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  1. #21
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    Temple of Zeus Lepsinos
    Euromos, Turkey
    2nd century CE
    The temple was built on the site of an earlier Carian temple during the reign of the emperor Hadrian. It is one of the best preserved classical temples in Turkey: sixteen columns remain standing and most of the columns are inscribed in honour of the citizen who commissioned their construction....









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  2. #22
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    "I rituali dedicati ad Adone nel vicino oriente, ad Osiride in Egitto, a Orfeo nelle isole greche o a Dioniso nell'Ellade, comportavano delle "iniziazioni", cioè delle tecniche che permettevano di conoscere principi sovrumani e la vita eterna. Esse miravano a trasformare la qualità delll'anima del novizio, ad elevare la sua coscienza ad un livello superiore, a farne un essere eterno."
    (Max Guilmot, Iniziati e Riti Iniziatici nell'Antico Egitto)







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  3. #23
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    QUANDO IL FUOCO NON SI SPEGNE MAI
    parsi: gli eredi indiani di Zarathustra
    Nell’antica Persia, Zoroastro insegnava che il bene ( Ohrmazd ) e il male ( Angra Mainyu ) erano forze opposte e che la battaglia tra loro era più o meno uniforme. Una persona dovrebbe sempre essere vigile per allinearsi con le forze della luce. Secondo l’ asha o la giustizia e druj o la malvagità, la persona ha scelto nella sua vita saranno giudicati al ponte Chinvatper concedere il passaggio in Paradiso, Hammistagan (zona limbo) o inferno con una spada. Una forma personificata dell’anima che rappresenta le azioni della persona prende il giudicato alla loro destinazione e rimarranno lì fino all’apocalisse finale. Dopo la battaglia finale tra il bene e il male, la passeggiata di ogni anima attraverso un fiume di fuoco prova a bruciare le loro scorie e insieme ricevono un paradiso dopo la risurrezione. Il libro sacro zoroastriano, chiamato Avesta , era scritto in lingua avestana , che è strettamente correlato al sanscrito vedico .
    Il Qissa-i Sanjan è una storia del viaggio dei Parsi in India dall’Iran. Dice che sono fuggiti per ragioni di libertà religiosa e che gli è stato permesso di stabilirsi in India grazie alla buona volontà di un principe indù locale. Tuttavia, la comunità Parsi doveva rispettare tre regole: dovevano parlare la lingua locale, seguire le usanze matrimoniali locali e non portare armi. Dopo aver mostrato le molte somiglianze tra la loro fede e le credenze locali, alla prima comunità fu concesso un appezzamento di terreno su cui costruire un tempio del fuoco .
    Secondo la leggenda, il sovrano indiano che voleva rifiutar loro l’asilo si presentò con una ciotola di latte piena fino all’orlo, a indicare che il suo Paese era ormai troppo colmo, sul punto di traboccare.
    Un sacerdote fra i profughi aggiunse un pizzico di zucchero nel recipiente: la loro presenza non avrebbe fatto traboccare il vaso, ma avrebbe invece addolcito tutto il Paese.
    Oggi la più grande comunità di zoroastriani al mondo vive in India, ma non si è sciolta nel latte della cultura indiana. Costituisce invece una minoranza poco aperta alle contaminazioni e con alcune tradizioni specifiche, tra cui quella di deporre i morti in modo che vengano mangiati dagli avvoltoi.

  4. #24
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    La preghiera ci riporta all'essenza primordiale, verso il centro unitario del cosmo



  5. #25
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    Sensibilità etrusca, La morte è un diaframma dove al di la i banchetti e gli amori continuano.
    Due coniugi Etruschi in tenero abbraccio Leusna e Tania , uniti per l'eternità - Museo archeologico di Perugia.




  6. #26
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    Abelisco del Pincio a Roma dedicato ad Antinoo


    Obelisco Aureliano di Antinoo
    alla Passeggiata del Pincio, Roma, è alto 9,24 metri,con il basamento è alto 17,26 metri, fu voluto da Augusto addolorato per la perdita di Antinoo annegato nelle acque del Nilo, e per ricordarlo volle ornare il suo cenotafio, monumento funebre commemorativo senza le spoglie del defunto, con un obelisco, sul quale fece scolpire geroglifici che narrano la triste storia di Antinoo, probabilmente era stato innalzato nei pressi nel Mausoleo di Augusto. Nel 1713 Donna Cornelia Barberini lo donò a Papa Clemente XIV che lo mise nel cortile della Pigna ai Musei Vaticani, e quando si pose fine alla sistemazione del Pincio dall'Architetto Marini venne innalzato nel 1822 nel piazzale dove ancora oggi possiamo ammirarlo. Il Pincio in antico era chiamato Collis Hortolorum, e già in epoca romana, repubblicana, era stato scelto come luogo per le dimore residenziali delle famiglie romane più importanti, qui vi erano gli horti di Lucullo e gli horti degli Acili. Gli ultimi ad abitare il colle furono i "Pinci" che diedero il nome ai giardini, si insediarono qui nel IV secolo in una ricca domus il cui terrapieno noto oggi come il Muro Torto, fungeva da muraglione di terrazzamento e di contenimento dei fianchi del colle, sul quale c'erano giardini e piccoli padiglioni. Nel 1564 nei giardini del Pincio fu edificata la villa del Cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano, poi acquistata da Ferdinando de Medici che la trasformò; tutta la zona restò sempre a vocazione agricola, gestita dagli operosi agostiniani di Santa Maria del Popolo. Nel 1816 Giuseppe Valadier costruì una piazza terrazzata sulla cresta del colle creando un mirabile connubio tra natura, paesaggio e costruzioni urbane. Fu il primo giardino pubblico di Roma voluto da Napoleone e da Papa Pio VII, e da questa terrazza si gode una impareggiabile vista di Roma e della Città del Vaticano sullo sfondo. Il Valadier pose in posizione panoramica anche la sua residenza privata che oggi conosciamo come la "Casina Valadier", un piccolo ed aggraziato cubo porticato presto trasformato in Kaffeehaus. Fu nel 1822 che in un viale del colle ad opera dell'architetto Giuseppe Marini, venne collocato per volere di Papa Pio VII, l'obelisco di Antinoo. L'obelisco di Antinoo, a differenza degli altri obelischi, ad eccezione dell'Obelisco Agonale e dell'Obelisco Sallustiano, era stato portato a Roma dall'Egitto, quando era già diventato provincia Romana, fu trasportato per volere dell'Imperatore Adriano per ornare il monumento funebre di Antinoo. I geroglifici furono copiati dal monolito dell'Iseo Capitolino e intagliati dagli artigiani locali, che non avevano familiarità con la scrittura egizia per cui le iscrizioni risultarono incerte e con contorni modificati. L'obelisco del Pincio doveva commemorare Antinoo, che era annegato nel Nilo durante il viaggio dall'Egitto a Roma, il committente Adriano aveva uno spiccato interesse per l'Egitto e per i suoi monumenti che aveva replicato nella sua villa, la villa di Adriano a Tivoli. Dopo questa disgrazia, Antinoo venne divinizzato ed in suo onore vennero costruiti templi in Egitto e a Roma. In Egitto gli venne anche dedicata una città, Antinopoli. A Roma gli venne dedicato un tempio, che conteneva anche l'obelisco, tra il 130 e il 138, ma di cui purtroppo non si dove fosse ubicato. Nel III secolo d.C. il monolito venne trasferito nel Circo Variano, da Eliogabalo, che risiedeva nella villa del Sessorium, dove costituiva l'elemento principale della spina. L'obelisco crollò durante il Medioevo, ma la sua memoria rimase sempre viva. Antonio da Sangallo nel 1525, lo descrisse e lo disegnò, dicendo che era posto mezzo miglio fuori Porta Maggiore, nel Circo Navale situato sul lato dell'acquedotto di fronte a San Giovanni, nella vigna di Messer Girolamo Milanese. Andrea Fulvio, ricorda l'obelisco di Antinoo nell'Antiquitates Urbis, e lo colloca "tra la via Labicana e l'Acquedotto Claudio, fuori le mura del monastero di Santa Croce, dove c'era un circo, i cui contorni e le mura si possono ancora oggi vedere nella vicina vigna, con un obelisco rotto in due pezzi abbandonati nel centro". Anche Pirro Ligorio, nel suo "Libro delle Antichità Romane", del 1553, e racconta "l'ottavo circo era quello che oggi senza nome si vede rovinato fuori delle mura moderne, si vedono i segni di questo circo, e vi sono due pezzi dell'obelisco che vi era dedicato, molto bello, e probabilmente eretto qui dall'Imperatore Aureliano". Per cui anche il nome di obelisco Aureliano. Nella seconda metà del Cinquecento il Circo e l'area intorno al circo erano di proprietà dei fratelli Saccocci, che nel 1570, scavarono ed estrassero i 3 frammenti dell'obelisco, e considerando l'evento, del ritrovamento, straordinario, apposero una lapide a memoria su uno dei pilastri dell'Acqua Felice, a 60 metri a sud dove viale Castrense si apre sulla via Casilina. Questi orti dove giaceva l'obelisco, passarono di mano a vari proprietari, tra cui i Barberini e tra questi, Papa Urbano VIII che voleva farlo erigere dal Bernini nei suoi giardini, successivamente a Papa Clemente XIV, al soglio dal 1769 al 1772, che lo collocò in Vaticano nel Cortile della Pigna. Poi per volontà di Papa Pio VII, al soglio dal 1800 al 1823, venne trasferito al Pincio, nel viale dell'Obelisco dove oggi lo ammiriamo, e come lo ricorda l'iscrizione opposta sul lato nord dell'obelisco.

  7. #27
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    Il «dio col mazzuolo»
    Circa duecento immagini gallo-romane sono dedicate al cosiddetto «dio col mazzuolo». Ha l'aspetto di un uomo maturo, con barba e capigliatura riccioluta. L'atteggiamento è maestoso, con una leggera ponderatio. È solitamente vestito alla maniera gallica, con una tunica manicata, trattenuta in vita e sui fianchi, e un mantello. Spesso indossa bracae e calzature. A volte è invece abbigliato con una sinistra pelle di lupo, il cui cranio è posato sul suo capo a mo' di elmo. Gli attributi costanti sono un mazzuolo dal lungo manico, più simile a uno scettro, che impugna nella sinistra, e nella destra un vaso tipo olla, in alcuni casi sostituito da una patera. In certe aree geografiche, invece del vaso compare un tino. Raramente il dio impugna una falx. Su una stele proveniente da Séguret ha, eccezionalmente, una siringa.
    Le statuette bronzee, circa un centinaio, sono diffuse soprattutto alla foce del Rhône e nelle valli del Rhône e della Saône, tra Lyon e Dijon (Francia), nella zona di Besançon (Francia) e del lago Léman (Svizzera). Stilisticamente, presentano una fattura assai accurata. Il dio può essere raffigurato abbigliato alla maniera gallica, o con una corta tunica, o nudo. Le immagini in pietra, una settantina circa, hanno una diffusione maggiore sul territorio rispetto alle statuine in bronzo: sono state ritrovate lungo il corso del Rhône, della Saône, nel territorio degli Hedui; nella zona della Moselle, del Rhin/Rhein, del Main e della Saar. In Gallia Narbonensis quasi tutte le immagini ritrovate sono pertinenti ad altari, mentre nella Gallia Lugdunensis e Belgica e in Germania Superior si tratta, a parte qualche eccezione, di steli a rilievo. Sono assai meno raffinate rispetti ai bronzi: i tratti somatici sono semplificati, i panneggi rudimentali, le proporzioni sovente sbagliate. Le statuette di terracotta, invece, sono state trovate all'interno delle aree sacre a Dhronecken e a Hochscheid (Rheinland-Pfalz, Germania). Una quarta statuetta di terracotta proviene da Vichy (Allier, Francia).
    Nella valle del Rhône sono stati rinvenuti frammenti di tre medaglioni di applicazione recanti l'immagine del «dio col mazzuolo»; un quarto viene invece da Samobriva (Gallia Belgica)
    Spesso, il «dio col mazzuolo» è accompagnato da un cane. Su un altare rinvenuto a Vacquerolles, vicino Nîmes, il dio è ritratto con un gallo. In due immagini è associato a un serpente: su un frammento di altare in calcare trovato nella chiesa di Saint-Thomas de Coloures, ancora presso Nîmes, dove l'animale è attorcigliato al manico del mazzuolo, e su una statuina di terracotta rinvenuta a Hochwald ( Svizzera). In tredici immagini, il «dio col mazzuolo» è raffigurato insieme a una divinità femminile. In alcune figurazioni compaiono i soli attributi: mazzuolo e olla.





  8. #28
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    « È importante sapersi ritirare in se stessi: un eccessivo contatto con gli altri, spesso così dissimili da noi, disturba il nostro ordine interiore, riaccende passioni assopite, inasprisce tutto ciò che nell’animo vi è di debole o di non ancora perfettamente guarito. Vanno opportunamente alternate le due dimensioni della solitudine e della socialità: la prima ci fa farà provare nostalgia dei nostri simili, l’altra di noi stessi; in questo modo, l’una sarà proficuo rimedio dell’altra. La solitudine guarirà l’avversione alla folla, la folla cancellerà il tedio della solitudine. »
    L.A. Seneca, “De tranquillitate animi”

    Questo ricorda la massima religiosa iscritta nel tempio di Apollo a Delfi: Conosci te stesso




  9. #29
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano

    La Tabula Traiana è un breve testo scritto in latino, dedicato all’imperatore Traiano (Italica, 18 settembre 53 d.C. – Selinus in Cilicia, 8 agosto 117 d.C.), scolpito su un pendio roccioso che scende a picco sulle Porte di Ferro. Attualmente essa è situata, con altre rovine antiche (via romana e ruderi del Ponte di Traiano, nel parco nazionale di Ðerdap, vicino al centro abitato di Kladovo, in Serbia. Venne realizzata durante le operazioni militari romane volte al raggiungimento dell’occupazione della Dacia, su una via romana già esistente che dal 33-34 d.C. sfiorava il Danubio nei pressi delle strette valli di Kazan. Negli anni sessanta del XX secolo la Tabula Traiana ed una parte della via romana vennero spostate verso l’alto di più o meno 50 metri per preservarle dalla crescita in altezza delle acque avvenuta grazie alla costruzione della diga di Ðerdap....
    L’iscrizione è scolpita su una superficie piana verticale incisa nel medesimo masso, su una estensione di 3,20 metri e una altezza di 1,80 metri, abbellita da due mammiferi marini alati, piante arbustive a sei petali ed un uccello rapace diurno con le ali aperte. L’epigrafe è protetta da una specie di pensilina a forma di timpano con la seguente scritta moderna in risalto: TABULA TRAIANA.
    Il testo dell’epigrafe, parzialmente deteriorato dallo scorrere del tempo, è redatto su sei righe:
    Latino
    «IMP(erator) CAESAR DIVI NERVAE F
    NERVA TRAIANVS AUG(ustus) GERM(anicus)
    PONTIF(ex) MAXIMVS TRIB(unicia) POT(estate) IIII
    PATER PATRIAE CO(n)S(ul) III
    MONTIBVS EXCISI[s] ANCO[ni]BVS
    SVBLAT[i]S VIA[m r]E[fecit]»
    Italiano
    «L’imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto, figlio del divo Nerva, vincitore dei Germani, Pontefice Massimo, quattro volte investito della potestà tribunizia, Padre della Patria, Console per la terza volta, scavando montagne e sollevando travi di legno questa strada ricostruì»...





  10. #30
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    Predefinito Re: L'immortalità del grande universo pagano






    Soprintendenza ABAP per le province di Cremona Lodi e Mantova




    22 maggio ·

    “Pado Patr[i]” – “Al Padre Po”
    Questa è l’iscrizione riportata sul famoso capitello di Pegognaga, custodito presso il Museo civico archeologico di Pegognaga e databile in epoca romana tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I d.C.
    Il manufatto proviene dall’area archeologica della pieve matildica di San Lorenzo, ulteriore testimonianza dell’esistenza di un piccolo vicus rurale sorto sulle rive del fiume Po.
    Si tratta dell’unica testimonianza nota del culto tributato al Po considerato come entità divina. L’epiteto pater è tipico delle iscrizioni rivolte a divinità fluviali, ma in questo caso potrebbe avere un’ulteriore accezione e fare riferimento al suo aspetto fecondatore e dispensatore di vita, che ben si addice a un fiume. Il capitello doveva poggiare su una colonna alta 3m, che farebbe ipotizzare l’esistenza di un sacello consacrato al culto del Po o di una colonna votiva.
    L’esistenza, dunque, di un luogo dedicato alla venerazione del Po indica l’importanza del vicus come punto nodale della viabilità e dei commerci, che nel fiume trovavano il loro asse preferenziale.

 

 
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