Due marxismi?

Greg Godels

30/04/2019


Google sa che nutro un costante interesse per il marxismo. Di conseguenza, ricevo spesso link ad articoli che gli algoritmi di Google selezionano come popolari o influenti. Sistematicamente, in cima all'elenco figurano articoli di o sull'incontenibile Slavoj Žižek. Žižek padroneggia alla perfezione le arti dell'intellettuale pubblico - è divertente, pomposo, offensivo, deliberatamente oscuro e ricercato. L'aspetto trasandato e la barba lo fanno assomigliare a una caricatura del professore europeo che dona al mondo grandi idee avviluppate in strati multipli di astrusità - un metodo di sicuro effetto per apparire profondi. E di sicuro effetto anche per promuovere il proprio potenziale commerciale di intrattenimento.

I più fedeli seguaci del «maestro» pubblicano perfino video di Žižek che divora hot-dog - tenendone uno in ciascuna mano! Attualmente sta incassando alla grande con un dibattito pubblico con un pallone gonfiato di destra - a quanto si dice, i biglietti di ingresso costano una fortuna. Il marxismo come attività imprenditoriale.

Žižek è tra le più recenti incarnazioni di una lunga successione di accademici, perlopiù europei, che si sono costruiti una modesta fama pubblica attraverso l'identificazione con il marxismo o con la tradizione marxista. Da Sartre e l'esistenzialismo, attraverso lo strutturalismo, il postmodernismo e il post-essenzialismo, fino a giungere al post-fordismo e alla politica identitaria, vari accademici si sono impossessati di frammenti della tradizione marxista e hanno preteso di rielaborare tale tradizione, mantenendosi nel contempo a distanza di sicurezza da qualsiasi movimento marxista. Sono marxisti quando questo serve loro ad attirare un pubblico, ma di rado reagiscono agli appelli all'azione.

L'aspetto curioso di questo marxismo intellettuale, di questo marxismo dilettante da salotto, è che non è mai marxismo e basta; è sempre un marxismo «con riserva». Il marxismo va bene se è quello del «primo» Marx, il Marx «hegeliano», il Marx dei Grundrisse, il Marx senza Engels, il Marx senza classe operaia, il Marx prima del bolscevismo o prima del comunismo.

È comprensibile: chi aspira a essere il prossimo grande «interprete» di Marx deve distinguersi dalla massa, deve ripensare il marxismo, riscoprire il «vero» Marx, individuare dove Marx ha sbagliato.

Nel passato, intere generazioni di studenti universitari benintenzionati ma confusi sul concetto di classe si sono fatte sedurre da pensatori «radicali» che offrivano loro un assaggio di ribellione confezionato in un'accattivante veste accademica. Le bibliografie destinate agli studenti brulicavano di libri che nessuno leggeva ma che andavano di gran moda, di autori quali Marcuse, Althusser, Lacan, Deleuze, Laclau, Mouffe, Foucault, Derrida, Negri e Hardt - autori che avevano in comune titoli bizzarri e provocatori e una prosa impenetrabile. Libri che promettevano molto, ma che contenevano soltanto fumo.

Con il sorgere di una nuova generazione di giovani dalla mentalità radicale, alla ricerca di alternative al capitalismo e curiosi nei riguardi del socialismo, è inevitabile che molti guardino a Marx. E a chi possono rivolgersi?

Un docente di Yale propone con notevole faccia tosta un pratico manuale introduttivo, pubblicato dalla rivista in voga Jacobin Magazine e intitolato How to be a Marxist [Come essere marxisti]. Il professor Samuel Moyn svolge attualmente l'incarico di Henry R. Luce Professor di diritto. A quanto pare, Moyn non prova alcun disagio nell'occupare una cattedra finanziata da uno degli editori più notoriamente anticomunisti e antimarxisti del Paese, proponendo al tempo stesso una guida al marxismo.

La pretesa «manualistica» di Moyn di guidare l'incolto alla scoperta del marxismo non viene né giustificata né spiegata. Nondimeno, il professore si ritiene autorizzato a consigliare la lettura delle opere di due accademici recentemente scomparsi, Moishe Postone ed Erik Olin Wright (nonché quelle di Perry Anderson, tuttora in vita), definendoli gli ultimi esponenti di quella «...generazione di grandi intellettuali che furono indotti dalle esperienze da loro vissute negli anni Sessanta a dedicare la propria esistenza alla riscoperta e alla rielaborazione del marxismo».

Devo confessare che la scelta di Moishe Postone mi ha lasciato perplesso. Dovevo sentirmi imbarazzato per il fatto che non avevo mai sentito nominare le opere del professor Postone, né avevo mai saputo che fosse marxista? Poi ho trovato su YouTube un'intervista all'esimio professor Postone, e ho rapidamente scoperto che egli negava risolutamente e senza riserve di essere marxista. Per di più, Postone sostiene che la maggior parte di ciò che chiamiamo marxismo è stato scritto da Friedrich Engels. Postone ammette che Engels era «un bravissimo ragazzo»; ma Engels non ha mai capito veramente Marx. Postone invece sì. E il suo Marx non «glorifica» la classe operaia industriale.

Ho invece familiarità con l'altro presunto esemplare di «grande intellettuale» devoto al marxismo, vale a dire Erik Olin Wright. Wright è stato per lungo tempo un esponente di spicco della cosiddetta scuola del «marxismo analitico». Come gli altri protagonisti di questo movimento intellettuale, Wright tentò di dare al marxismo una base «legittima», mediante un processo in cui tale legittimazione veniva perseguita assoggettando il marxismo ai rigori delle scienze sociali anglo-americane convenzionali. All'interno di questa cricca, l'idea che le scienze sociali anglo-americane siano prive di pecche e che non abbiano nulla da imparare dalla metodologia di Marx non viene mai messa in discussione. A Wright, peraltro, va riconosciuto un enorme sforzo di comprensione del concetto di classe sociale.

Allo scopo di «salvare la sinistra dal rischio di infilarsi ancora una volta in vari vicoli ciechi», il professor Moyn propone il libro più recente del suo «brillante collega» Martin Hägglund. Moyn ci assicura che This Life: Secular Faith and Spiritual Freedom [Questa vita: Fede laica e libertà spirituale] è un ottimo punto di partenza per coloro che desiderano ridare energia alla teoria del socialismo, o perfino elaborare una propria teoria di una variante marxista del socialismo».

Bastano pochi istanti per capire che Martin Hägglund e il suo affezionato collega non fanno altro che condurci in altri vicoli ciechi, in cui molte generazioni precedenti si sono già infilate. Hägglund si propone di rivisitare l'esistenzialismo, Hegel e le tradizioni cristiane alla ricerca dello sfuggente «significato della vita». Se molti di noi pensavano che Marx avesse offerto un'analisi profondamente documentata del cambiamento sociale e della giustizia sociale, ecco che Moyn e Hägglund, seguendo le orme di Postone, portano alla ribalta «gli interrogativi ultimi che ciascuno di noi deve porsi: quale lavoro devo svolgere? Come devo impiegare il tempo limitato che mi è concesso?». Accumulando i contrasti del capitale, rispondono i nostri, e «massimizzando... il tempo libero che ciascun individuo può impiegare come desidera...»

Dunque la lotta per l'emancipazione, in questa versione riveduta e corretta del marxismo, non consiste nell'emancipazione della classe lavoratrice, bensì nell'accaparramento di tempo libero sottratto alla morsa del lavoro. Gli esimi docenti, peraltro, riconoscono che tale lotta è decisamente più agevole per gli accademici che per i «dannati della terra».

«E infine», conclude Moyn, «vi è la proposta di Hägglund secondo cui i marxisti possono accantonare il comunismo - che in ogni caso Marx descrisse solo in modo vago - a vantaggio della democrazia. Non è del tutto chiaro che cosa Hägglund intenda con democrazia - un punto che né Marx né molti marxisti hanno voluto approfondire sul piano teorico». Così, il distillato di «marxismo» ottenuto da Hägglund si traduce nel rifiuto del comunismo e nell'adozione di una vaga «democrazia». Non posso che concordare con Moyn: «È davvero notevole quanto poco di ciò che la maggior parte delle persone ha sempre considerato essere il marxismo trovi posto nel... tentativo di Hägglund di rimetterlo in marcia per i nostri tempi». A quanto pare, il segreto (ora rivelato) di come essere marxisti consiste nel gettare alle ortiche Marx.

Come molti sedicenti «marxisti» che li hanno preceduti, Postone, Hägglund e Moyn sembrano avere l'intenzione di neutralizzare il marxismo, più che di promuoverlo.

Idee pericolose

La pura e semplice verità è che il marxismo - sin dall'epoca della censura e delle ripetute espulsioni da vari Paesi di cui fu vittima Marx - è un'idea pericolosa. L'impossibilità per Marx di ottenere incarichi accademici e la costante sorveglianza e persecuzione a cui fu assoggettato dalle autorità prefigurarono la sorte di quasi tutti gli intellettuali autenticamente marxisti. Il capitalismo non concede onori accademici o celebrità a chi invoca la distruzione del capitalismo. E quei «marxisti» che assurgono alla fama accademica, si assicurano lucrosi contratti editoriali e godono dell'attenzione dei media rappresentano di rado una minaccia per il sistema.

È indicativo che sebbene la storia abbia prodotto numerosi marxisti «organici» - marxisti le cui radici affondavano nella classe operaia e nei movimenti in lotta contro il capitalismo - i loro contributi figurino assai di rado nelle bibliografie dei docenti universitari, se non come oggetto di scherno. È raro che le università offrano posti di lavoro a chi persegue idee pericolose o si riconosce in una versione del marxismo che propugna il cambiamento rivoluzionario.

Uno storico marxista come lo scomparso Herbert Aptheker, che fece più di qualunque altro intellettuale per smentire il ritratto fasullo tracciato da film quali Nascita di una nazione e Via col vento di un Sud benevolo impegnato nell'eroica difesa di un nobile stile di vita, non riuscì a trovare lavoro nelle università USA. Fu anzi necessario tutto l'impegno di un movimento per la libertà di parola perché fosse autorizzato a prendere la parola nei campus degli Stati Uniti. I suoi libri sono scomparsi dalla circolazione, e ben pochi studenti di storia afroamericana possono accedere ai suoi contributi.

Nessuno ha ancora realizzato una storia del movimento sindacale USA in grado di rivaleggiare con i 10 volumi della History of the Labor Movement [Storia del movimento sindacale] dello scomparso studioso marxista Philip Foner. L'opera in 5 volumi The Life and Writings of Frederick Douglass [Vita e opere di Frederick Douglass] di Foner restituì a Douglass il ruolo di figura di primo piano nell'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti. Un'ateneo storicamente legato alla comunità afroamericana, la Lincoln University, assunse coraggiosamente Foner, che da anni era inserito nella «lista nera». Oggigiorno, purtroppo, le sue opere sono in gran parte ignorate proprio in quei campi di studio di cui fu pioniere.

Gli importanti contributi di molti altri intellettuali marxisti statunitensi vanno scovati sui vecchi numeri di pubblicazioni quali Science and Society, Political Affairs, Masses, Masses and Mainstream e Freedomways, lasciati a prendere polvere su scaffali seminascosti nelle biblioteche, vittime del maccartismo, delle liste nere, della vigliaccheria degli studiosi e del più bieco anticomunismo.

I marxisti della classe operaia si sono visti sbarrare le porte delle istituzioni accademiche, così come lo spazio pubblico dei mass media - a meno che, beninteso, non rinnegassero le loro opinioni! Malgrado il suo ruolo di leader all'interno dei movimenti della classe operaia e la sua prolificità di scrittore, le opere del marxista William Z. Foster sull'organizzazione, la strategia e la tattica sindacali e l'economia politica sono in gran parte dimenticate, salvo quando ricompaiono sotto forma di idee altrui. Altre figure marxiste di spicco che sono state protagoniste o interpreti di alcuni dei momenti migliori del movimento sindacale, come Len De Caux e Wyndham Mortimer, sono parimenti escluse dal club degli eletti.

Analogamente, pionieri marxisti dei movimenti per l'eguaglianza degli afroamericani e delle donne, come Benjamin Davis, William Patterson e Claudia Jones, non vengono né riconosciuti come tali né tantomeno additati come esempi di «Come essere marxisti».

Le opere dello studioso marxista di economia politica Victor Perlo, che hanno contribuito a identificare le dimensioni del potere del capitale finanziario e i risvolti economici del razzismo, brillano per la loro assenza in qualsiasi dibattito accademico su tali argomenti.

Ciò che tutti questi marxisti hanno in comune è l'attività di militanti politici all'interno del Partito Comunista degli Stati Uniti d'America - un'attività di cui andare fieri, ma che è oggetto del disprezzo della maggior parte degli intellettuali americani.

I migliori contributi pubblicati dalla veneranda rivista Monthly Review sono oggetto della medesima emarginazione. I suoi fondatori erano abbastanza minacciosi da essere oggetto di persecuzioni giudiziarie durante il maccartismo. E uno di loro, Paul Sweezy, esimio studioso di economia politica, non è mai stato accolto con particolare entusiasmo nei circoli accademici.

Oggi l'intellettuale marxista più pericoloso degli Stati Uniti è Michael Parenti. Lo so perché malgrado i suoi innumerevoli libri, video e dibattiti, malgrado il suo impegno senza compromessi a favore di un'interpretazione marxista della storia e dell'attualità, malgrado il suo radicato ma ragionato odio per il capitalismo e malgrado lo stile straordinariamente accessibile con cui sa illustrare le sue grandi idee, non trova un posto di lavoro in università e gli viene precluso ogni accesso ai media, salvo quelli più schierati a sinistra o marginali.

Un altro notevolissimo studioso marxista americano è Gerald Horne, che - sebbene occupi una cattedra universitaria - merita di essere studiato da qualsiasi individuo «di sinistra» degli Stati Uniti per l'integrità, l'accessibilità e la qualità dei suoi lavori.

Il marxismo autentico, contrapposto al marxismo di moda, trendy o à la page, è inarrestabile, aggressivo, ispiratore di azione. Disseziona diligentemente i meccanismi interni del sistema capitalista. È spietato e implacabile nel suo rifiuto del capitalismo. Sfida il pensiero convenzionale, guadagnandosi ben pochi amici nella stampa capitalista e scuotendo il sussiego e le buone maniere sobriamente liberali del mondo accademico. Il marxismo non è un mezzo per fare carriera - è un impegno ingrato.

I veri marxisti sono inevitabilmente degli isolati. Sino a quando non maturano le condizioni per il cambiamento rivoluzionario, sono spesso oggetto di scetticismo, disinteresse, perfino derisione e ostilità. I marxisti trendy sono allergici alle organizzazioni politiche, alla militanza e al rischio intellettuale, mentre i marxisti genuini sono spinti a ricercare i movimenti per il cambiamento e a entrarne a far parte; sono spinti a fare propria l'undicesima tesi di Marx su Feuerbach, tanto spesso citata quanto raramente tradotta in pratica: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo».

https://www.resistenze.org/sito/te/p...e02-021507.htm