User Tag List

Risultati da 1 a 5 di 5

Discussione: Henry de Monthelant

  1. #1
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Henry de Monthelant

    Montherlant: la nobile forza di un "torero" indifferente - IlGiornale.it

    https://it.wikipedia.org/wiki/Henry_de_Montherlant


    Henry Marie Joseph Frédéric Expedite Millon de Montherlant (Parigi, 21 aprile 1896 – Parigi, 21 settembre 1972) è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta francese.


    Di nobile famiglia, ultimo esponente della tradizione del decadentismo, fu combattente volontario nella prima guerra mondiale e, come intellettuale, ispirato da Nietzsche e Gabriele D'Annunzio nella concezione eroica e aristocratica della vita. Durante la sua vita oscillò tra estetismo paganeggiante e cattolicesimo, esprimendo nelle sue opere un certo anti-sentimentalismo, il culto dell'uomo d'azione e un forte individualismo. Dopo la seconda guerra mondiale, fu accusato di collaborazionismo "morale" con il regime filonazista di Vichy e gli fu impedito di scrivere per un anno. Riprese in seguito la sua attività. Si diede la morte nel 1972. Fu Accademico di Francia dal 1960.[1]


    Indice
    1 Biografia
    1.1 Avant-guerre
    1.2 Gli anni del dopoguerra
    1.3 La morte
    2 Temi
    2.1 Syncrétisme et alternance
    2.2 La guerra e lo sport
    2.3 La giustizia e la carità
    2.4 Il teatro
    3 Opere
    3.1 Narrativa
    3.2 Teatro
    3.3 Racconti
    3.4 Saggi
    3.5 Carnets
    3.6 Poesia
    3.7 Lettere
    3.8 Vari
    4 Traduzioni italiane
    5 Premi letterari
    6 Note
    7 Bibliografia
    8 Altri progetti
    9 Collegamenti esterni
    Biografia
    «Che cosa sarebbe la mia vita, senza il periodo passato in guerra? Sarei stato buono soltanto da bambino.»

    ( Henry de Montherlant, Pietà per le donne, Milano, 1958, pp. 239.)
    Di origini bretoni e catalane[2], figlio unico di Joseph e Marguerite Camusat de Riancey e nobile progenie, trascorse i primi anni dell'infanzia accanto a un padre preoccupato delle finanze familiari, a una nonna materna corrucciata e ansiosa, agli zii e al nonno, il Conte de Riancey, uomo politico, campione della monarchia e della religione (la nobiltà risale fino a Robert Millon, Seigneur d'Abbémont, nel sedicesimo secolo; il trisavolo era stato deputato all'Assemblea nazionale e della Costituente, poi ghigliottinato); ovvero in una atmosfera di memorie dotate di spessore, castellani, antichi lombi, oggetti d'arte e da collezione, belle donne e cavalli da corsa.[3]

    Studiò a Sainte-Croix de Neuilly e superò il bachot nel 1912. Nel 1909, avendo assistito a Bayonne a una corsa di tori, concepì grande passione per la corrida, si esercitò nell'arte di toreare, e fu proprio in occasione di una becerrada che il suo nome comparve per la prima volta su un giornale, Le Torero di Nîmes.

    La tauromachia, di cui fu particolarmente appassionato (a quindici anni uccise il suo primo toro), gli ispirò uno dei suoi migliori libri: Les Bestiaires (1926). Nell'arte del toreare Montherlant vide l'antico culto mitraico[4] oltre che un simbolo della passione umana[5]; la tauromachia è trattata anche con «l'intenzione di dare al fatto di sangue radici mitiche, senso divino».[6] Nel 1925, durante una corrida ad Albacete, un toro gli perforò il polmone destro, ferendolo gravemente.[7]

    Divideva il suo tempo tra il circolo sportivo «L'Auto» e il patronato cattolico «Le Bon Conseil», leggendo avidamente, disegnando e facendo i primi tentativi di scrittura giovanile (La vie de Scipion – mai pubblicato – quando aveva appena dieci anni e Pro Unà Terrà, in collaborazione con Faure-Biguet, nel 1907)[3]; a venti anni pubblicò a sue spese, dopo il rifiuto di undici editori, La Releve du Matin, un omaggio ai soldati della Grande Guerra[8], a cui aveva preso parte, volontario, come soldato semplice.

    Rimpiangendo lo spirito della guerra e trovando il mondo del dopoguerra abietto, Montherlant sentì la necessità di dar vita con alcuni amici ad una società segreta, che fu chiamata «l'Ordre».

    I membri de «l'Ordre» si richiamavano ai cavalieri o ai samurai e al pari di questi disprezzavano la società borghese; «non potrebbe essere altrimenti per uno che possiede una civiltà interiore più rara e più avanzata di quella che circola intorno a lui». Alla base dell'«Ordre» erano sottesi valori come la droiture, la fierté, il courage, la sagesse, poi la fidélité, il respect de sa parole, il maîtrise de soi, il désintéressement e la sobriété. I colori erano il nero e il bianco; le donne non erano ammesse e il cristianesimo – «tra le cause dell'indebolimento dell'esercito romano alla fine dell'Impero» – era assente. La vita dell'«Ordre» durò circa dieci mesi.[9]



    Nel 1922 scrisse Le songe e nel 1923 Les Olympiques, opera nella quale celebrava i cultori dell'atletica leggera. Entrambi i testi sono una rassegna dei sogni eroici del giovane Montherlant. Egli cesella personaggi còlti nella solennità, quasi religiosa, dei campi di battaglia o delle palestre, esalta lo sforzo fisico, il coraggio, la virile abnegazione, il gusto dell'avventura, il superamento delle debolezze tipiche degli uomini comuni.[10] Parallelamente, in Aux fontaines du désir (1927), abbracciò il culto della rinuncia come dominio di sé; il rifiuto, per Montherlant, è più nobile del desiderio.

    I suoi primi successi furono la tetralogia Les jeunes filles (1936-1939; composto da: Le ragazze da marito, Pietà per le donne, Il demone del bene, Le lebbrose) e Les célibataires (1934). In Les jeunes filles Montherlant si scaglia contro il richiamo della tendresse, contro il sentimentalismo, particolarmente vivi nell'animo femminile e che rischiano di corrompere l'uomo («La storia dell'umanità, da Eva in poi, è la storia degli sforzi fatti dalla donna, perché l'uomo sia sminuito e soffra, e divenga il suo uguale»).[10]

    Montherlant, in quest'opera, alza la sua protesta contro un'epoca in cui i grandi valori individuali vanno spegnendosi e la democrazia diffonde conformismo. All'anticonformismo virile si contrappone, secondo l'autore, il conformismo femminile: cioè la mimetica capacità delle donne di adattarsi alla vita, di sposarla nella sua contradditorietà e mediocrità, senza mai misurarla al paragone di un'ideologia, di un assoluto. Uno dei protagonisti principali è Pierre Costals, un alter ego dell'autore, una sorta di esteta dannunziano simile ad Andrea Sperelli[11] che proclama:
    «Una donna deve essere trattata come un'amante, e ciò non per un capriccio passeggero, ma costantemente.»

    (H. de Montherlant, Le ragazze da marito)
    L'opera, tacciata di misoginia, fu definita da Simone de Beauvoir una «cafoneria».[12] In questo periodo lo scrittore viaggiò molto, specie in Spagna, Italia ed Algeria.

    Da cattolico, con venature pagane, Montherlant vide nella Chiesa romana l'erede ideale della tradizione imperiale.[13] Nella sua opera risentì molto degli scritti di Paul Adam[14], Maurice Barrès (dal quale ereditò il culto dell'individualismo e della forza[15]), Paul Bourget[16][17], André Gide; ma anche dell'influsso della grande tradizione religiosa del Seicento francese, da Racine e Corneille a Bossuet – soprattutto per lo splendore magniloquente della sua prosa e per la statura grandiosa dei suoi personaggi –, di Marco Aurelio e Seneca, dei poeti persiani Firdusi, Saˁdi, Hafez, dei cinesi Li Bai e Du Fu, della cultura giapponese dell'epoca Tokugawa.[18]

    Non bastano tuttavia questi autori a spiegare interamente in Montherlant l'uomo e l'artista. Ad essi si aggiungono lo Stendhal dei cinici e risoluti eroi, e Maurras, evidente nella sua influenza quando Montherlant si dichiara cattolico di tradizione ma incredulo cattolico, per la difesa di un determinato ordine temporale ma anticristiano. Su tutto incombe l'ombra di Nietzsche e quella di Gabriele d'Annunzio, che si spinse d'altra parte a complimentarsi con lui e a cui Montherlant rese ampiamente omaggio negli ultimi carnets.[19][20]

    Avant-guerre
    «Scolaro, la mia famiglia mi assegnò un padre spirituale gesuita di destra al fine di controbilanciare l'influenza del collegio democristiano (di sinistra) in cui mi trovavo. Ciò ha influito nella mia vita facendomi di volta in volta apparire ambiguo ed equilibrato.»

    ( Henry de Montherlant, La Marée du soir, Paris, Gallimard, 1972, pp. 74-75.)
    Dal 1932 al 1940 visse l'avant-guerre dialetticamente. Rinunciò alla pubblicazione integrale della Rose de sable, perché conteneva pagine a favore dei musulmani dell'Africa del Nord, quindi un atteggiamento critico nei riguardi della dominazione francese in Algeria («In guerra, negli stadi, avevo visto la violenza solo da pari a pari: violenza sana. Nel Nord Africa la vedo esercitata dal forte, dall'europeo, sul debole, sul nativo»[21]); inoltre l'autore non gradiva che il suo nome fosse associato alla categoria degli scrittori di sinistra.[22] Prese a collaborare a periodici di opposte tendenze politiche (L'Echo de Paris, Le Figaro, L'Intransigeant, Le Jour, Candide, ma anche Le Quotidien, La Volonté e Marianne). Si compiaceva nel ricordare che il suo Le Songe era stato ammirato da Mussolini e Masaryk; il Chant funèbre da Poincaré e Hindenburg, ma anche da Romain Rolland e Vandervelde.[23] Rifiutò premi non compatibili con alcune sue convinzioni, versandone l'ammontare equamente a soldati francesi e marocchini perché, per quanto nemici, «avevano fatto ugualmente il loro dovere»; firmò manifesti pro russi bianchi e rossi; ruppe il secondo fidanzamento nel 1934, dopo averne rotto un altro dieci anni prima.

    Pur non aderendo alle battaglie portate avanti dagli intellettuali vicini all'Action française, sembrò risentirne in alcune dichiarazioni (ma non condivideva né lo spirito germanofobo né il «nationalisme attentiste»[24]) nelle quali si scagliò contro la democrazia e il pacifismo, ritenuti tra le cause della mancanza di qualità e dell'onore nella Francia contemporanea. In una intervista rilasciata al quotidiano algerino Oran-Matin, pose a confronto l'efficacia delle misure di governo della Germania con la politica di sabotage della vita morale e dei regimi economico e sociale condotta dall'élite francese.[25]

    L'8 maggio 1933, sbarcato dall'Algeria, incontrò Martin du Gard con il quale commentò l'ascesa dei nazionalsocialisti: «Mi sono sempre rifiutato di andare in Germania dopo questa guerra; eppure ero persuaso che la vita nuova... sì, che la vita era lì. Oggi non voglio andarci perché, in questo momento, mi piacerebbe troppo».[26]

    Nel 1935 firmò, più per solidarietà verso gli indigeni che per convinzione politica[27], un manifesto che criticava il colonialismo in genere e la politica coloniale dell'Italia in Etiopia. Critico verso lo schieramento capeggiato dai franchisti durante la guerra civile spagnola, rifiutò tuttavia l'invito di Louis Aragon a nome del governo spagnolo a recarsi a Barcellona per una conferenza, «presentendo – scrive nei Carnets – che una volta laggiù mi farebbero fare un giro nelle trincee, e allora sarebbe più forte di me, prenderei un fucile e ci resterei».[28] Nel 1938 pubblicò L'Equinoxe de septembre, contro la pace di Monaco e il pacifismo francese, in cui accusò i suoi compatrioti di opporre alla «morale leonina» degli Stati totalitari una morale da «provinciali»[29]. La storica inimicizia tra Francia e Germania avrebbe dovuto risolversi, in modo cavalleresco[30], sul campo di battaglia. Montherlant parlava di una guerra «onorevole» contro l'«onorevole» nemico tedesco; «l'élite tedesca, affermò, aveva salvato la Germania dalle conseguenze della sua sconfitta».[31] La Francia stava disertando la guerra, minata dall'«étranger de l'intérieur», da un nemico interno; si trattava di uno dei temi anti-dreyfusard per eccellenza propagandati dall'Action française.[32] Nel 1940, inabile al servizio militare, si fece inviare come corrispondente di guerra del settimanale Marianne in Oise-et-Aisne, dove fu ferito leggermente da una bomba.[33]

    Scrisse inoltre per il teatro, specie dopo la seconda guerra mondiale, pubblicando opere come La reine morte (1934), Pasiphaë (1949), Malatesta (1950) e la trilogia - segnata da un rigorismo di derivazione giansenista[34] - dei «drammi sacri»; ovvero: Le Maître de Santiago (1947), La ville dont le prince est un enfant (1951), Port-Royal (1954).

    Tra gli ultimi eredi del decadentismo europeo, Montherlant unì il gusto estetizzante del passato a una vena di inquieto moralismo, che lo portò sia nei romanzi che nel teatro a scrutare il dramma di anime belle e tormentate, superiori alla comune umanità: nei suoi romanzi, in particolare, amava ritrarre personaggi eroici e moralmente perfetti.

    Questo culto per l'eroismo lo portò a pubblicare nel 1941, su Le Gerbe e sulla Nouvelle Revue Française diretta da Pierre Drieu La Rochelle, Le solstice de Juin; una raccolta di articoli in cui, tra l'altro, esprimeva la sua ammirazione per l'esercito tedesco, dichiarava che la Francia era stata giustamente sconfitta e conquistata[35] e auspicava che i tedeschi (eredi ideali di Licinio) giungessero a far sventolare la «ruota solare» su Notre-Dame per instaurare un nuovo ordine.[15][36]

    In quest'opera riprendeva anche alcune argomentazioni già affrontate in precedenza (in Chant funèbre pour les morts de Verdun, L'Exil e L'Equinoxe de septembre) come l'impossibilità di bandire la guerra dalla vita umana in quanto connaturata a quest'ultima.[37]

    Il libro non piacque però ai tedeschi che ne vietarono la circolazione in Francia, anche se per sole tre settimane; in Belgio e in Olanda, l'interdizione durò fino alla fine della guerra. L'opera spiacque ancor più alla resistenza; inoltre André Gide accusò l'autore di désinvolture e nel dopoguerra André Rousseaux lo attaccò violentemente in un articolo, per «sottomissione al nemico»; nel 1962 Philippe Soupault e Robert Kanters istituirono una sorta di processo contro di lui sul settimanale Arts.[38]

    Gli anni del dopoguerra
    «Sai qual è la più grande forza che ci sia al mondo? L'indifferenza. Con l'indifferenza io non muoio vinto.»

    (da Il caos e la notte[7])
    Accusato di collaborazionismo[39][40], finito sulla lista di proscrizione[41], nel dopoguerra gli fu proibito di pubblicare per un anno. L'adesione dello scrittore al governo del Maréchal Pétain fu essenzialmente «morale» e «spirituale»[22][42]; a Pétain lo legava l'aver preso parte, in qualità di segretario generale, alle operazioni di allestimento dell'Ossario di Douaumont, ma non ebbe incarichi attivi nel regime come altri, ad esempio Robert Brasillach, e difficili furono i suoi rapporti con Louis-Ferdinand Céline.[43]

    Non mancheranno critiche dell'autore al regime di Pétain, soprattutto in merito all'educazione dei giovani: Montherlant ritenne degradanti la produzione cinematografica (il suo giudizio sul cinema fu in generale negativo: definì il cinematografo «fogna del XX secolo» e Charlie Chaplin «un mediocre pagliaccio di cinema»[44]), le riviste e le trasmissioni radiofoniche e detestabile l'istituzione della Loterie Nationale.[45] In linea con la politica famigliare del regime fu invece la seguente dichiarazione rilasciata a Radio-Jeunesse: «Con le signorine farò in fretta: quando avrò detto loro "tenete in ordine la casa, fate la cucina, dei figli e l'amore", avrò detto loro tutto».[46] Ma le critiche non riguardarono mai la politica estera; egli si limitò a denunciare gli stessi mali che avevano condotto alla disfatta della Terza Repubblica, invocando misure da parte del regime.[47]

    Nella Parigi occupata dai nazisti svolse un ruolo di mediatore tra la cultura francese e quella tedesca e collaborò con il Deutschland-Frank-reich, l'annuario edito dall'Istituto tedesco di Parigi.[48] L'invito alla collaborazione con il nemico è stato individuato in un passaggio del Solstice de juin in cui Montherlant afferma che si deve «fare tutto ciò che è necessario per annientare l'avversario. Ma una volta che questi ha dimostrato di avere in mano la partita, allearsi con lo stesso spirito con lui».[49] In una conferenza del Comité France-Allemagne, introducendo l'ambasciatore tedesco Otto Abetz[50], ribadì quanto aveva già affermato nel 1929 in una allocuzione agli studenti tedeschi sulla Europäische Revue: ossia il rispetto del nemico secondo un codice dei samurai del XVI secolo.[51] Durante gli anni di Vichy fu rappresentata in serata di gala alla Comédie-Française, davanti ad una sala occupata in massima parte da ufficiali della Wehrmacht, la pièce La reine morte, diretta da Jean-Louis Vaudoyer, che raccolse consensi da parte di Pierre Drieu La Rochelle e Lucien Rebatet.[52] Tuttavia l'opera conteneva riflessioni amare, ma non golliste, che la censura tedesca non scoprì. Nel marzo 1944 lo scrittore subì anche una perquisizione da parte della Gestapo nella sua abitazione, ma senza conseguenze.[53]

    Nel dopoguerra, nel rispondere alle accuse di collaborazionismo, Montherlant sostenne che la libertà di espressione sulla stampa collaborazionista era così grande da consentirgli anche di esprimere idee opposte alla politica del regime. Tra gli articoli critici verso la dominazione tedesca l'autore indicò Redevenons une insolente nation e un articolo sui moralisti persiani; a proposito del quale Montherlant affermò che nulla vi è di più contrario al nazionalsocialismo della morale e della civiltà persiana del Medioevo. Ribadì, tuttavia, il proprio rispetto verso l'avversario.[54]

    Affascinato dalla figura di Sigismondo Malatesta, al quale si sentiva unito da un fantasioso legame di sangue[55], nel 1950 fece mettere in scena il dramma in quattro atti Malatesta, che ripercorreva gli ultimi mesi di vita, dal giugno all'ottobre 1468, del condottiero e signore di Rimini. L'opera fu rappresentata eccezionalmente a Rimini, all'anfiteatro romano di Lecce, a Pescara, a Fano (che fu tra i possedimenti di Malatesta) e al Teatro Romano di Gubbio.[56]

    Inquadrabile nel contesto dell'anarchismo di destra[57] o del radicalismo politico[58], estraneo ai movimenti politici o d'avanguardia e lontano dalla vita mondana della capitale, Montherlant fu vivacemente contestato per le sue posizioni conservatrici durante una rappresentazione del Cardinale di Spagna (1960) alla Comédie-Française. Più che di vero conservatorismo, per Montherlant, si può parlare di un superbo, anche se anacronistico, tentativo di riportare nelle lettere francesi, in piena civiltà di massa e letteratura sperimentale, lo splendore della tradizione.



    Nel 1963 pubblicò, con discreto successo, Il caos e la notte; un ritratto, in parte grottesco, di un anarchico spagnolo incapace di approdare ad alcun significato universale; una critica sia del comunismo che della società statunitense, ma anche della Chiesa cattolica e della Spagna franchista, soprattutto per la sua compromissione con gli Stati Uniti.[59][60]

    Appassionato di storia romana, nel 1965 fece rappresentare a Parigi il dramma La Guerre civile, la cui trama è imperniata sulla fase conclusiva del duello tra Cesare e Pompeo. Allo scrittore interessano non le alterne vicende belliche, bensì il conflitto fra le ambizioni rivali dei due aspiranti alla supremazia entro lo Stato romano. Nel dramma tale contrasto di idee e di programmi anima il dialogo tra Pompeo e Catone, uniti soltanto nell'avversione a Cesare che non figura sulla scena, ma la domina ed è presente come un incubo minaccioso.[61] Nel 1970 pubblicò Le Treizième César, una raccolta di saggi composti fra il 1955 e il 1970 e consacrati a Roma antica. Nell'ultimo saggio, l'età del tredicesimo Cesare – che secondo l'autore si potrebbe chiamare anche «Progrès»[62] – egli condanna amaramente l'epoca contemporanea.

    Esteta armato, «anarca» – Ernst Jünger vedrà nella prefazione di Service inutile il Montherlant più vicino al prototipo dell'«anarca»[50]–, la sua vita fu segnata da uno spirito di profondo anticonformismo, che lo portò nella vita come nell'arte, a sdegnare ogni forma di convenzione in contrasto con le proprie convinzioni.[63]

    Quando fu eletto nell'Académie française – di cui fu membro dal 1960 al 1972 –, senza aver proposto come da consuetudine la propria candidatura[64], egli rifiutò di indossare l'uniforme di gala e anziché pronunciare, secondo la tradizione, l'elogio funebre del suo predecessore, non esitò ad esprimere la sua divergenza di idee verso il sociologo André Siegfried.

    «Non sono molto ottimista sulla durata del mio Teatro. La "pseudo-avanguardia" e il "terrore ideologico" [...] avranno facilmente ragione nell'avvenire degli scrittori che non gli convengono. Voi parlate della decisione che si deve prendere fra l'accademismo e il funambolismo, ma per quanto io so della Casa che in Francia porta il nome di Accademia, dirò che essa si sforza perdutamente di essere a sua volta funambola.»

    (Da una lettera a Luigi Bàccolo, 3 giugno 1970[65])
    La morte
    «Il suicida è un vinto. Ma è davvero un vinto? Dovette essere un tema di scuola, a Roma... Rifletto un momento. Vinto, sia pure. Ma che male c'è, ad essere vinto? Dalla società? È un onore. Dalla malattia, dalla vecchiaia? È la natura. Da un nemico? È un soffio nel vento della morte, la vita è fatta di questo. Che il suicida sia o non sia sconfitto, ha poca importanza, se col suo suicidio ha testimoniato due cose: il suo coraggio, e il suo dominio. Allora, il suicidio è la consumazione della vita, come la fiamma consuma la torcia. E per questo che, nel fondo delle mie fantasticherie, si snoda una lunga processione di uomini romani. Essi marciano, a due per due, nella notte. Hanno quel viso sereno che i più coraggiosi offrono alla loro morte. Ciascuno di loro tiene nella destra una torcia viva. La sua fiamma, è la fiamma del suo suicidio, e illumina la loro strada.»

    ( H. de Montherlant, Mort de Caton.[66])

    Nel 1971 pubblicò il suo ultimo romanzo Un assassin est mon maître; giudicato una satira della società psicanalitica, costituisce anche una presa d'atto dell'antitesi tra società umanistica e cristiana e società psicanalitica[67], quest'ultima caratterizzata dalla assenza di carità, scopo invece essenziale – secondo l'autore – di tutte le religioni, come sintetizzato anche dal detto musulmano:
    «Colui che avrà dato un sorso d'acqua a un cane, sarà salvato.»

    Il protagonista, influenzato dall'Introduzione alla psicoanalisi di Freud, finisce per credere di essere affetto da una nevrosi; ma in realtà non c'è alcuna nevrosi in lui, a parte quella che viene considerata una forma di nevrosi e che si chiama «delicatezza d'animo». All'origine della sua nuova condizione c'è il crollo delle difese psicologiche che permettono all'individuo di sopravvivere – anche aggredendo a sua volta – di fronte allo spettacolo dell'«eterna bassezza dell'uomo egoisticamente integrato nella società».[68]

    In seguito a un'insolazione nel 1959, cominciò a soffrire di vertigini e di perdite d'equilibrio, a cui si aggiunsero l'agorafobia e la perdita quasi totale della vista in seguito a un ictus cerebrale nel 1968.[69]

    Divenuto quasi cieco, si suicidò nel 1972, ripetendo il gesto dei filosofi stoici che aveva pubblicamente ammirato per tutta la vita.[70] Quattro ore prima di morire dichiarò al pittore Mac'Avoy: «Sono sulla lista nera. [...] So che tutto è finito per me». Pierre Pascal, amico dell'autore, additò Roger Peyrefitte – noto per le sue uscite diffamatorie[71] – quale responsabile morale della morte[72]:
    «Quel verme umano che fu cacciato dalla diplomazia per motivi che non ha raccontato e che gira per certe librerie di Roma, in compagnia di un ineffabile cugino in cerca di opere pornografiche rare, ha osato di recente, in un libro ignobilmente concepito e sporcamente scritto, scrivere su Henry de Montherlant un intero capitolo di infamie, che sono altrettante menzogne, rasentanti la polizia politica e che non meriterebbero altro che lo sfregio di una punta di spada attraverso le sue due facce… Egli ha la sua parte di responsabilità nella morte di Henry de Montherlant, e lo sa.»

    (Pierre Pascal)
    Durante la sua vita Montherlant fu sempre molto riservato e non scrisse mai nulla sulla propria vita sentimentale e sessuale; nei romanzi ritenuti a sfondo autobiografico i personaggi praticano la sessualità eterosessuale.[73] Nel citato libro di memorie Peyrefitte alluse a un segreto, e nel 1968 pubblicò parte della corrispondenza, secondo lui cifrata, intercorsa con Montherlant tra il 1938 e il 1941, fornendo una chiave di decifrazione che accusava lo scrittore di discutere spesso della pederastia e, indirettamente nel romanzo Le amicizie particolari (trasposto in film nel 1964), sostiene implicitamente che Montherlant avesse avuto rapporti con giovani ragazzi. Questo è riportato da Pierre Sipriot nella sua biografia di Montherlant.[74]

    Prevedendo in un certo senso queste "rivelazioni", negli ultimi Carnets Montherlant le descrisse come falsità e appuntò:
    «Appena sarò morto, due avvoltoi, la Calunnia e l'Odio, copriranno il mio cadavere affinché appartenga del tutto e solo a loro, e lo lacereranno.[75]»

    Secondo Marie-Christine Giquel, figlioccia dell'autore, Montherlant avrebbe confidato a suo padre di avere due figli[76], la cui identità non è stata tuttavia stabilita.[77]

    Tre mesi prima di togliersi la vita, trascrisse in un messaggio indirizzato a Gabriel Matzneff una frase di Ernst Jünger sul suicidio: «Le suicide fait partie du capital de l'humanité».[78] Questo tema era ricorrente nei suoi scritti.[79]

    L'ultimo giorno di vita lo scelse nell'estremo dell'estate, giovedì 21 settembre 1972. Come sempre, fece colazione in un ristorante vicino a casa, quindi dormì un poco secondo una sua abitudine. Poco prima delle quattro pomeridiane allontanò con un semplice pretesto la segretaria, poi ruppe tra i denti una capsula di cianuro e immediatamente si sparò un colpo di pistola alla gola.[75] La segretaria, quando sentì l'esplosione del colpo, corse nella stanza da poco lasciata. La testa di Montherlant era rovesciata all'indietro e la pistola era ancora stretta nella mano.[75]

    Accanto al corpo, insieme a tre lettere (una per la segretaria, una per l'ufficiale giudiziario, in cui spiega che trattasi realmente di suicidio per evitare aperture di indagini, e una per suo cugino, lo scrittore cattolico Michel de Saint Pierre), fu rinvenuto un documento firmato e datato diversi mesi prima in cui lasciò scritto:

    «Desidero espressamente che il mio cadavere non sia esposto al pubblico e che nessuno possa vederlo, salvo quelle persone che vi sono obbligate per dovere del loro ufficio. Il mio corpo dovrà essere condotto, senza alcuna cerimonia né civile né religiosa, direttamente dal luogo del mio decesso ad un cimitero dove possa essere cremato. Non mi importa di ciò che avverrà delle mie spoglie. Questa disposizione sottintende non c'è bisogno di dirlo che non dovranno esserci né fiori, né corone, né evidentemente discorsi.»

    Fu la coerente conseguenza di un particolare modo concepire la propria esistenza. L'idea del suicidio in Montherlant non nacque da un momento di debolezza, ma trovò la sua radice in una concezione pagana della vita e nel fortissimo ideale estetico che lo animava e che lo portava a respingere ogni appannamento, ogni deterioramento. A ciò si univa la convinzione di avere esaurito il proprio compito terreno: così egli volle uscire di scena, scegliendo il suicidio, una «particella di libertà, nella necessità».[80]

    Montherlant tuttavia comprendeva le ragioni della morale cristiana che si opponeva al suicidio: «Se ammiro il coraggio di coloro che si suicidano — aggiungeva nello stesso testo — ammiro anche il coraggio di coloro che per quindici secoli — secoli del cristianesimo — hanno sopportato tutto, perfino le cose più atroci, senza suicidarsi. Il coraggio di morire e di non morire».

    Per questo motivo, Montherlant pensava che il suo gesto finale non contraddicesse i principii del cristianesimo. Egli stesso annota in La marée du Soir - Carnets 1968-1971[81]:
    «Mi comunicano questa frase, che ben si conviene a ciò che io ho spesso scritto del suicidio, ma che conviene meno, mi pare, ai commenti dei teologi: "È proibito uccidere e uccidersi, se non per ordine di Dio e per ispirazione dello Spirito Santo" (San Tommaso, Dei dieci comandamenti, cap. V).»

    Ma anche: «Quest'uomo che si considera cristiano, si è tirato un colpo di revolver perché non era più d'accordo col mondo che è stato creato. Ha fatto un segno di croce sul revolver, l'ha baciato e se n'è andato».[75]

    Inoltre, afferma di avere consultato un cattolico eminente: questi gli rispose che le cerimonie ufficiali che generalmente accompagnano la morte dei cattolici non erano necessarie e che contava soprattutto l'intenzione. Secondo questa spiegazione, che Montherlant fa sua, i funerali religiosi sono un onore che la Chiesa riserva ai suoi fedeli e che questi ultimi possono rifiutare.[82]

    Negli stessi Carnets, alla data del 14 gennaio 1971, è scritto[81]:
    «C'è una parola che cito qui per la quarta volta almeno nei miei scritti, la parola di Lyautey che muore: "Muoio della Francia". Mi dispiace solo che queste parole di Lyautey non siano quelle con cui finiscono non soltanto questi "carnets", ma tutta la mia opera. Tuttavia, anche se il caso farà che la mia opera si fermi per sempre su altre parole, sono queste che moralmente saranno state le ultime.»

    In un primo testamento aveva lasciato scritto: «Desidero che il volto del mio cadavere venga ricoperto con la maschera di guerriero romano, che mi si posi sul letto l'Eros funebre e sul basso ventre la testa di toro di Guadalest. Che le mie ceneri vengano disperse in Roma». Le sue ceneri furono così sparse dall'esecutore testamentario Jean-Claude Barat e dallo scrittore Gabriel Matzneff sulle lastre del pavimento del Tempio di Portuno, nel Tevere, nei pressi dell'Isola Tiberina e – come raccontò Matzneff nel Figaro – sul Foro, lanciate da «un muretto a gomito che domina l'arco di Settimio Severo e la Curia e che, secondo una tradizione antica, è il punto preciso in cui Remo e Romolo furono allattati dalla Lupa». Era la notte tra il 21 e il 22 marzo 1973. «La luna alta nel cielo» – scrive Matzneff – «rischiarava il paesaggio di morte ed un complice vento portò Montherlant verso l'angolo occidentale della basilica Emilia, là dove l'Argileto sfocia sul Foro... Simili alle ali diafane di una farfalla, alcune ceneri caddero volteggiando sulle foglie degli oleandri».[83] Matzneff aggiunse che:
    «Fu un atto quasi liturgico colmo di emozione e di pietas. L'amore per Roma antica era stata la nostra complicità. Montherlant era innamorato di Roma, più ancora che della Grecia. Innamorato di Roma come lo fu della vita anche se il tema costante delle sue conversazioni era la morte. Si uccise proprio perché amava la vita. Perché non poteva più vivere la vita che amava. Per rispetto di sé e degli altri. Perché aveva l'orrore estetico della decadenza, proprio di uno stoico aristocratico. Sentì che era "ragionevole" concludere, poiché la sua opera era conclusa. Ma non voleva una tomba, voleva involarsi: lo spargimento delle ceneri era la forma più sicura per scomparire e anche la più asociale. Perché Montherlant fu asociale fin nella morte.»

    (Gabriel Matzneff, Le défi, Paris, La table ronde, 1988))
    Questo desiderio, «essere ridotto in ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse a brezza leggera sul Foro, tra i Rostri e il Tempio di Vesta», riferito da Pierre Pascal a Julius Evola (autore elogiato da Montherlant nei suoi ultimi anni[84]), fu alla base della volontà testamentaria simile espressa dal filosofo italiano alla sua morte nel 1974.[85] I suicidi di Yukio Mishima (1970) e Dominique Venner (2013) sono stati paragonati all'estremo gesto di Montherlant, e in particolare si è sostenuta un'influenza sul pensiero di Venner dello scritto di Montherlant Il solstizio di un giugno.[86]

  2. #2
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Henry de Monthelant

    Una donna deve essere trattata come un'amante, e ciò non per un capriccio passeggero, ma costantemente. (...) La storia dell'umanità, da Eva in poi, è la storia degli sforzi fatti dalla donna, perché l'uomo sia sminuito e soffra, e divenga il suo uguale
    (H. de Montherlant, Le ragazze da marito)
    Sottolineo l'importanza per i MRA veri di queste frasi

  3. #3
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Henry de Monthelant

    Grande uomo diffamato da un povero pederasta come Peyrefitte.



    «Il suicida è un vinto. Ma è davvero un vinto? Dovette essere un tema di scuola, a Roma... Rifletto un momento. Vinto, sia pure. Ma che male c'è, ad essere vinto? Dalla società? È un onore. Dalla malattia, dalla vecchiaia? È la natura. Da un nemico? È un soffio nel vento della morte, la vita è fatta di questo. Che il suicida sia o non sia sconfitto, ha poca importanza, se col suo suicidio ha testimoniato due cose: il suo coraggio, e il suo dominio. Allora, il suicidio è la consumazione della vita, come la fiamma consuma la torcia. E per questo che, nel fondo delle mie fantasticherie, si snoda una lunga processione di uomini romani. Essi marciano, a due per due, nella notte. Hanno quel viso sereno che i più coraggiosi offrono alla loro morte. Ciascuno di loro tiene nella destra una torcia viva. La sua fiamma, è la fiamma del suo suicidio, e illumina la loro strada.»

    ( H. de Montherlant, Mort de Caton.)



    Ave Roma invitta. Ave Henry! Seneca e Catone del XX secolo!


  4. #4
    Super Troll
    Data Registrazione
    02 May 2006
    Messaggi
    61,632
     Likes dati
    22,911
     Like avuti
    10,893
    Mentioned
    1024 Post(s)
    Tagged
    14 Thread(s)

    Predefinito Re: Henry de Monthelant

    «Ho bevuto il suicidio se non proprio con il latte materno, almeno molto giovane, giacché gli unici personaggi intelligenti e simpatici del Quo Vadis (letto a otto anni), Nerone e Petronio, si uccidono tutti e due».

    «Il suicidio permette di sfuggire alla vita; ma non permette di sfuggire alla caricatura postuma, e specialmente alla caricatura fatta, per leggerezza e passione, delle ragioni del vostro suicidio».

    «Ai nostri giorni, il suicidio è considerato un fatto di neurastenia, anzi di viltà, ed esso crea una sensazione di orrore. Presso i Romani, lo compiono gli uomini più degni e più posati: arriva un momento in cui la somma dei disgusti che si provano e che si aspettano è troppo superiore alla somma dei diletti; ci si uccide, e questo viene chiamato l'«uscita ragionevole» (insisto sulla parola «ragionevole», del tutto opposta alla nostra concezione moderna, per la quale il suicidio equivale più o meno allo squilibrio mentale). Non ci si dice che Bruto o Menenio si siano suicidati in una crisi di depressione nervosa; ci si dice che sono vinti e ci si fa capire che s'instaura un ordine che non vogliono sopportare; questa ragione pare più che sufficiente per giustificare il loro suicidio.».

    «Non ti perdoneranno il suicidio a meno che tu non lo faccia in modo "pulito". Niente revolver, che orrore! Nemmeno cianuro, obsoleto. Un nuovo veleno, che ferma il cuore. Ti troviamo morto, bene, pulito. Il dottore può parlare di infarto. La decenza sociale è salva. Trovo orribile, come ho già scritto, questi doveri sociali imposti a un moribondo e, in caso di suicidio, a un moribondo disperato».

  5. #5
    Forumista junior
    Data Registrazione
    27 Apr 2022
    Messaggi
    15
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Henry de Monthelant

    Ciao, ti chiedo gentilmente di cancellare il post 07-06-19, 19:14 in quanto contenente materiale tratto da Wikipedia da me in passato inserito ma ora non più visibile per questioni di copyright. Puoi lasciare l'elenco delle opere e dei premi.

    In attesa di un tuo riscontro

    Vive cordialità

    Giuseppe

 

 

Discussioni Simili

  1. Mundus Imaginalis, o l'Immaginario e l'Immaginale (Henry Corbin)
    Di Malaparte nel forum Filosofie e Religioni d'Oriente
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 08-11-12, 19:16
  2. Nigeria: liberato Henry Okah, il fondatore del MEND
    Di Muntzer nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 22-07-09, 17:24
  3. Intervista ad Henry di LR
    Di C@scista nel forum Prima Repubblica di POL
    Risposte: 12
    Ultimo Messaggio: 03-05-09, 19:11
  4. PANTHEON / Henry Kissinger
    Di Florian nel forum Liberalismo e Libertarismo
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 30-04-09, 17:36
  5. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 07-04-09, 09:50

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito