In “Nuova Antologia”, fasc. 2154, aprile-giugno 1985, Le Monnier, Firenze, pp. 11-15.




Oronzo Reale (Lecce, 1902 - Roma, 1988)


Leo Valiani ha interrogato alcuni grandi superstiti, o protagonisti, della lotta di liberazione, tra cui Oronzo Reale, in occasione del quarantennio del 25 aprile.


Il Risorgimento si chiuse con la formazione dello Stato monarchico. Molti, che erano stati repubblicani, accettarono la monarchia. Come disse uno di loro, essa univa gli italiani mentre la rivendicazione della repubblica li avrebbe divisi. I seguaci più intransigenti di Mazzini, o di Cattaneo, non furono invece di tale avviso. Il partito repubblicano italiano si costituì formalmente durante la crisi – politica, economica, morale – della fine dell’800. Aveva talune basi di massa nelle Romagne e in poche altre regioni, ma reclutava dei militanti devoti un po’ ovunque. Il futuro ambasciatore della Repubblica italiana Egidio Reale era di Lecce. In casa d’uno zio prete trovò i giornali della gloriosa e tragica repubblica partenopea del 1799. La loro lettura lo convertì al repubblicanesimo. I suoi fratelli, Attilio ed Oronzo, ne condivisero la scelta politica.
Nel 1914 Egidio Reale faceva già parte della direzione del partito repubblicano, che si pronunciò – primo fra i partiti politici italiani – per l’intervento in quella che sperava fosse l’ultima delle guerre del Risorgimento e la prima ed ultima guerra per il trionfo della democrazia europea. Volontario in Francia, Attilio Reale cadde in un’azione bellica, nel ’18. Avendo solo 16 anni al termine di quel conflitto, Oronzo Reale, che fu poi uno dei segretari del partito d’azione nella Resistenza e del partito repubblicano successivamente, e oggi, dopo essere stato più volte ministro, giudice costituzionale, nel 1915 aveva già fondato, a Lecce, un circolo “Mameli”. Nel 1921, studente in giurisprudenza a Roma, fu chiamato alla segreteria della Federazione giovanile repubblicana. Le diede immediatamente un orientamento antifascista, consono alle posizioni che suo fratello Egidio sosteneva nella direzione nazionale del partito. Fra i reduci dalle trincee, soprattutto fra quelli d’essi che erano stati interventisti, il fascismo si diffondeva rapidamente. I repubblicani Eugenio Chiesa, Oliviero Zuccarini, Giovanni Conti, Ferdinando Schiavetti, Cipriano Facchinetti, Randolfo Pacciardi, Egidio ed Oronzo Reale, tanto per fare alcuni nomi, resistettero coraggiosamente sia alle lusinghe che alle minacce dello squadrismo e del governo fascista.
Nel 1924 all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti, deputati repubblicani aderirono alla secessione parlamentare che prese il nome di Aventino. La protesta, nei primi giorni dopo il delitto, avrebbe potuto essere incanalata in un’azione energica. Oronzo Reale ricorda di aver visto, a Roma, dei fascisti che si toglievano il distintivo. La fiducia dei massimi capi dell’Aventino nel re impedì, tuttavia, che si prendesse un’iniziativa audace. Il processo intentato da Italo Balbo alla “Voce Repubblicana” si concluse ancora con un’assoluzione. Il quotidiano riuscì a provare la corresponsabilità del quadrumviro della marcia su Roma nella bastonatura che aveva causato la morte di don Minzoni, nel Ferrarese. Fu proprio Oronzo Reale a fare la fotocopia della lettera con cui Balbo aveva invitato uno squadrista a dare una lezione all’arciprete di Argenta, colpevole di antifascismo. Ci sarebbe voluto un programma comune positivo, che le opposizioni non avevano. In un discorso tenuto a Milano, Facchinetti auspicò “un’Italia senza Vittorio Emanuele”. Era il capovolgimento, quanto mai preveggente, del programma di Crispi. I tempi, però, non erano maturi. Nel 1926 le leggi eccezionali sciolsero tutti i partiti, tranne quello fascista.
Eugenio Chiesa, Facchinetti, Schiavetti, Pacciardi, Egidio Reale, dovettero prendere la via dell’esilio, al pari di tanti socialisti ed altri esponenti dell’antifascismo. Giovanni Amendola era già perito, a seguito delle ferite inflittegli dalle manganellature squadristiche.
Oronzo Reale fu sottoposto per anni a sorveglianza poliziesca. Solo a stento, grazie all’appoggio di un grande giurista, Giuseppe Chiovenda, riuscì a farsi ammettere nell’albo dei procuratori legali. Alla cospirazione antifascista i repubblicani rimasti in patria presero parte, con parecchi socialisti e liberali, nell’organizzazione di “Giustizia e Libertà”, fondata all’estero da Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani e in Italia da Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Umberto Ceva, Vincenzo Calace. A Roma, “Giustizia e Libertà” aveva i suoi fiduciari in Giuseppe Bruno, avvocato e Stefano Siglienti, direttore di banca. Oronzo Reale si collegò con essi. Nel 1942 si giunse alla fondazione, ancora nella clandestinità, del partito d’azione. Il nome prescelto significava la volontà di continuare, idealmente, il partito di Mazzini.
“Perché non avete ricostituito subito il partito repubblicano?” chiedo ad Oronzo Reale. “Ugo La Malfa, che era il vero capo del nuovo partito, aveva l’adesione di alcuni seguaci, politicamente molto qualificati, di Giovanni Amendola, così di Adolfo Tino, Ferruccio Parri e Sergio Fenoaltea, e di grandi intellettuali come Luigi Salvatorelli, Adolfo Omodeo, Guido De Ruggiero, Carlo Lodovico Ragghianti, Mario Vinciguerra, Federico Chabod, Luigi Russo, Francesco Flora, che non sarebbero stati disposti, in quel momento, ad iscriversi al partito repubblicano storico. Desideravano un raggruppamento più largo.
Alla nascita del partito d’azione diedero il loro contributo decisivo anche i liberal-socialisti di Guido Calogero e Tristano Codignola, che avevano un notevole seguito fra i docenti più giovani e gli studenti degli atenei. Sembrava che si potesse, dunque, formare un partito che fosse fermamente impegnato nella lotta – oltre che al fascismo – alla monarchia, corresponsabile di venti anni di dittatura e delle guerre fasciste, ma avesse una risonanza molto ampia.
“Invece, dopo il 25 luglio 1943, Giovanni Conti ricostituì il partito repubblicano quale era stato prima delle leggi eccezionali. Egli temeva che il partito d’azione si sarebbe rassegnato alla permanenza della monarchia, sulle orme dei repubblicani meno intransigenti e dei radicali di fine Risorgimento. In questo aveva torto, poiché il partito d’azione si distinse nelle prime file della opposizione alla monarchia e seppe impostarla con successo nel Comitato Centrale di Liberazione Nazionale, durante e subito dopo la Resistenza”. Finita questa, molti repubblicani, che avevano combattuto nel partito d’azione, finirono peraltro, col tornare nel loro vecchio partito, cordialmente accolti da Pacciardi, rientrato dall’esilio con l’autorità di eroico comandante dei garibaldini in Spagna. Al partito repubblicano si iscrisse lo stesso La Malfa, dopo che nel partito d’azione era prevalsa la tendenza socialista di Emilio Lussu e di Francesco De Martino.
Per Oronzo Reale tornare nel partito repubblicano era del tutto naturale. Tuttavia, anch’egli ricorda con commozione l’esperienza del partito d’azione. “Fu un partito che si prodigò con straordinaria passione nel combattimento antifascista ed antinazista. La percentuale dei suoi dirigenti caduti nella Resistenza fu eccezionalmente elevata. Fra i fucilati delle Fosse Ardeatine, i militanti del partito d’azione erano 55 su 336”.
Avrebbero dovuto essere 56, ma Tom Carini, uno dei più attivi di loro, essendo stato chiamato per ultimo dai carnefici, riuscì miracolosamente a salvarsi, grazie ad una complicità carceraria. Oronzo Reale medesimo corse il rischio di essere arrestato coi candidati alla fucilazione. Riuscì a fuggire arrampicandosi sul tetto dell’albergo Genio, quando vennero a prelevarlo nel suo rifugio di piazza Fiammetta.
Che cosa è rimasto di quell’epopea? “La repubblica, che senza la Resistenza non si sarebbe conquistata e la Costituzione.
Questa è sempre valida nelle sue linee portanti. I princìpi ai quali si ispira reggono bene”.
Nessuna modifica alla Carta Costituzionale? “Le difficoltà non vengono da essa. Se mai, da forzature nella sua applicazione. L’articolo 3 postula l’eguaglianza dei cittadini anche in campo economico e sociale. Ma ciò non significa che lo Stato possa garantire un tenor di vita eguale a tutti, indipendentemente dai meriti delle competenze, dal lavoro svolto. La Corte Costituzionale, della quale faccio parte, credo abbia dato buona prova. Era stata concepita, però, per affrontare dei problemi di fondo. Non si era prevista la miriade di questioni correnti che i magistrati deferiscono al suo giudizio. Certo, bisogna chiarire delle materie che sono nuove: i rapporti fra Stato e regioni, i problemi pensionistici e via dicendo”.
Oronzo Reale fu Guardasigilli dal 1963 al ’68, nel 1970-71 e dal ’74 al ’76. Il suo nome è legato alla riforma del diritto di famiglia e alla prima delle leggi di difesa dell’ordinamento costituzionale dalle violenze eversive, terroristiche. “Ebbi tempestivamente la sensazione che questa legge fosse indispensabile per non trovarci inermi davanti al terrorismo. Ma nel 1965 avevo impostato, in senso garantista, il primo progetto di riforma del codice di procedura penale. Ero e sono favorevole alla parità fra pubblico ministero e difensore nei processi, ma non all’abolizione di ogni istruttoria. L’istruttoria va abbreviata, senza che possa essere soppressa, come adesso si propone”.
“A 65 anni dal Tuo ingresso nella vita politica, quale valutazione dai dei risultati ottenuti?” La risposta è nitida: “La libertà è stata riconquistata. La repubblica si è consolidata. Giorgio Amendola ha confessato, dopo decenni di opposizione, che si sono raggiunti dei traguardi sociali maggiori, dall’avvento della repubblica democratica in avanti, che non in tutta la precedente storia italiana. Rimane il monito di Ugo La Malfa, che fu anche il suo grande apporto all’ammodernamento del partito repubblicano, circa le necessità di affrontare lucidamente, gradualmente, gli squilibri che ci travagliano; di introdurre una politica dei redditi, di uscire dall’inflazione, di curare la disoccupazione con coraggio e realismo. Il mondo è sempre andato avanti e si può sperare che il progresso non si interrompa”.