«Gli Stati uniti di Europa, in regime capitalista, sarebbero impossibili o reazionari».
Questo giudizio lapidario di Lenin dal suo esilio svizzero nel 1915, mentre in Europa dilagava il massacro della Prima guerra mondiale e la rivoluzione russa neppure era concepibile, sembra scritto per l’Europa di oggi. Troviamo questa citazione nell’attualissima e rigorosa ricerca di Luca Cangemi, militante e dirigente comunista, sul rapporto, in realtà burrascoso, tra il Pci e l’europeismo post bellico.
Cangemi racconta e documenta questo rapporto dagli anni della sconfitta del fascismo al varo del primo trattato istitutivo di quella che oggi è la Unione europea: la creazione nel 1957 del Mec, Mercato comune europeo, tra Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Questi i sei paesi che diedero vita alla cosiddetta Europa carolingia, dalla quale per successive aggregazioni di Stati e aggiunte di trattati si è giunti all’attuale Unione europea a 27 Stati.
Dopo le utopie del manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, alle quali il Pci rispose sottolineando appunto l’astrattezza di un progetto sull’Europa che non considerava che metà del continente, con l’Urss, stava costruendo il socialismo. «Dove sono i confini dell’Europa secondo Spinelli e i federalisti?», scriveva «Rinascita» nel 1944. Dopo le astrazioni e la propaganda, il processo reale di aggregazione europea nasceva con una netta impronta conservatrice. Anzi clerico conservatrice, visto il ruolo centrale che in esso assunsero il Vaticano e De Gasperi, Adenauer, Schuman, leader democristiani di Italia, Germania Occidentale, Francia. Europa liberista, atlantica e cristiana e profondamente anticomunista. Questo il dna della costruzione europea, rispetto al quale dunque non possono certo dirsi estranei i suoi discendenti reazionari di oggi, da Orban a Kurtz a Salvini. Essi non sono estranei alla unificazione europea, ma sono invece una versione di estrema destra della sua anima costituente. L’idea dell’Europa fortezza, che chiude le sue frontiere ai poveri mentre le apre ai capitali, alla base del cosiddetto sovranismo attuale, non è estranea alla istituzione del Mec, che Cangemi intelligentemente collega alla contemporanea crisi degli imperi coloniali europei. Da quella crisi si alimenta il progetto europeo, non per rompere con la storia coloniale, ma per riproporla con altri mezzi.
In sintesi, al di là della retorica e delle buone intenzioni, l’unificazione europea nei suoi contenuti reali nasceva come progetto conservatore e imperialista a fianco degli Stati Uniti e sia contro l’Urss, sia contro i paesi postcoloniali che nel 1955 a Bandung iniziavano a concertare una posizione comune.
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