La sentenza può ritenersi corretta nella parte in cui applica la causa di non punibilità dello stato d'ira determinato nel pubblico dal fatto ingiusto del consigliere comunale (offese a musulmani, donne, migranti, omosessuali), mentre suscita qualche perplessità nella definizione del concetto penalistico di "reputazione" (il bene giuridico tutelato dal reato di diffamazione). Il p.m. sostiene che le offese ritorsive ricevute dal consigliere comunale non sarebbero lesive della sua reputazione perché non consistenti nell'attribuzione di fatti non veritieri o infamanti, lesivi della considerazione di cui il soggetto diffamato gode nel contesto sociale di appartenenza. Ma la diffamazione consiste in qualsiasi fatto lesivo dell'altrui dignità sociale, e quindi anche un semplice insulto è diffamatorio. Il riferimento all'ingiuria, ormai penalmente irrilevante, non è calzante, perché anche se non più punibile l'ingiuria resta comunque un fatto (socialmente) ingiusto. Quindi la diffamazione è sussistente ma non è punibile per l'esimente della provocazione.
Antonia Parisotto, consigliera comunale di Forza Italia a Cesano Boscone. ...
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