anche il Vietnam, la guerra israelo-palestinese. È il male, un tumore. Hai delle remissioni, stai bene, poi ti aggredisce di nuovo. Ora non è più sui fronti d'Europa, ma abbiamo la guerra di religione, che non ha più bisogno di essere dichiarata ma è un fatto. E chi si aspettava di viverla? ".

    Lei di guerre ne ha già vissute.
    "Quando è scoppiata la seconda ero un ragazzino, sono del '27. Io non partii, gli ultimi richiamati erano del '24. Era scioccante scendere nei rifugi alle 2 di notte e l'indomani andare a scuola. Ma tutto diventa un'abitudine".

    Della prima ha avuto racconti diretti?
    "Mio padre fece cinque anni al fronte, sul Piave e sul Carso. Ma non ha mai ucciso nessuno. Ce lo raccontava in tutti i momenti, solo che mia madre e io eravamo stufi e non lo ascoltavamo, magari l'avessimo ascoltato. Alla fine gli diedero la pensione, era così contento di quelle 60mila lire, era cavaliere di Vittorio Veneto, l'ha voluto nel necrologio. Significava qualcosa, aveva patito".

    Nello spettacolo come la raccontate?
    "Coi testi di Céline, Zweig, Ernst Jünger, Alfred Döblin, Apollinaire, e poi Guido Piovene, Ungaretti, e mi ci sono messo anch'io in questa bella schiera. E poi c'è la musica, ed è allegra. La Grande Guerra ha cantato molto, e canterò anch'io. Sono invecchiato e la voce è poca, ma sono ancora intonato".

    La pace è possibile?
    "L'uomo non riesce a mettere argine al male perché non è padrone di se stesso, togli la libertà e tutto si spiega. Il poeta greco Giorgos Seferis scrisse: "Chi è che dietro di noi ci ordina di uccidere?". Io non l'ho mai visto in faccia, ma dev'essere un'entità metafisica abbastanza maligna"

  3. #13
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    Guido Ceronetti: "Da Buddha alle marionette, vi svelo le mie mille vite"
    Lo scrittore, saggista, erudito, regista, autore e attore traccia il bilancio di un'esistenza tutta dedicata allo studio dei maestri ma anche i progetti futuri, a cominciare dal teatro, e le riflessioni sul tempo che passa

    di ANNA BANDETTINI


    "Un consiglio a chi non legge? Per carità, se vuole restare cretino, faccia pure ", dice con la sua erre arrotata e l'accento da piemontese. Nessuno come Guido Ceronetti incarna la stravaganza dell'apocalittico, nessuno come lui osserva l'orlo del disastro con tanta compostezza e serenità. Traduttore e curatore eccelso dell'Ecclesiaste, del Libro di Giobbe, del Libro del profeta Isaia, scrittore, saggista, erudito, regista, autore e attore di teatro, questo omino ultraottantenne (il 24 agosto sono 89), con una strana aria da Lucifero sapiente, la voce lenta, il corpo fragile, piegato, parla rannicchiato sulla sedia di legno in cucina, davanti a una tazza di tè verde giapponese.

    Lo scorso inverno è caduto, si è rotto il femore e da allora si è rintanato nella casa di Cetona, "la malamata Cetona" come la chiama nel libro Per le strade della vergine (Adephi), il suo più recente lavoro editoriale, dove riordina la sua vita dal 1988 al 1998 come in un romanzo in tre periodi. Qui, tra i suoi diecimila volumi, non sembra affatto rassegnato alla sofferenza fisica, cerca con coraggio e accanimento di riprendersi. Si sveglia ogni mattina alle 6, scrive a mano fino alle 10, il pomeriggio si fa portare a passeggio dalla signora Tiziana, la sera beve sciroppo d'acero per riposare.

    Che cosa sta scrivendo di nuovo?
    "Quando ero in clinica per passare il tempo ho scritto un opuscolo che a Roberto Calasso dell'Adelphi è molto piaciuto e spero lo pubblichi. Si intitola Per non dimenticare la memoria perché come tutti sono uno che perde memoria, spesso a larghe fette e ne soffro. Allora ho fatto un lavoro e chi lo legge ne sarà beneficato: fornisco qualche esercizio, le poesie, per esempio, fa bene ricordarle. Foscolo, Baudelaire, Dante. E poi le vie, le canzoni. Le date che ho molto coltivato. Preservare la memoria dall'oblio è difendersi dall'assenza del pensiero che dilaga. Vedere questa umanità che viene su per godere solo di un mondo scempiato dai padri, priva di memoria storica, è una sensazione dolorosa. Non sanno più niente".

    "Umanità segnata dal nulla" scrive degli studenti che escono da scuola in "Le strade della vergine". Feroce.
    "Ma mica solo i giovani. Loro hanno la e-memoria, la memoria elettronica. La battaglia di Waterloo? Quel 18 giugno 1815 vanno a cercarlo lì, su quegli aggeggi. Non hanno bisogno di ricordare. L'invenzione della tecnologia è stata una cosa devastante. E su questo sarei molto pessimista ".

    E sul resto?
    "Nulla giustifica speranze. Il mondo unificato ci vuole incessantemente occupati di lui, e sono solo problemi e orrori. Quello che viene avanti è o questo nulla o l'Is che è la barbarie assoluta. Assoluta. Nel suo libro Esodo il mio amico Domenico Quirico dice che la speranza sono queste masse di disperati che arrivano da noi, una grande rivoluzione che porterà i suoi frutti, dice. Mi pare un'astrazione. Io la vedo come una catastrofe, per noi e per loro. È bello vedere tanti casi commoventi di gente che fa cose grandiose verso coloro che arrivano, ma non si può usare la bontà per 200 o 300 milioni di persone o un miliardo. Nessuno guarda alla bomba biologica. I dati ci dicono che in Africa, nei paesi musulmani, la questione demografica è impressionante. Non è che dopo 200 milioni il flusso finisce. Ma da noi c'è il dogma papale: dobbiamo accoglierli tutti, dice".

    Non le piace papa Francesco?
    "Preferivo Ratzinger, almeno voleva la messa in latino".

    Lei ne fa anche una questione di difesa dei valori occidentali?
    "L'unica civiltà che abbiamo potuto scavare nella belva umana, inventando messianicamente i diritti dell'uomo nel 1789, è questa. Qui almeno la legge, un qualcosa, l'abbiamo. Io penso che non pretendere di fare del bene a dei continenti ma pensare alla salvezza individuale sarebbe già una buona cosa, come insegna il Buddha".

    In "Per le strade della vergine" lei lo cita spesso.
    "La Bhagavadgita è il mio libro sacro (con la Bibbia, Sofocle, Shakespeare, Céline perché lavora nella materia umana bruta, ma è inaccettabile quando fa l'antisemita. E ho molto amato anche Kant, però l'ho capito poco").

    Come mai ha scritto un'autobiografia, che peraltro si interrompe nel 1998?
    "Doveva essere un libro destinato a essere postumo. E a concludersi col secolo. Avevo un mucchio di taccuini ancora da rivedere. Se l'ho pubblicato è per bisogno. E non ho fatto in tempo a finirlo. Le cure costano, e io posso contare sul sostegno della Bacchelli e poco altro".

    E il teatro? È ormai vicino al mezzo secolo di attività.
    "Il teatro mi ossigena. È anima. Adesso ho un progetto di cui ho parlato con lo Stabile di Torino, anzi due.
    Un Macbeth per marionette, che ho fatto cinquanta volte ai primordi, nel 1970 quando mia moglie Erica Tedeschi e io cominciammo a mettere in scena per i nostri amici, a casa nei Castelli, degli spettacoli. Io davo voce ai personaggi fatti con le marionette prese a Natale in piazza Navona, Erica cantava. Poi nell'82, quando ci siamo separati, è finito il teatro d'appartamento e ho proseguito con il teatro di strada, fino a che il Piccolo non ci ha ospitato in sala. Mai stato uno sperimentale, e nemmeno fuori dalle convenzioni perché non ero preparato per quello. Ho fatto teatro da me".


    E l'altro progetto?
    "Una lettura danzata sulla Mantellata di Fontebranda, le lettere di Caterina da Siena".

    Come mai?
    "Sono capolavori come la Divina Commedia, che leggo da tempo immemorabile, perché ho la fortuna di avere i sei volumi dell'edizione di Piero Misciattelli. Mi ha attirato la lingua, come a suo tempo fu per la lingua biblica. Vertici della parola. Parole che sono strumenti sonori e pregnanza, parole che in me hanno risuonato nel loro misticismo ".

    L'amore per la parola sapienziale in lei ha un legame con l'interesse per il magico, l'occulto?
    "Il magico mi attira, ma con il diavolo meglio essere cauti".

    Perché? Crede nel diavolo?
    "Credo nel principio del male, come i Catari. Il male alberga nella creazione che non è opera di un dio buono, ma di un dio che ci si è sforzati invano di rendere buono".

    Un demiurgo cattivo invece del big bang iniziale?
    "Mi avvicino di più al peccato originale come principio. Un giorno mia suocera stava cucinando, e mi chiese se secondo me c'è qualcosa dopo. Io le dissi, sì certamente. Cosa sia non lo so. Un po' mi preoccupa e mi occupa. Mi ci sono avvicinato, dunque tra non molto saprò. Ma i morti che ho sognato, ho visto che sono ben sistemati.
    Liberarsi dal peso della vita deve essere una sensazione di una felicità incomparabile".

  4. #14
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    Samantha, lo spazio e il signor Freud

    GUIDO CERONETTI

    Che senso ha il viaggio e il lungo soggiorno nello spazio di Samantha Cristoforetti? Domandiamoci perché l'abbia voluto affrontare: forse per provare a se stessa e al mondo il proprio sprezzo del pericolo e in specie la sua vittoria, che a me appare per l'eccesso di paura che mi ispira, sulla claustrofobia? Camminare fuori gravità sostenuta da un vuoto immenso, sarebbe una superiore aggiunta di libertà o una vertigine vasocostrittiva da perderci la circolazione e la ragione? L'allenamento astronautico da Marine, l'arsenale sedativo e nutritivo chimico dell'equipaggio, sono sufficienti a persuadere che non avere la terra sotto i piedi è bello? Di fisiologia ginecologica la sfidante intrepida non avrà certamente avuto più nessuna traccia, fin, credo dalla base, come in un evento patologico. Non so, ma quella ragazza sorridente, ormai obbligata a vita alla stranezza del suo record femminile di vacanza extragravitazionale, mi fa molta pena.

    Per un'analisi freudiana si potrà interpretare una donna fluttuante fuori gravità come desiderio soddisfatto di un rapporto incestuoso col padre, senza nozze tragiche, senza esplicazione, irrorazione e amorosa redenzione scenica. Qualcosa di molto simile alla violenza a cui soggiace e a cui consente, nel romanzo Adelphi di cui sono autore "In un amore felice" la protagonista dalla doppia vita Ada dove il Padre esoterico e simbolico evocato emana il proprio sé dagli Elohim, remote vestigia veterotestamentarie.

    Le imprese spaziali non sono portatrici di luce: chiamarle scientifiche è estenderle oltre le mura umane, e sgomenta la veemenza del loro urto con l'ambiente, che dura dai primi Sputnik e Apolli in cui sempre più incollati gli uni agli altri tentiamo di sopravvivere ai maleodoranti purgatori politici. La Civitas Dei non è più una speranza, la città umana si va trasformando sempre più in un mostro. La nave spaziale è inabitabile, le fughe sui pianeti impossibili. Dateci sogni, sogni, sogni…

  5. #15
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    ROBERT HARRISON


    Foreste

    Già ai tempi di Tacito i barbari di Germania guardavano alle foreste del passato come alla culla della loro razza, proprio come il mito dell’Arcadia, nell’Eneide di Virgilio, si volge a un’epoca remota in cui gli uomini nascevano dai roveri. Tacito ci rammenta che certi boschi erano i luoghi in cui “regna il dio re di tutte le cose, tutti a lui soggette e obbedienti” Questi boschi, sempre secondo Tacito, erano anche i luoghi delle teofanie.

    Attualmente, il “ grande possedimento” tedesco sta letteralmente morendo. Quei sani “alberi e tronchi ben radicati, ricchi di linfa, che assimilano organicamente aria, acque, luce e terra per mantenere la propria forma e la vita individuale” si stanno trasformando in “rami secchi e caduti” della povertà, in un lento processo di decadenza biologica. Nonostante tutti gli sforzi dei Verdi tedeschi per far passare le foreste come l’eredità della patria e le custodi del suo spirito, non c’è molto che la Germania possa fare per ciò che essi chiamano il Waldsterben, la morte della foresta, perché la morte degli alberi é provocata dalla pioggia acida. La pioggia acida non sa nulla di confini nazionali , di unità culturale o di possedimenti comuni.

    Nel frattempo, la nazione tedesca è stata rimessa insieme, come i fratelli le cui teste recise vengono riattaccate al tronco. Che la riunificazione politica possa riunificare le antiche foreste tedesche è dubbio; altrimenti bisognerebbe concludere che tale rianimazione dipende da qualche cosa di più di una radice miracolosa o della bacchetta di una strega.

    Non furono soltanto i boschi preistorici della Germania settentrionale a ospitare gli dèi. Anche in epoche storiche la maggior parte dei templi era circondata da un bosco che si estendeva nelle immediate vicinanze. Talvolta il bosco era un tempio. Dall’iconografia prendiamo che un singolo albero, o un gruppo d’alberi, era talvolta circondato da un muro che delimitava lo spazio del tempio. I devoti vi giungevano in processione e invitavano la loro dea ad apparire danzano estatici intorno all’albero sacro. Al culmine della loro estasi la dea avrebbe rivelato la sua presenza. Rituali come questi testimoniano l’esistenza di un culto degli alberi molto diffuso nelle varia religioni pagane. Grazie alle ricerche svolte da Sir Arthur Evans sappiamo che a Creta, per esempio, lo spirito degli alberi sacri era custodito d a pilastri di legno o di pietra. Nel saffico intitolato Mycenaean Tree and Pillar Cult, Evans ricostruisce i rituali con cui lo spirito di un albero veniva trasferito a una colonna, o fatto dimorare in essa.

    Walden richiama alla nostra mente questa perdita. Di fatto, vivere la perdita significa vivere poeticamente, sapendo che non possediamo il mondo che abitiamo proprio perché non abbiamo ancora trovato il cane da caccia. Dove, se non nella natura, possiamo imparare a sottomettere la natura e a conseguire quindi la nostra umanità – la nostra trascendenza finita, eppure aperta nel suo esito? Thoreau parla di “ vivere con saggezza”, di vivere la vita per quello che è e non per quello che non è. Questo richiede che ci si “pianti davanti alla realtà” e poi si concluda la propria “carriera mortale”. La conclusione di una carriera mortale non giunge alla fine di essa, ma è già implicita in essa fin dall’inizio. Tale conclusione non appartiene al genere delle “rapidi conclusioni” di coloro che immaginano che il Walden Pond sia senza fondo, o che nella loro incertezza assumono che il nostro principale fine sulla terra sia quello di rendere gloria a qualche altro mondo. Essa consiste nella consapevolezza del fatto che si è già perso tutto quello che c’era da perdere e che perciò la vita è data, o condonata, a titolo gratuito.

    Quando pone termine a una carriera mortale, un fatto della vita ci rende consapevoli che c’è qualcosa invece di niente, che la natura è senza una ragione umanaper essere, e che abitiamo nella dadità delle perdita. Questa conoscenza di sé, e solo questa, è la libertà.

    Ma non era proprio questa libertà poetica che l’America prometteva a coloro che volontariamente si abbandonano ai mari della partenza? L’America non fu scoperta proprio nella speranza del condono? Per qualche motivo, non era destino dell’America diventare se stessa, costruire la propria casa sulle fondamenta di un perdita rispetto alla quale sarebbe stato possibile un ritrovamento. Il suo destino era piuttosto quello di sacrificare la propria libertà all’idea di nazione, di riprodurre ed esasperare la furia del possesso e di precipitare nel marasma della no-vita. Invece di una nazione di poeti, è diventata una nazione di debitori, proprietari, negozianti, spettatori, pettegoli, trafficanti in chiacchiere, pregiudizi e informazioni- capitalisti che nella loro strana incertezza sulla vita inseguono le illusioni di un ritrovamento appropriandosi di ogni cosa.

    Nella sua continua fuga dalle conclusioni di una carriera mortale, l’America è diventata non il caput mundi della libertà poetica, bensì il caput mortuum della modernità: il capitalismo si è trasformato in un teschio. L’America sarà per sempre ciò che non è diventata, e Walden rimarrà la sua casa disabitata.

    Da Robert Harrison, Foreste – L’ombra delle civiltà, ed It. Garzanti 1992

    Questo libro è di quelli che raddrizzano, illuminano, purificano, convertono alla verità la Mente. È un testo filosofico che ti fa appartare dal volgo ignobile distruttore, in qualunque luogo, proprio come in una grande, incontaminata per miracolo, foresta. Il mio triste secolo non ne ha risparmiata nessuna, e dov’era la Città ha seminato selve di grattacieli e giungle d’asfalto, e la storia della perdita delle foreste è parallela e indistinguibile dalla storia della perdita dell’uomo conquistatore. Ai distruttori di foreste dobbiamo l’evocazione di Némisis e la moltiplicazione spaventosa di moltitudini accecate ( oggi siamo sette miliardi di geofagi accaniti attorno a quest’osso spolpato Terra che chiamiamo crescita la loro privazione di vita vera ) che tra XIX e XX hanno creato un mondo invivibile, e le foreste con le loro divinità e i loro incantesimi non sono più che materia per la monoindustria del disfacimento.

    Leggete Foreste di Robert Harrison: vi farà vergognare e vi renderà, forse, meno passivi, meno predabili dalle forze del Male.


    Tratto da: Guido Ceronetti, Ti saluto mio secolo crudele, ed Einaudi 2011

  6. #16
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    CARA AMICA

    Un suicidio non è soltanto un gesto, è anche dei motivi importanti per compierlo. I motivi teorici li ho, nell’inaccettabilità indicibile di un simile mondo sfigurato e accecato, in preda a dominazioni di terrore, contro le quali combatto in un modo che piacerebbe a Cervantes, e non senza honra, ma troppo, troppo inutilmente. Mi mancano, perché i motivi diventino gesto, una vera vocazione giovanile e una spinta contingente senile (che tuttavia potrebbe presentarsi) e mi ostacolano la paura, i riguardi, la riluttanza alla ribellione suprema all’Ordine misterioso, di mano divina, di cui anche questo disordine potrebbe essere parte. Inoltre, aspetto Qualcuno, e questo ti dica quanto io viva tra il lucido e l’estatico: Qualcuno che sia un inviato dell’Alto, un Veltro, un redentore la cui luce brilli nelle tenebre… finché si aspetta un evento impossibile, veleni e pistole restano nell’armadio… Ti assicuro che non ne tengo, in casa, eccetto un po’ di varecchina, che mi ricorda l’acqua potabile; dovrei faticare per procurarmeli… Ma motivi ideali per uscire da questa morta vita sono un sollievo e un riparo, una specie di capitale in una banca sicura: si sa che basta uno scarabocchio per riaverli tutti in un colpo. Li vado, per ora, accumulando e ogni tanto passo allo sportello, che non è blindato. Del resto, non mancano molti anni: posso anche, invece di radermi da solo, aspettare che mi faccia cenno il barbiere dalla bottega.

    Tu che un poco mi conosci, sai che tra i miei motivi non può esserci, sebbene giustificatissima, la misantropia. Ero, in gioventù, un lacrimoso filantropo e sono, in vecchiaia, un asciutto filantropo. Pulito, ma filantropo. Darmi del misantropo è quasi ferirmi. Non so da quali pozzi mi venga, ancora, tanta passione umana. Certo non spreco le adulazioni, se sta lì tutta la misantropia… Forse non riesco ad essere misantropo perché non sono misogino, perché non potrei mai odiare le donne. In tutto sono meno colpevoli dell’uomo, anche se stanno facendo grandi sforzi per superarlo in demenza; non ci riusciranno. Mi fa soffrire vederle sfilare in uniforme, fare il dest-front davanti a delle tribune dove salutano delle vecchie sifilidi cariate, servi del male. Le donne arruolate sono una delle più grandi barbarie di questo secolo, quasi come il massacro degli Armeni e dei nostri fratelli ebrei. Le donne in uniforme mi fanno diventare misantropo…

    Mi chiedi notizie della mia infelicità, ma guarda che non è una malattia; in ogni caso non ne sei tu la causa! Non ho vissuto da uomo infelice, tutt’altro: anzi i beaux jours non mi sono stati lesinati, e anche molto intensi, fisici e spirituali, a volte straordinari, vicini al prodigio, inspiegabili… Oggi li rievoco senza soffrire troppo della sopravvenuta penuria. Quando è stato l’ultimo di questi giorni felici? Forse, neppure molti anni fa, una giornata solitaria, in Trentino, quello fu un giorno felice. Non era però una felicità condivisa; queste, da una contagocce che pesca sul fondo… Un giorno veramente felice sembra non riesca a strapparlo più. Neppure tu, col tuo lume tenue, parola lieve, hai potuto indebolire questo ferreo fronte di ore grigie, che rischiara ogni tanto solo la lampada della conoscenza. Questo è un cammino che è stato comune a moltissimi: posso riempire quaderni interi di citazioni. Una geisha ben fatta, con un vero seno e le gambe non troppo corte e non arcuate (dunque piuttosto impensabile), che mi suonasse lo shamisen cantando qualcosa di deliziosamente nostalgico, in un francese da Oriente, appreso in tempi coloniali, e mi massaggiasse a lungo i piedi, ogni giorno, dormendo con me quando io desiderassi questo supplemento di carezza umana e di presenza vitale, potrebbe avvicinarmi di molto a quel che intendo adesso per giorno felice: il solo pensiero di una simile ragazza in arrivo tra un’ora o due, puntuale, mi farebbe fiorire come il bastone di Aronne. Quando torno a Parigi, unico luogo che mi è familiare e che non mi metta spavento fuori di questa malconcia e sconcia Italia, sono a volte tentato di telefonare ai numeri che propongono donne in cambio di non so quanto – forse non molto – denaro, ma finisco sempre per preferire il teatro, la biblioteca e specialmente il giro dei vecchi librai, perché chi sa con quali tetri squallori mentali entrerei a contatto, obbligato anche poi a ripetere atti logori di malavoglia e col rischio, perfino, di questo nuovo contagio che aumenterà il numero degli alcolizzati. Ma è già confortante sapere che si è in una città dove queste cose sono lì, a portata di telefono e di borsa, come un buon servizio di ambulanze. Qui, dove abito, l’unica distrazione sono le fiche di ottobre, ancora staccabili con le proprie mani da una vera pianta con foglie; il cinema quando io sono arrivato era già da tempo sparito. Oh non ci andrei mai al cinema (non offrirebbe nulla di gentile) però mi riscalderebbe piacevolmente sapere che c’è, vicino, una sala e una tenda, dove si agitano ombre di piroscafi e di vestaglie. Direi: stasera al cinema; arriverei fin là, saluterei la cassiera disoccupata e proseguirei il viaggio nella notte. Del tempo cosa dirti: un’infamia, non piove mai! Da più di un anno non piove, poche gocce soltanto, che si perdono subito, come la felicità…

    Tratto da: Guido Ceronetti, Pensieri del Tè, Adelphi

  7. #17
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    CERONETTI: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI-MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70!
    01.04.2014
    Guido Ceronetti per "la Repubblica"

    Una parola infallibile ci dice l'essenziale. Sofocle, Edipo a Colono, dramma della vecchiaia e del suo potere magico, che si paga a caro prezzo: «La più grande sciagura per un uomo è una lunga vita».



    Verità che il volgo aborrisce, contestata rabbiosamente, ma cui bisogna arrendersi: vecchiaia è brutto, vecchiaia protratta è ininterrotto soffrire fino alle peggiori degradazioni di esseri più o meno innocenti. E oggi sono moltitudine. E in Italia più numerosi che altrove. Eppure là, dove si gioca a scacchi interminabilmente la partita perdente con la Morte, qualcosa d'indecifrato, di coniugante cielo e terra, di rivelatore d'essere, si nasconde. A un artista pensante (vedi Bosch, Rembrandt) in modo preminente interessano i vecchi. Togli i vecchi da una città e ne fai una città morta. La loro terribile sofferenza la protegge. Metterli da parte, costringerli all'ozio, abbrutirli di TV e psicofarmaci è un crimine inodoro che attira il male.

    Ma queste sono divagazioni. Va messo in luce questo stupefacente esempio di barbarie medica, politica, sociale: la fabbrica dei giubilati, degli esclusi, dei frustrati del sesso, e dell'amore a sfondo sessuale, a partire da un'età prossima alla settantina, o ancor prima, fino alla spossatezza e alle disperazioni di quelli che la geriatria contemporanea non abbandona neppure al di là dei cento.

    La rinuncia forzata è, approssimativamente, di una trentina d'anni, la durata media del tempo iuvenile. Per disabili e carcerati, in paesi civili, qualcosa si è mosso e si sta muovendo; ma per i vecchi-maschi, eterosessuali, coniugati o soli (quelli di cui posso conoscere meglio e condividere le sciagure della longevità) si muoverà mai qualcuno?

    C'è un notevole vantaggio nella sessualità senile: il cosiddetto istinto che acceca e spinge a procreare (cosa dall'utilità discutibile), piglia altre strade: si depura e spiritualizza, o si perverte e si maializza. Ma spiritualizzarsi non è rinunciare, e la maialità è spiegabile coll'indebolimento del controllo mentale. Giovenale dice che i vecchi hanno tutti le stesse facce (una facies senum): massima sbagliatissima, le stesse facce ce l'hanno i neonati, i vecchi più si fanno orridi più sono caratteristici i loro volti tristi.

    La persistenza del desiderio è madre d'infinite disperazioni, che per lo più non poche chiavi nei nostri sepolcri psichici tengono sepolte. Hillman nel suo mirabile saggio sulla vecchiaia raccomanda di mantenere viva l'immaginazione erotica: benissimo, ma poi come esci da quel tormento?

    Il ricorso alle prostitute non è certo un rimedio. La prostituzione degrada l'uomo, molto più della donna. Del resto le battone sono una specie in estinzione. Ma dal momento che già esiste nell'Europa non cattolica il servizio erotico volontario per i disabili, non dovrebbe essere fatto un passo successivo estendendolo a tutti i vecchi d'immaginazione vivace e di speranza morta?

    Le ierodule erano persone sacre che compivano un servizio presso tutti gli antichi templi d'Occidente come d'Oriente: si tratterebbe di far riemergere secondo una socializzazione d'anno Duemila, quella sacralità femminile, del corpo offerto liturgicamente per amore della Divinità, che certissimamente non è mai morta.

    Non tocca a me, scrittore, dire modalità e legiferare intorno a questo costume che potrebbe diminuire, di poco o di molto, l'aggressiva veemenza delle infelicità
    esistenziali.

    Disse una volta Buddha a un monaco che, in città, aveva frequentato prostitute: - Era meglio per te mettere il tuo arnese tra le fauci di una tigre, piuttosto che tra le gambe di una donna! - E come maestro di salvezza non aveva torto: quelle gambe procurano un'estasi nirvanica di attimi, ma ahimè ti giochi là qualsiasi merito in vista di un Nirvana autentico che ti libererebbe dalla catena delle rinascite, supremo male.

    Però, caro Dottor Buddha, non siamo che poveri esseri mortali, e se ai denti di una tigre preferiamo le carezze compensatrici di una donna illegittimamente giovane - per il diritto di sognare - faremo di colpo scattare l'inesorabile, se la temiamo, punizione karmica? La sofferenza è umana, ma non siamo uomini soltanto per soffrire. Il trenino che porta al Paese delle Nevi di Yasunari Kawabata, qualunque sia la nostra età anagrafica, non è da perdere.

  8. #18
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    CHI CI LIBERERÀ DALLA «CERTEZZA DEL FUTURO»?

    Chi pretende gli sia data «certezza di futuro» o di «un futuro», e la voglia dallo Stato – futuro pronto, ben confezionato, addirittura preconfezionato e personalizzato – certamente non dimostra che un poco di pensiero lo abiti. Un vertice d’imbecillità è proprio del politico d’opposizione che rimprovera un governo di «non pensare al futuro dei giovani», e del politico al potere che replica al rimprovero con la formula di uguale forza che, al contrario, non fa che pensare «al futuro dei giovani» o perché «i giovani abbiano un futuro certo». Sono manette mentali. Si può dire che è giovane chiunque preservi la sua mente dalle manette e non ponga limiti all’inevitabile, necessaria, nobile, liberatrice incertezza del futuro. I venditori di futuri sono anime vendute. L’uomo pensa, altro non ha che il pensare – non al futuro, ma a Ciò-che-è. Ci sarebbe moltissimo da fare ripulendo le Napoli del linguaggio dai sacchi di materia guasta che si buttano per le vie della parola (e là rimangono) e diffondono colera e diossina ogni giorno. A volte mi stupisco: possibile, è appena uscito dall’infanzia e già in quella mente si sono ammucchiate tante immondizie da impedire alla mente di pensare! Lamento dell’incertezza di futuro: uguale città, cittadella mentale invasa dai rifiuti. I luoghi comuni non sono innocue scempiaggini senza senso. Sono banditi assetati di sangue, nemici osceni, maschere smorte, vampiri. Guardarsi da questo popolo dell’ombra. Qualunque cosa sia per essere, senza essersi ancora manifestata, è schiumare d’ombre. Stralcio due osservazioni fondamentali dal meraviglioso, inesauribile libro La filosofia degli assassini di Colin Wilson (Longanesi, 1972): «L’Occidente ha raggiunto da oltre cent’anni la società opulenta, e non è mai stato più chiaro d’oggi che l’uomo non è un essere che possa accontentarsi di benessere e comodità». All’inizio dell’ultimo capitolo ricorda il concetto fondamentale di Maslow: «La natura dell’uomo ha dei piani superiori ai quali innalzarsi». So ancora a memoria la conclusione del libro: «Privato dei significati che oltrepassano la sua esistenza quotidiana, l’uomo si riempie di disgusto e di livore, e in qualche caso passa alla violenza. E una società che non sappia aprire vie di sfogo alle passioni ideali degli uomini chiede di essere ridotta in macerie dalla violenza». La frustrazione dei giovani di questo oltreduemila che si annuncia violentissimo, e prodigiosamente insaziabile di comodità, benessere e lotterie, ha qui le sue radici. Nessuna università al mondo mi sembra in grado di poter comprendere una verità così semplice; così povera da non essere neppure discutibile. In grado di comprendere che dai binari dove corrono le locomotive dell’Alta Velocità verso il ponte crollato dove confluiscono, non arrivano voci che avvertano che fin dalla stazione anteriore alla partenza il binario era sbagliato. Fin dal 1968 le rivolte e le proteste sono e saranno segnate da una oscura barbarie, per ignoranza del fine del contendere: perché volere le stesse cose che il sistema tecno-industriale e la società dei consumi propongono è attrazione verso il proprio futuro male. Non c’è incertezza del futuro: c’è sciaguratamente la certezza che un altro futuro non sia neppure concepibile, sia di qua che di là dalle zone dove i cortei vanno a cozzare perché fondamentalmente ancora una volta incapaci di comprendere che dall’altra parte degli scudi alzati c’è uno smarrimento anche maggiore (non solo da noi ma dovunque): «Ma se gli offriamo proprio le stesse cose che pretendono!». Nel pensiero dominante non ci sono smagliature: l’opposizione legalitaria sostiene con un conformismo delirante: «È ridicolo quel che offrite! Noi gli daremo il doppio, il triplo, la certezza dalla nascita alla pensione, della casa, eccetera…». Non c’è analista politico che, sia pure senza pompa, con un secchiello di buon senso illuminato, versi altro che benzina in questi cori di demenze incrociate. Che gli sussurri la parola di Maslow: l’uomo ha dei piani superiori ai quali innalzarsi. Smaniosi di salire dietro a quella locomotiva, ne seguirete il destino. Ma la greca infallibile Némesis, chi ha studiato un po’, se l’è proprio scordata? È sempre viva. È sempre là. Se gli occhi mirabilmente si aprissero, sarebbe visibile dappertutto.


    Tratto da: Guido Ceronetti, Tragico tascabile

  9. #19
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    PERCHÉ SE IL VEGETARIANISMO È OGGI PURGATORIO, LA CARNE È DUE VOLTE INFERNO

    Non sembra facile, oggi, una difesa del vegetarianismo. Non solo tutti idolatrano il vitello carneo: il nutrimento alternativo, da contrapporgli, è scadente, povero e pericoloso. Nei catechismi vegetariani tradizionali si agita un mondo d’ombre. La polpa matura dei frutti, la potenza degli alimenti crudi, la virtù risuscitativa del miele, la perfezione del latte, lo splendore del burro, l’incanto dei formaggi, l’inesauribile bellezza del pane, l’eccellenza curativa del vino, la regalità dell’olio d’oliva, le profondità energetiche dell’uovo di gallina. Guai a sbucciare un frutto; lavare poco; seguire sempre i ritmi stagionali. In autunno, fra i tralci, a sguazzare nell’uva nera; noci umide di mallo, pannocchie di granturco dorate nel burro. Inverno: agrumi e castagne. Primavera: grandi vasi di fragole di bosco, condite con pòllini. Estate: tutto il giallo, tutto il rosso. E tutto piamente masticato cento volte, benedicendo la Natura datrice, fuggendo il sale, il fumo, il caffè. A Jasnaia Poliana era un regime possibile: ma qui, ora? Quei buoni manuali insegnano il ballo a una corsia di amputati. Nelle illustrazioni, donne sanissime aprivano le stanze ai raggi del Maturatore appena levato per il suo giro nei frutteti, mentre una bambina in fiore correva addentando mele non proibite, perché non sbucciate. C’era, a Praga, ai primi del secolo, una Pomologische Schule, una scuola di frugivorismo, che ebbe tra i suoi frequentatori Franz Kafka, vegetariano tra i più ascetici – crauti senza salsicce – finché la tubercolosi non lo costrinse a mangiarli con salsicce. Ma, a Zurigo, nella clinica Bircher-Brenner c’erano, per tubercolotici, speciali diete vegetariane. Un vegetarianismo di moltitudini, nel mondo occidentale, è impensabile, e quello di élite vive con difficoltà. Per essere vegetariani bisogna credere anzitutto in certi principia filosofici piuttosto estranei a questa cultura, e adeguarvi una disciplina igienica, uno stile personale di vita. Sembrano sogni: tutta l’Intelligenza europea studiosa e creatrice è un Mammut carbonizzato per quanto riguarda i problemi morali con proiezione e dipendenze metafisiche. Non parlo dei Russi: in loro qualcosa vive, da loro qualcosa di eterno ogni tanto arriva a confonderci e a ferirci; ma in Occidente sulle vivendi causas non si piega quasi più nessuno e la parola scritta, anche la migliore, porta con faccia suicida questa sua barbarie muta. Tra muraglie di libri, i letterati vivono come un presentatore televisivo o il più ottuso dei dirigenti industriali. Allora carne carne carne carne; finché ci sono bestie da ammazzare carne; quando saranno finite, provvederanno Burke e Hare: l’importante è che il piatto sia pieno. Inoltre la guerra feroce della medicina contro il vegetarianismo ha scoraggiato molti onesti principianti, ai quali è mancato il cuore di sfidarla. «Se non mangi la carne muori!». La medicina vede il vegetariano come un suicida, che abbia scelto la zuppa d’avena invece della pistola a tamburo per finirla con ogni tipo di cena. E poi siamo immersi in un’esaltazione continua e rabbiosa della sopraffazione, dell’uomo sulla bestia e di chiunque sopra chiunque, e il nutrimento carneo è visto come il fondamento necessario di tutta la gerarchia della paura, è l’olio benedetto che consacra i re della vita. Perciò scrivo queste piccole note per incoraggiamento dei vegetariani timidi e per approvazione dei clandestini, punti di refrigerio nelle fornaci del carnivorismo. Da molti anni sono vegetariano e posso dire di averci guadagnato in salute fisica e mentale. Non ho perduto che le macabre catene del conformismo onnivorista. Dati i prezzi del mercato delle carni, una famiglia volontariamente vegetariana galleggia meglio, può spendere in raffinatezze quel che risparmia in pezzi di cadavere, ha un bilancio meno pesante e lo stomaco meno guasto. Meglio sia un’intera famiglia a nutrirsi vegetarianamente, e non un solo componente, perché così non c’è separazione a tavola, tutti unisce in un magico circolo l’ideale comune. Siate diversi, sostanzialmente diversi da come vi vogliono, da come vi fanno essere! E per esserlo infallibilmente, bisogna cominciare dal nutrimento, tutto è lì. Il vegetarianismo familiare è un’incrinatura sensibile dell’uniformità sociale, una piccola porta chiusa al male, in questa universale condanna a essere tutti uguali a servirlo. I bambini non sono un problema: quasi tutti sono, spontaneamente, vegetariani, e un vegetariano avveduto non li priva certo di proteina. La carne gli viene imposta dall’idiozia carnivorista degli adulti. I padri permettono ai bambini anche d’impiccarli, ma guai se respingono il piatto di carne! E dall’implacabilità dell’affetto deluso, le vendette più atroci! E quando una gaia coppia vegetariana scoprisse, in un figlio delle sue viscere, funeree inclinazioni carnivore dovrà reprimerle? C’è un destino, anche qui, e si può contrastarlo solo entro limiti di buon senso. Ma un’educazione vegetariana fondata sulla pietà e sulla bhakti, dovrebbe resistere bene alle violenze dell’istinto. Un vero vegetarianismo esclude qualsiasi tipo di carni, e anche i brodi carnei, tanto meno consumabili quanto più consommés. È un modesto Verboten nell’immensità del mangiabile… La dieta vegetariana è di solito amatissima da chi la pratica, rare le riconversioni non forzate. Il vegetarianismo, idea liberatrice, è da riproporre, ma i suoi vecchi testi sono da riscrivere tutti. Una separazione certa tra alimenti vitali e alimenti assassini non è più possibile, perché tutto quel che ci nutre riceve un permesso di nuocere dai demoni dell’inquinamento. Provati a cercare i frutti maturi! a mangiarli da sbucciare! E a fare la cura dell’uva non lavata! Sui vigneti, un teschio gentile ti avverte che i grappoli sono avvelenati. E riempiono ormai un grande cimitero, le ossa dei bambini assassinati da una mela, da una pesca prese nei campi! Frutti enormi, senza una macchia: immangiabili. Crescono sotto i calci del chimico, sovente al buio, i famosi alimenti solari dei vegetarianisti! Che cosa potrebbe fare la Scuola Pomologica? Contemplare rovine… Che cosa sono nei negozi ortofrutticoli quei bubboni lucidi, deformi e rossi come nasi di ubriachi, esposti in piccoli bidè di plastica? Dai letterati ritenuti Fragole, sono in realtà ormoni capponati, fatti ingrassare tra due striscioline luttuose di plastica nera, truccati da fragole per compratori che tanto non ne vedranno mai una. Gli agrumi, le patate… Non si creda che soltanto le bucce siano pericolose. Il vegetariano è colpito nei punti del suo antico giubilo, bisogna ammetterlo. Impegna allora un combattimento strano: mentre arricchisce la sua dieta di rinunce, esplora l’ignoto in cerca dell’incontaminato. Batte le campagne per trovare un vero uovo, nei misteri della città scopre un formaggio lunare. Vita di monaco vagabondo, non priva di attimi radiosi. I funesti prodotti del terricidio li schiva con ribrezzo. «Se il vegetarianismo è così difficile, perché non la carne?». Perché se il vegetarianismo è oggi purgatorio, la carne è due volte inferno. Una tabellina del grado di sconsigliabilità degli alimenti, così come sono oggi in natura e in commercio, non avrà ai primi posti quelli del vegetariano, ma dell’onnivoro. Si sa che cosa sono le carni in genere: quel che c’è di più devitalizzato, di più sporcato dai medicinali (antibiotici, estrogeni, tranquillanti, antitiroidei) tra i prodotti alimentari. L’allevamento del bestiame non ha scrupoli per raggiungere i pesi e i profitti desiderati. Ripulitelo, lucidatelo quanto volete, il mattatoio, chiamatelo Paradiso dei Millefiori: sarà come versare i profumi d’Arabia sulle mani di Lady Macbeth. Meglio che abbia odore di morte, che non mentisca, che si possa vederla, toccarla e mangiarla, la sua misteriosa somiglianza con l’uomo. Il mattatoio è la nostra ombra; qualsiasi città, Stato, società civile proietta quest’ombra che impoverisce la luce dell’astro. Fatelo periferico, chiudetelo sottoterra: sarà sempre dietro ogni porta, e la sua presenza ci maledice tutti. E tuttavia il mattatoio non è che il beato punto finale di un transito nell’esistenza tra i più tormentosi. L’allevamento industriale, col suo commercio mondiale, è una planetaria camera di tortura: i lunghi viaggi strazianti per mare e ferrovia, le isterectomie per mettere i feti nelle incubatrici, le continue iniezioni, le fecondazioni artificiali, le nutrizioni intensive, impregnate di orrore chimico, nel buio e nella semiparalisi, per fare lombi più grassi e carni più anemiche, i terrori, le catene, le mutilazioni, ne sono i principali strumenti. L’allevamento all’aria aperta è quasi scomparso, e l’animale nasce e muore in una prigione perpetua. Vedere l’eccellente lavoro inglese edito da Bompiani, Il dominio dell’uomo di Hutchings-Caver (naturalmente, se n’è parlato pochissimo), capitoli 7 e 8, che tuttavia non contengono che un panorama di orrori limitato (gli autori non sono vegetarianisti) e, per una idea di un grande mattatoio, quel che scrive Mailer degli stock yards nella sua cronaca della Convenzione di Chicago del ’68. Sugli alimenti contaminati, carni e no, c’è l’importante saggio di Maurice Pasquelot, La terre chauve, edito dalla Table Ronde. Argomentando della tossicità delle carni, non va trascurato quel che l’analisi non può rivelare: l’energia negativa di cui è imbevuta ogni molecola di un essere sensibile trattato come una quantità inanimata, il concentrarsi in chi se ne ciba dei residui psichici del suo terrore e della sua disperazione. Lamenti di macchine da allevamento, miserabili lamenti di bruti subumani che cosa contano? Siamo una civiltà cartesiana: l’animale è come un orologio, puro movimento automatico, niente anima… Trattiamo anche noi stessi come quantità inanimate. In questo c’è giustizia.


    Tratto da Guido Ceronetti, La carta è stanca

  10. #20
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Guido Ceronetti (1927-2018)

    419. […] [Male di laurea] Università è seme di malavita, di storpiature e brutalità della mente, di fame di vento. Incorporata nella malattia della grande e sterminata città, dove è giusto che seguiti a schizzare i suoi germi di Sapienza afflitta dai mali del Pistoia e degli Accademici di Bedlam, non può crescere a spese della città piccola senza disfarla.
    Fatevela e vedrete. Contaminando una civile popolazione con germi universitari, sarà la fine della buona alimentazione locale. Arrivano le nutrizioni senza volto, l’olio e il vino schifosi, si aprono le immonde rosticcerie e i micidiali supermercati, gli studenti mangiano tutto, hanno la colica permanente stampata in faccia. Allo stomaco rovinato corrisponde cervello guasto. Come lo stomaco fa merda di pizze, polli, patate fritte, cornetti, polpette, bigné, spaghetti innominabili, così il cervello si trangugia cretinismo politico, vernice scientifica, slogan latrinario, odio insulso, amore balordo, pubblicità, carta, ultrasuoni infernali. Il prodotto di tutto questo è un malato, un tipo generalmente aggressivo e melenso, stupito di ritrovarsi disoccupato e insignificante. È filantropico fabbricare tutto questo? […] (pp. 144-145)

    Tratto da: Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, Adelphi Edizioni, Milano 1979

 

 
Pagina 2 di 5 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Kansas City 1927
    Di Feliks nel forum AS Roma
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 01-10-12, 00:36
  2. Cervetto Arrigo (1927-1995)
    Di pietro nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 12
    Ultimo Messaggio: 22-06-06, 14:14
  3. giornale di classe 1927-1946
    Di Felix (POL) nel forum Storia
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 01-09-03, 23:37
  4. Ur-1927
    Di cornelio nel forum Esoterismo e Tradizione
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 01-05-03, 13:50
  5. Gabriel Camps (1927-2002)
    Di cariddeo nel forum Destra Radicale
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 10-09-02, 15:38

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito