Sì alla riforma costituzionale: Turchia più vicina all'Europa
Il 58% degli elettori turchi ha oggi detto «sì» in un cruciale referendum per una parziale ma controversa riforma della Costituzione destinata a cambiare nel prossimo futuro il volto della Turchia. E questo risultato, quasi certamente, contribuirà anche a spianare la strada al premier Tayyip Erdogan per vincere un terzo mandato alle elezioni politiche in programma nel luglio 2011. Sono queste le impressioni «a caldo» di analisti turchi e stranieri che stanno cercando di spiegarsi, e di spiegare, il perché di questa vittoria non a valanga ma neanche troppo preannunciata, tanto che la maggior parte degli ultimi sondaggi davano il «sì» e il «no» (che ha avuto il 42% delle preferenze) quasi testa a testa.
Di certo il risultato, ma anche il dato sull'affluenza alle urne (77%), dimostrano che su questo tema il Paese si è estremamente polarizzato fino quasi a spaccarsi a metà. Alla consultazione, secondo dati ufficiali, ha preso parte solo circa il 30-35% dei 20 milioni di curdi che vivono in Turchia (che hanno votato sì) mentre i restanti hanno boicottato i seggi seguendo le indicazioni dei loro politici.
Il pacchetto approvato oggi riguarda 26 articoli della Costituzione redatta nel 1982 dagli autori dell'ultimo colpo di Stato militare compiuto due anni prima. Gli emendamenti interessano soprattutto la riorganizzazione della magistratura, i rapporti tra giustizia civile e militare, ma anche i diritti civili e la protezione di donne, minori e anziani.
Il presidente turco Abdullah Gul è soddisfatto del voto uscito dal referendum: «Ora bisogna accettare il risultato del voto. Io ho sempre sostenuto che una Costituzione in Turchia deve essere preparata dalle autorità civili. E ho difeso questa posizione», ha commentato il capo dello Stato. «La Turchia ha preso una strada importante», ha detto. «Oggi siamo un paese più democratico, abbiamo alzato i nostri standard. Il futuro sarà brillante per la Turchia. E se infine l'Ue manterrà le sue promesse, questo sarà un bene per entrambe le parti».
Erdogan ha sempre sostenuto che questa parziale riforma era necessaria per democratizzare di più il Paese e adeguarlo agli standard richiesti per l'adesione della Turchia all'Ue. Per questo ha già incassato l'approvazione di Bruxelles. Il Commissario all'allargamento Stefan Fuele ha espresso la soddisfazione della Ue per la vittoria dei «sì», ma ha fatto capire che il referendum di per sé non basta. Il processo attuativo delle riforme verrà seguito, ha detto, con «attenzione», senza perdere di vista altre «priorita che riguardano il campo dei diritti fondamentali come la libertà di espressione e la libertà religiosa». Anche il presidente Barack Obama ha espresso il suo compiacimento con uno degli alleati chiave degli Usa. Senza entrare nel merito della questione dei referendum, il capo della Casa Bianca ha commentato che l'alta affluenza alle urne è una prova della «vitalità della democrazia turca».
Subito dopo l'annuncio della vittoria del «sì», Erdogan ha detto che «il 12 settembre rappresenterà una svolta nella storia democratica della Turchia. Il nostro popolo - ha concluso - ha sancito una tappa storica sulla strada della democrazia e della supremazia dello stato di diritto ed è un onore avere accresciuto il livello delle norme democratiche».
Per le opposizioni, invece, questa riforma voluta dal partito al governo sarebbe solo l'ultima dimostrazione di un tentativo di 'golpe strisciantè dell'Akp, teso a limitare il potere della magistratura (sottoponendola al controllo dell' esecutivo) e a ridurre ancor più l'influenza nella vita sociale e politica delle forze armate. Istituzioni, queste, entrambe considerate dalla Costituzione e dall'elite laico-burocratica come i bastioni della laicità del Paese contro ogni tentazione di deriva islamica. Soddisfazione, però, si avverte già negli ambienti economico-finanziari del Paese, secondo i quali una vittoria dei «no» - vista come una «sconfitta» per Erdogan - avrebbe rischiato di infliggere un duro colpo all' appena decollata ripresa economica.
La vittoria del «sì », secondo vari analisti, potrebbe essere il trampolino di lancio per Erdogan verso una trionfale rielezione alle politiche del 2011 che, come sostiene l'opposizione, darebbe all'Akp nuove possibilità di cercare di islamizzare la Turchia. E contribuirà pure a migliorare l'immagine del premier del quale sono note le ambizioni alla carica di capo dello Stato al posto del compagno di partito Abdullah Gul, il cui mandato scade tra due anni.
13 settembre 2010